venerdì, Aprile 26, 2024
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Alfa Romeo 155 V6TI “Jagermeister” – dal Kit Tamiya in scala 1/24.

Dopo i fasti del 1993, quando l’Alfa Romeo dominò in lungo e in largo il campionato turismo tedesco (DTM), il 1994 fu decisamente più difficile e segnò il ritorno al successo della Mercedes, la quale fu però costretta a un brusco risveglio e a mettere in campo una nuova auto, la C-180, di cui due esemplari è possibile vedere già su queste pagine e che sarà soggetto di un prossimo articolo, avente per soggetto proprio la vettura campione. Ma torniamo alle nostre Alfa: la squadra ufficiale mise in campo una vettura evoluzione, mentre alcuni team privati corsero con l’auto ufficiale dell’anno prima, un’ottima vettura ma ovviamente inferiore rispetto all’auto con nuove specifiche e alle Mercedes di nuova generazione. Fra queste auto «clienti» spiccava senza dubbio quella tutta arancio, sponsorizzata dal famoso amaro Jagermeister.

E così dopo aver fatto entrambe le vetture ufficiali, ecco che mi cimento anche quella contrassegnata col celebre cornuto che caratterizza l’amaro. Invero una l’avevo già fatta, ma dal momento che essa è destinata a finire come regalo a un mio zio ex dipendente Alfa, ho colto l’occasione per cimentarmi ancora una volta con l’arcinoto kit Tamiya, che sebbene lo stessi affrontando per la quarta volta nel giro di pochi mesi, mi ha ancora una volta regalato delle sane ore di modellismo e divertimento. Anche qui, dal momento che il montaggio in dettaglio l’ho già descritto in precedenza, mi soffermerò solo su poche note. Il montaggio come al solito è stato senza problemi. I colori usati sono stati gli acrilici Tamiya secondo istruzioni, tranne che per il telaio, per il quale ho usato uno spray TS-30 sempre della ditta nipponica, e per la carrozzeria, sulla quale ho steso un paio di mani di arancio in bomboletta Talken, lucidata poi con una serie di passate leggere di spray trasparente Tamiya. Per i cerchioni ho usato sempre dal range Tamiya, il bianco TS-26 in spray (tutti le vernici Tamiya le ho acquistate presso modellismo.it, che tra le altre cose sono in offerta con il 20% di sconto!).

Per chi ha tempo e voglia consiglio di cercare documentazione e dettagliare più che può il modello, ma anche da scatola mi ha lasciato del tutto soddisfatto!

In conclusione un altro piccolo gioiello Tamiya, un altro tassello alla mia collezione DTM: i prossimi saranno una Mercedes e altre due 155. Ancora? No tranquilli, stavolta sono quelle del 1996! Ma non voglio anticipare troppo, dico solo stay tuned!

Double Nuts – F/A-18 C dal kit Hasegawa in scala 1/72.

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Ci sono delle cose che ogni essere umano deve fare, almeno una volta nella sua vita. A chi viene l’idea di visitare le Piramidi d’Egitto… a chi di scalare l’Everest… a me è venuto in mente di costruire un bel F-18! Lo so, sono nella fase terminale di una malattia rara chiamata “modellismo”, ma l’Hornet è proprio uno di quei soggetti che non può mancare nella vetrina di ogni appassionato che si rispetti. Dal progetto teorico a quello pratico sono passati pochi attimi, perché fortunatamente al famoso calabrone della McDonnel Douglas (ora assorbita dalla Boeing) è riservato un vasto catalogo di scatole e aftermarket commercializzati dalle più disparate ditte. La mia scelta è quindi caduta sul kit numero 00674 dell’Hasegawa, convinto che il suo buon nome fosse sinonimo di qualità e dettaglio anche per questa scatola. Mi sbagliavo di molto, e continuando a leggere capirete anche il perché. Conoscendo il classico stile della marca giapponese, già immaginavo che l’abitacolo fosse la zona più trascurata del modello e per questo mi sono procurato il vetusto set numero 591 della Verlinden: quest’ultimo non è di certo il meglio che si possa trovare oggi sul mercato, ma fornisce dei buoni pezzi (sia in resina sia in fotoincisione) con un rapporto qualità/prezzo invidiabile.

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Come di consueto le mie fatiche hanno avuto inizio dallo scarno cockpit che è stato subito completato con le fotoincisioni Verlinden. Come correttamente riportato anche dalle istruzioni, le consolle laterali (che in originale sono davvero troppo sottili) richiedono essere maggiorate nel loro spessore incollando a sandwich due rettangolini di plasticard sagomato a misura. Dietro al sedile è presente un vano avionica che l’Hasegawa consiglia di chiudere prontamente con il pezzo D-12, ma che in realtà è molto ben visibile. Ho quindi ricostruito totalmente l’Hell Hole (com’è chiamato in gergo da piloti e specialisti), sfruttando le provvidenziali fotoincisioni e usando come pavimento il menzionato pezzo D-12; nello scasso sono presenti varie scatole della strumentazione, tubature idrauliche e il circuito di condizionamento della cabina, il tutto ricreato con pezzi di plasticard di vario spessore e fili di rame cannibalizzati da materiale elettrico. Ottimo durante questa fase (e non solo) il volume edito dalla DACO dal titolo “Uncovering the Boeing F/A-18” ricco d’immagini che ricoprono un notevole interesse modellisticamente parlando. Il cruscotto è anch’esso fotoinciso, ma è stato incollato sulla base (ovviamente liscia) dell’Hasegawa e sfruttando le decalcomanie fornite dalla scatola adattate con un abbondante bagno nel Micro Sol della Microscale per donare un aspetto “painted on” alla strumentazione. Il risultato finale è molto realistico. Lo pseudo seggiolino in dotazione al modello è stato scartato senza pietà alcuna e sostituito con quello presente nel Verlinden che, da solo, vale l’acquisto di tutto il set. Il cockpit è stato verniciato in Gray F.S. 36270 ad eccezione delle consolle laterali che sono in nero opaco, ma che ho preferito dipingere in Tyre Black H-77 della Gunze per de saturare il colore e rendere meglio l’effetto scala. Il cruscotto e l’Hell Hole hanno lo stesso grigio già utilizzato, mentre il sedile Martin Baker SJU-5/A ha la struttura in nero opaco e lo schienale con le cinture di sicurezza in Dark Green H-64. L’intera zona è stata sottoposta a un lavaggio col Bruno Van Dyck a olio molto diluito con acquaragia, e in seguito completata con un abbondante dry brush in grigio chiaro per esaltare e lumeggiare tutti i particolari.

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La mossa successiva ha riguardato il dettaglio dei montanti del cockpit, per cui la Verlinden fornisce un complesso sistema di fotoincisioni da piegare a misura e incollare all’interno. Dopo svariate prove a secco sono arrivato alla conclusione che la soluzione della ditta belga è davvero poco attuabile, (soprattutto in scala 1/72) quindi ho preferito utilizzare il pezzo da scatola (B-14) e arricchire il tettuccio con qualche particolare in ottone che potesse essere posizionato senza il rischio di rovinare il trasparente. Ovviamente le operazioni di fissaggio hanno comunque comportato qualche graffio e sbavatura, ma per ovviare all’inconveniente è stato sufficiente immergere il canopy nella provvidenziale cera Future. Superato il primo scoglio, ho iniziato la fase di montaggio vera e propria… e qui sono arrivate le molte note dolenti. L’Hasegawa, come da tradizione, ha scomposto il modello in modo veramente cervellotico e la parte che ne risente di più sono le prese d’aria del reattore. Se poi aggiungiamo che lo stampo in oggetto soffre di un’età di almeno dieci anni, bè… il mix è completo! Armatevi quindi di tanta pazienza è una buona dose di stucco: partiamo dal cono del radar che presenta uno scalino abbastanza accentuato, come del resto anche la giunzione tra la valva superiore e quella inferiore della fusoliera proprio all’altezza del muso. L’unico rimedio è una carteggiatura a fondo che pareggi i componenti, anche se il rischio è di veder cancellate tutte le pannellature incise in negativo (come da me sperimentato). Le famose prese d’aria sono divise in tre elementi, ed anche loro non spiccano sicuramente per precisione nell’assemblaggio. L’unico consiglio che mi sento di dare è di seguire le istruzioni ed eseguire innumerevoli prove prima di incollare tutto. Le ali non presentano difficoltà di sorta e s’incastrano con relativa semplicità, le derive al contrario vanno poste con un angolo di 25° gradi rispetto all’asse orizzontale ma una volta inserite nella loro sede, lasciano delle fessure abbondanti che andranno sanate con un po’ di stucco.

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In preda alla solita crisi da super dettaglio, ho completato i poveri pozzetti dei carrelli con varie tubazioni idrauliche ed elettriche riprodotte con il già citato filo elettrico. Per la colorazione delle condotte mi sono ispirato alle foto presenti nel DACO, notando che la maggior parte di esse sono in alluminio, alcune nere, e i raccordi sono spalmati con una sostanza isolante gialla. Tutti i vani sono in Bianco Opaco, ma hanno subito un copioso lavaggio col solito Bruno Van Dyck e una sporcatura con una leggera passata a pennello di polvere di mina di una matita grassa. Prima di porre nella sua sede il parabrezza, ho eliminato l’accenno dei supporti dell’Head Up Display presenti sulla palpebra, e sostituito il tutto con l’ottimo pezzo in fotoincisione completato con due quadratini in acetato sottile posti a simulare i due vetri che compongono il sistema di puntamento. I piloni sub-alari originali sono stati scartati poiché le loro forme non rispecchiano granché quelle reali, e al loro posto hanno trovato sede i pezzi in resina forniti dalla Verlinden. Ho poi aggiunto, in accordo con la documentazione in mio possesso, il piccolo dome del sistema GPS sulla gobba (subito dietro all’antenna UHF/IFF, quella più grande per intenderci) realizzato con un pezzo di plastirod circolare dell’Evergreen da 1 mm. e opportunamente sagomato.

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Inoltre, alla base di entrambe gli impennaggi verticali sono state installate tre piastre di rinforzo dovute a fatiche strutturali della cellula, per cui le ho realizzate tagliando delle striscette di nastro adesivo sottile. Ho notato anche che, nella porzione di fusoliera sotto le derive tra le ali e i piani di coda, esiste un’ulteriore piastra su cui trova alloggiamento anche la luce di formazione; per quest’ultima ho ritagliato due strisce sagomate di plasticard che, una volta incollate in posizione, sono stato lisciate e portate a uno spessore sottilissimo tale da rispettare la scala. Per rendere più realistico il POD AN/ASQ-173, ho segato la testa (in plastica piena) e realizzato la calotta trasparente del sensore incollando e sagomando un pezzo di sprue trasparente proveniente dalle stesse stampate del modello. In seguito essa è stata lucidata con pasta abrasiva e Future per renderla completamente lucida. Il POD è un Laser Spot Tracker, cioè traccia l’illuminazione dei bersagli marcati da altri velivoli amici e invia le informazioni all’avionica che guida sull’obiettivo le bombe a guida laser; esso però ha capacità solo durante le operazioni diurne. A questo punto il modello è pronto per la successiva fase, quella sicuramente più divertente e che mi ha dato più soddisfazione: la verniciatura.

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Non si può di certo affermare che l’F/A-18 sia un aereo particolarmente interessante dal punto di vista della colorazione e, infatti, lo schema standard prevede superfici superiori in Gray F.S.36320, e superfici inferiore in Gray F.S.36375. A movimentare un po’ la piatta mimetica ci pensano i vari Squadron, che con le loro insegne colorano e caratterizzano i propri velivoli in modi davvero “esotici”. Avendo bene in testa la ferma intenzione di realizzare un Hornet fuori dal comune, ho iniziato la ricerca per un foglio decal che potesse soddisfare la mia idea: l’articolo numero 72-173 dell’Aeromaster era proprio quello che facevo al mio caso! Ma procediamo con ordine; per prima cosa ho steso una mano di grigio molto chiaro (io ho scelto l’H-311 Gunze F.S. 36622) usandolo sia come fondo per il successivo Pre – Shading, che per individuare eventuali difetti di stuccature. Successivamente ho preparato il colore vero e proprio partendo dal Gray F.S.36375 (Gunze H-308), ma qui è doveroso aprire una piccola parentesi: come già confermato qualche riga più in alto, lo schema prevede due grigi sovrapposti, ma se si osservano le immagini dei velivoli in condizione operativa, si può facilmente notare che la differenza tra le due tonalità viene del tutto annullata dall’impietosa azione degli agenti atmosferici sui polimeri che compongono le vernici. Il risultato è un colore molto schiarito tendente all’azzurrino, che viene però desaturato ulteriormente dall’effetto “cottura” del sole e della salsedine.

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Per riprodurre la tinta quasi esatta (dico quasi perché alla fine non c’è un aereo che sia uguale all’altro!) ho utilizzato appunto l’H-308 “tagliato” con quasi il 60% di bianco e steso su tutto il modello. Per non attenuare il Pre – Shading, ho allungato la tinta con molto diluente in modo da lasciare solo un velo sulle superfici. A questo punto ho realizzato anche un Post – Shading (che a mio avviso rende molto meglio rispetto al Pre – Shading) utilizzando una varietà vastissima di grigi che avevo in magazzino, sfruttando sempre come base il 36375. Ogni modellista ha la sua tecnica prediletta, e in questo caso si può dar libero sfogo alla fantasia e alla manualità… ma io ho agito come segue: ho utilizzato un grigio molto scuro (RLM 75 dei velivoli tedeschi, Gunze H-69) passato principalmente lungo le pannellature, dove la sporcizia si accumula con più facilità. Ricordo sempre di usare colori molto diluiti, e di tarare il compressore a una pressione bassa o quasi al minimo sindacale. Lo stesso H-69 è stato steso un po’ a casaccio all’interno dei pannelli, senza però marcare troppo la mano. Ora è la volta dei vari grigi più chiari, che andranno a simulare le “toppe” di vernici con cui gli specialisti si affrettano a coprire le onnipresenti scrostature. Spesso si vedono i meccanici all’opera direttamente sul ponte, con una bomboletta spray in mano… che il più delle volte c’entra poco o nulla con il colore originale del velivolo (ed è proprio questa la cosa affascinate per noi modellisti)! Conclusa la prima fase del Post – Shading, ho proceduto con il lavaggio e l’evidenziazione dei pannelli con il Bruno Van Dyck: abbondate pure con il pigmento ad olio, e realizzate una miscela grassa in modo da accentuare il contrasto tra le vernici. Terminato il washing potreste essere colti da un attacco di panico, vedendo che tutto il minuzioso lavoro di Shading se n’è andato a farsi benedire… ma non temete! Ricaricate di nuovo l’aerografo, ma questa volta prediligete grigi chiarissimi… e ripassate l’interno delle pannellature con tocchi leggeri. Soffermatevi un po’ di più su tutti quei pannellini d’ispezione che vengono aperti con più frequenza, poiché sono proprio quelli i più ritoccati (e quindi quelli ricoperti con vernici più fresche e più chiare).  Vedrete che il risultato finale sarà molto accattivante e realistico. Tutto ciò, spiegato con poche parole, è più facile a farsi che a dirsi… basta solo iniziare e vedrete che il resto del weathering verrà da se.

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La gobba e gli impennaggi sono stati dipinti in nero opaco, ma anche questo schiarito con un po’ di bianco rispettando le regole dell’usura. Gli anelli e i petali degli scarichi sono stati verniciati rispettivamente con il titanio e il metallo annerito Metalizer della Testors, mentre il musetto (altro non è che materiale dielettrico) in Crema – Humbrol 148 (Gunze H318). Come detto le decalcomanie provengono dal foglio Aeromaster intitolato Stinging Hornet Part.III, e in dotazione offre le insegne per realizzare tre differenti esemplari. Quello da me prescelto è il Bu.No. 164006, Modex 200 appartente al VFA-27 “Royal Maces” imbarcato sulla CVW-5 USS Indipendence. L’aereo porta quest’appariscente livrea proprio perché è il “Double Nuts”, in altre parole il velivolo pilotato dal CAG e/o dal Deputy CAG. Qualche lettore potrebbe anche non conoscere l’etimologia di “Double Nuts”, e per fugare ogni dubbio ecco a voi la spiegazione: tradotto letteralmente significa “doppia nocciolina” e si rifà al codice “00” con cui convenzionalmente terminano i Modex (i numeri individuali) di ogni aereo che sia assegnato al CAG o ai comandanti di gruppo. Il mio Hornet porta, infatti, come Modex il numero 200, ed è pilotato dal CAG Captain Mauldin e dal DCAG Captain Linn; Se fate attenzione, sotto all’abitacolo da entrambe i lati, una piccola nose art recita “Nuts” a conferma che quello in questione è il Cag’s Bird! Una curiosità: questo esemplare non presentava l’insegna di nazionalità sul dorso alare, particolare specificato anche nell’esauriente opuscolo istruzioni della ditta messicana. L’operazione sicuramente più delicata è quella riguardante la disposizione delle lunghe striscette gialle che dividono il nero dal grigio: quelle del mio foglio, nonostante le abbia preventivamente tagliate a misure regolari per agevolare il lavoro, si sono spezzate più volte segno che il prodotto non era poi così nuovo. Consiglio quindi di passare una mano di Clear Decal Film prima di utilizzare le decal, e di non sprecare millimetri importanti delle striscette poiché l’Aeromaster le ha realizzate davvero a misura! Data la presenza del fondo scuro poi, è opportuno rendere più lucida possibile la superficie per impedire l’effetto silvering delle decalcomanie, anche se devo dire, sono di ottima qualità. Le luci di formazione provengono dal set numero 88100800310 della Pro Modeler by Monogram intitolato “Fighter Formation Light”.

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Dopo la stesura del trasparente opaco, il mio Hornet è pronto per gli ultimi ritocchi quali la verniciatura delle luci di posizione, delle antenne radar warning sulla gobba in Sky/Duck Egg Green Gunze H-74, e l’installazione dei carrelli con relativi portelloni. I carichi esterni da me scelti raffigurano una classica combinazione, più volte vista in varie immagini: i due Sidewinder AIM-9L da autodifesa provengono dal set Hasegawa U.S. Air to Air Weapons – Aircraft Weapons III (codice X 72-3) e sono verniciati in Gray F.S.36320 ad eccezione del terminale (in nero opaco) e delle due striscette in giallo e marrone. Le Bombe a guida laser GBU-12 Paveway da 295 Kg, tratte dal set Hasegawa U.S. Smart Weapons – Aircraft Weapons VI (codice X 72-11), sono verniciate in modo da raffigurare le Dummy Bomb MK.82 trasformate in Smart Bomb con il kit KMU-388. Il corpo centrale è in grigio (realizzato con il primer Tamiya per simulare l’effetto grezzo tipico di questi ordigni), mentre le estremità sono in Dark Green Gunze H-64. Ai piloni in fusoliera sono agganciati il già citato POD AN/ASQ-173 a destra e a sinistra il POD Flir AN/AAS-38A che invia al pilota un’immagine in tempo reale del bersaglio sul Multi Function Display in cabina. Buon modellismo a tutti e alla prossima realizzazione! Starfighter84.

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Tabella Riferimento Colori:

Colore

F.S.595B

Gunze

Life Color

Testors

Humbrol

Light Compass Grey

36375

H 308

UA 026

1728

127

Dark Compass Grey

36320

H 307

UA 027

1741

128

Netrual Grey

36270

H 306

UA 073

156

Light Grey

36622

H 311

UA 025

1730

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Reference Books:

Daco Pubblications – Uncovering The Boeing F/A-18 A/B/C/D Hornet, Danny Coremans & Nico Deboeck.

PKL (Przeglad Konstrukcji Lotniczych) – F/A-18.

Osprey Super Base n°20 – Baden Sollingen – The Hornet’s Nest, Chriss Bennet.

Replic n°148.

Linewrights Ltd. – Aeroguide n°20 – Hornet.

Verlinden Lock On n°15 – F/A-18 A/C & CF-18 C Hornet

Squadron Signal In Action n°136 – F/A-18 Hornet.

Squadron Signal Walkaround n°18 – F/A-18 Hornet.

Foto del Montaggio (clicca sull’anteprima per ingrandire):

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Cave Troll Walktrough (part 3).

Questa è la terza parte del tutorial di Lotrmaster riguardante la pittura di un Troll di Caverna. Le prime due parti potere trovarle qui.

In qesto video ci viene mostrato cosa fare una volta montato e preparato per la pittura il modello.

Prime: dare una prima pittura di nero sul modello sulla quale si andrà a dipingere successivamente. A seconda del risultato che vorrete ottenere sceglierete un primer di colore diverso. I più di utilizzati sono Bianco, Nero e Grigio.

ma vediamo che ci dice Lotrmaster.

Aspettando il quarto e più dettagliato video….. ecco una veloce anteprima di quello che accadrà nei prossimi video!

Stay Tuned!!!

Simmonsstummer (video by Lotrmaster)

F/A-18C Hornet ‘VMFA-212 LANCERS’ – Dal kit Hasegawa in scala 1/72.

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Ecco qui dopo mesi e mesi di lavoro il mio F/A-18 C. Ho scelto questo kit perchè dando un occhiata nei maggiori siti di modellismo, l’Hornet è sempre uno dei soggetti più elaborati dagli appassionati, infatti è molto facile trovarne con le superfici alari ripiegate o i flaps abbassati ed essendo un aereo imbarcato ci si può sbizzarrire con varie tecniche per sottolineare l’usura da impiego del velivolo. Dato che il mercato è saturo di componenti in resina, lastre fotoincise ed altre realizzazioni da avere l’imbarazzo della scelta ho deciso che era venuto il momento di separarmi dalla massa ed effettuare il mio primo “superdettaglio” realizzato completamente in scratch, o per meglio dire come nel mio caso, fatto in casa.

Prima di passare però alla fase puramene modellistica vorrei annoiarvi un po con qualche dato tecnico di questo aereo che ormai in questi ultimi mesi mi ha preso un po’ troppo… L’F/A 18 C Hornet è uno dei caccia più versatili che solca attualmente i nostri cieli, prodotto dall Mc Donnel Douglas, ora controllata dalla Boeing, che ne segue il progetto e lo sviluppo dal 1997, culminato nella versione F/A 18 E Super Hornet. Questo velivolo è stato specificamente richiesto dall’US Navy per ricoprire i ruoli di attacco al suolo, aereo da caccia, supporto aereo ravvicinato, ricognizione e controllo aereo avanzato. L’unico difetto riscontrato è la scarsa autonomia, problema risolto nella versione F/A 18 E. Il suo primo volo avvenne nel 1978 ed il suo impiego operativo nel 1983, mentre la versione da me scelta, la “C” volò nel 1987. Un’altra caratteristica è l’elevata maneggevolezza dovuta ad un aerodinamica particolarmente votata ad evitare quelle turbolenze che causano lo stallo. I motori sono due General Electric con post bruciatore che lo spingono a 1,8 mach di velocità. Dopo queste informazioni passiamo alla parte che a noi modellisti interessa di più…

La mia scatola Hasegawa è datata 2004 ma penso che il suo contenuto abbia visto la luce almeno una decina di anni prima ed aprendola le stampate sembrano buone così come le decal e subito si ha l’idea che gli 82 pezzi di cui è composto il modello sono li pronti ad unirsi senza la minima fatica. Magari fosse così. Infatti per ottenere un bell’Hornet monoposto di quasi 24 cm come promette la didascalia in copertina occorre armarsi di un bel po’ di stucco, carta abrasiva e molta pazienza. Non mi sento di parlare male però di questo modello dato che non è una realizzazione recentissima, anzi a dire la verità quando io entro in un negozio e vedo una scatola un po’ sbiadita ed impolverata i miei occhi si illuminano…

Parlando della costruzione del modello vera e propria sono partito dal tagliare le ali per riporle in posizione ripiegata e dal separare tutte le supefici mobili per poterle mettere in posizione “riposo”. Addirittura ho tagliato gli alettoni dalla fusoliera, operazione che non consiglio a nessuno a causa dell’ulteriore fragilità che acquisterà il modello una volta ultimato. Una volta separate e carteggiato dove c’erano residui di lavorazione sono passato all’abitacolo, o meglio a quello che sulla carta lo dovrebbe rappresentare.

Da questo punto in poi capirete perchè ho impiegato più di 6 mesi per costruire il mio aereo, si un po’ è per la mia pigrizia cronica, un po’ per la mole di lavoro che mi sono caricato sulle spalle durante il mio poco tempo libero. L’abitacolo inizia con la verniciatura della parte dove andrà alloggiato il sedile e posizionate le decal insieme alla cloche, parte che ho lasciato standard perchè dato che rimane quasi invisibile una volta chiuso il modello. Non è stato così per il pseudo sedile eiettabile che forniva il kit. Due miseri pezzetti di plastica erano li a rappresentare un sedile Martin Baker, ma questo è giustificato dal fatto che dalle istruzioni era previsto anche il posizionamento su di esso di un figurino che ne avrebbe coperto i dettagli. Ho preso così la mia banca di pezzetti avanzati, stucco e striscette di carta di alluminio ed ho ricostruito al meglio il componente….nelle foto seguenti ve lo mostro passo passo…

sedile originale…

…qui ho ricostruito con lo stucco i cuscini e con plastica le rotaie per l’eiezione, le cinture sono realizzate, udite udite con la bustina delle cialde per la macchinetta del caffè….

…questo è il prodotto finito, non sarà come un sedile in resina ma il mio scopo era quello di ottenere il massimo dal mio primo superdettaglio senza ricorrere a nulla preso in negozio e poi non dimentichiamoci che è alto si e no un centimetro e mezzo questo sedile quindi i dettagli dal vero non sono così evidenti come da foto…

Un’altro dettaglio che ho voluto realizzare da zero è il radome, lo stesso costruito con residui di una bomba di un Hellcat in 1/48 e due o tre pezzi avanzati da un F.104, il tutto condito dall’immancabile filo di ferro a rappresentare i vari collegamenti elettrici…qui sotto ci sono le varie fasi realizzative… lo stesso per la porzione di cono che rimane in fusoliera dove sonno alloggiate le armi l’ho costruita limando e tagliando il cono di un altro kit ed incidendo i fori con un ago scaldato…il ritocco e la verniciatura sono fatti a pennello dopo un primer grigio ad aerografo…

E’ il momento di parlare di un dettaglio dove ho commesso una piccola imprecisione…il vano avionica dietro al sedile…andava fatto un buco e l’avionica posizionata intorno ad esso mentre io non ho aperto questo vano…cmq una volta posizionato il canopy quasi nulla resta alla vista dei nostri occhi indagatori…

Per quanto riguarda i carrelli e i loro vani di alloggiamento ho naturalmente dettagliato il tutto con le tubazioni idrauliche ed i fili elettrici, del caso…

Il fondo è in bianco opaco sia per i vani che per gli sportelli mentre la sporcatura è data da un lavaggio di acrilico grigio scuro per far risaltare i contorni e le profondità, le tubazioni sono dipinte lo stesso in dark grey tamiya…

Il dettaglio del vano dell’aerofreno sicuramente è un particolare che poteva essere anche tralasciato dato che nel modello era già presente, invece io già che c’ero ho riscostruito lo stesso meccanismo radendo al suolo ciò che c’era prima. Ovviamente cercando di migliorarlo. Ce l’avrò fatta?

Il lavaggio all’interno del vano è fatto stavolta con del nero, così come ho coloraro i collegamenti elettrici, ho dato un po di vivacità alle varie scatoline presenti con dei tocchi di colore ispirandomi ad altri F18 visti in rete.

Il vero punto delicato di questo modello è stato realizzare il meccanismo di apertura/chiusura delle ali sul quale mi sono bloccato un bel po’ di tempo… dopo dei giorni ho trovato in un negozio di bricolage delle perline forate di forma cilindrica che avrebbero fatto al caso mio…poi con del sottile filo di ferro ho realizzato le cerniere…

i fili di ferro una volta incollati vanno ripiegati e tagliati….

Ecco invece le varie fasi di verniciatura e montaggio seguenti…

La verniciatura come al solito è realizzata con grigio 14 molak come primer, seguita da un pre-shading abbastanza pesante con del nero, mentre la pannellatura è fatta con un pastello a punta fine…le decal sono quelle da scatola fissate con del trasparente opaco..

il modello montato, senza armamento pronto a ricevere le decal e ad essere finito.

La parte inferiore come vedete è stata armata al massimo, ho costruito le corsie di lancio per gli sparrow traformando quelle di un mio vecchio starfighter, i missili li ho lasciati verniciati solo con il grigio dato che non penso che la vernicie di questi ultimi sia così facile da rovinare….ultimo dettaglio la scaletta, è quella presente nel kit che ho provveduto a verniciare ed incollare solamente…

Spero che il mio Hornet vi piaccia, o almeno che abbia destato la vostra attenzione, mi raccomando se avete delle critiche, fatele mi serviranno per migliorare….anche se quello che ottenuto da questa scatola mi soddisfa abbastanza….che faticaccia quest’aereo!!!! Alla prossima realizzazione!!!! CoB…

Mirage 2000 C – dal kit ESCI in scala 1/48.

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Devo ammettere che la scatola ESCI dedicata al Mirage 2000 C giaceva da tempo immemorabile nell’ “armadio degli scheletri” che ogni modellista ha sicuramente a casa propria. Come al solito è bastata un occasione, che per il sottoscritto è stata quella di mettere le mani su svariate annate della rivista francese Air Fan, ed ecco che casualmente sul nr.70 datato agosto 1984 spuntano le foto della consegna, avvenuta nel luglio ’84, dei primi esemplari operativi del Mirage 2000 all’ E.C. 1 / 2 “Cicognes” a Dijon-Longvic. E nelle foto eccolo qua, l’esemplare con numeri 2-EL proposto dalla scatola ESCI. Che cosa aspettiamo allora? Tiro fuori da una pila la scatola (il modellista secondo me accumula e monta modelli sempre con il criterio LIFO cioè l’l’ultimo comprato è sempre il primo ad essere finito con buona pace dei vecchi acquisti!!!) e …. Accidenti che belle pannellature incise non me ne ricordavo. Effettivamente la ESCI nell’ultimo periodo di vita aveva tirato fuori degli stampi con incisioni molto fini come nell’F100 1/72 riedito dall’Italeri e dalla Revell alcuni anni fa.

pianta

Ovviamente il primo sguardo va al cockpit ed al sedile. Quest’ultimo nella scatola è, o almeno dovrebbe essere, un Martin Baker MK10. I casi sono 2 o lo buttate via oppure, come ha fatto il sottoscritto, plasticard, imbottiture in nastro telato, profili Evergreen, strisce di stagnola e passa la paura. Il cruscotto è liscio per permettere l’uso di una decal per gli strumenti ma io, al solito, ho verniciato e rifatto tutti i quadranti per conto mio usando cornici e spessori in plasticard per le consolles. La fortuna dei cruscotti moderni è quella che per la maggiore ci sono schermi HDD multifunzionali facili da riprodurre e pochi “orologi” (inserire foto ”lavori”). Fatto ciò un bel pesino in punta e si possono incollare le semifusoliere e le ali. Ed ecco prorompere la bellissima pianta a delta tipica dei “figli” di Marcel Dassault. Altro intervento necessario è il rifacimento dello sfogo d’aria sulla parte superiore della fusoliera si eliminerà, pertanto, la grossolana gobba e con due triangoli ed un rettangolo di plasticard fino si riprodurrà il particolare fatto che gioverà molto al risultato finale (inserire foto airscoop). Inoltre mancano sul raccordo ala-fusoliera due (uno per parte) sfoghi per l’aria. Io sono partito da un vecchio serbatoio e col metodo del taglia e sagoma le ho riprodotte. Già che c’ero ho preso le misure per due “tappi” per le prese d’aria per il semplice fatto che visto che saranno di colore rosso gioveranno molto alla “coloristica” del velivolo. Inoltre sempre nella zona prese d’aria-fusoliera anteriore ho aggiunto due listelletti di plasticard. Passiamo al cono di scarico. Qui ho avuto un po’ di fortuna. Ho notato che lo scarico di un F104 1/48 Hasegawa (il J79 a 17 petali per la versione ”S”, infatti la scatola contiene entrambi gli scarichi sia per il “G” che per l’ “S”) si infilava perfettamente nello scarico del Mirage rendendolo difatto più “complicato”. Poi ho aggiunto un tubolare di canalina per cavi del diametro adatto (nei negozi per faidatè si trovano le cose più impensabili da poter usare) in plastica per simulare la profondità e alla fine il pezzo rappresentante la turboventola. Detto ciò il modello è praticamente montato si deve solo stuccare/scartavetrare dove serve come (purtroppo) sempre. Il carrello anteriore è semplificato si dovranno riprodurre cavi e fascette ed inoltre modificare i due fari molto evidenti. Quello posteriore abbisognerà solo di cavetti freni. Con plasticard sottile ho riprodotto le placche per le luci di formazione a bassa visibilità presenti in fusoliera e coda.  Avrete notato che non uso set di dettaglio o fotoincisioni. Beh è una filosofia tutta mia ma mi diverto più così.

montaggio

lavori

Fatto questo passiamo finalmente alla verniciatura. Qui si entra in un mondo fatto di pigmenti e reazioni all’ultravioletto dove tutti i codici FS fanno un po’ acqua da tutte le parti. Il Mirage 2000 è infatti un classico esempio (come l’F15) dell’uso di vernici cosiddette “camaleonte” nel senso che reagiscono in modo diverso alla quantità di ultravioletti da cui vengono colpite. Ecco perché le due tonalità di grigio del Mirage a volte daranno molto sul “grigio / celeste” in caso di giornata assolata, mentre in una giornata plumbea daranno più sul “celeste / blu”. Che fare?

sx

Ora, i colori sono codificati come Light ghost gray (fs 36375) e Intermediate blue (fs35450). Per il primo non ci sono problemi perché esiste in tutte le salse. Per il secondo invece c’è un po’ da ragionarci. Come ho detto è un colore che reagisce diversamente all’impatto dei raggi solari ed allora perché non scegliere noi la tonalità che più ci aggrada? I fanatici dl Federal standard storceranno sicuramente il naso! Io personalmente ho preso tutte le foto in mio possesso ed ho preferito la tonalità “giornata calda e senza nuvole” quindi grigio FS36375 e un celeste uscito fuori da un miscuglio di bianco, FS36375 e un celeste tutti della gamma Tamiya acrilici (io uso esclusivamente Tamiya o Gunze acrilici diluiti in alcool rosa). Le proporzioni??? Ehmm.. Boh??? Ammetto che sono andato ad occhio fino a che la tonalità non mi sembrava giusta e ne ho preparato un barattolo.

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Per la verniciatura la prima cosa da fare è una bella passata generale di FS36375 che farà sia da primer che da colore base. Fatto ciò io procedo con sottolineare, sempre ad aerografo, le linee di struttura con il NATO black Tamiya  poi, con il bianco, schiarisco il centro di ogni pannello dove penso che la luce batta di più (inserire foto “preshading”). Poi una nuova passata di FS36375 per smorzare i toni ma senza esagerare se l’effetto linea di struttura si nota ancora, tanto lavaggi e vernici trasparenti smorzano ulteriormente l’effetto. Un consiglio: prima di dare una passata ulteriore di vernice, specie se, come il sottoscritto, lavorate la sera con luce artificiale picchiatevi, frustatevi, crocifiggetevi ma ASPETTATE la luce del giorno prima di darla perché le cose cambiano di molto. Un modello con pesante effetto a “strisce” la sera prima, il giorno dopo, al sole, può sembrare invece uniformissimo!

Detto questo, mascherato il grigio di base, possiamo dare il secondo colore (quello che abbiamo preparato) ed anche qui trattarlo con i medesimi effetti di schiaritura e sottolineatura dei pannelli.

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A questo punto un mio amico di Forum mi ha fatto notare una cosa inviandomi una foto in controluce di un Mirage 2000: il bordino di contatto tra il 2° colore della mimetica e il grigio FS36375 sembrerebbe di una tonalità più scura. In realtà, mi ha spiegato, ciò è solo un illusione ottica creata dal modo differente di riflettersi della luce e dovuto, semplicemente, al fatto che il bordo del colore scuro, e solo quello, è opaco mentre il resto dell’aereo è tutto semilucido. Io allora ho riprodotto tale effetto semplicemente rifacendomi all’illusione ottica spruzzando il 2° colore scurito con un po’ di blu. Il radome di questi primi esemplari consegnati era completamente nero e solo successivamente venne riverniciato di grigio per uniformarlo al resto dell’aereo. Ora una bella passata di cera Future, per lucidare, e poi un bel lavaggio con colori ad olio Terra di Siena e Nero nei pannelli per sottolinearli e dare un po’ di “vissuto” al nostro bell’aeroplano. Anche un po’ di gessetti sfumati non guasteranno, ricordandoci però sempre che il Mirage nel lontano 1984 non era ancora il veterano di 1000 battaglie (dovrà aspettare la Desert storm 1991 e la guerra dei Balcani nel 1999). Mettiamo le decals e poi due Super Matra  sotto le ali per renderlo un po’ più guerriero ed il nostro lavoro è terminato. Che dire ora? La soddisfazione è stata l’avere completato un modello che giaceva sepolto da quasi 20 anni, nonchè avere riprodotto un soggetto un po’ bistrattato dai modellisti (anche francesi). Inoltre il Mirage 2000 l’ho visto esibirsi a Grosseto nel lontano 1999 dove fece un esibizione impeccabile e tiratissima, mai sotto i 5G con punte di 9!!! L’unica sua sfortuna e che se ne accorsero in pochi perché prima di lui si era esibito un F18 che è grande, potente e rumoroso il doppio impressionando tutti per questo!

Saluti e buon modellismo a tutti.

Massimo De Luca.

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Un Apache in veste grigia – AH-64 A dal kit Hasegawa in scala 1/48.

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Il modello:

L’Apache è l’elicottero d’attacco per eccellenza. Spesso oggetto di critiche da parte di chi lo definiva come una macchina goffa ed inutile, ha dimostrato le sue ottime capacità belliche in tutti gli scenari operativi che si sono aperti in questi ultimi anni. La sua linea possente e robusta non lo rende di sicuro un velivolo “bello”, ma senza dubbio cattura fascino ed attenzione da parte di qualsiasi spettatore…. E allora mi sono detto: perché non aggiungerlo alla mia folta collezione modellistica? Detto fatto mi sono immediatamente messo all’opera per realizzare la mia copia ridotta del mitico Apache, e ovviamente ho rivolto la mia attenzione ai kit nella scala del quarto di pollice attualmente in commercio. Dopo vari studi e pareri colti su internet la mia scelta è caduta sulla scatola numero 09772 dell’Hasegawa, giudicandola in fin dei conti la migliore nelle forme e nei dettagli generali dell’elicottero. Non mi sbagliavo ed aprendo la confezione mi sono trovato di fronte alla solita abnorme quantità di parti da assemblare (278 in totale), notando però che la loro scomposizione non rispecchia poi tanto la solita filosofia “cervellotica” classica dei prodotti giapponesi. Veramente bello il dettaglio di superficie in fine negativo costellato dai tanti rivetti che ricoprono l’Apache. Lodevole la soluzione adottata dai tecnici dagli occhi a mandorla che grazie ad un sistema di gommini fissati all’intermo, permettono di poter lasciare “mobili” le parti più ingombranti e più esposte alla rottura quali il rotore principale, quello di coda e il cannone.

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Le mie fatiche hanno avuto inizio, come di consueto, dall’abitacolo che è stato messo insieme senza tanti fronzoli… come da scatola. Le consolle laterali sono separate dalla vasca e presentano i vari bottoni e selettori in fine positivo, come anche i pannelli strumenti principali con strumentazioni analogiche e digitali davvero ben fatte. I seggiolini non necessitano di particolari lavori di dettaglio, ma solo dell’autocostruzione delle solite cinture di sicurezza realizzate con lamierino d’ottone fine e delle fibbie in filo sottile di rame. Tutto l’abitacolo è stato dipinto in Nero Opaco schiarito con un buon 20% di Bianco Opaco per avere un effetto scala più realistico. Per risaltare tutti i minuti dettagli e spezzare un po’ la monocromia, ho utilizzato la tecnica del dry brush con un grigio molto chiaro passato più volte per ottenere una buona tridimensionalità del cockpit. Ora arriva il momento del rotore principale e di quello anti coppia che sono composti di ben venti parti il primo, e da cinque il secondo. Sono davvero ben riprodotti ed anche qui i miei interventi si sono limitati a impreziosire il tutto con qualche cavetto idraulico fatto con il filo di rame elettrico già menzionato. Il montaggio scorre via abbastanza rapidamente, con una difficoltà mediocre adatta anche al modellista meno esperto. La fusoliera è separata longitudinalmente in due valve, stesso discorso vale anche per le gondole motore che andranno completate con gli inconfondibili scarichi a soppressione IR che nel kit sono molto precisi e ben realizzati.  Come avete capito l’uso dello stucco si riduce davvero al minimo sindacale, ma nonostante ciò le operazioni di carteggiatura possono rovinare irrimediabilmente i rivetti che prima avevo tanto decantato.

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Cosa fare? Mascherare lungo le zone da raccordare, o eliminare il dettaglio si superficie e reincidere i rivetti con il Rivet Maker e Rivet Making Template sempre dell’Hasegawa? Ho optato per la prima soluzione sia per motivi di pigrizia cronica che regolarmente affligge il modellista medio, sia per non avere un aspetto del modello sicuramente poco realistico una volta ultimato. Quindi ponendo una cura quasi maniacale sono arrivato alla fine costatando che i danni non erano poi così gravi. Le mie attenzioni si sono quindi spostate sull’assemblaggio del piano di coda, dei Weapons Pylon e dell’ingombrante complesso TADS/PNVS installato sul muso. La torretta in questione contiene gli apparati del Target Acquisition Designator System (sistema di acquisizione e designazione dei bersagli) e del Pilot’s Night Vision System (sistema di visione notturna dei piloti) più altri sensori e apparecchiature che rendono l’AH-64 una piattaforma di tiro letale e infallibile. I trasparenti sono di buona fattura e non deformano le immagini, ma per aumentare la loro trasparenza li ho immersi nel solito bagno nell’onnipresente cera Future. Una volta assemblati, carteggiati e mascherati il montaggio si può dichiarare in pratica concluso. Gli ultimi ritocchi hanno riguardato il totale rifacimento delle tante maniglie con il solito filo di rame, e di qualche antenna poiché quelle fornite non si potevano di certo definire “sottili”.

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Verniciatura e Decal:

Sinceramente non avevo alcuna intenzione di dotare il mio bell’Apache della solita e logora mimetica in Helo Drab, decisione dettata anche dal fatto che con il weathering e le lumeggiature me la cavicchio abbastanza bene… con un colore scuro non avrei potuto dare la massima espressione al mio estro modellistico! Facendo un breve ripasso mentale di tutti i fogli decal acquistati in anni di shopping sfrenato (e vi assicuro che ne ho davvero tanti), mi è tornato alla mente un decal sheet prodotto dall’Isradecal che avrebbe fatto proprio al mio caso. L’articolo è contraddistinto dal numero di catalogo IAF-53 ed è dedicato principalmente alla versione D Longbow Apache dell’U.S.Army e al cugino israeliano AH-64 D-1 Saraf, ma spulciando bene si trova anche un set d’insegne per riprodurre un bellissimo AH-64 A in livrea Tactical Grey… proprio quella che fa al mio caso.

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Pregustando il risultato finale ho caricato il mio aerografo con il Light compass grey F.S 36375 che ho spruzzato su tutto il modello per avere anche un fondo che mi permettesse di scovare eventuali difetti di montaggio. La mossa successiva è stata quella di mascherare con dell’UHU Tack opportunamente sagomato, la parte della gobba sul longherone di coda e una piccola strisciolina sulla deriva che andrà verniciata con una tonalità leggermente più scura di grigio, il Dark blue grey F.S.35237. La torretta mantiene invece il classico Helo Drab Green F.S.34031, mentre i rotori sono in Nero Opaco. Conclusa questa fase ho dato libero sfogo alla creatività schiarendo e scurendo l’interno dei pannelli con vari grigi che ho steso alla bisogna nei punti chiave del modello. Anche in questo caso vige la regola che ognuno è padrone delle proprie tecniche d’invecchiamento, quindi lascio a voi la decisione su quale tipo di weathering utilizzare. E’ venuto finalmente il momento della posa delle decalcomanie cui è preceduta una passata abbondante di cera future per preparare un fondo lucido e impedire qualsiasi possibilità di effetto silvering. Lasciatemi spendere due righe per l’eccellente qualità delle decalcomanie che sono stampate a regola d’arte dalla Cartograf (e non ho bisogno di aggiungere altro); Il film in eccesso è in pratica inesistente, il potere adesivo e di adattamento è eccellente e lo spessore trascurabile. Inoltre il set offre una vasta scelta di soggetti da poter realizzare senza dover ricorrere a successivi acquisti o ricerche nel magazzino avanzi: tutto quello di cui avete bisogno lo trovate qui, con un surplus di data stencil che fa sempre comodo… davvero consigliato.

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L’esemplare oggetto dell’articolo è, come detto un AH-64 A Ser.No. 94-0332 appartenente alla A Company del 1-151st ATKHB basato presso la South Carolina National Guard, ma rischierato a nella caldissima provincia di Mosul a partire dal dicembre del 2004 durante l’operazione Iraqi Freedom.  Curiosità: questo elicottero è stato il primo a ricevere la mimetica sperimentale ispirata ai Marines, e per essere verniciato con le giuste varianti di colori è stato direttamente trasferito sulla Marine Air Corp Station di Cherry Point in North Carolina. In particolare quest’Apache fa parte dell’ultimo lotto di dieci velivoli in versione A consegnato all’U.S. Army, ed al contrario dei suo “colleghi” ha portato i codici individuali e le coccarde in pieno stile Longbow. Per armonizzare tutti i colori spruzzati, e mettere in risalto le pannellature, il mio Apache ha subito un abbondante lavaggio con un mix di Nero e Bruno Van Dyck a olio diluiti in acquaragia, cui ha fatto seguito una nuova mano di Future con l’aggiunta di tre parti di Clear Flat Gunze per dare la giusta opacità a un velivolo lasciato in pasto all’impietoso fuoco del sole iracheno.

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Ultimi dettagli:

Le luci di posizione sono state prelevate dal kit, ma ho preventivamente forato la parte interna e riempito il buco con della tinta da superfici in vetro in rosso e verde per simulare la luce. L’ingannatore IR posto sotto al rotore (quella specie di lanterna tra i due scarichi) è stata scartata, ed al suo posto ne ho realizzata una con il seguente metodo: ho tagliato tre sezioni tonde di sprue trasparente dal master principale. In seguito ho dipinto la faccia inferiore in rosso e quella superiore in alluminio per ottenere un riflesso diffuso e realistico, il tutto ripetuto sulle tre parti ricavate. Dopo averle unite assieme con del ciano acrilico, sono state limate, sagomate a dovere e immerse anch’esse nella cera Future. Il risultato finale è buono, e sicuramente migliore del pezzo fornito dalla scatola. Gli scarichi dei motori sono il risultato di vari Metalizer Testor (prevalentemente Burn Metal e Titanium) spruzzati uno su l’altro e lumeggiati con polvere di alluminio SNJ. I carichi esterni sono rappresentati da due lanciarazzi Hydra 70 da 2.75 pollici e 19 colpi, e dagli immancabili Hellfire a cui è stata aggiunta la testina del sensore utilizzando ancora una volta lo sprue d’avanzo limato e lucidato per dargli la giusta forma. Buon Modellismo a tutti, Alberto Borzellino.

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Tabella Corrispondenza Colori:

Colore

F.S595b

Gunze

Model Master

Xtracolor

Flat Black

37038

H-12

1749

Light compass grey

36375

H-308

1728

X136

Dk blue/grey

35237

H337

1721

X126

U.S. helo drab

34031

X152

Siti Web Utili:

http://www.primeportal.net/hangar/michael_block/ah-64a/index.php?Page=1

http://www.aircraftresourcecenter.com/AWA1/001-100/walk072_Apache/walk072.htm

http://www.b-domke.de/AviationImages/Apache.html

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Macchi 205 “Veltro” – dal kit Italeri in scala 1/72.

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Il modello:

Ancora oggi i velivoli che prestarono servizio nell’Aviazione Nazionale Repubblicana sono circondati da lacune storiche gravi, in parte derivate da una legge che vietava il restauro o l’utilizzo di velivoli o mezzi con insegne della Repubblica di Salò e vigente in Italia fino a pochi anni fa. Col venire meno di tale restrizione, molti archivi sono stati resi pubblici ed il materiale in essi contenuto ha permesso di acquisire ulteriori e preziose informazioni su questo periodo poco noto della nostra storia. Per nostra fortuna, anche le ditte modellistiche hanno approfittato di questa situazione per rinnovare i loro magri cataloghi, e tra queste anche la nostrana Italeri che da qualche tempo ha ampliato la sua offerta commerciale immettendo sul mercato un nuovissimo kit del famoso “Veltro” della Macchi. Oltre a far felici tanti modellisti “italianofili”, la ditta bolognese ha colmato anche un notevole gap. Infatti, nella classica scala 1/72 il Macchi 205 è stato per troppo tempo trascurato, e gli unici kit a disposizione erano gli anziani e oramai introvabili Supermodel; Il modello Italeri offre una buona base di partenza e, al contrario del Supermodel, risulta essere corretto nelle forme e nelle dimensioni. Precisando immediatamente che anche un lavoro “da scatola” può essere sufficiente, gli amanti del super dettaglio potranno comunque sbizzarrirsi grazie alla buona quantità di aftermarket oggi disponibili… ma con un avvertimento: il modello finito sarà molto piccolo nelle sue dimensioni, quindi attenzione a lavorare con materiali appropriati e in scala e a non farsi prendere troppo la mano… alla fine si vedrà molto poco!

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Con questi presupposti ho subito dato il via alle mie fatiche con la separazione delle parti dal master principale, accorgendomi però che lo stampo è buono solo per realizzare un esemplare della prima serie costruttiva (anche se sono forniti i due cannoni). L’aviazione repubblichina, nella sua frettolosa riorganizzazione, acquisì per lo più macchine della III serie che presentavano quindi l’ala più robusta con l’introduzione dei già citati cannoni Mauser da 20 mm, un’antenna composta di un solo filo con asta più tozza e rettilinea con l’eliminazione del dipolo sulla gobba caratteristico anche degli ultimi Macchi 202, e due bugne inferiormente dietro i barilotti dei radiatori dell’olio. Tuttavia non mancarono le solite variazioni sul tema e, infatti, dagli ultimi studi risulta che un gruppo di ‘205 della serie I furono immagazzinati e in seguito trasformati con l’aggiornamento della sola ala dotata dell’armamento più pesante.  La mia attenzione si è concentrata proprio su questi velivoli poiché non era più necessario modificare l’asta a stilo di tipo appuntito dell’antenna risparmiandomi un tedioso processo di autocostruzione; inoltre i lavori da eseguire si limitavano alla sola reincisione di quattro pannellini ovali per l’accesso ai vani di carica delle armi sul dorso delle due semiali, e alla realizzazione di due rettangolini di 2 mm di lunghezza per 1 mm di larghezza sotto le ali che servivano all’espulsione dei bossoli. Per questi ultimi ho proceduto nel seguente modo: con l’ausilio di disegni quotati ho misurato con la massima precisione il punto ove realizzare le aperture, e successivamente con una punta fine e un trapanino elettrico ho praticato dei fori poi rifiniti a colpi di lima e striscette di plasticard inserite all’interno per dare la forma corretta. Ho dovuto riprodurre anche le due piccole bugne presenti ai lati degli scassi mediante l’utilizzo di plastirod Evergreen (sezione da quarto di tondo) da 1 mm opportunamente sagomati.  Un’abbondante uso di stucco ed un’accurata carteggiatura mi hanno permesso di rendere la correzione più realistica possibile.

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Ad ogni modo, per avere una visione più chiara, consiglio vivamente di procurarsi il volume Macchi 205 “Veltro” scritto da Maurizio Di Terlizzi ed edito dalla IBN Editore, che tratta nei minimi particolari il velivolo con notevoli cenni storici e ottimi consigli a livello modellistico. Preso dal solito raptus (perdonatemi ma non ho saputo resistere!) ho acquistato i due buoni set in resina della True Detail, rispettivamente per il cockpit (codice 72462) e per gli pneumatici (codice 72035), che hanno il vantaggio di poter essere riutilizzati anche per il Macchi 202. Da questo intuirete sicuramente che il “Folgore” è un altro dei progetti che mi stanno ronzando per la testa… ma adesso basta, altrimenti corro ad acquistare anche quello! Dopo numerose prove a secco ho concluso che le paratie laterali fornite dalla True Detail non ne volevano proprio sapere di entrare nell’abitacolo, costringendomi quindi a rinunciare al loro ausilio e a ricostruire la struttura interna delle centine e delle ordinate manualmente, con le solite striscette di rod. Discorso contrario per ciò e che riguarda il pavimento dell’abitacolo che è davvero molto buono e s’incastra perfettamente nella fusoliera senza interventi particolarmente gravosi di adattamento. Il pannello strumenti presente nel set è stato prontamente scartato giacché certamente non all’altezza, mentre al seggiolino è stata sottratta la piastra blindata che lo sovrasta (i due elementi sono stampati in unico pezzo) poiché, dopo la consultazione dei documenti a mia disposizione, il complesso era troppo alto ed il sedile non assumeva la caratteristica posizione “affondata” nella sua vasca. A questo punto ho riprodotto anche la piccola “mensolina” che ospitava il gruppo manette con laminato sottile di ottone, una delle due bombole dell’ossigeno (l’altra non era visibile perché alloggiata in fusoliera) da collocare sul pavimento, il bussolotto dell’inalatore Drager Auer II e tutta quella selva nutrita di cavi e tubazioni sia dell’ossigeno sia del carburante, realizzati in filo elettrico molto sottile. Tutta la zona è stata verniciata con il Verde Anticorrosione Gunze H-312 (FS 34227) schiarito però con il 40% di Grey (FS 36307) per ottenere l’esatta tonalità: questo colore che in pratica era un protettivo antiruggine, assumeva diverse sfumature in base alla ditta produttrice e alla marca del pigmento stesso, e in pratica i toni andavano da un verde pallido a un verde prato leggermente schiarito. Ricordate poi che le tubazioni assumevano un colore specifico secondo ciò che vi scorreva all’interno (e più precisamente Giallo Cromo 7 per il carburante, Azzurro 11 per l’aria e Bianco neve 6 per l’ossigeno), fate quindi attenzione a come le pitturate.

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Il pannello strumenti utilizzato è quello fornito dalla scatola cui ho aggiunto la strumentazione in decalcomania e ulteriori tubicini. Tutto l’abitacolo è stato sottoposto al solito processo d’invecchiamento con lavaggi ad olio in Bruno Van Dyck, e successive passate di dry-brush in alluminio e grigio scuro per aumentare le ombre e dare profondità a questa zona. Il cockpit non è stato fissato subito, bensì ho atteso di unire le due semifusoliere per poi inserirlo da sotto così da avere maggiore libertà e precisione per posizionarlo. Conclusa questa fase ho rivolto le mie attenzioni all’assemblaggio vero e proprio: la carenatura delle armi in caccia e la parte inferiore della cofanatura motore sono fornite separate, un elemento in più per capire che lo stampo ha il 90% delle parti in comune con il Macchi 202 sempre commercializzato dall’Italeri. Ad ogni modo questi due pezzi non combaciano granché bene con il resto della fusoliera, e mi hanno costretto ad inserirli nei loro alloggiamenti a colpi energici di lima. Venendo alle ali, si è reso necessario assottigliare notevolmente il bordo di uscita per non ritrovarmi un antiestetico ed errato spessore, e compiere innumerevoli prove a secco per l’incastro ali-fusoliera. Ed è proprio questo uno dei momenti critici del montaggio: lasciando il complesso così com’è, le ali non assumono il corretto diedro positivo rimanendo dritte come una tavola. Sono stato costretto ad intervenire eliminando delle porzioni di plastica dal raccordo in fusoliera, ottenendo il corretto alloggiamento di entrambe i pezzi ma accentuando non poco i vuoti che si sono formati nelle giunzioni.

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Senza perdermi d’animo ho finalmente incollato le due semi-ali costringendole ad acquisire il giusto diedro con un pezzo di scotch fissato dalle loro estremità alla fusoliera, ed ho riempito i gap con colate oceaniche di stucco e striscioline di plasticard (in particolare bisognerà intervenire nella zona sotto la presa d’aria ventrale come potete vedere nelle foto scattate durante la fase di composizione). I pesanti interventi di carteggiatura derivati hanno cancellato il già sottile dettaglio di superficie quindi, armato della solita pazienza, ho reinciso le pannellature rovinate. Colto da un attacco improvviso di pigrizia (so che otterrò la vostra comprensione), ho preferito tralasciare il dettaglio dei pozzetti carrello anche perché essi sono troppo poco profondi… ed essendo anche loro ricchi di tubazioni e cavi, avrei rischiato solamente di appesantire il tutto ottenendo un effetto davvero poco realistico. I modellisti più accurati e pazienti potranno all’uopo “sfondare” le Wheel bay, aumentarne la profondità e particolareggiarle a piacimento. Auguri! Con il modello in sostanza ultimato, ho aggiunto e pareggiato con stucco il parabrezza (in precedenza immerso assieme al tettuccio nella mitica cera Future), lucidato la plastica con la solita pasta abrasiva SBM e lavato il mio piccolo Veltro con abbondante acqua e un po’ di sapone sgrassante per piatti. In extremis ho anche deciso di asportare il tubo di pitot originale (troppo spesso e tozzo), per rimpiazzarlo con un tubicino in ottone di giusta misura.

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Verniciatura e Decalcomanie:

Apro una sezione a sé dedicata alla verniciatura per porre l’accento ancor di più su questa fase che è caratterizzante per tutto il lavoro svolto sino ad ora. Prima di iniziare mi sono munito del discreto foglio decal edito dalla Skymodel (codice72039), e della pubblicazione della Classic Pubblications – Camouflage & Markings Of Aeronautica Nazionale Repubblica 1943/1945 di F.D’Amico e G.Valentini, un libro fondamentale che non può mancare nella biblioteca di qualsiasi modellista che si rispetti.  Parto con la spiegazione dando dei doverosi cenni storici sull’aviazione repubblichina: all’atto dell’armistizio dell’8 settembre 1943, una parte dei velivoli della Regia Aeronautica furono catturati dai tedeschi che li inquadrarono a un Gruppe del Jg/77 basato in Piemonte (molte immagini immortalano i Veltri con le croci e le svastiche tedesche), mentre altri ancora furono recuperati dai piloti della neonata ANR con cui iniziarono l’attività bellica.  Questo primo equipaggiamento si basava su MC.205 della serie I, che quindi indossavano la mimetica tropicale standard Nocciola – Anelli di Fumo Verde con ogive che spesso portavano disegnate le spirali nere in pieno stile germanico. La consegna di nuovi esemplari della terza serie costruttiva coincise con un rinnovamento generale della mimetica (anche dovuta all’usura dell’originale schema tropicale Macchi), e data la grande disponibilità di vernici tedesche negli hangar e negli impianti manutentivi lo Stato Maggiore Aeronautica Repubblicana autorizzò ufficialmente l’adozione dello schema a tre toni di grigio RLM 74/75/76.

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Non mancarono le solite manchevolezze e interpretazioni, ma in linea di massima gli aeroplani presentarono le superfici latero-inferiori completamente in Lichtgrau 76 e il Dunkelgrau 74 e Grau 75 a splinter sulle ali (sul dorso della fusoliera si estendeva solo il Grau 75 in modo uniforme – ndr) e con macchie di entrambe i colori che sfumavano progressivamente sui fianchi. Talvolta era presente una fascia bianca di larghezza standard in fusoliera (11,5mm in 1/48 – 7,6mm in 1/72), altre volte la fascia poteva avere dimensioni ridotte (7mm in 1/48 – 4,6mm in 1/72). Le coccarde divennero quadrate, e rigorosamente a due soli fasci con la lama rivolta SEMPRE all’esterno ed in avanti, inizialmente bianche a fondo neutro per divenire nere a fondo bianco e poi definitivamente nere a fondo neutro. Fatta questa dovuta premessa, ho armato il mio aerografo e cominciato a stendere i vari toni a mano libera, o al massimo con l’ausilio di piccole mascherine. Altra particolarità dei Veltri di Salò erano le matricole militari e i fasci sotto le ali che, di solito, non erano riverniciati ma solamente mascherati. Quindi ho steso una mano di Nocciola Chiaro 4 Gunze H-310 (FS 30219) con gli anelli di fumo in Verde Oliva Scuro 2 Gunze H-65 (FS34052) nei pressi dei piani di coda, dove effettivamente trovavano posto questi codici numerici. Sotto le ali invece, ho dato una passata di Grigio Azzurro Chiaro 1 Gunze H-324 (FS 36307) mascherato con un quadrato ritagliato a misura in un cartoncino… un’accortezza tutto sommato inutile dato che alla fine il colore risulterà molto simile al Lichtgrau 76 che quasi non sarà visibile. Poco male, in ogni caso c’è! La fascia bianca in fusoliera è in Bianco Opaco, come del resto l’ogiva. Apro di nuovo una piccola parentesi per precisare che proprio quest’ultima non presentava il fondo in RLM 76 come si potrebbe pensare, bensì in bianco che poi veniva stemperato a suon di macchiette con il RLM 75. La spirale nera preesistente era obliterata alla meglio, e veniva comunque mantenuto uno spicchietto di ¾ di colore bianco. Finalmente, dopo lunghe ore di consultazione di libri e documenti, la fase di verniciatura è terminata dopo i soliti ritocchi dovuti a sbuffate troppo accentuate e mottles troppo marcati.

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Per uniformare ed armonizzare le varie tonalità h Dopo una prima mano di trasparente lucido Gunze, ho preferito dare una mano veloce di Grau 75 diluita al 90% su tutte le superfici superiori; In effetti dalle foto si può notare come i colori sui velivoli originali non fossero così contrastati e netti nella separazione (in questo particolare caso le immagini in bianco e nero ci aiutano molto). Una passata di trasparente lucido Gunze ha preparato il modello per la successiva opera di weathering, eseguita con il solito Bruno Van Dyck allungato in una buona dose di acqua ragia. Il pigmento a olio è stato steso più volte a causa della scarsa profondità delle pannellature, ma con un po’ di pazienza sono riuscito ad ottenere comunque un buon delineamento delle incisioni. Le fumate degli scarichi le ho ottenute con un acrilico della Golden Airbrush Color – Carbon Black, studiato appositamente per i disegnatori ma buono anche per noi grazie all’effetto “fuliggine” che esso riesce a rendere. Una nuova mano di trasparente ha preparato il fondo per la disposizione delle decal prelevate dal già citato foglio Skymodel. Mi sento in dovere di redigere una piccola recensione alla fine dell’articolo per esprimere apprezzamenti e perplessità a quest’articolo della ditta romana… se avrete la pazienza e il tempo di leggere ancora acquisirete ulteriori suggerimenti. L’esemplare da me prescelto è uno dei vecchi Macchi 205 trasformati in serie III, e più precisamente l’esemplare MM.9350 del Sotto Tenente Sergio Mazzarelli del I° Gruppo – IIIa Squadriglia Caccia Terrestri ANR, di base a Campoformido nella primavera del 1944. Il velivolo di Mazzarelli ha la particolarità di avere sulla gobba il nome del pilota scritto abbreviato “ser-maz”, personalizzazione assai rara sui mezzi della RSI proprio a causa della scarsità di macchine disponibli e la quasi impossibilità di assegnare un aereo personale ai piloti. Ricordo inoltre che le bandierine tricolori (anche dette francobolli) venivano poste con la striscia verde SEMPRE rivolta verso il muso. I pozzetti carrello sono ovviamente nel Verde Anticorrosione detto in precedenza, come anche l’interno dei portelloni più piccoli. Le gambe di forza, i cerchioni e l’interno dei portelloni principali sono invece interamente in alluminio. Le gomme le ho riprodotte con il Tire Black Gunze H-77 che rende meglio l’effetto scala e risalta ancor di più il particolare “sgonfio” delle ruote True Detail. Ora è la volta degli ultimi particolari: il tubo di venturi posto sul lato destro è stato sostituito con uno tornito a mano da un pezzo di plastirod da 1mm sezione tonda, poiché quello fornito dal kit era davvero enorme. Stessa sorte è toccata alla cloche, viceversa la blindatura alle spalle del pilota è rimasta la stessa giudicandola più che idonea a svolgere il suo compito.

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Last but not least le luci di navigazione (rossa a sinistra e verde a destra) e i due fili delle antenne realizzate con sprue filato a caldo… e non vi dico quante camicie ho sudato per collocarli in modo decente! In conclusione posso dire di essermi divertito. Di certo il 205 in veste ANR non è un soggetto di facile realizzazione, ma senza dubbio è poco inflazionato rispetto ai suoi colleghi Spitfire e Me.109. Con un pizzico di attenzione e pazienza nella lettura della documentazione si può tirare fuori un lavoro accurato e soddisfacente. Devo poi ringraziare il mio amico e mentore Maurizio Di Terlizzi per aver messo a mia disposizione le sue infinite conoscenze sul Macchi 205, e la mia ragazza… Martina, che mi ha fatto cosa molto gradita regalandomi questo kit… in fondo se non fosse per lei, il mio Veltro non sarebbe su queste pagine!

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Recensione foglio decal Skymodel 72034:

Il foglio della Skymodel è sicuramente un ottimo prodotto. Stampato direttamente dalla Cartograf, le insegne in esso contenute hanno un dettaglio eccezionale, un’adesione notevole ed il film in eccesso praticamente inesistente. I difetti, risiedono nella loro eccessiva lucentezza e nel fatto che i 46 esemplari proposti non sono tutti riproducibili poiché parecchie decal (come ad esempio i fasci) sono in comune con più soggetti. Poco male direte voi, ma per un foglio dal costo indicativo di circa 14 € ci si aspetta forse un po’ più di “abbondanza”. Altra nota dolente è la ricerca storica che sta alla base della produzione di questo foglio; gli esemplari ex Regia Aeronautica sono tutti riprodotti abbastanza fedelmente, grazie anche alla quantità maggiore di documentazione circolante. Per ciò che concerne i Veltri con schema a toni di grigio, qui gli errori sono parecchi: i profili e le indicazione degli schemi mimetici presenti nelle istruzioni sono poco chiari, e molto spesso errati nella dislocazione dei colori. Quindi mettete molta attenzione tenendo sempre a mente che in pratica ogni aereo aveva una sua storia personale. Sconsiglio vivamente di realizzare l’esemplare 2-3 ed in generale tutti quei velivoli che non riportano la matricola militare completa a causa della scarsissima quantità di informazioni ed immagini a disposizione.

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Il Veltro nominato Paolino IV fu pilotato dal Tenente Luigi Marchi (ucciso in azione il 2 aprile 1944) che lo intitolò al fratello scomparso Paolo. Il numero romano IV stava a significare che questo era il quarto aereo ad esso assegnato e sopranominato sempre nel medesimo modo. Le decalcomanie riportano erroneamente il codice di squadriglia “3” in rosso, mentre nella realtà detto codice era in azzurro, ed inoltre la parte inferiore della cappottatura motore di questo velivolo era verniciata in Giallo Cromo 7. Da notare anche che il Paolino IV aveva il guidone tricolore con il numero 3 Nero sul portellone dei carrelli ed i montanti del tettuccio con la vecchia mimetica tropicale. Continuando, un piccolo portellino di accesso al alto destro della fusoliera (all’altezza del trattino tra i codici 3 – 3) venne curiosamente verniciato in giallo, particolare mai riscontrato in nessun altro esemplare di Macchi 205. La matricola militare precisa di questo velivolo è ancora oggi incompleta, e gli unici numeri conosciuti sono i primi tre: 922. Per questione di spazio, e forse anche di voglia, non ho elencato tutti gli errori rintracciati nel foglio Skymodel, optando per la disquisizione di quelli più evidenti ed importanti. Spero comunque di essere stato di aiuto. Buon modellismo a tutti gli amici di Modeling Time!

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Tabella riferimento colori:

Colore

F.S. 595

b

Gunze

Testors

Aeromaster

Lifecolor

Nocciola Chiaro 4

30219

H-310

1742

—-

UA015

Verde Oliva Scuro 2

34052

H-65

—-

1023

UA051

Grigio Azzurro Chiaro 1

36307

H-324

1726

—-

UA113

Graugrun RLM 74

36081

H-68

—-

10251

UA072

Mittelgrau RLM 75

36122

H-69

—-

1026

UA073

Lichtgrau RLM76

36473

H-334

—-

1027

UA141

Verde Anticcorrosione

34227

H-312

1716

—-

UA060

Bibliografia:

Macchi 205 “Veltro”, Maurizio Di Terlizzi – IBN Editore.

Camoulflage and Markings of the Aeronautica Nazionale Repubblicana 1943-1945,

Ferdinando D’Amico & Gabriele Valentini – Classic Publications.

I Grandi Aerei Storici – Macchi 202 Folgore e 205 Veltro – Delta Editrice.

Le macchine e la storia – Macchi 205 Veltro – Mucchi Editore.

I caccia della serie 5 parte terza – Macchi 205 Veltro, Nino Arena – Stem Mucchi.

Ali in Miniatura n°7 Aprile 2002 e n°23 Agosto 2003.

Aerei Modellismo n°3 Marzo 1998, n°6 Agiugno 1998 e n°1 Gennaio 1994.

Monografie Aeronautiche Italiane n°70.

Aerodetail n°15 – Macchi 200/202/205.

Foto dettagliate del montaggio (clicca sulle anteprime per ingrandire) :

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Messerschmitt Bf.109 G-6 “Erich Hartmann” – Dal kit Hasegawa in scala 1/48.

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Erich Alfred “Bubi” Hartmann, conosciuto anche come il biondo cavaliere tedesco, fu il maggior asso dell’aviazione della storia. Egli abbattè un totale di 352 aerei nemici, di cui 345 sovietici durante la seconda guerra mondiale, prestando servizio nella Luftwaffe.  Colgo l’occasione per ribadire che i simboli presenti su questo aereo, non sono li per fare propaganda di nessun tipo, io costruisco per la passione di modellare pura e semplice e per il mio amore per il volo e l’aeronautica in genere e chi modella vuole che il suo lavoro sia il più fedele possibile al vero con tanto di simboli e marchi, che purtroppo in alcuni casi rievocano tristi periodi storici. Tornando a noi, Erich Hartmann, dopo la sua ineccepibile carriera di combattente e comandante pluridecorato, alla fine della guerra dovette però rendere conto con la sconfitta della sua nazione e si dovette arrendere, venendo accusato di crimini di guerra dalla Russia. Nel dopoguerra prestò servizio nella luftwaffe come colonnello e venne anche mandato negli stati uniti ad addestrare i piloti americani, terminò il suo servizio nel 1970 dopo aver volato anche a bordo degli Starfighter. Morì nel 1993 all’età di 71 anni ma venne prosciolto dai crimini di guerra solo nel 1997.

Il Messerschmitt BF 109 G-6 è una delle tante evoluzioni del mitico aereo di Willy Messerschmitt, progettato nel 1933 e già volante l’anno dopo con un motore Jumo da 800 cv. Prima di passare alla versione “G” si è passati per la “E”, o Emil, con l’adozione del motore Daimler Benz DB 601 da 1100 cv, poi alla “F”, Friedrich, che adotta il DB 601 N un po’ piu potente. La mia versione “G”, conosciuta anche come Gustav che era capace di 650-680 km/h a seconda di cosa aveva sotto le ali, aveva un’autonomia di 720 km, essendo dotata del nuovo DB 605, lo stesso dei nostri caccia della serie 5 ed aveva quasi 1500 cv. Era armato con due mitragliatrici da 13 mm e tre cannoni da 30 mm. Del 109 ne sono state fatte più di 50 versioni a dimostrazione della versatilità del mezzo e venne costruito in più di 33.000 pezzi. La versione finale la “K” o Kurfurst fu la massima evoluzione dell’aereo. Aveva il DB 605 con l’iniezione di metanolo che lo faceva schizzare a ben 727 km/h e portava il motore a 2000 cv ma ne pregiudicava l’affidabilità. La sottoversione K14 venne dotata del motore DB 603 da 1800 cv. Esistono molte altre versioni del 109 ma sicuramente queste elencate sono le più conosciute ed importanti…

Tornando alla plastica devo riprendere sottomano le istruzioni dell’aereo che il montaggio e la verniciatura li ho fatti circa un anno fa. Credo di averlo iniziato nel marzo 2007 ed ho fatto l’ultimo ritocchino giusto qualche giorno fa. Solo pigrizia niente di più…Ho scelto il kit Hasegawa perchè in rete ho letto che era il migliore in 1/48 ed a parte gli interni un pò scarni, ma tipici della marca “jap” sono rimasto ben impressionato. Per il montaggio della fusoliera non ci sono stati problemi. Le ali sono veramente ben fatte con flaps ed ipersostentatori apribili. Ci sono due opzioni per i tettucci, io ho scelto quella più vecchia mentre è presente il tettuccio degli ultimi G6, per intenderci quello con il montante del plexiglass ricurvo. La colorazione è tipica del JG 52 ed il mio 109  venne utilizzato nell’ottobre del 1943.

Come da mia abitudine ho dato come primer il grigio 14 della Molak, poi ricoperto dall’azzurro apposito per fare la vernice di fondo agli aerei della luftwaffe, l’M23 light blue della Molak. Le tonalità di grigio della parte dorsale dell’aereo sono l’RLM Grey n.22 della Molak ed il Dark Grey della Tamiya. Ho usato mascherine fisse fatte con carta gommata poi ho sfumato i bordi a mano,  avevo paura del risultato ma ha funzionato!!!  Prima di dare la vernice però ho effettuato un bel pre-shading col nero opaco ad aerografo. Le pannellature sono ripassate col nero a pastello punta sottile mentre le fiammate dello scarico sono fatte con del nero mischiato a marrone, sfumato a mano. Per rifinire ho schiarito con del bianco il mio pseudo “color olio esausto” e ho passato qualche riga a mano libera ad aerografo ottenendo un buon effetto. Le decal sono le buone anche se un pò lucide, e sono quelle dedicate appunto ad Hartmann. Per quanto riguarda il trasparente opaco una volta verniciato e posizionato le decal, l’ho steso a bassa pressione e ho dato una sola leggera mano per non lucidare troppo l’aereo. Lo sporco degli scarichi non l’ho fissati col trasparente ma ho preferito lasciare l’effetto sfumato naturale.

In conclusione posso dire che questo kit merita veramente e mi ha messo una voglia matta di prendere anche il BF.109 E con livrea di Adolf Galland, dato che la versione “E” è la mia preferita…questo kit è stato l’aereo del mio ritorno al modellismo dopo quasi un anno di inattività ed ha per me rappresentato una rivincita su tutti i miei dubbi che mi erano venuti su questo Hobby. Spero vi piaccia e soprattutto se avete delle critiche fatele!!! Soprattutto se sono costruttive!!! A presto, CoB!!

Cave Troll Walktrough (part 1 – 2 ) con note esplicative.

In questo Tutorial sono presenti due video di Lotrmaster nei quali ci mostra come preparare una miniatura, dalla scatola al montaggio. Le note, sono un riassunto descrittivo di quello che dice, per chi non avesse dimestichezza con l’inglese (che comunque è molto chiaro).


In questo tutorial, ci è mostrato come iniziare la preparazione di una miniatura fin dai primissimi passi.
La miniatura in questione (di metallo) va prima di tutto pulita da eventuali difetti o sbavature di creazione. In questo processo saranno molto utili lime, taglierini e strumenti per ripulire.
Successivamente è buona norma, pulire con del semplice sapone da cucina il figurino, per eliminare il distaccante utilizzato dalla GW. Questa pulizia permetterà una migliore aderenza del colore e eviterà il fastidiosissimo effetto di distaccamento “pellicolare” delle prime mani.

In questa seconda parte, Lotrmaster, ci mostra come usare la green stuff per unire le diverse parti delle miniature.
Come già mostrato in diversi articoli, la green stuff (o kneadatite), è un materiale bicomponente, che una volta mischiato, indurisce in circa mezz’ora-un’ora. E’ un materiale molto utile per scolpire, ricostruire e unire parti delle vostre miniature.
La green stuff può essere diluita in acqua per renderla più morbida e facilmente malleabile.

a presto per i successivi video.

Lotrmaster & Simmons

Storia di un recupero divertente (o di un divertimento recuperato…) – Macchi 200 “Saetta” in scala 1/72.

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Non lo so, ma a me stuzzicava parecchio prendere “i poveri resti” di un residuo di sprue che già doveva essere stato attaccato a qualche materozza di una …ntina di anni fa, magari come omaggio (forse neanche troppo gradito) allegato a qualche rivista più o meno in voga e più o meno esistente al giorno d’oggi… Ma si sa, lustri fa probabilmente il modellismo era ancora qualcosa da scoprire e, magari, induceva a trascorrere un paio d’ore di spensierato scombiccheramento cerebrale senza aiutini tecnologici o televisivi…

FOTO 1

Foto 1.

E così, attratto e vagamente innamorato da quella tavolozza tendente al marrone, contornata dai pochi pezzi superstiti (Foto 1) relativi ad una forma che, vagamente, ricordava un macchino, ho deciso di lasciar perdere tutti i modellini in fase di costruzione (lasciamo perdere quanti…) e – yuhhuuu! – via, a capofitto su questa nuova avventura!

FOTO 2

Foto 2.

FOTO 3

Foto 3.

Confesso di non aver mai fatto un recupero integrale partendo praticamente da zero; probabilmente sono andato avanti unicamente per sana incoscienza, ma tant’è… mi sono detto che, comunque, non sono all’altezza di fare miracoli e quindi mi posso permettere di pasticciare per vedere cosa apparirà… Come al solito sono partito facendo qualche prova a secco (Foto 2 e 3) per verificare sia il montaggio dei pezzi sia la necessità o meno di procedere alla realizzazione, in autocostruzione, di alcuni dei pezzi mancanti o necessari al minimo sindacale… Quindi – ahimè! – ho deciso di cominciare a ricostruire, almeno in parte, la struttura interna del cockpit (Foto 4), utilizzando plastirod a sezione quadrata per le centine e a sezione tonda (date le dimensioni…) per i correnti; per il “rinforzo” del seggiolino, posizionato sulla centina posteriore del cockpit ho usato una piccola lamina di plasticard (forata con il trapanino a mano) inserita in un’apposita apertura.

FOTO 4

Foto 4.

FOTO 5

Foto 5.

Per il cockpit… beh, il sedile “originale” (Foto 5) era probabilmente derivato da una poltrona Luigi XVI, realizzata in plastica di recupero simil senape, munita di apposito segno di estrattore, per cui è stato necessario (aaaaaaaaaghhh!!!!) praticamente rifare tutto… Dopo aver tagliato “la poltrona” dalla sua base, alla quale è stata aggiunta una “prolunga” in plasticard sagomata per rispettare gli incastri in fusoliera, si è dato il via all’apoteosi demenzial-ricostruttiva (prima parte): il seggiolino è stato ricavato da una vaschetta di alluminio per alimenti, mediante sagomatura e incollaggio con la ciano di due striscette debitamente ritagliate; il resto è stato ricostruito con filo di rame e pezzi di sprue avanzati… il centesimo di euro, ovviamente, ha un diametro di 5 metri…

FOTO 6

Foto 6.

FOTO 7

Foto 7.

Ovviamente il quadro strumenti è stato ricavato da un pezzetto di plasticard sagomato su un contorno ricavato dalla “forma” di plastilina ottenuta, all’altezza del cockpit, chiudendo le semifusoliere e praticando poi i vani degli strumenti mediante la punta di una fresetta ruotata a mano; la bombola è un pezzetto di sprue lavorato con una limetta, un po’ di carta vetrata finissima e tanto olio di gomito e pazienza, al quale è stato poi incollato un tondino di plastirod forato e un pezzo di filo di rame (Foto 6). Il lavoro più “noioso” è, ovviamente, quello di fare numerosissime prove a secco (Foto n° 7, n° 8 e n° 9) per verificare, dopo ogni passata di lima o di carta vetrata, il necessario e corretto posizionamento delle parti che compongono il modello… parecchio lavoro è stato necessario per il collocamento della bombola che proprio non ne voleva sapere di ricavarsi il proprio spazietto senza dare fastidio al resto… ma dopo un colloquio duro, paventando le conseguenze dei continui rifiuti apposti e minacciando altre e più gravi sanzioni, alla fine anche quel pezzo di plastica oblungo è stato ridotto alla ragione!!! A proposito, per i “puristi”: il colore già presente all’interno delle semifusoliere non è stato eliminato del tutto per fare “aggrappare meglio la successiva verniciatura, pur se è stato “grattato” all’altezza delle linee di giunzione dei vari pezzi… precisazione che magari non serve, ma aiuta…

FOTO 8

Foto 8.

FOTO 9

Foto 9.

E il gruppo motore dove lo mettiamo?? Oddio, mi era sfuggito di mente… e ora come faccio, cosa mi invento? E già, mi manca una delle “stelle” di pistoneria e meccanica varia, o cannibalizzo un altro kit “cavia” oppure…OPPURE!!! Bene, procediamo con l’OPPURE (Foto n° 10): si prende un vecchio cerchione (forse residuo di qualche autocarro, mah…) dalla banca dei pezzi, si trova un pezzo di sprue della misura giusta, si lima, si carteggia, si fora, si ricarteggia, si rilima, si smussa, si ritaglia, si fresa, si riricarteggia e, finalmente, si fissa il pezzo di sprue (diventato ormai un piccolo cilindro bucato…) all’interno del cerchione; ora viene il bello: nella banca dei pezzi ci sarà sicuramente qualche vecchio motore radiale sopravvissuto alla distruzione di Hellcat, Wildcat, Lancaster, Super Fortress e chi più ne ha più ne metta, per cui… preso il vecchio motore, tagliata “la stella” dei cilindri, ottenuto un numero sufficiente (…) di “cilindretti”, incollati sul cerchione di cui sopra e poi il tutto colorato con nero opaco, tanto per vedere “l’effetto che fa”!!!! Nel frattempo, si continua il lavoro sul cockpit, aggiungendo, fra le altre “cose”, le cinture e le fibbie ricavate dalla solita vaschetta di alluminio per alimenti, tagliata in piccole striscioline (Foto 11, 12 e 13).

FOTO 10

Foto 10.

FOTO 11

Foto 11.

Dopo aver tentato di dettagliare (beh, dettagliare forse è una parola grossa…) il dettagliabile (Foto 12, 13), con mano da fabbro maldestro, è venuto finalmente il momento di passare una mano di colore per nascondere le vergogne.. Ho scelto di utilizzare gli smalti Humbrol per l’interno, in quanto coprono bene e sono adattissimi ad essere passati a pennello con opportuna diluizione. A pennello?? Già, perché … mi andava di fare così!!! Preciso ora, e preciserò altre migliaia di volte, che il “recupero” del kit in questione è stato unicamente un momento di divertimento, senza andare a pensare al millimetro in più, alla levetta mancante, al filo di diametro 0,000000001 mm da aggiungere, ecc… Volevo solo vedere cosa riuscivo a fare in pochi giorni, mantenendo – ovviamente – un minimo di logica.

FOTO 12

Foto 12.

FOTO 13

Foto 13.

Utilizzato l’HU78 per pasticciare gli interni, come ho detto, ho poi dato una sporcatine ai vari tubi e tubetti con HU154, dipingendo la “bombola” con HU14 aggiungendo, per ammorbidire un po’, una goccia di HU65 (Foto 14, 15, 16, 17) … proporzioni? Ho usato l’occhiometro, mi dispiace! Pannelli in nero opaco, strumentazione in bianco (per far risaltare gli strumenti dipinti sul cruscotto è stata aggiunta una goccia di CLEARFIX), cinture in HU62, fibbie dipinte in nero e contorno in HU11. Il tutto ha poi ricevuto, previa passata di trasparente acrilico a vernice asciuttissima, un lavaggio in nero di seppia e bruno van dick a olio e, successivamente, un po’ di drybrush con HU11 e HU64. Le scrostature sono, naturalmente, in HU11 e il lavaggio finale è stato realizzato con terra di siena ad olio mooooolto diluita.

FOTO 14

Foto 14.

FOTO 15

Foto 15.

FOTO 16

Foto 16.

FOTO 17

Foto 17.

Asciugato il tutto (Foto n° 18, 19, 20), è venuto il momento di chiudere le semifusoliere; è ora di darsi da fare per cercare di riempire l’orrida voragine del pozzetto dei carrelli… servirà tanta, tanta pazienza e l’aiuto delle fotografie del Macchi C.200 esposto al Museo di Vigna di Valle. Ingredienti: un pezzo di plasticard da 0,75 (per limitare quanto possibile le deformazioni), filo di rame “recuperato” da fili elettrici di diverso spessore, fresina (o trapanino) a mano con punta 0.1 – 0.2), matita, forbici, taglierino, cianoacrilica e… un pezzo di filo di acciaio, di quello che si usa nei cantieri… poco, per carità, ne serve solo qualche cm!!!!!

FOTO 18

Foto 18.

FOTO 19

Foto 19.

FOTO 20

Foto 20.

FOTO 21

Foto 21.

Istruzioni per l’uso (Foto 21 e 22): per ricavare la forma delle due paratie ho usato, a fusoliera chiusa, il filo di acciaio “recuperato”, sagomandolo sulle pareti interne, prima per la forma anteriore poi per quella posteriore; ho poi disegnato le forme così ottenute sul pezzo di plasticard, che poi ho ritagliato seguendo i contorni.

FOTO 22

Foto 22.

FOTO 23

Foto 23.

Per costruire il castello motore, ovvero l’intelaiatura interna simulando le varie tubazioni, ho dapprima disegnato un trapezio su entrambe le paratie interne realizzate in plasticard, poi ho forato gli estremi della figura geometrica (Foto 21) e ho incollato con la ciano i primi 4 tondini di rame (a sezione maggiore), la cui lunghezza è stata determinata sulla base delle disposizioni definitive assunte dalle due sezioni di plasticard (Foto 23). Irrigiditosi il tutto (chiaramente dopo numerosi prova-e-riprova), dopo aver forato gli inviti per i cavi da posizionare in un secondo tempo, ho realizzato l’intelaiatura interna utilizzando piccoli pezzi di plastirod per i setti trasversali e il filo di rame a sezione minore per gli irrigidimenti a X.

FOTO 24

Foto 24.

FOTO 25

Foto 25.

Traendo spunto dalle fotografie disponibili, giusto per dare un minimo di veridicità al tutto, all’interno dell’intelaiatura del castello sono state posizionate le tubazioni, i cablaggi e i vari componenti, utilizzando poi le diverse colorazioni in HU14 (+ una goccia di HU64 con l’occhiometro per smorzare un po’) e HU99 (Foto 24, 25, 26, 27); poi la solita mano di acrilico trasparente, qualche lavaggio con colori a olio mooolto diluiti (Bruno Van Dick e Terra di Cassel), qualche schizzetto di HU11 e poi, finalmente, l’incollaggio definitivo, con relativa stuccatura (minima, per dire la verità, la sagomatura è riuscita abbastanza bene …)

FOTO 26

Foto 26.

FOTO 27

Foto 27.

Bene bene bene… A questo punto posso dire che l’età ci ha messo del suo, perché… non ho fatto molte fotografie riguardo l’assemblaggio del motore, la ripulitura della cappotta, la realizzazione dell’”anello” con i flabelli e i tubi di scarico… faccio ammenda e mi cospargo il capo di cenere, ma ormai il danno è fatto… Vediamo se riesco a riassumere: rispetto alla Foto n° 10, il lavoro (beh, oddio, lavoro è una parola impropria) maggiore è stato quello di costruire la seconda “stella” del radiale, incollarla all’altra previo inserimento di uno spessorino in plasticard per non fare “ballare” troppo l’anello di ancoraggio dell’elica (che ho montato in un secondo tempo per poter procedere nel modo migliore alla colorazione della cappottatura) e, infine, realizzare una terza stella costituita da un anello in plastirod sul quale ho montato i “raggi” realizzati sempre con tondini di plastirod, colorando il tutto con HU53 draibrushato con HU11 e lavato con nero acrilico.

FOTO 28

Foto 28.

FOTO 29

Foto 29.

La cappottatura motore è stata la cosa che più mi ha fatto soffrire… ho dovuto sottoscrivere una convenzione con il maggior produttore di carta abrasiva d’Europa per avere il minimo di fornitura necessaria alla pulizia del “manufatto”… due TIR carichi hanno stazionato presso casa mia giorno e notte, per consentirmi di portare a termine il lavoro; alla fine sono andato al vicino cantiere, dove stavano tirando su una palazzina di 5 piani e ho pregato il costruttore – persona veramente squisita, che ringrazio – di sospendere momentaneamente i lavori per girarmi tutto lo stucco pronto necessario per nascondere giunzioni, buchi, imperfezioni, voragini e quant’altro… certo, il modellino adesso pesa una novantina di chili ma tant’è… L’anello dietro la cappottatura (Foto 1, pezzo in basso a destra) è stato quasi completamente ricostruito con un pezzo di plasticard debitamente sagomato, sul quale sono stati ricavati i flabelli (leggermente aperti) e i tubi di scarico, realizzati con un pezzettino di alluminio (quello delle vaschette) arrotolato attorno a uno stecchino (quelli grossi, da involtino di carne…) e leggermente schiacciato.

FOTO 30

Foto 30.

FOTO 31

Foto 31.

Sorvolo tutta la descrizione dell’incollaggio della fusoliera, delle ali e della quantità industriale di stucco e ciano che è stata necessaria per dare un aspetto “decente” all’intero aeriuccio… chiaramente ho dovuto reincidere tutte le piastre sopra il vano armi in fusoliera, compresa la rivettatura…aghhhh!!! Dico solo che la fase di stuccatura, fra carteggiatura, riapposizione stucco, lisciatura, ecc… è durata quasi una settimana…In Foto 30 è visibile il lavoro fatto dopo la chiusura delle semifusoliere e delle semiali (“prima” sarebbe stato difficile rendersi conto delle dimensioni e della posizione esatta) per completare il “traliccio” del vano carrelli; la presa d’aria del carburatore è stata ricavata dall’aggiustamento di un “residuato” proveniente dalla banca dei pezzi. Tutti i tubi, i tralicci, i reggisportello, i pezzi di correntini, gli avanzi di centinatura, i comunque denominati cavi visibili sono stati realizzati con filo di rame. Che altro devo dire? Ah, già: come si vede in foto, è stato necessario chiamare la Confindustria per ottenere le tonnellate di materiale vario da costruzione, materiale necessario per dare una forma alla presa d’aria…E passiamo – finalmente! – alla mimetica; dopo aver lavato con uno straccetto pulito imbevuto di alcool le superfici del modellino, ho steso una mano di primer grigio utilizzando l’XF-25 per verificare eventuali obbrobri; dopo di che ho preso qualche immagine dalla varia documentazione disponibile per decidere quale esemplare realizzare… mi piaceva il tipo di verniciatura del C.200 esposto al Museo di Vigna di Valle, per cui mi son detto: visto che mi sto solo divertendo, perché non provarci? Ho cominciato a prendermi un po’ sul serio andando a trovare le corrispondenze dei colori da impiegare: Verde mimetico 2 (FS 34092); Giallo mimetico 4 (FS 30266); Bruno mimetico (FS 30227/30215); Grigio mimetico (FS 36231), e poi… ho buttato via tutto e ho fatto di testa mia!

FOTO 32

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FOTO 33

Foto 33.

Ho cominciato con il passare, ad aerografo, un paio di mani di XF62 addizionato con nero XF1 (approssimativamente 5 parti verde e 1 parte nero); non ho eseguito preshading perché… me ne sono dimenticato! Alla completa asciugatura di tutto ho cominciato a stendere, sempre ad aerografo, le prime “righine” con una miscela di XF57 e XF49; duse quasi chiusa, colore diluito al 50% con alcool bianco+acqua demineralizzata, pressione adeguata (dato soggettivo; alzavo leggermente e abbassavo leggermente a seconda del “bisogno”…) – ovviamente più bassa che alta! – E qui ci ho messo un po’ di tempo… A proposito: sempre in tema di esperimenti, il colore del ventre è stato steso dopo il completamento della mimetica superiore, per poter poi maneggiare meglio l’aeriuccio…

FOTO 34

Foto 34.

FOTO 35

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Passati i soliti due giorni di asciugatura (il buon Dan Peterson diceva: “melio non corere risski”), è venuto il momento di realizzare le “righine” complementari; all’uopo è nata una miscela composta da XF9 e XF10, con una punta di bianco XF2, passata ad aerografo con le stesse modalità di cui sopra… le proporzioni non le ho appuntate, sono andato con l’occhiometro… tanto era un esperimento!!! Asciugatosi il tutto, ho aerografato un paio di mani di lucido acrilico MM diluito al 50% con alcool bianco (sempre per poter maneggiare bene il “piccolo”, poi ho realizzato la fascia gialla in fusoliera e la cofanatura motore (X8); l’anello esterno della cofanatura è stato dipinto in copper MO-LAK, uno smalto che avevo da tanto tempo ma che si è rivelato essere ancora in ottime condizioni!!!!!!! Al termine di tutto, dopo aver, nel frattempo, realizzato anche la parte ventrale del bimbo con XF54 “ammorbidito” con qualche goccia di bianco XF2, sporcando poi il tutto con striscette di marrone residuo dalla miscela XF9+XF10 mooooolto diluita, altra mano di lucido acrilico sigillante e riposo per 24 ore e poi… mano alle decals e agli olii!!! Per le decals non è che avessi troppa scelta; ripetendo per l’ennesima volta il concetto di partenza, questo lavoro voleva essere solo un divertimento e una pura applicazione finalizzata a “scoprire” fino a dove arrivavo nel recupero di un povero, piccolo pezzo di plastica abbandonato…sigh sigh!! Il foglio che avevo, comunque, era proprio di un Macchi C.200 per cui non dovrei aver fatto troppe bestialità… nonostante l’età, le decals (dopo essere state ritagliate con pazienza per evitare il silvering) sono state posizionate senza troppe difficoltà, utilizzando i liquidi appositi (Mr Mark Softer e Mr Mark Setter) e sigillando il tutto, ad asciugatura avvenuta, con una ulteriore mano di lucido. Dopo un paio di giorni mi sono divertito a lavare (Foto 34 e 35) l’intero modello prima con Terra di Cassel a olio diluitissimo, e poi (pari diluizione) con Bruno Van Dick; le scrostature finali sono state realizzate con un pennellino 000 e smalto HU11. A proposito: il tettuccio è stato incollato con Vinavil, i tubi di scarico e le armi sono state dipinte con misture diverse di marrone, gun metal e nero di seppia, i pitot sono pezzettini di filo di rame, le luci di navigazione sono realizzate con gocce di Clearfix dipinte in verde e rosso trasparente acrilico. Il risultato finale è visibile in Foto 36; chiudo questa chiacchierata dicendo, ancora una volta, che questo piccolo lavoro non aveva nessuna pretesa e nessuna finalità se non quella di divertirsi, fare esperimenti diversi e cercare di andare più avanti possibile nel tentativo di restaurare i pezzi di plastica che avevo sul tavolo (vedi Foto 1), per ritrovare almeno l’idea e il profilo di un macchino. Mi sono proprio divertito!

Emilio “Pennanera”, maggio 2008

Mail: pennanera_dv@yahoo.it

FOTO 36

Foto 36.

Close-Up Picture:

le immagini si riferiscono all’esemplare conservato presso il Museo Storico dell’Aeronautica Militare di Vigna di Valle (RM). Clicca sull’immagine per ingrandire:

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