domenica, Aprile 28, 2024

Cock O’ The North – Boulton Paul Defiant Mk.I dal kit Airfix in scala 1/48.

Il Boulton Paul Defiant era un caccia biposto nato in seguito alla specifica F.9/35 del Ministero dell’Aria britannico. Il primo esemplare uscì dalla fabbrica il 28 aprile 1937 e, senza neanche aspettare le prove in volo, ne vennero ordinati 87 di serie. Il prototipo volò senza torretta dorsale l’11 agosto del 1937 e le sue prestazioni furono giudicate talmente soddisfacenti da spingere i vertici della RAF ad incrementare il numero dei velivoli richiesti. Con l’aggiunta della grande torretta ci fu un calo drastico della velocità di punta e della maneggevolezza ma, oramai, la produzione in massa del Defiant era entrata nel vivo e fu comunque immesso in servizio il 264° Squadron RAF nel dicembre del 1939. La filosofia che aveva portato alle specifiche del Defiant si basava sulla convinzione che un caccia, armato con una batteria di mitragliatrici posizionate in una torretta mobile avrebbe potuto creare il caos nelle formazioni di bombardieri nemici. In pratica esso avrebbe dovuto volare parallelamente o al di sotto delle formazioni e, da questa posizione, fare fuoco.

Probabilmente i britannici avevano considerato che le ondate di Heinkel 111 e Junkers 88 tedeschi sarebbero giunte sugli obiettivi senza caccia di scorta; l’occupazione della Francia e la possibilità di sfruttare gli aeroporti in Normandia (che permettevano ai vari Bf.109 e 110 di portare nel proprio raggio d’azione la Perfida Albione) da parte della Luftwaffe mandò all’aria i piani difensivi inglesi che si ritrovarono il nemico alle porte di casa. Allo scoppio della Battaglia d’Inghilterra, nell’estate del 1940, il Defiant dovette fronteggiare non solo i bombardieri, ma anche i caccia sopra citati che lo superavano in qualsiasi tipo di prestazione. Lento, poco manovrabile e assolutamente indifeso negli attacchi frontali, il Defiant divenne un bersaglio facile per i piloti germanici registrando ingenti perdite. Fu rimosso dalla prima linea di difesa e utilizzato prima come caccia notturno (ruolo in cui ottenne anche diversi successi) e, in seguito, come traino bersagli.

Il modello:

Credo che tanti modellisti, e non mi riferisco solo a quelli britannici, abbiano da sempre apprezzato le linee sgraziate di questo aeroplano. Forse per la presenza di quell’assurda torretta, così grande rispetto alle sue dimensioni, forse perché vagamente ricorda l’Hawker Hurricane, in ogni caso il suo successo in campo modellistico ha superato di gran lunga quello ottenuto sui campi di battaglia. Airfix lo commercializzò in scala 1/72 nel 1960 e lo stesso stampo, tra confezioni e decal diverse, è rimasto in catalogo fino al 2008.

Immagine inserita a scopo di discussione – fonte web.ipmsusa3.org

Ebbene sì, anch’io faccio parte della schiera di estimatori di questo goffo velivolo… l’ho sempre considerato come una donna non bellissima ma dal fascino magnetico! Montai il vecchio kit Airfix ai tempi delle scuole medie utilizzando un bellissimo nero lucido della Molak, dato a pennello direttamente dal barattolino!! Chi è un po’ più in là con gli anni ricorderà sicuramente la densità di queste vernici… praticamente era come dipingere con il miele!!! Il risultato ve lo potete immaginare… un incubo!!!

Da allora ho atteso, paziente, che qualche ditta decidesse di investire su un nuovo stampo. Ho evitato il Classic Airframes, molto bello da vedere nella confezione ma non alla portata di tutti nel montaggio. Finalmente, nel 2104 e in piena ristrutturazione del suo catalogo, la nuova Airfix (passata intanto nelle mani di Hornby) decise di mettere in commercio un nuovo stampo in 1/72 con una qualità finalmente al passo con i tempi. Contemporaneamente sul forum della storica ditta inglese erano iniziate le richieste per l’uscita di un modello anche scala del quarto di pollice e, a furor di popolo, l’Airfix decise di accontentare i suoi numerosissimi fans: nel 2016 anche il “fratello” 1/48 vide la luce, dapprima nella versione Mk. I da caccia diurna poi, l’anno successivo, nella versione IF da caccia notturna.

Il kit oggetto di quest’articolo mantiene tutti i pregi e tutti i difetti dei nuovi prodotti Airfix. I pregi, fortunatamente, superano di gran lunga i difetti, che possono essere corretti con qualche piccola operazione di autocostruzione o facendo uso dei tanti set aftermarket che si trovano oggi sul mercato. Le forme del velivolo sono riportate correttamente e, di conseguenza, le sue linee (non certo eleganti) sono catturate in pieno. Confrontando le parti con i disegni in scala ho potuto notare l’omissione di alcune pannellature sulla fusoliera e sulle ali, difetto confermato anche da un’attenta analisi delle foto. Armato di incisore e nastro Dymo ho provveduto al tracciamento delle linee mancanti, operazione che richiede pochi minuti di pazienza. Osservando la documentazione, inoltre, salta subito all’occhio la fitta serie di rivetti che caratterizzava il rivestimento esterno del velivolo. So che non tutti i modellisti sono favorevoli alla tracciatura di questo dettaglio in scala, ma ho avuto modo di constatare che la sua presenza dona al modello un gran senso di tridimensionalità. L’importante è non eccedere nella sua esaltazione in fase di verniciatura e invecchiamento.

Poiché sono una caratteristica peculiare del Defiant, ho deciso di riprodurli aiutandomi con i soliti piani in scala e “Rosalia la rivettatrice” (nomignolo affibbiato dai modellisti palermitani a Rosie the Riveter!). Ormai è diventata una prassi che ripeto su tutti i kit non rivettati e la trovo un’operazione molto rilassante.  Cerco di tracciare i rivetti in una singola passata e senza calcare troppo la mano in modo che sotto le diverse mani di vernice siano appena percepibili. Il washing con i colori ad olio pensano al resto.

Finita questa fase sono passato agli interni, ottimi già da scatola e per i più pigri potrebbero andare già bene così! Ho voluto dare un tocco in più al mio Defiant e ho acquistato la lastrina foto incisa Eduard della serie Zoom (codice 49753). Generalmente cerco di evitare le fotoincisioni pre colorate perché hanno una fastidiosa “retinatura” dovuta al processo di stampa e i colori usati sono spesso, anzi direi sempre, molto distanti dai riferimenti storici (basta guardare i pannelli strumenti degli aerei tedeschi che nulla hanno da spartire con l’RLM66!!). Fortunatamente, in questo caso, le fotoincisioni che vanno nell’abitacolo sono tutte nere ed è quindi più semplice riuscire ad amalgamarle al resto dei pezzi. Riguardo le consolle laterali la ditta ceca consiglia di eliminare il dettaglio originale da quelle in plastica ed applicare sopra la fotoincisione. A causa della morbidezza dello stirene quest’operazione risulta abbastanza complessa e si rischia di deformare irrimediabilmente le parti, per cui ho preferito asportare con un cutter affilato i particolari e ricostruire tutto con plasticard sottile. In pratica ho salvato solo i correntini che fanno da cornice alle consolle stesse. Con il senno del poi, avrei fatto meglio a sostituire anche i già citati correntini… vabbè!

Ho anche aggiunto vari cavetti cercando sempre di rimanere fedele alle foto d’epoca (se posso, evito di consultare immagini relative ad esemplari conservati nei musei in quanto i restauri sono spesso frutto di fantasia). L’abitacolo ha ricevuto un fondo in Nato Black XF-69 Tamiya seguito da diverse velature di RAF Cockpit Grey Green RC293 della gamma AK Air Color. Si tratta di lacquer, molto più coprenti rispetto agli acrilici Gunze e Tamiya che uso abitualmente, e quindi occorre spingere la diluizione a valori anche superiori al 70% (7 parti di diluente, 3 parti di colore per intenderci). Non avendo a disposizione il loro diluente specifico mi sono affidato al Mr. Color Levelling Thinner e non ho riscontrato nessun tipo di problema.


Dopo una passata di trasparente lucido ho applicato il lavaggio con i colori ad olio. In questo caso ho utilizzato del Bruno van Dyck scurito con del nero per mettere in risalto le ombre e i dettagli all’interno del cockpit. Una leggera mano di trasparente opaco ha sigillato le superfici su cuoi, poi, ho effettuato un leggero dry brush con del grigio chiaro sempre ad olio. Un’ulteriore mano finale di opaco ha donato la giusta finitura alle superfici.

Qualche traccia di sporco sul pavimento è stata realizzata utilizzando le polveri della Vallejo. Sulle veglie del pannello strumenti ho aggiunto una goccia di Future per simulare il vetro.

La torretta, che andrà inserita solo alla fine, è interamente in NATO Black XF-69 a cui ha fatto seguito il solito dry brush in grigio chiaro già citato. Dalle foto essa appare sempre abbastanza usurata, in particolare sono evidenti delle scrostature che mettono in evidenza il metallo di fondo. Per realizzarle ho utilizzato un pezzetto di spugnetta presente nelle confezioni Aires, tamponando le superfici con il Flat Alluminium LP-38 della nuova gamma Laquer Tamiya. A migliorare il dettaglio della postazione del mitragliere hanno contribuito le quattro Browning M1919 binate di produzione Quickboost (codice QB48756) con le quali ho sostituito i pezzi del kit. Non ci sono problemi di adattamento ma occorre fare attenzione alla separazione delle canne dallo zoccolo di resina dato che sono veramente fragili.

Terminati gli interni ho provveduto alla chiusura delle semifusoliere e devo dire che Airfix, in questo caso, mi ha sorpreso positivamente. Il montaggio richiede pochissimo uso di stucco e per quei piccoli interventi basta una spennellata di Mr. Surfacer 500. L’eccesso basta rimuoverlo con un cotton fioc imbevuto di Lacquer Thinner Tamiya per avere delle giunzioni perfette e senza utilizzo di carta abrasiva. Il dettaglio, soprattutto la rivettatura, ringrazia!!

Volendomi allontanare dai due esemplari proposti dalla scatola ho acquistato il foglio Montex K48315 che permette di realizzare due velivoli, un diurno e un notturno. All’interno della bustina, oltre alle maschere per verniciare le coccarde e i codici in fusoliera, è presente anche un piccolo foglio decal per le insegne impossibili da realizzare tramite mascheratura. L’esemplare che ho scelto apparteneva al 141° Squadron RAF, pilotato dal Flt. Lt. D.G. Donald, alle armi il Pt. Off. A. Ch. Hamilton; era operante nel luglio del 1940, quindi in piena Battaglia d’Inghilterra.

L’aftermarket della Montex contiene anche le mascherine per i trasparenti ma ho preferito scartarle perché in vinile e molto rigide. Al loro posto ho preferito optare per il set Eduard Mask (codice EX490) in nastro kabuki che ritengo più performante per questo genere di lavorazioni.

La verniciatura ha avuto inizio dalle superfici inferiori. Dopo il classico, almeno per me, pre shading in Gunze H-462 Black Brown Flat, ho steso l’XF-21 Sky della Tamiya. In questa fase ho proceduto per velature molto sottili mantenendo la diluizione della vernice tra il 70 e l’80% e fermandomi quando le linee del pre shading si intravedevano appena. L’esperienza mi ha insegnato che la vernice fresca tende a sembrare meno coprente del dovuto, quindi è bene ogni tanto fermarsi ed attendere la completa essiccazione prima di decidere se andare avanti o meno.

Ottenuto il risultato che avevo in mente, ho proceduto con la fase del post shading. Ultimamente utilizzo una tecnica molto simile al black basing ma senza utilizzare il fondo nero che ha la tendenza a scurire troppo i colori e allontanandoli dal riferimento originale. Partendo dalla tinta base, in questo caso lo Sky Tamiya, ho aggiunto del bianco opaco XF-2 e ho aumentato ulteriormente la diluizione. Questa miscela è stata spruzzata tramite un aerografo Badger Renegade Krome a bassissima pressione (0,3-0,4 bar) creando una serie di “riccioli” sulla verniciatura di fondo. A questo punto basterà uniformare le due tinte con un’ulteriore velatura di Sky per avere, a mio parere, un risultato molto più realistico del classico post shading effettuato pannello per pannello e con il quale si rischia sempre l’effetto “piastrella”.

Vani carrello e relativi portelli di chiusura sono verniciati in Tamiya Flat Aluminium LP-38 spruzzati su di una base di Tamiya Flat Black LP-3. A proposito dei portelli di chiusura: ho preferito sostituire quelli del kit, stampati in un unico pezzo e a mio avviso troppo spessi e poco realistici, con quelli in resina della Quickboost (codice QB48773). Anche qui c’è da fare parecchia attenzione al distacco dallo zoccolo di colata perché i portelli sono incredibilmente sottili e assolutamente in scala. Mancano, però, dei rivetti che ho provveduto ad aggiungere grazie alla solita rivettatrice della Rosie The Riveter. La linea di demarcazione delle superfici inferiori è stata mascherata con il Tamiya Masking Curve (quello bianco in vinile per intenderci) e, finalmente, mi sono potuto dedicare alla mimetica superiore. Anche in questo caso, dopo un pre shading in H-462, ho utilizzato le tinte della Gunze H-72 Dark Earth e H-73 Dark Green.

Per la separazione dei colori mi sono avvalso dei classici salsicciotti di Patafix e, anche in questo caso, il post shading è stato effettuato con la stessa tecnica usata per le superfici inferiori. Ho schiarito il Dark Earth con qualche goccia di H-85 Sail Color, mentre per il Dark Green ho usato in alcuni punti il giallo H-413, in altri qualche goccia di grigio H-332, a seconda di dove volevo rendere più evidente l’usura delle tinte.

Terminata la verniciatura è venuto il momento di provare le “mask” della Montex per la realizzazione delle insegne di nazionalità e dei codici. Il posizionamento delle maschere è una fase molto delicata perché basta una leggera asimmetria per mandare all’aria tutto il lavoro fatto in precedenza, a maggior ragione quando si tratta di coccarde costituite da diversi cerchi concentrici. Per agevolarmi nell’applicazione ho tracciato due diametri ortogonali attraverso l’intera area della mascherina che mi sono serviti come riferimento per trovare il centro.  Per i colori delle coccarde ho utilizzato le tinte Gunze H-327 Red e H-328 Blue entrambe scurite con qualche goccia di Flat Black, mentre per il giallo ho utilizzato l’H-413. Prima di applicare i colori ho spruzzato una mano di fondo con il Flat White LP-4 di Tamiya con una piccolissima percentuale di nero.

Questa vernice ha un’ottima resa ed ha favorito la copertura del blu, del rosso e del giallo che sono notoriamente molto ostici da gestire senza un adeguato primer. Ovviamente essa costituisce la parte bianca per le insegne inferiori, in fusoliera e per le fin flash. Per il grigio dei codici ho utilizzato l’H-325 sempre della Gunze, leggermente schiarito con qualche goccia di bianco. Questa fase mi ha impegnato per un intero weekend, ma alla fine, sono state ore ottimamente spese perché il risultato è di tutt’altro livello rispetto all’applicazione delle decal.

Contento del risultato raggiunto ho sigillato il modello con diverse mani di trasparente lucido Tamiya X-22 e, dopo le canoniche ventiquattr’ore di attesa, ho applicato le poche decalcomanie rimanenti. Quelle Montex sono di ottima qualità, con un film molto sottile e praticamente invisibile. Ho evitato come la peste gli stencil contenuti nel foglio Airfix per paura di rovinare tutto con il temuto silvering e poiché la mia idea era quella di rappresentare un esemplare discretamente invecchiato, ho ritenuto plausibile che le scritte di manutenzione fossero poco o praticamente invisibili.

Dopo aver passato ulteriori due strati di Clear X-22 mi sono concentrato sui lavaggi delle pannellature. In questo caso ho utilizzato il Bruno van Dyck ad olio diluito con essenza di petrolio, sia per le superfici superiori che per le superfici inferiori.

A seguire ho applicato diverse mani di trasparente opaco Gunze H-20 e ho affrontato il weathering vero e proprio. Su questo kit ho voluto sperimentare diverse tecniche usando colori ad olio, matite acquerellabili, i Weathering Set della Tamiya e pastelli per artisti in varie tonalità di grigio e marrone. In particolare ho picchettato con i colori olio (bruno van Dyck e terra d’ombra bruciata) le zone più soggette ad accumulo di sporco quali la radice dell’ala, le walkway, attorno ad alcuni portelli d’ispezione e ai pozzetti carrello. Dopo qualche minuto, ho tamponato le aree trattate con un pennellino leggermente inumidito di essenza di petrolio allo scopo di sfumare leggermente il colore senza eliminarlo del tutto. La stessa tecnica può essere utilizzata per le colature e le trafilature, tirando l’olio con un pennello piatto invece di tamponarlo. Per dare ulteriori variazioni cromatiche ho “picchettato” la mimetica con i colori ad olio in varie tonalità di verde e marrone ammorbidendo i contrasti con il solito pennello inumidito. Le scrostature nelle zone soggette ad usura, pannelli del motore o in prossimità dell’abitacolo, le ho ottenute con una matita argentata mantenendo la punta sempre ben appuntita.

I fumi di scarico sono realizzati ad aerografo con la vernice diluitissima (praticamente diluente sporco) e la pressione del compressore settata su 0,3 bar. I gas li ho ulteriormente sfumati utilizzando diverse tinte degli ombretti Tamiya applicati con un pennello sottile. Alla fine, la classica passata di trasparente opaco ha sigillato i diversi passaggi. I tubi di scappamento del kit sono stati sostituiti da quelli in resina della Quickboost (codice QB48755) già forati e molto più realistici. Li ho dipinti con una mano di fondo in nero opaco, dry brush leggerissimo in Gun Metal e successiva applicazione di polvere di pastello marrone. La parte terminale è stata ripassata ad aerografo con lo stesso colore dei fumi.

Il montaggio termina con i particolari minuti. Le ruote sono state sostituite con quelle in resina della Barracuda (codice BR48308), splendide e con il logo del produttore (Dunlop) in leggerissimo rilievo. In particolare il ruotino di coda del kit, stampato insieme alla forcella, è veramente brutto a vedersi e il set in resina colma anche questa lacuna. Stessa sorte è toccata alle antenne nella parte inferiore della fusoliera e al tubo di pitot: gli elementi in plastica sono stati scartati facendo posto agli equivalenti in resina della Quickboost (codice QB48772) a tutto vantaggio del realismo finale.  Le antenne a filo sono realizzate con della bava da pesca elastica, equivalente al filo elastico della Uschi Van Der Rosten, ma molto più economico. Tutte le parti trasparenti, prima della mascheratura, sono stati trattate con la cera Future. Qualche piccolo grattacapo me lo ha dato l’inserimento della torretta all’interno del vano in fusoliera che n realtà dovrebbe essere girevole; una volta montata (con la forza!) nel proprio alloggiamento si è incastrata divenendo, di fatto, fissa. Pazienza!

È stato un kit molto divertente da montare, ho impiegato circa due mesi per realizzarlo e alla fine il risultato mi ha ripagato delle ore di lavoro spese. Spero che questo articolo sia utile a tutti coloro che si cimenteranno nella sua costruzione e mi auguro che il risultato finale sia di vostro gradimento. Un ringraziamento particolare allo STAFF di MT che mi ha onorato di quest’articolo in home page, ai ragazzi del forum di Modeling Time e a tutti gli amici modellisti della mia città per il sostegno che ho ricevuto durante la realizzazione.

Buon Modellismo a tutti!

Fabio Cannova  

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