lunedì, Maggio 6, 2024
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Per un amico, questo ed altro! A-1 H Skyraider dal kit Italeri in scala 1/48 – (Seconda Parte).

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La prima parte dell’articolo la potete trovare qui.

Il dettaglio finale del pozzetto carrello è parzialmente visibile, con la prima mano di primer grigio, in Fig. n° 30. Il “motore” è stato, fra le diverse parti del kit, quello che mi ha dato forse i maggiori grattacapi (in Fig. 31, benché parzialmente colorato, sporcato e cablato, si capisce perché…); i cablaggi (quelli che si vedono in questa foto), sono realizzati con pezzi di sprue sagomato e tondini di rame di vario diametro Per chi avesse la (s)ventura di cimentarsi con questo kit una raccomandazione: attenzione ad assemblare il motore, la cofanatura e l’elica!!! Se si vuole aggiungere il “blocco” alla fine, bene! – basta dipingere pezzo per pezzo, assemblare e cablare una cosa alla volta, e terminare l’intero motore a parte, per poi incollarlo all’aereo già terminato lasciando alle sporcatore canoniche il compito di “omogeneizzare” le giunzioni; se invece si reputa necessario montare l’elica alla fine, per lavorare meglio con l’aerografo… beh, attenzione al pernetto dell’elica! Posto che quello che ho trovato io era leggermente ovalizzato (e, nel far girare le “pale” – in tutti i sensi – , si vede bene…), munitevi di regolamentare “zeppa” di plasticard da incollare sul fondo del pernetto per impedire l’annegamento del tutto all’interno del motore, con conseguente esplosione di improperi, santi, navigatori e compagnia cantante…

Foto 26
Foto 26.

Foto 27
Foto 27.

Foto 28
Foto 28.

Foto 29
Foto 29.

Ogni singolo elemento del radiale, inoltre, andrà ripulito dagli snervanti residui di colata, che – ovviamente – si posizionano sempre nei posti più difficili da raggiungere… pittura: base gun metal, mano di trasparente acrilico, lavaggio con terra di cassel e terra siena, dry brush con grigio chiaro e alluminio, ulteriore mano di trasparente opaco per sigillare il tutto prima di maneggiare.

Foto 30
Foto 30.

Foto 31
Foto 31.

Gli scarichi forniti dal kit sono improponibili; meglio, molto meglio affidarsi a pezzi di guaina per filo elettrico tagliati a misura, assottigliati all’interno con una lima coda di topo e con una “botta” di fresetta (la più piccola), indi pitturati alla bisogna (Foto 32); le dolenti note vengono nel momento in cui si guardano le foto, si guarda il ventre dell’aereo, si provano i carichi e… si scopre un vuoto incolmabile in corrispondenza dell’attaccatura del cofano motore!!! Benedicendo mr. Plasticard e mr. Stucco (le maledizioni le tralascio, ci sono gli appositi calendari), con calma e a strati successivi è stato praticamente ricostruita l’intera zona anteriore del ventre per permettere la corretta collocazione del serbatoio (Foto 33 e 34); il tutto carteggiato e rifinito con cura per evitare disastri in fase di colorazione…

Foto 32
Foto 32.

Foto 33
Foto 33.

Foto 34
Foto 34.

Foto 35
Foto 35.

Ultimato il tutto, assemblata ogni cosa, stuccato lo stuccabile, carteggiato l’impossibile, rifinito l’impensabile, è venuta L’ORA DEL METALIZER!! Attenzione, è un programma riservato ai soli modellisti adulti che hanno già avuto esperienze intense con il soggetto di che trattasi… In foto 35 e 36 è illustrato l’effetto finale delle tre (3) passate di alluminio su tutto il modello, dopo aver preventivamente: lavato con un po’ di acqua saponata le superfici; lasciato asciugare ben bene all’aria; passato lo strato di primer grigio per far debitamente aggrappare la vernice. Asciugatosi bene il metalizer (ma bene bene!), è cominciata la grande opera di preshading… diciamo che è la parte per me più noiosa, nonché faticosa (ci sono voluti 2 giorni), preludio alla verniciatura con il colore base dell’intero modello, cominciando dal ventre, con uno dei colori più temuti dai modellisti: IL BIANCO!

Foto 36
Foto 36.

Foto 37
Foto 37.

Ebbene, a questo punto confesso che, essendo in soggezione davanti alla “enorme” superficie da tinteggiare in bianco, non volendo fare troppe stupidaggini ho deciso di (non prendetemi per matto, per carità!!!!!) utilizzare un altro modellino, in scala 1/72, come CAVIA DI LABORATORIO!! “Casualmente” avevo sul tavolo un A-4F Skyhawk da realizzare in livrea US Navy… quale migliore occasione per sperimentare il bianco!????!!!!! Il risultato post sperimentazione è illustrato in Fig. 38; ho iniziato con 2 mani di bianco opaco, al quale è stato aggiunto un 20% di grigio medio (mai passare il bianco puro!!!!), e ho gradualmente schiarito il centro dei pannelli aumentando leggermente la quantità di bianco, senza mai però arrivare al colore puro; le piccole sporcatore sulla pennellatura sono state realizzate aggiungendo nel serbatoio dell’aerografo, nel colore base, piccole quantità di ocra modulato con marrone dorato. Il tutto è stato sigillato con 2 mani di trasparente lucido. E arriviamo, finalmente, alla parte più divertente: la mimetica “stile Vietnam”!!! I colori usati sono stati l’HU116, l’HU118 e l’HU120 a smalto, corrispondenti ai codici FS consigliati. In Fig. 39 si vedono i primi due colori già realizzati (e in parte già schiariti al centro dei pannelli)e una parte della mano di fondo passata sul metalizer; quasi tutto è stato fatto con aerografo a mano libera, nei punti più difficili è stato d’ausilio un “salsicciotto” di UHU Tac.

Foto 38
Foto 38.

Foto 39
Foto 39.

Foto 40
Foto 40.

Foto 41
Foto 41.

Foto 42
Foto 42.

Foto 43
Foto 43.

Le foto n° 40 e 41 si riferiscono all’ultimazione della mimetica e alla successiva schiaritura, seguita dalla lucidatura (3 mani di trasparente acrilico lucido) e dall’apposizione delle decals; per fare un modello un po’ diverso ho ipotizzato una fase del conflitto in cui la fretta di procedere al passaggio degli A-1H ha comportato la coesistenza di codici americani con insegne vietnamite (Foto 42) … evidentemente gli scontri a fuoco non hanno permesso la celere sostituzione dei codici di coda…

Infine, dopo l’ennesima mano di lucido per proteggere le decals, VIA con oliature, sporcatore, scrostature e chi più ne ha più ne metta!!!! Tanto, lo Skyraider più sporco è e meglio ripresenta all’occhio modellistico!!!

Foto 44
Foto 44.

Foto 45
Foto 45.

Foto 46
Foto 46.

Foto 47
Foto 47.

L’aspetto del modello durante questa fase è evidente nelle foto n° 43, 44, 45, 46 e 47; oltre alla Terra di Cassel e alla Terra di Siena, passati ad olio, ho usato anche le tempere (Nero avorio e verde vescica) per realizzare alcune velature e i colori a china (terra siena e seppia) per marcare alcune zone, specialmente intorno ai portelli e portellini presenti in fusoliera; la “perdita d’olio” del serbatoio ventrale (Foto 48) è stata realizzata mettendo sul “tappo” una goccia di colore ad olio moooolto diluita e “soffiando” dalla punta del serbatoio stesso in direzione della coda… con un paio di prove si ottiene un buon risultato.

Foto 48
Foto 48.

Foto 49
Foto 49.
Foto 50
Foto 50.

Foto 51
Foto 51.

I “fumi” di scarico (Foto 50) sono stati realizzati interamente con colore ad olio puro “tirato” con un cotton fioc secondo l’effetto aerodinamico visibile nella abbondante documentazione fotografica; precedentemente era stata data “una traccia” ad aerografo, molto leggera, con il nero opaco. La foto n° 51 evidenzia un’altra piccola (…) “pecca” del kit; i carichi alari disponibili sono un po’ troppo “scarsi”, vista la diversità e la quantità di armamento di caduta che gli Sky potevano “vantare”…

Foto 52
Foto 52.

Foto 53
Foto 53.

Il lavoro è terminato ripassando il tettuccio con la Future, “miracolosa” nel ridare lucentezza e trasparenza, realizzando le luci di posizione e di navigazione con i trasparenti Tamiya, montando i cavi delle antenne realizzati con sprue tirato a caldo; tutto quanto è stato infine sigillato con una passata di trasparente opaco. Che dire? La parte più triste e malinconica, alla fine, è stata proprio quella del “distacco”; nel separarmi dal “bambino”, dopo mesi di lavoro e divertimento, ho provato la sensazione che, suppongo, ogni modellista prova allontanandosi dal frutto delle “sue” fatiche, pur nell’orgoglio e nella soddisfazione di aver quantomeno tentato di fare tutto il meglio possibile, utilizzando l’esperienza per il prossimo lavoro!

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Per qualsiasi chiarimento, nel mio piccolo, sono ovviamente sempre e comunque a disposizione!

Emilio “Pennanera”

Mail: pennanera_dv@yahoo.it

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Per un amico, questo ed altro! A-1 H Skyraider dal kit Italeri in scala 1/48 – (Prima Parte).

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Un po’ per scherzo, un po’ per sfida, un po’ perché solleticato dall’idea di realizzare qualcosa per puro divertimento (certo, tenendo presente la tristezza che mi avrebbe colpito all’atto della “separazione” dal “pezzo”), ho accettato qualche tempo fa di procedere alla costruzione di questo kit per conto di un amico.

Il suddetto mi venne incontro con il kit sotto rappresentato (Foto 1), chiedendomi di realizzarlo senza troppa fatica, per il gusto di vederlo esposto in vetrina; ovviamente la mia mente malefica mai e poi mai avrebbe accettato di incollare e pitturare alla meno peggio un modellino – figuriamoci poi un “48”! – ; e la dignità modellistica? E la voglia di impegnarsi comunque? E la soddisfazione di sapere “quello l’ho fatto io – giusto o sbagliato che sia!”, dove la mettiamo? Il kit, confesso, a prima vista mi ha dato un po’ di delusione; rispetto alla qualità Italeri che avevo riscontrato in altri modelli e alla media dei kit presenti sul mercato in scala 1/48 (almeno per le Ditte più note) mi ha lasciato un po’ basito… ma avevo accettato e non potevo tirarmi indietro! Dettaglio degli interni inesistente (decals per la strumentazione…), pozzetti carrello desolatamente vuoti, pennellatura in rilievo alta come le Ande, plastica con qualche segno di estrattore e un po’ di “bave”, ecc… Meno male che la Cartograf realizza decals ottime! Una delle (poche) cose positive, guardando ben bene i pezzettini attaccati allo sprue, è che il tutto, dimensionalmente, sembrava abbastanza corretto e le forme ben restituite. Ma per fare un “pezzo” decente, quantomeno di mia soddisfazione, ci vuole qualcosa in più…

Foto 2
Foto 2.

Foto 3
Foto 3.

Dopo aver passato qualche giorno ad analizzare le possibili soluzioni, ho deciso di ricorrere al set AIRES in resina per l’abitacolo, fornito – ahimè – per il kit Tamiya (Foto 2); è evidente la differenza (anche se la foto non è riuscita un granché) con i pezzi forniti da scatola, in grigio. Ovviamente sarà necessario un lungo e tedioso lavoro per adattare il set di dettaglio alle semifusoliere (Foto 3), che andranno ripulite e tagliate a misura. Il cockpit in resina non è difficile da ritagliare e assemblare; andrà solo aerografato con attenzione per far risaltare i volumi e i particolari (Foto 4 e 5). Brevemente, ho lavorato con 3 toni di grigio, partendo da un grigio medio acrilico e aggiungendo, nella seconda e terza passata, una punta di bianco e una punta di nero; nella mistura rimasta ho aggiunto una goccia di ocra, per una ulteriore “sporcatura” e, infine, una punta di marrone. Le consolles sono, ovviamente, in nero opaco. Su tutto una mano di trasparente satinato, per poter toccare in perfetta tranquillità senza lasciare “ditate”!

Foto 4
Foto 4.

Foto 5
Foto 5.

Il confronto con i pezzi originali del kit (Foto 6) è senza storia…; in Foto 7 c’è la prima prova di assemblaggio del cockpit con le pareti laterali; è stato necessario assottigliare parecchio la base delle stesse, al fine di consentire un incastro quantomeno decente con le semifusoliere (ATTENZIONE: ricordo che per lavorare la resina è ASSOLUTAMENTE NECESSARIO proteggersi con una mascherina e, preferibilmente, operare con carta abrasiva leggermente bagnata; al termine rimuovere ben bene la polvere creatasi).

Foto 6
Foto 6.

Foto 7
Foto 7.

Il quadro strumenti è stato ricavato con un sandwich formato da un pezzetto di plasticard sagomato sulla fotoincisione del kit AIRES e sulla dimensione interna del cockpit, provando e riprovando l’incastro con la palpebra del cruscotto (Foto n° 11); l’acetato con gli strumenti è stato fissato sul plasticard con vernice trasparente, e sul tutto è stato incollato, sempre con vernice trasparente, la fotoincisione precedentemente dipinta con nero opaco (Foto n° 8); il tutto è stato nuovamente provato e riprovato nella sua sede (Foto n° 9)… Intanto, ho cominciato a dare un tocco di colore alla strumentazione, dipingendo le varie manopole (Foto n° 10) e finalmente ho aggiunto le cinture, ultimando così il posto di pilotaggio (Foto n° 12, 13, 14); la parte cui prestare molta attenzione è stata, ovviamente, quella relativa al posizionamento delle minuscole levette in fotoincisione a lato del sedile; un paio di volte, durante i tentativi, c’è stata una fioritura di calendari di ogni ordine e grado, con l’inserimento di qualche novità presa direttamente dal catalogo tibetano, a seguito del decollo della levetta di turno in direzione dei più nascosti angoli del tavolo da lavoro, se non proprio a terra o in altri oscuri pianeti del microcosmo casalingo…

Ma non ci perdiamo d’animo!! Morta una levetta se ne fa un’altra!!!

Foto 8
Foto 8.

Foto 9
Foto 9.

Foto 10
Foto 10.

Foto 11
Foto 11.

Foto 12
Foto 12.

Foto 13
Foto 13.

La fotografia n° 15 illustra lo stato delle semifusoliere dopo le operazioni di rimozione, sagomatura, lisciatura, scartavetratura, smadonnatura e ripulitura di tutto ciò che avrebbe materialmente impedito il matrimonio forzato fra l’abitacolo dedicato al kit Tamiya e i pezzi Italeri; tale matrimonio (un pò stucchevole, ih ih ih!) è ben illustrato dalle Foto n° 16 e 17; meno male che prima di procedere con le giunzioni ho fatto 1.000.000 di prove a secco (questa frase vuole essere un consiglio spassionato per tutti coloro i quali non vogliono far calare inutilmente calendari di sperdute nazioni e gruppi tribali sconosciuti una volta incollate le fusoliere…)!!!

Foto 14
Foto 14.

Foto 15
Foto 15.

Foto 16
Foto 16.

Foto 17
Foto 17.

Ecco invece come si presentavano (Foto n° 18 e 19) le linee di pannellatura… è inutile dire che sono state tutte debitamente reincise, pannello per pannello, sportellini inclusi… sigh!

Foto 18
Foto 18.

Foto 19
Foto 19.

Con le Foto n° 20, 21, 22, 23, 24, 25 e 26 si passa invece alla ricostruzione totale del pozzetto carrello principale, totalmente assente nel kit; la giunzione delle semiali faceva intravedere uno spazio più profondo – altro che ultima frontiera! – della serie Star Trek, per cui… ricominciamo col caro e vecchio plasticard, sagomato debitamente a mò di centina, messo a battuta con un pezzo di guaina di filo elettrico e completato da tubazioni e fascette varie…

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Foto 20.

Foto 21
Foto 21.

Foto 22
Foto 22.

Foto 23
Foto 23.

Foto 24
Foto 24.

Foto 25
Foto 25.

La griglia anteriore del radiatore (Foto n° 27) è stata invece ricostruita con due pezzettini di plasticard sagomato sui quali è stato incollato un frammento di calza da donna (…), sottratta nottetempo dal cassetto della mia ignara consorte (che non avrebbe capito ovvero avrebbe pensato di aver a che fare con un maniaco compulsivo…) e dipinta in nero (Fig. 28 e 29); è incredibile come simuli bene le griglie!!!!! Ovviamente “la bocca” ha subito un trattamento particolare, con stucco, altro plasticard e tanto, tanto lavoro di lima e carta abrasiva…

Fine prima parte.

From Russia with love… – Sukhoi Su.25 “Frogfoot” dal kit Kopro in scala 1/48.

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In scala 1/48 il Frogfoot è presentato da Monogram e Kopro. Io sono riuscito reperire la scatola della ditta dell’est al cui interno si trovano sei stampate in plastica grigia (un po’ tenera), i trasparenti per il tettuccio, oblò telemetro e le luci di posizione. La nota piacevole sono le pannellature: il confronto con gli ottimi disegni allegati alla monografia 4+ dicono che si trovano nelle giuste posizioni e con le esatte forme. Le decal dai colori un po’ sbiaditi propongono una ricca dotazione di stencil e la possibilità di realizzare velivoli appartenenti a ben cinque forze aeree.

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Il soggetto che ho deciso di rappresentare fa sfoggio di una mimetica assolutamente insolita e, a mio parere, molto bella. Questa colorazione a schema disgregativo era propria di alcuni aerei basati nell’ex Germania orientale e chiamata “Afghanistan”, e gli specialisti addetti alla manutenzione di questi velivoli avevano due teorie per spiegarla: la prima asseriva che alcuni Su.25 reduci dalle campagne asiatiche avevano mantenuto, anche dopo il dispiegamento europeo, la loro colorazione di teatro operativo, la seconda diceva che gli schemi erano stati verniciati sopra agli aerei già basati in Germania ma seguendo le esperienze afghane. Quest’ultima teoria pare trovi maggior credito giacché non ci sono foto che mostrano Su.25 in Afghanistan forniti di tale mimetica.

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Comunque siano andate le cose per il modellista in cerca di soggetti “esotici”, questo Frogfoot rappresenta un’occasione d’oro. Come sempre inizio il montaggio dal cockpit sfruttando quasi completamente ciò che propone la scatola, aggiungendo alcuni dettagli in plasticard e fili di rame sulla parete dietro il sedile e sostituendo il cruscotto con quello presente nel set fotoincisioni Eduard 48416. Il sedile K-36 è in resina della Neomega cui, seguendo le indicazioni della documentazione, ho tolto i braccioli. Per verniciare l’abitacolo seguo un mio metodo artigianale, che consiste nel partire dall’Humbrol 89 (Matt Middle Blue) “tagliandolo” con del verde fino a raggiungere quella tipica tonalità con cui vengono dipinti gli interni russi. Il seggiolino è completamente in nero opaco, ma ha subito un leggero dry brush in grigio per risaltare particolari e cinture di sicurezza.

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Passando alla fusoliera ho prima aperto i vani che volevo lasciare in mostra e iniziato poi la costruzione del dettaglio al loro interno: si tratta degli scomparti anionici sul muso e delle sedi dell’APU e serbatoio carburante posti nella parte inferiore. Grazie ai pezzi fotoincisi del set Eduard 48421, ho aperto il grande portello di accesso al cannone ricostruendo in scratch build l’arma e il box di raccolta dei bossoli; ovviamente in questa fase saranno di fondamentale importanza le pubblicazioni e documentazione varia, e da esse sono risalito al colore degli interni dei vari vani (Zinc Chromate Yellow). Una volta chiusa la fusoliera ho accentuato la rivettatura nella parte posteriore del modello impiegando uno scriber, quindi ho separato i piani mobili del timone per posizionarli con l’angolatura tipica che assumevano quando l’aereo era terra. Stessa cosa per le ali: ho diviso flap e slat ricostruendoli con il plasticard e posizionandoli estesi…un lavoro lungo e certosino ma che regala grandi soddisfazioni.

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Altri particolari aggiunti hanno riguardato la sede aperta del parafreno e gli aerofreni stessi alle estremità alari riprodotti alla massima estensione. Montato il tutto si arriva velocemente alla fase di verniciatura e un aiuto fondamentale alla ricerca dei colori da impiegare l’ha fornita il sito dell’appasionato Americo Maya http://br.geocities.com/alvmaia/Sukhoi/ : amanti degli aerei russi mettetelo tra i preferiti!

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I colori utilizzati sono i seguenti: per le superfici superiori Yellow Green FS33481 (Humbrol 93) leggermente schiarito, U.S. Dark Green FS 34079 (Humbrol 116), Khaki Drab FS 34017 (Humbrol 159) e Chocolate FS 30099 (Humbrol 98). Per le superfici inferiori ho utilizzato l’Aircraft Blue FS 35352 (Humbrol 65) schiarito con il bianco. I pannelli dielettrici sono invece in Green FS 34108. La posa delle decal non merita cenni particolari: le foto di quest’aereo mostrano un velivolo in piena operatività con nessuna traccia di stencils e con le sole stelle rosse ben visibili. L’unica nota riguarda il logo della Sukhoi (visibile in coda) in una rara colorazione rossa. Nonostante abbia cercato una decal simile ovunque, alla fine sono stato costretto a realizzarla ad aerografo con infinite mascherature ed enormi rodimenti di……fegato và!

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La costruzione di questo modello risale ormai ad una decina di anni fa e con l’occhio critico di adesso non posso non notare dei problemi di “gioventù”. Il più evidente è un esagerato utilizzo dei carichi alari specie considerando che l’aereo è in fase di controllo e sottoposto a manutenzioni varie. Ma si sa…senza errori non s’impara mai. Buon modellismo, Enrico Bianchi.

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Decal Review – Zotz Decals 1/48- Panavia Tornado IDS Special Color, 60° anno del 155° Gruppo.

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Nel 2002 il 155° gruppo E.T.S. del 50° stormo con sede a Piacenza presenta un Tornado “special color” che verrà portato al Tiger Meet dello stesso anno in Portogallo. Il 60° anniversario però si è svolto nel 2001, dato che il 155° gruppo venne fondato nel 1941, ma i lavori ebbero alcuni ritardi e così questo Tornado dagli insoliti colori venne presentato solo il 18 giugno 2002. Vi dice niente questa data? Sono sicuro che ve la ricordate tutti bene!

Il 18 giugno del 2002 eravamo tutti davanti alla TV a vedere Italia-Corea del sud, con il sublime arbitraggio dell’arbitro Moreno. E qui stendiamo un velo pietoso e molto velocemente torniamo al nostro Tornado. Gli insoliti colori hanno una motivazione ben precisa, ad esempio l’azzurro cielo era presente sulle superfici inferiori dei velivoli del periodo della seconda guerra mondiale, come ad esempio il Fiat G 50, primo velivolo in dotazione al 155°. Il blu della parte centrale del Tornado rappresenta il periodo di attività più consistente, mentre il magenta del posteriore, assalito in coda dalla pantera è il colore tipico del ruolo E.T.S.

I simboli che vedete sull’aereo sono realizzati dalla disegnatrice Francesca Lambri …la pantera nera non serve che ve lo dico cosa significa…il 155° SONO le pantere nere! Mentre lo stemma sul muso “gigi tre osei” è il primo stemma che ha avuto questo stormo durante le operazioni di guerra in territorio africano. I lavori di verniciatura sono partiti nell’aprile 2002 e sono terminati nel giugno dello stesso anno. L’idea di questo special color che io amo a tutti gli effetti e credo sia uno dei colori più originali del Tornado, è stata del L.Ten Cieri, realizzata su disegno del figlio. Devo dire che avrei tanto voluto vederlo volare o quanto meno ammirarlo questo Tornado… e secondo il mio punto di vista modellistico, un aereo con dei colori così atipici e sgargianti spezza con classe la monotonia di collezioni fatte da toni di grigio…

Parlando delle decal, la messicana Zotz fornisce 3 fogli oer questo kit in 1/48, due per le pantere in coda ed uno con gli stemmi vari di reparto che ad occhio sembrano molto ben realizzate, in più ci sono tutte le varie spiegazioni per poter miscelare i colori e realizzare una “skin” che può piacere o no, ma sicuramente farà discutere i modellisti criticoni. Ben venga! Il prezzo delle decal non è dei più economici…in rete si trovano a circa 16 euro ma secondo me sono spesi bene.

Per chi volesse maggiori informazioni su questo particolare aereo può visitare il sito delle “pantere nere”, http://www.panterenere.it/ non viene aggiornato da qualche tempo ma è molto interessante e soprattutto molto dettagliato nelle nozioni storiche e appaga dal lato visivo ed emozionale! Se volete trovare la pagina dedicata a questa particolare livrea la trovate nella sezione velivoli, poi andate nella sezione special color. Non vi metto il link almeno questo bel sito ve lo visitate tutto!! C’è molto da vedere!!!

A presto, il vostro CoB!

Kit Review – MB.339 A/PAN dal kit FREMS scala 1/48.

Irriducibili modellisti italianofili (e non solo), per la gioia dei vostri occhi eccomi qui a presentare gli unici kit oggi disponibili in commercio per riprodurre l’MB.339 nella scala del quarto di pollice. A dir il vero, la loro uscita ha avuto luogo già da un po’ di anni (quindi non siamo in presenza di una novità), ma purtroppo la FREMS è l’unica ditta che fino ad ora ha rivolto attenzioni all’ottimo addestratore dell’Aermacchi. Dato che gli stampi differiscono tra loro per pochi particolari, le righe successive descriveranno le caratteristiche comuni dei due modelli: aprendo la robusta scatola di cartone troviamo tre stampate di plastica a iniezione color grigio scuro, più una per i trasparenti, tutte imbustate separatamente per evitare rotture o danneggiamenti. A una prima analisi il dettaglio è preciso, ma un po’ troppo profondo; questa caratteristica magari non dispiacerà a tanti modellisti che non avranno il solito patema d’animo di rovinare le incisioni delle pannellature durante le fasi del montaggio e della stuccatura. La superficie della plastica è esente da flash o sbavature, ma su entrambe i sedili e la paratia posteriore dell’abitacolo si possono trovare dei leggeri ritiri. Il cockpit ha un dettaglio davvero buono per essere un kit quasi artigianale: le consolle laterali sono complete e ben dettagliate, i cruscotti sono divisi in tre parti (una centrale e due pannelli laterali), le palpebre ben fatte e i seggiolini di buona fattura. I più esigenti potranno comunque sostituirli con una coppia di Martin Baker Mk.10 che molte ditte riproducono in resina, acquistandoli magari in previsione di costruire anche un bel Tornado… ovviamente con le insegne tricolori! Prima di continuare, vale la pena menzionare l’estrema comprensibilità e completezza delle istruzioni che aiutano molto la costruzione ed hanno il testo stampato sia in italiano sia in inglese. La ditta vicentina inoltre, offre la possibilità di movimentare un po’ il modello montando i flap estesi e l’aerofreno in posizione aperta. Passo ora alla descrizione delle principali differenze tra le due versioni:

MB.339 PAN – articolo n°0198/SC:

Il primo in ordine di apparizione, la versione delle Frecce Tricolori è senza dubbio anche il più commercializzato grazie alla notorietà della nostra pattuglia. Per questo kit la FREMS fornisce i due serbatoi fumogeni normalmente utilizzati durante le manifestazioni, e i due serbatoi maggiorati usati duranti i voli di trasferimento. Poiché normalmente i velivoli PAN non montano i Tip Tank, nella scatola sono presenti anche i due terminali alari. Le decal, stampate dalla romana Sky Models, sono davvero buone e a prima vista danno l’impressione di essere molto coprenti. Nel foglio sono presenti, oltre alla numerazione completa di tutti i “PONY” dal capo formazione al solista, anche tutti i fregi tricolori: chi non volesse realizzarli ad aerografo avrà una bella gatta da pelare per posizionarli correttamente su tutto il modello.

MB.339 A – articolo n°0199/SC:

Dopo la commercializzazione del PAN, era gioco forza immettere sul mercato la versione operativa del 339. Questa scatola vede una più completa dotazione di carichi esterni: pod lanciarazzi, serbatoi d’estremità classici oppure maggiorati tipici delle ultime versioni consegnate alla nostra aeronautica, e i cannoni DEFA 553 da 30 mm. Una vera chicca sono le canne di questi ultimi, fornite separate e in metallo egregiamente tornito: davvero molto belle. Ricca la dotazione di decalcomanie (al solito stampare dalla Sky Models), che permettono di riprodurre un esemplare argentino, uno peruviano, uno malesiano ed uno del Dubai. Discorso a parte per l’AMI, cui sono dedicati ben tre velivoli: l’RS-44 del Reparto Sperimentale con la storica livrea di presentazione in bianco e arancio, il “52” con livrea standard NATO della Scuola Volo Basico Iniziale Aviogetti, e il 61-72 sempre operativo sulla base di Lecce-Galatina ma con la nuova mimetica lo-wiz monogrigia. L’unica nota negativa delle decalcomanie riguarda il colore di riempimento dei numeri a bassa visibilità, riprodotto con un errato azzurrino. Il problema è comunque facilmente sormontabile prelevando dei nuovi codici dagli svariati aftermarket presenti sul mercato. Ultima, ma non meno importante differenza, sono i due collimatori di puntamento da collocare sopra entrambe i cruscotti.

In definitiva le due scatole della FREMS oltre ad essere uniche, sono anche delle ottime realizzazioni. Facili da montare e con una qualità degna dei blasonati Tamiya o Hasegawa, hanno dalla loro anche il contenuto prezzo di acquisto. Volete sapere la nota negativa? La loro reperibilità sta divenendo sempre più difficoltosa essendo stati prodotti in un numero ristretto di unità.  Buon modellismo, Starfighter84.


Cave Troll Walktrough (Part 4)

Ecco finalmente l’ultima parte del favoloso video tutorial di Lotrmaster riguardante la preparazione, costruzione e pittura di un Troll di Caverna della GW.

in questo tutorial impareremo a:

colorare, lumeggiare, usare il drybrush e applicare le Tinte con dei lavaggi.

Per le precedenti puntate cliccate sui seguenti collegamenti:

Parte 1 e 2 (preparazione del modello e montaggio)

Parte 3 (pittura principale)

Tutorial sulla pittura degli occhi

Tutorial sul Drybrush

ed eccoci finalmente alla 3 parte:

Alla Prossima!!! (video di Lotrmaster6)

Saab J-35J Draken – dal kit Hasegawa in scala 1/48

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Se vogliamo lasciarci andare a luoghi comuni – e non me ne vogliano gli amici svedesi- le prime cose che ci vengono in mente parlando della Svezia sono gli Abba, e le belle biondine che popolano i pensieri e fanno palpitare i cuori di noi maschietti. Ma andando oltre, scopriamo che l’aviazione svedese è stata ed è tuttora una delle più avanzate del mondo, con il non facile compito di custodire la neutralità territoriale del territorio svedese. Da sempre la Saab, famosa anche e soprattutto per le automobili, si impegna a progettare aerei avanzati e dalle forme a volte bizzarre (si pensi al Tunnan) a volte precorritrici dei tempi moderni. È il caso del Saab J-35, meglio conosciuto come Draken, che in svedese significa tanto Dragone quanto aquilone e in effetti le sue particolari forme vagamente ricordano e sembrano avvallare questa seconda accezione del termine.

Fresco di ritorno da un viaggio proprio nella terra di Gustavo Adolfo e approfittando del nuovissimo kit Hasegawa in 1/48, ho pensato di aggiungere alla mia – modesta- collezione la riproduzione di questo bel caccia.

Cominciamo il nostro montaggio come al solito dall’abitacolo, abbastanza buono da scatola; mancano soltanto le cinture al seggiolino. Inoltre la Aires ha già approntato un magnifico set in resina e fotoincisioni per l’intero cockpit.Il colore di base non è grigio ma verde scuro (Gunze H-309) mentre consolles e strumenti sono in nero opaco. Il seggiolino ha la struttura in argento, il cuscino in verde e il poggiatesta nero opaco.Una volta chiuse le fusoliere (ricordatevi i fori per i piloni), installiamo le ali, la coda, la deriva, il cannone e tutti i pezzi che vanno a completare la cellula. Per il loro raccordo col corpo principale è richiesto stucco, ma questa è l’unica magagna di un kit per il resto dal montaggio senza storia. Ah, una cosa importante: ricordatevi i pesetti nel radome pena un modello seduto (indovinate come ho fatto a scoprire che io non eseguito questo passaggio non è per nulla difficile…).

Nel mentre che lo stucco asciuga (ricordo che ci vogliono tre giorni) ci dedichiamo a preparare le altre parti come carrelli, ruote, lo scarico, la piccola turbina ausiliaria. Quindi con la carta abrasiva lisciate tutte le stuccature e in men che non si dica il vostro Draken è pronto per essere trasferito al reparto verniciatura! Il kit offre la scelta fra due esemplari nella vecchia livrea in green/midnight blue su grigio e uno nella più moderna livrea a due toni di grigio, vivacizzata dalle insegne svedesi ad alta visibilità e da due grossi numeroni sul dorso in rosso day-glo! Proprio su quest’ultima è caduta la mia scelta. Per i due grigi ho scelto il 36375 grigio e il grigio azzurro 35237, entrambi acrilici della gamma Agama, così come l’argento usato per il ventre dell’aereo, per i bordi di uscita, per i carrelli e relativi vani. I due grigi non rispecchiano l’esatta corrispondenza dei colori svedesi ma sono molto simili all’originale! Mi sono poi divertito a zozzare l’aereo con pre-shading, post-shading, lavaggi a olio e chi più ne ha più ne metta! Per l’applicazione delle decals ho usato l’apposito emolliente Gunze, previa base di Future che ha fornito la base lucida. Le decals sono meravigliose e si applicano senza problemi.

Ora non resta altro che stendere una mano di opaco, mettere gli ultimi particolari e mettere l’aereo vicino agli altri modelli completati! Chiamatelo Dragone, chiamatelo aquilone, quello che otterrete è un aereo sicuramente inconsueto e decisamente accattivante, ringiovanito dalla livrea low-viz. Voi ci credete se vi dico che è entrato in servizio nel lontano 1956? E ora rispondete a quest’altra domanda: ricordate che un po’ di tempo fa, in conclusione di un articolo riguardo a una vettura, chiesi se mi ricordavo ancora come si fanno gli aerei? Bene: secondo voi, me lo ricordo?

Buon modellismo

Alessandro Gennari

Recon Voodoo – RF-101B dal kit Monogram in scala 1/48.

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Se chiedete a un qualsiasi modellista di trovare un aggettivo per i mitici kit “Century Series” della Monogram, probabilmente questo vi risponderà che ancora oggi sono delle opere d’arte. Se poi pensiamo che sta divenendo sempre più difficile reperirli in commercio, il loro valore cresce ancor di più. Aggiungo che con questa serie la Monogram ha fatto felici milioni di appassionati (me in prima persona), riproducendo una stirpe di velivoli purosangue che da sempre fa sognare chi degli aerei e del volo fa il suo pane quotidiano. La scatola di montaggio che vi propongo in queste pagine risale circa al 1985/86, ci troviamo di fronte ad un modello che ha più di venti anni di vita! Ma aprendo la confezione si rimane ancora stupiti per la qualità di stampa e del dettaglio di superficie, anche se, quest’ultimo è realizzato completamente in positivo. Non avendo alcuna intenzione di reincidere tutto l’aereo (un po’ per mia pigrizia e un po’ per le sue generose dimensioni), ho preferito lasciare tutto così com’è e risaltare le pannellature in fase di verniciatura come v’illustrerò in seguito.

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Iniziando al solito dal cockpit, quello originale sorprende per l’elevata qualità di riproduzione che eviterebbe di sicuro il ricorso ad un aftermarket ma colto dal mio solito attacco compulsivo ho preferito acquistare l’ottimo set in resina della Black Box codice 48011. In effetti, esso è studiato per la versione da intercettazione biposto, ma può essere benissimo adattato anche alla variante Recce grazie alle trascurabili differenze dei due abitacoli; ad ogni modo il set è composto di circa ventidue bellissime parti, e con un minimo di pazienza e qualche colpo di lima lo si riesce ad adattare bene nel suo alloggiamento. Tutto il cockpit è stato verniciato il Gray FS 36231 (nel mio caso ho utilizzato l’XF-54 Tamiya) ad eccezione delle consolle e dei quadranti degli strumenti dei pannelli in Tyre Black H-77 per ricreare il giusto effetto scala della tinta. I seggiolini McD.D. Weber forniti sono delle vere chicche, e necessitano solamente di essere verniciati con il già citato XF-54 (ad eccezione dei cuscini in Green FS 34092, poggiatesta in Red FS 31136 e maniglie di espulsione in giallo) e di ricevere un abbondante dry brushing in grigio chiaro per esaltare dettagli e le cinture di sicurezza già pre-stampate. L’operazione del pennello a secco è stata eseguita anche su tutto il resto del “pilot’s office” per evidenziare i vari bottoncini delle consolle laterali e altri piccoli particolari, terminando poi la finitura con un lavaggio a olio di un misto di Bruno Van Dyck e nero. La soluzione di inserire la cabina dal basso agevola notevolmente il posizionamento del blocco di resina che, una volta unite le due semifusoliere, può essere subito stuccato per eliminare gli inevitabili gap. Il musetto fotografico è fornito separato, ed è stato riempito di piombi da pesca prima della congiunzione per evitare che il modello ultimato si sedesse sulla coda. Molto eleganti i tubi di convogliamento delle prese d’aria che vanno inseriti all’interno del complesso alare, scelta tecnica della ditta di Morton Grove che sottolinea ancora una volta quanta cura fu dedicata a questo kit.

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A conti fatti il montaggio è più che “onesto” con uso dello stucco limitato solo alle vistose giunzioni ala-fusoliera… con grande sollievo da parte mia per lo scampato il pericolo di dover carteggiare e rovinare i pannelli in positivo! Nota dolente sono gli scarichi dei due Pratt & Whitney J-57 che, essendo divisi longitudinalmente in due valve, non ne vogliono proprio sapere di assumere la corretta forma tondeggiante; anche qui il problema è stato superato con tanta pazienza ed uso abbondante di carta abrasiva. Ho poi provveduto a particolareggiare il vano del faro posto sotto il lato sinistro dell’abitacolo posteriore, e lucidare il vetrino per renderlo più limpido possibile. Questa Spot Light (inizialmente montata sulla versione da caccia) era utilizzata per l’illuminazione dei bersagli durante le intercettazioni visuali notturne, ma fu mantenuta anche dopo la conversione degli esemplari dalla versione F alla RF. Il Tubo di Pinot originale è stato scartato prontamente (decisamente tozzo e sovradimensionato), e sostituito con un ago ipodermico di una siringa cui ho aggiunto il terminale della sonda ricavato da un pezzettino di rod tondo. La fase di assemblaggio si è conclusa con il posizionamento del parabrezza che non ha avuto bisogno di stucco ma solo di una leggera lisciatura, e con un lavaggio approfondito del modello per eliminare residui di lavorazione e prepararlo alla verniciatura.

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Per quest’ultima ho deciso di realizzare tutto “da scatola” non avendo sotto mano uno dei tanti fogli decal aggiuntivi che si trovano oggi in commercio. L’unica possibilità proposta dalla Monogram si riferisce a uno dei ventidue RF-101B inviati al 192nd Tactical Reconnaissance Squadron di base a Reno (Nevada Air National Guard), ma che fu anche rischierato in Vietnam tra il 1968 e il 1969 per supplire alle gravi perdite subite dalla variante monoposto RF-101C. La livrea era quella classica denominata SEA (Sud East Asia) composta da Light Gray FS 36222 (Aeromaster 1058) per le superfici inferiori, da Tan FS 30219 (Aeromaster 1059), Medium Green FS 34102 (Aeromaster 1061) e Dark Green FS 34079 (Aeromaster 1060) per le superfici superiori. I contorni tra i vari toni sono leggermente sfumati, ed ho quindi steso i colori direttamente a mano libera avendo l’accortezza di diluirli molto e di utilizzare una pressione dell’aerografo molto bassa. Per riprodurre l’andamento ondulato tra la separazione del grigio delle superfici inferiori e i vari colori delle superfici superiori, ho modellato un sottile “salsicciotto” di UHU Patafix che ho fatto aderire direttamente al modello lasciando il bordo leggermente rialzato per non dare uno stacco troppo netto. Quello del Patafix è un metodo semplice e sicuro poiché la sostanza si scolla senza problemi, non lascia residui e non intacca le vernici.

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I pozzetti dei carrelli sono in Interior Green FS 34151, mentre l’interno dei flap, degli aerofreni e dei portelloni sono nel classico Insigna Red FS 31136. Il cono del radome è invece in Nero, reso lucido per simulare la sostanza dielettrica con cui veniva ricoperta questa zona dell’aereo. Il weathering ha avuto inizio con l’uso del mix di Bruno Van Dyck e Nero passati su tutto il modello: questa volta però i colori ad olio sono stati poco allungati in modo da mantenere una consistenza più carica e mettere in risalto le pannellature in positivo. Ovviamente saranno necessarie più applicazioni per raggiungere il risultato desiderato. Terminato il washing i colori saranno molto più scuri dell’originale, aiutando non poco l’effetto del successivo post-shading attuato con le vernici di base schiarite con varie gocce di bianco e grigio. Anche in questo caso mano ferma e pressione bassa permetteranno di ripassare l’interno dei pannelli accrescendo l’usura del velivolo. Non contento, ho poi utilizzato un grigio molto scuro estremamente diluito per spruzzare un velo sulle linee in rilievo e accentuarne la tridimensionalità.

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Passiamo ora agli scarichi che sono stati dipinti con il classico Alluminio 11 Humbrol e invecchiati con varie mani di grigio scuro e nero per ricreare la cottura del titanio dovute alle alte temperature di esercizio. A questo punto uno strato sottile di future ha preparato il fondo per le vetuste ma ancora valide decalcomanie, che però presentano una finitura lucidissima e un film eccessivamente abbondante. Andranno quindi ritagliate per eliminare il rischio di silvering, e trattate con i liquidi Micro Scale per assicurare un’adesione duratura. Un’abbondante passata di trasparente opaco ha sigillato il tutto ed ha eliminato la patina lucida delle insegne. Piccola precisazione: le coccarde di nazionalità sono state sostituite con altre simili provenienti dal provvidenziale magazzino spare parts, poiché quelle in dotazione sono fuori centro e di dimensioni poco azzeccate.

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Un discorso a se meritano i carrelli che sono belli quanto fragili! La ditta americana ha dettagliato in maniera egregia le gambe di forza completandole con tubazioni idrauliche e vari cinematismi, ma la plastica con cui sono fabbricate non è molto dura rendendo il complesso poco propenso al sorreggere il peso di un modello di 40 cm! D’altro canto questo è quello che passa il convento… una volta terminato sarà meglio non spostarlo troppo dalla vetrina. La loro colorazione è completamente in alluminio, tranne gli pneumatici nel classico Tyre Black H-77 Gunze lumeggiato con una sbuffata di grigio più chiaro sul battistrada. Il materiale isolante giallo attorno ai frems è riprodotto mediante l’utilizzo di un nastro da disegnatori (di colore nero ma verniciato preventivamente in giallo) reperibile nei negozi di belle arti, che è modellabile e può essere anche curvato.

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Giusto il tempo di installare le luci di posizione trasparenti dietro al tettuccio, di collocare i vari pitot e antenne a lama, e incollare i flap e gli aerofreni in posizione aperta (configurazione usuale a terra dovuta alla perdita di pressione nell’impianto idraulico) e il mio Recon Voodoo è pronto per fare bella figura nella mia collezione. Un saluto… Alberto Borzellino.

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A-7E Corsair II – VA-87 Golden Warriors – dal kit Italeri 1/72.

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L’A-7E Corsair II era un aereo da attacco al suolo molto potente e di concezione moderna all’epoca in cui fu progettato e costruito dal consorzio Ling-Temco Vought. La Vought la conosciamo benissimo per averci regalato il primo indimenticabile Corsair che con il suo potente motore Twin Wasp e la sua caratteristica ala fa sognare noi modellisti appassionati di aerei imbarcati, ma soprattutto ha dato una grossa mano agli stati uniti durante la seconda guerra mondiale… La Ling-Temco era all’epoca un industria all’avanguardia per tecnologia elettronica applicata. L’A-7 Corsair II venne creato per sostituire dalla metà degli anni 60 il maneggevole e duttile A-4 Skyhawk. Il velivolo prestò servizio per la marina ed in seguito per l’aeronautica fino all’inizio degli anni 90. Nella sua proficua carriera non ebbe evoluzioni sostanziali ma continui aggiornamenti. Venne acquistato anche da Grecia e Portogallo, la Tailandia nel ’95 acquistò 18 A-7E ex U.S. Navy

Stavolta mi soffermo un po’ di più a parlare della storia del velivolo cui ho reso omaggio, dato che non è il solito F.18 o il solito Mustang…che conosciamo come le nostre tasche…

Alla fine degli anni ’50 U.S. Navy ed Usaf chiesero come requisiti del sostituto dello Skyraider e dello Skyhawk un aereo che avesse un raggio d’azione di 1100 km e capacità di carico di 6800 kg, imposero inoltre il motore Pratt & Whitney TF 30 e che il progetto derivasse da un aereo già in servizio. La LTV surclassò la concorrenza proponendo l’YA-7A derivato dall F-8 Crusader mettendo così in ombra i derivati dallo Skyhawk per la Douglas, il derivato dell’Intruder per la Grumman ed il derivato dell’ F-J Fury per la North American. Nel 1964 ebbe così il primo volo il prototipo del Corsair II che nel 1965 entrò in servizio insieme ad altri 35 esemplari più altri 2 prototipi. Iniziò così la storia dei 1569 A-7 prodotti. Nel 1985 venne richiesto un aereo per affiancare l’F16 nelle missioni di attacco e si pensò ad un A-7 supersonico, purtroppo i prototipi non divennero aerei “di serie” perchè gli F.16 vennero affiancati da…. … altri F.16…

A prima vista il Corsair II poteva sembrare un Crusader dalle linee meno spioventi e dalla fusoliera accorciata ma era un progetto solo di derivazione F-8, come prima cosa questo monoposto non aveva l’ala alta ad incidenza variabile come il suo “fratellone” ma fissa a freccia di 35 gradi con le estremità pieghevoli per ridurre l’ingombro nelle portaerei. Non necessitava dell’ala tipo Crusader viste velocità e dimensioni che ne permettevano agevolmente l’utilizzo anche sulle vecchie portaerei classe Essex.

In comune con l’aereo da cui derivava aveva la presa d’aria sotto al radome che faceva respirare il Pratt & Whitney TF 30 P6 da 5150 kg di spinta, lo stesso del nuovo (per l’epoca) bombaridere F111 Aardvark ma senza postbruciatore, dato che essere supersonici non era una caratteristica richiesta dal nostro A-7. Caratteristica di questo motore era quella di essere un Turboventola e non un Turboreattore, che aveva il vantaggio a parità di potenza di limitare drasticamente i consumi di carburante, che unito alla grande capacità di imbarcare “benzina” del Corsair II (5.655 litri nei serbatoi interni più la possibilità di agganciare sotto ai piloni serbatoi da 1134 litri l’uno) si traduceva in ben 3700 km di autonomia operativa. Si poteva poi rifornire in volo (scusate se è poco). Aveva anche il pregio di avere poca manutenzione, solo 11,5 ore di lavoro per ogni uomo, per ogni ora volata. Per l’epoca erano un gran cosa!

La nostra versione, ossia quella che vi mostro nell’articolo è la “E” e si differenzia dalle altre, prima di tutto per essere l’ultima ad essere prodotta per l’U.S. Navy poi per i motori TF 41 da 6810 kg di spinta. Poteva poi impiegare i missili antinave AGM 84A Harpoon e gli AGM 88 Harm. Nel 1977 tutti gli A-7E prodotti (e superstiti) vennero modificati per poter alloggiare il pod FLIR AN/AAR-4S al pilone alare interno destro mentre nel 1986, 231 di essi vennero modificati per alloggiare il pod elettro-ottico Low Attitude Night Attack (LANA), per permettere il volo notturno a bassa quota (60m. alla velocità di 740 km/h). Ne vennero prodotti in totale 529. Pur essendo più leggero rispetto alla versione A-7D per l’Usaf il suo armamento di base rimaneva invariato e cioè aveva due cannoni Colt Mk 12 da 20mm con 250 colpi l’uno posti ai lati della fusoliera, due lanciatori a rotaia a metà della fusoliera per i missili AIM-9 sidewinder e come alternativa ad essi, due razzi non guidati Zuni. Sotto ai piloni alari bisogerebbe consultare un enciclopedia (mi sto destreggiando con la carta stampata proprio ora) per le varie tipologie e quantità di armamenti, tra cui razzi non guidati, bombe a grappolo MK 20 rockeye e CBU 30, bombe al napalm BLU-27 da 377 kg, bombe non guidate M 117 ed Mk 82, Snakeye, Mk 83, Mk 84, bombe guidate GBU 10, GBU 15 e AGM 62 Walleye, missili antiradar AGM-45 Shrike ed AGM 78 Standard, missili aria terra AGM 65 Maverick, bombe nucleari B28 e B 43, bombe di profondità nucleari B57 e termonucleari B61. Ora ho veramente il fiatone!! Riprendiamo il respiro con una foto!

Nel 1988 tutti i Corsair II negli stati uniti erano già in esposizione statica o in attesa di demolizione, che avvenne nel 1998. Qui da noi in Italia ne abbiamo uno in livrea “low visibility” tutto grigio al museo dell’aviazione di Rimini, purtroppo si trova all’aperto e la sua vernice si sta deteriorando ma è l’unica possibilità di vederne uno (grazie museo dell’aviazione!!!)… Una nota curiosa sull’impiego dell’A-7 viene dall’Usaf che creò il 4450th Tactical Group con questi velivoli come programma di copertura per l’F 117 con dei Corsair II verniciati in tonalità dark per distrarre chi da terra vedeva un aereo Sthealth e per addestrare i piloti al Nighthawk. Quando gli stati uniti ammisero l’esistenza dell’ F117 il 4450Th venne sciolto e gli A-7 demoliti. L’unico paese al mondo ad utilizzarli è solo la Grecia, che ultimamente ci ha proposto una livrea “Tiger” veramente emozionante!!

Ora vi annoio o vi delizio, sta a voi dirlo con il montaggio e la verniciatura, se dite che vi annoio è peggio per voi!!

Scherzi a parte…aprendo la scatola Italeri (ex Esci), si nota la pulizia delle linee e la quasi assenza di bave di stampaggio. Si inizia dallo scarno abitacolo(come da tradizione dei kit economici e di vecchia fattura), formato da una piccola vasca, la cloche un cruscottino e le varie decal. Ho costruito il tutto da scatola aggiungendo solo pezzetti di plastica per rifinire il seggiolino e l’aggiunta delle cinture che ho realizzato con del nastro isolante tagliato sottile a striscioline. Le due parti della fusoliera combaciano in modo approssimativo nella zona della pancia e c’è bisogno di stucco, carta abrasiva e tanto olio di gomito per ripulire il tutto. Le ali si montano bene e la stuccatura l’ho messa lì con un po di colla vinilica tanto era sottile la fessura con la fusoliera. I carrelli sono semplici ma carini ma quello che mi ha sorpeso sono i piloni subalari, veramente belli e con le pannellature profondamente incise che aiutano molto nella fase di weathering e washing. Una piccola nota negativa è che non sono sufficienti armi e piloni per comporre le varietà di armamento che la scatola stessa propone dovendo così scendere a compromessi con la propria voglia di rendere combattivo il modello. Il plexiglas combacia perfettamente con le plastiche ed è di semplice mascheratura.

La verniciatura è stata la croce e delizia come ormai d’abitudine per me… naturalmente ho dato il molak grigio M14 come base per far aggrappare le vernici…su di essa ho fatto un bel pre-shading in nero lucido. Per la parte inferiore ho usato il bianco opaco Gunze, allungato con il suo diluente specifico. Il Light Gull Grey l’ho fatto io con il Grigio M14 ed il bianco opaco Molak. Dopo di questo ho passato il trasparente semi lucido, ho fatto il lavaggio ad olio con tinta Bruno Van Dyck diluito in acqua ragia ed asportato i residui con straccio di cotone e cotton fioc. ho applicato le decal e poi via di nuovo col trasparente semi lucido che ho porvveduto a mitigare con nuovi lavaggi ad olio per differenziare le varie zone di lucidità, non credo infatti che gli aerei imbarcati al rientro dalle loro missioni erano così puliti…però lo so che ho calcato un po’ la mano, lo so lo so, ma io gli aerei li amo sporchi!!!

Ora il mio Corsair affianca il Phantom e l’Hornet, quando tornerò dalle ferie inizierò un nuovo work in progress, naturalmente vestirà un due toni bianco-grigio ma sarà un progettino ambizioso niente male!!! A presto ragazzi e non dimenticate di guardare le foto che ho messo qui sotto!!! Buone Ferie!!!!

…CoB

Creazione dell’acqua per i vostri diorami

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Questo è un metodo (che ancora sto sperimentando) per fare una cosa che sembra difficilissima: l’acqua. Sembra un cosa difficile, ma in realtà è abbastanza semplice. Aggirando i costi spesso proibitivi delle resine si può creare molto semplicemente un torrente, il mare, una cascata e tutto ciò che rappresenta l’acqua; l’unica cosa è che per utilizzare questa tecnica l’acqua deve risultare “mossa”. Andiamo vedere però come realizzare queste cose.