giovedì, Maggio 9, 2024

Where the Astronauts Born – NASA T-38 A Talon dal kit Wolfpack in scala 1/48.

Il Northrop T-38 Talon è stato il primo addestratore supersonico ad entrare in servizio nel lontano 1961. Prodotto fino al 1972 per un totale di circa 1.148 cellule, è tutt’ora in servizio tra le fila dell’USAF e della Turkish Air Force rappresentando uno dei progetti aeronautici più longevi al mondo.

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La storia del Talon è indissolubilmente legata anche a quella della NASA (National Aeronautics and Space Administration). Agli albori della corsa allo spazio, infatti, l’ente americano si trovò a selezionare i primi astronauti per il programma Gemini prelevandoli direttamente dai reparti operativi dell’USAF e della U.S. Navy ed individuando, quindi, piloti già formati e con una certa esperienza. Questi arrivarono a comporre un gruppo di 24 persone che, oltre alle competenze specifiche, dovevano mantenere anche quelle relative al volo. Inizialmente la NASA utilizzò alcuni T-33 e F-102 appartenenti all’USAF ma ben presto si rese conto che era necessario disporre di una flotta dedicata e permanente.
Nella scelta dei candidati ideali, i vertici dell’amministrazione analizzarono l’F-4 Phantom e, appunto il T-38 Talon; a parità di rapporto tra costi e benefici per ore volate, giudicarono idoneo il secondo.

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La NASA ricevette i primi cinque trainer nel 1964 in prestito dall’Air Force, ma nel giro di breve tempo ne acquisì ulteriori venticinque (portati poi, nel corso degli anni, ad un totale di circa trentadue) – tutti basati sulla Ellington Air Force Base, nei pressi del Johnson Space Center.

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Gli aerei furono inizialmente impiegati per il solo addestramento dei piloti ma, a partire dal programma Apollo, la NASA aprì le selezioni anche a ingegneri e tecnici che non avevano esperienza di volo alcuna. Ai nuovi specialisti di missione, vista anche la complessità sempre crescente delle capsule e dei compiti a loro assegnati (come le attività extraveicolari e gli agganci tra moduli spaziali diversi), venivano richieste conoscenze sempre maggiori e diversificate. Parte di queste venivano trasmesse tramite simulatori statici a terra, ma era necessario garantire agli addetti un addestramento completo alle procedure e alle situazioni di emergenza in ambiente reale per prepararli alle sensazioni e allo stress psico-fisico di quei momenti; per questo motivo la NASA introdusse lo Spaceflight Readiness Training (SFRT) dove, ancora una volta, veniva utilizzato il T-38.
Solitamente gli ingegneri sedevano nell’abitacolo posteriore e potevano andare in volo solo in coppia con un pilota qualificato; essi venivano formati sulle procedure radio, su alcune manovre e inviluppi specifici ma non erano abilitati alla condotta del velivolo.

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Con l’avvento dello Space Shuttle i Talon furono proficuamente impiegati per lo studio e addestramento dei piloti di missione nelle procedure di rientro nell’atmosfera e atterraggio. A tale scopo, due esemplari furono modificati con degli aerofreni maggiorati per simulare il tipico avvicinamento “ripido” (Steep Approach) della navicella.

Dagli albori ad oggi il Talon ha contribuito a formare generazioni di astronauti, anzi, in alcuni casi si può dire che li ha fatti nascere.

Il kit:

Nel 2013 la Wolfpack annunciò l’uscita di uno stampo “new tool” di questo soggetto e, complice un prezzo invitante, decisi di acquistarlo con l’idea di realizzarne uno in livrea Aggressor dell’USAF. I miei programmi hanno preso una via inaspettata quando lo scorso anno i modellisti romani di Modeling Time scelsero, per l’annuale Pizza Contest, il tema NASA. Avevo il kit… avevo un “movente” … perché non metterlo sul banco di lavoro?

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Prima di iniziare questa nuova avventura mi ero un po’ documentato sul panorama delle scatole di montaggio dedicate al T-38 scoprendo che anche la Sword prima, e la Trumpeter poi, avevano realizzato due modelli nella scala del quarto di pollice. Il primo, anche se sostanzialmente corretto, era uno short run con dettagli molto approssimativi e oramai non più all’altezza degli standard moderni; il secondo, semplice nel montaggio, soffriva di qualche problema di forma (tanto, oramai, siamo abituati alle carenze documentative cinesi) soprattutto delle prese d’aria. A conti fatti, senza quasi volerlo, avevo già in casa il Talon più corretto in circolazione.  

Devo dire che gli sprue catturano subito l’occhio e, sebbene anche questo kit sia uno short run (pur se molto più evoluto), il prodotto della Wolfpack è accattivante ed ha un bel dettaglio in negativo. Inoltre nella confezione in mio possesso c’erano dei seggiolini in resina, le maschere pre tagliate per i trasparenti, una lastrina di fotoincisioni e un provvidenziale pitot in ottone tornito, tutti accessori sempre molto graditi da noi modellisti!

Ma non è tutto oro quello che luccica e procedendo con la costruzione ho dovuto risolvere alcuni problemi e sopperire a parecchie mancanze della ditta coreana… continuando la lettura di questo articolo capirete il perché delle mie affermazioni.

Cockpit:

Parto subito col dire che questa zona è molto basica e mancano diversi elementi all’appello. Studiando la documentazione, in particolare il volume della DACO (Uncovering the Northrop T-38 A, AT-38, T-38 C Talon), ho notato subito che le pareti laterali, sopra le consolle, hanno un rivestimento in plastica semi rigida che copre cavi elettrici e vari rinvii del sistema di blocco dei canopy.

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Utilizzando l’ottimo Magic Sculpt (una pasta bicomponente molto plastica e perfetta da plasmare mentre ancora è umida) ho rimodellato le paretine aggiungendo anche alcuni dettagli quali i bottoni e le piastre di fissaggio del rivestimento stesso, e i tubi del sistema anti appannamento dei canopy (rifatti con dei tubicini di ottone della Albion Alloy da 0,2 e 0,4 mm):

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Dalle prime prove a secco ci si accorge che la precisione non è la virtù di questo kit e i cruscotti non fanno eccezione lasciando un vuoto importante rispetto la fusoliera. Documentazione alla mano ho riempito tutto utilizzando del Plasticard da 0,2mm sagomato:

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Inoltre il pannello strumenti anteriore risulta più alto di circa mezzo millimetro e non permette alla palpebra di incastrarsi a dovere, quindi è stato necessario accorciarne le basi con una limetta.

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II sistema di apertura dei canopy del T-38 è un meccanismo complicatissimo e affascinante… osservandolo bene ci si accorge che è fatto da tantissimi elementi, bracci e carrucole. In pratica è un vero capolavoro di ingegneria! un abbozzo di queste carrucole, che servono ad agevolare l’apertura da parte del pilota e ad evitare che il plexiglass si apra con troppa violenza danneggiando le cerniere, è stampata sulla rotaia del seggiolino dell’istruttore (ma esse sono davvero sgraziate e fuori scala).

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Dopo averle eliminate con un bisturi affilato, ho ricostruito i pezzi con del Plasticard da 0,2 (ulteriormente assottigliato):

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I due dischetti giallo/verde raffigurano altre due carrucole in cui passano i cavi d’acciaio del sistema sopra indicato; essi, poi, si infilano all’interno di quei due cilindri laterali dove scorrono dei contrappesi.

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Ho anche aggiunto altre aste, molle di ritenuta, tiranti e supporti utilizzando i materiali più disparati e che ho riassunto nella foto seguente.

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I bracci di sollevamento del tettuccio anteriore sono quelli che creano più problemi perché non ci sono perni di riscontro sulla plastica che ne agevolano il posizionamento e, osservando le immagini, hanno anche delle forme e dimensioni non troppo corrette. Sulle fattezze ho deciso di non intervenire in modo invasivo dato che sarebbe stato troppo complicato rifare tutto da zero: i montanti, infatti, non hanno uno spessore regolare, bensì quelli reali si allargano e si stringono in determinati punti della struttura.
Ho deciso di rimuovere il solo supporto inferiore e rifarlo in Plasticard rendendolo maggiormente in scala (lo notate, è di colore bianco), e di ricostruire i due elementi contrassegnati dalle frecce.

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Per la posizione, invece, si può intervenire senza troppi patemi d’animo usando come riferimento i trasparenti stessi; li ho fissati con delle piccole palline di Patafix, poi ho preso le misure in base al montante fisso centrale e al seggiolino che ho provvisoriamente inserito nella vasca.

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Suggerisco di non affidarsi alle indicazioni de foglio istruzioni altrimenti il canopy anteriore sarà troppo arretrato, falsando completamente la linea del velivolo.

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Altra nota dolente è la dimensione della palpebra dell’istruttore che è decisamente troppo stretta in larghezza. Sul velivolo reale essa va quasi a contatto con i braccetti del canopy anteriore lasciando poco spazio ai lati; al contrario nel kit si crea un “buco” difficile da colmare senza ingannare un po’ l’occhio.

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Ed è quello che ho fatto… ovvero ho ricreato, ricostruendole più grandi, le due piastre di fissaggio del sistema di apertura (sono evidenziate dalle frecce in rosso e sono rifatte con del Plasticard da 0,2 mm, incluse le costolature superiori). Nella realtà questi elementi sono nettamente più piccoli ma fortunatamente, a modello finito le differenze si notano poco.

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Per quanto concerne la verniciatura, tutto l’abitacolo è in Gunze H-307 mentre i particolari in nero li ho verniciati in Black Vallejo. Parte della strumentazione è in decalcomania (inclusa nel foglio originale) e combacia quasi alla perfezione con il dettaglio stampato sulle parti in plastica. Tutta la parte inferiore dei cruscotti e le consolle sono, invece, verniciate a pennello.

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Sulla consolle destra dell’istruttore è installata una luce di lettura con il caratteristico filo arrotolato. Il corpo l’ho riprodotto con una sezione di tubicino d’ottone della Albion Alloy da 0,4 mm, il cavo elettrico è una corda di chitarra piegata (con fatica) per fargli assumere la forma corretta.

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I seggiolini in resina, ad un’occhiata più attenta, hanno alcuni particolari non ben definiti e abbozzati ma nel complesso fanno comunque una buona figura. Quello anteriore va completato aggiungendo il rostro frangi vetro posto sopra il poggiatesta che ha una forma abbastanza particolare; personalmente l’ho riprodotto sagomando un pezzo di cornice di una vecchia fotoincisione che ha il giusto spessore per la scala.

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In foto i colori utilizzati per completare i sedili. Dopo la verniciatura ho applicato i lavaggi ad olio (in grigio scuro sulla struttura, in Bruno Van Dyck scurito con del nero sui cuscini) e, a seguire, una mano di opaco Gunze H-20. Per mettere in risalto le forme ho applicato la tecnica del dry brush al solito, come mio modus operandi, realizzata con colori ad olio (grigio molto chiaro sulle zone in grigio, grigio medio sul poggiatesta e le cinture di sicurezza e ocra gialla sulle imbottiture della seduta).

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Gli stessi passaggi, in pratica, li ho eseguiti anche sulla vasca utilizzando i medesimi colori (ad eccezione dell’ocra gialla).

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Montaggio:

L’unione delle due semi fusoliere non presenta grossi problemi, c’è giusto un minimo disallineamento delle pannellature che si risolve forzando i pezzi e incollandoli con la ciano-acrilica. Per sicurezza ho deciso di aggiungere qualche piombino da pesca all’interno del muso anche se, da una prova sommaria, il modello è già bilanciato e non dovrebbe sedersi sulla coda una volta montati i carrelli (la prudenza non è mai troppa).

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Il primo grosso scoglio da affrontare riguarda l’inserto che chiude il ventre della fusoliera, che è a parte ed ha un fitting terribile. Per parare il colpo ed evitare carteggiature invasive (la zona, come vedete dalle foto, è piena di dettagli) ho deciso di giocare di anticipo tentando di allineare al meglio il pezzo e inserendo degli spessori in Plasticard nelle zone indicate dalle frecce.

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Dopo abbondanti spennellate di Tamiya Extra Thin Cement ho iniziato a chiudere le fessure con Attack, unico riempitivo utile poiché lungo le giunzioni dovranno essere reincise parecchie pannellature. Nella zona indicata ho utilizzato quantità importanti di ciano-acrilica per livellare uno scalino molto vistoso.

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Documentazione alla mano, ho iniziato ad aggiungere molti particolari esterni visibili tralasciati o appena accennati. Tra questi c’è lo scarico dello scambiatore di calore del sistema di condizionamento delle cabine che la Wolfpack ha rappresentato semplicemente come un avvallamento della superficie.

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Ho deciso di bucare la plastica quel tanto che basta per alloggiare un tubicino di Evergreen da 2,4 mm di diametro, incollato con l’onnipresente Attack e riportato a misura con carte abrasive via via sempre più fini.

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Lungo i fianchi sono installati due indicatori visivi dell’olio motore (uno per lato). Quando il livello è sufficiente questi segnalano uno spicchio bianco in alto ed uno rosso in basso. Quando il livello è insufficiente l’indicatore è completamente rosso. Con una punta in carburo da 1 mm ho aperto lo scasso nella fusoliera al cui interno ho inserito un cilindro di plexiglass di circonferenza simile; il fondo l’ho verniciato per metà bianco e per metà rosso per rappresentare un esemplare operativo e con livelli di lubrificante idoneo. Ho stuccato tutto con Attack che una volta lisciato e lucidato è trasparente e cristallino.

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Sul dorso, ma anche in altre zone purtroppo, alcune incisioni sono incomplete o altre sono state del tutto omesse; per fare un esempio, i pannelli rettangolari alla base della deriva (su entrambi i lati) sono forniti in decal – una scelta non proprio raffinata. Non volendo adottare questa soluzione ho reinciso tutto ciò che mancava.

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Prima di procedere oltre con il montaggio, approfittando dei vari sottoinsiemi ancora scomposti, ho preferito dettagliare i pozzetti carrello principale e aerofreni. Ho aggiunto anche delle file di rivetti, come visto in varie foto, prelevandoli dal set AR88089 della Archer Fine Transfer. L’alloggiamento anteriore, al contrario, l’ho volutamente tralasciato poiché a modello ultimato sarà quasi del tutto chiuso dal portellone.

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Anche le ali non brillano per accuratezza e quando si uniscono le superfici superiori con quelle inferiori si creano dei fastidiosi gap (che ho livellato con strisce di Plasticard e colla ciano-acrilica).

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Ad ogni modo, una volta completate, ho iniziato le prove a secco per rendermi conto degli incastri rispetto la fusoliera confermando, ancora una volta che il kit è abbastanza approssimativo. La carlinga stessa è troppo stretta e crea ampi scalini e fessure rispetto le semi ali e l’inserto inferiore che chiude il cassone nella zona dei motori.

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Per riportare gli elementi in squadro ho optato ancora una volta per il metodo già utilizzato sul mio Mirage Eduard di qualche tempo fa, il link QUI!

In pratica ho inserito dei distanziali, ricavati dagli stessi sprue del kit, per allargare e riportare a misura le varie parti; quelli evidenziati dalle frecce di colore rosso sono inserti fissi che ho incollato con generose spennellate di Tappo Verde, quello in giallo è mobile e l’ho sfilato dall’apertura degli scarichi dopo che la fusoliera si era saldata a dovere (altrimenti i condotti dei motori non avrebbero avuto sufficiente spazio).

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Per raggiungere un accoppiamento ancor più preciso ho incollato alcuni pezzi di Plasticard con funzione di perni di riscontro e battuta, tutto per evitare che il complesso alare sprofondasse all’interno aumentando le dimensioni dello scalino.

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Prima di chiudere tutto è molto importante copiare il profilo della fusoliera: lungo la giunzione, infatti, corre una pannellatura che ricalca pedissequamente l’andamento della linea e che, di conseguenza, andrà poi reincisa. Tramite la sagoma ho ricavato una dima in Plasticard che mi ha aiutato, e non poco, a guidare lo scriber.

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Se tutto il lavoro di spessoramento è andato a buon fine, le fessure delle ali risulteranno facili da sistemare utilizzando solo un po’ di Magic Sculpt lisciato con un cotton fioc inumidito d’acqua.

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Gli alloggiamenti per i perni di rotazione dei piani di coda sono imprecisi pur facendo collimare al meglio la fusoliera.

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A questo punto non ho potuto far altro che aumentarne il diametro mediante una fresa montata sul fidato trapanino elettrico…

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Inserire al suo interno una sezione di tubicino Evergreen da 3,2 mm di diametro…

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Incollare il pezzo con ciano acrilica (in modo anche da sanare le imperfezioni che inevitabilmente si formano), carteggiare e allargare leggermente il foro interno per permettere ai pivot dei taileron di infilarsi a dovere.

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Le superfici di governo, alla fine, si incastrano talmente bene che rimangono in posizione anche senza colla.

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Un altro problema riguarda la carenatura aerodinamica fissa alla base del timone di direzione che, purtroppo, è più corta e bassa del dovuto. 

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Ho preferito asportarla completamente dalla fusoliera e ricostruirla con dei profilati sagomati di Evergreen che ho incollato e raccordato direttamente alla deriva.

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Rimanendo in questa zona, facendo ancora una volta riferimento a libri e foto mi sono accorto di altri particolari su cui lavorare:

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Verde: questa pannellatura non è presente su tutti gli esemplari, probabilmente essa dipende dal block costruttivo. Sui velivoli assegnati alla NASA, da quello che sono riuscito a capire, non è mai visibile e l’ho quindi eliminata stuccandola su ambo i lati.

Rosso: il “bulbo” stampato dalla Wolfpack è un errore segnalato anche da altri modellisti, in quel punto infatti c’è solo una pannellatura circolare a filo col resto della superficie. Ho provveduto a carteggiare e a reincidere il pannello.

Giallo: evidenziata in giallo è la luce di navigazione che ho riprodotto forando la plastica e inserendovi un tondino trasparente in plexiglass.

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Sulla sommità dell’impennaggio è montata l’antenna VOR/ILS. Quella fornita nel kit ha uno spessore decisamente fuori scala e per questo ho deciso di ricostruirla da zero usando una lastrina di Plasticard con spessore 0,2 mm (ulteriormente assottigliato). Il nuovo pezzo l’ho incollato con abbondanti spennellate di Tamiya Tappo Verde.

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Ho anche riprodotto il raccordo aerodinamico sul bordo d’uscita sfruttando un piccolo triangolo dello stesso materiale usato sopra, sagomato con una lima a sezione circolare.

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La zona segnalata dalla freccia è stata rappresentata piatta dalla ditta coreana quando, nella realtà, in quel punto si crea una curva di raccordo (anche abbastanza vistosa) tra i due scarichi.

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Lo si evince anche dalle foto dei velivoli reali, come questa:

Immagine proveniente da www.cybermodeler.com/

Armato di trapanino elettrico e una fresetta, ho asportato la plastica in eccesso cercando di ricreare questa forma caratteristica. Ovviamente per fare questo ho anche eliminato la piastra che scherma il calore dei turbogetti in plastica (tra l’altro abbastanza approssimativa) che ho sostituito con la fotoincisione fornita nel kit (decisamente più accattivante):

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Nella realtà le coperture degli scarichi sono fissate alla struttura con una serie di rivetti a testa tonda ben visibili in tutte le foto:

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Purtroppo sul kit sono stampati in negativo e non sono neanche ben allineati tra loro. Per questo motivo li ho chiusi uno ad uno utilizzando il solito Attack, poi lisciati e lucidati per farli sparire sotto la superficie. Per ricreare il dettaglio sono ricorso nuovamente ai positive rivet della Archer (set 88146) che hanno svolto un lavoro egregio:

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Già che c’ero ho approfittato per aggiungere una serie di sfiati ricreando i piccoli fori che vedete evidenziati dalle frecce in rosso.

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Le prese d’aria sono altri due elementi abbastanza critici di questo kit e, tanto per cambiare, non si incastrano granché bene. Inoltre il labbro esterno ha una strana “modanatura” stampata dalla Wolfpack che sul velivolo reale è assente; dovendo già stuccare e lisciare i condotti per eliminare i segni di giunzione, ho asportato anche questo dettaglio non utile.

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A seguire ho incollato gli intake che mi hanno dato un po’ di filo da torcere: a sinistra la situazione era leggermente migliore rispetto a destra dove ho dovuto riempire le fessure utilizzando dei profili in Plasticard. Stessa operazione, purtroppo, si è resa necessaria anche nella parte inferiore.

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Ho anche approfittato per assottigliare i bordi d’attacco che non sono propriamente in scala.

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Con la maggior parte delle correzioni già apportate, la mia attenzione si è spostata sull’ultima e, forse, anche la più impegnativa: la riproduzione del blindo-vetro centrale che divide i due abitacoli. Inutile dire che tra le stampate c’è solo il frame centrale, quello esterno per intenderci, ma il divisorio non è proprio previsto.

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Comunque, dopo alcune prove, ho deciso di disegnare la sagoma del pezzo in plastica su di un cartoncino e passarla allo scanner per digitalizzarla. Il file ottenuto l’ho dato “in pasto” al programma del mio plotter da taglio con cui ho progettato la cornice interna su cui il trasparente è fissato:

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Il pezzo così ottenuto è in Plasticard da 0,1mm che ho assottigliato ulteriormente con qualche colpo di lima. I rinforzi sono dello stesso materiale tagliato in piccoli triangolini, poi saldati con l’ausilio della Extra Thin Cement Tamiya che è provvidenziale per questo genere di lavorazioni. La freccia gialla indica una piccola maniglia realizzata con acciaio armonico sagomato.

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Nella fase successiva ho incollato il montante centrale sul modello: devo segnalare che esso è più stretto rispetto la sede prevista, pertanto è necessario forzarlo e allargarlo affinché le basi vadano a filo con la fusoliera.

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La struttura è anche carente del rinforzo su cui si poggia il canopy e su cui fa pressione la guarnizione di tenuta, personalmente l’ho riprodotto con una strisciolina del solito Plasticard anch’essa incollata con la Tamiya tappo verde.

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Tutte queste zone sono verniciate in rosso sui Talon, anche quelli della NASA, per ricordare a tutto il personale che… potrebbe rimetterci le mani se le lascia in quei punti, mentre i canopy si chiudono…!

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A questo punto ho di nuovo acceso il plotter per tagliare il blindo-vetro utilizzando un foglio di acetato trasparente. L’ho incollato alla cornice in Plasticard, precedentemente verniciata in Gunze H-307, con due micro gocce di Vinavil lasciando asciugare il tutto per qualche ora.

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Alla fine ho aggiunto la cornice esterna che ha avuto doppia funzione: rifinire il pezzo e nascondere lo spessore di quella interna. Non ho utilizzato il Plasticard in questo caso, bensì il nastro Kabuki che, tra l’altro, è già adesivo e non si corre il rischio rovinare la trasparenza del vetrino utilizzando altri collanti. Mi è bastato verniciarlo con lo stesso colore del cockpit e applicarlo.

Alla base del vetro, sul velivolo reale, c’è una guarnizione nera; per questa nuovamente ricorso al Kabuki, ma questa volta già nero in partenza. È importante non scegliere il classico nastro giallo perché, altrimenti, si vedrebbe il colore dalla parte interna del frame, e sarebbe davvero anti estetico.

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Passando oltre ma rimanendo sempre in tema, il parabrezza è tutto fuorché preciso nelle dimensioni, purtroppo. Nonostante svariate prove a secco e aggiustamenti, larghezza rimane insufficiente rispetto il suo alloggiamento.

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Ma prima di fissarlo in posizione ho dettagliato un po’ l’interno aggiungendo una fila di rivetti in positivo della Archer sul frame centrale. Sempre sullo stesso componente è installata la bussola di emergenza che è tra i pezzi del kit ma decisamente inadeguata.

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Per tale motivo ho deciso di auto-costruirla da zero partendo da un rod Evergreen tondo da 0,75mm su cui ho incollato una fotoincisione proveniente dal set “Scale Modern Jet Components” della Airscale, completata da una decal dal set “Scale Modern Jets Cockpit Dataplate & Warning Decals” della medesima ditta. Il tocco finale è stato il cavetto elettrico per la retroilluminazione dello strumento simulato con del filo di rame.

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Prima di incollare il windshield l’ho fissato in sede con un pezzo di nastro Kabuki allargandolo leggermente (senza esagerare e senza correre rischi di crepe irrecuperabili), poi ho spennellato le giunzioni a contatto con la fusoliera mediante la Tamiya “tappo verde” saldandole alla plastica del kit. Nonostante tutti gli sforzi si è reso necessario stuccare il pezzo (con colla ciano-acrilica) e carteggiare pesantemente:

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Per ridare trasparenza al pezzo ho eseguito i passaggi spiegati nel nostro VIDEO TUTORIAL. E questo è il risultato finale:

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Altra grave carenza di questo modello è la trasparenza di entrambi i tettucci. Evidentemente gli stampi non sono stati lucidati e rifiniti a dovere dal produttore col risultato di avere le parti trasparenti con una superficie satinata e piena di graffi. Per ripristinarne la limpidezza ho dovuto carteggiare approfonditamente ricorrendo, ancora una volta al tutorial linkato sopra; il risultato finale non è dei migliori ma sicuramente più accettabile della situazione di partenza.  

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Sul dorso della fusoliera, sotto la deriva, sono presenti due air scoop; sul velivolo reale questi sono fissati a delle piastre di rinforzo sagomate che ho tagliato, anche questa volta, col plotter.

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Anche le gambe di forza dei carrelli hanno ricevuto delle migliorie, quelle più estese hanno riguardato l’anteriore. Il pezzo da scatola è molto scarno e anche molto incompleto:

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Ho aggiunto i due smorzatori utilizzando dei tubicini in ottone della Albion Alloy di varie sezioni; le teste di fissaggio alle estremità sono vecchie fotoincisioni modificate e adattate allo scopo.

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Anche il braccio frontale a “V” ha subito pesanti interventi scavando la plastica e riproducendo l’ammortizzatore centrale.

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Sui posteriori mi sono limitato ad eliminare le bave dello stirene e ad aggiungere i cavetti elettrici ed idraulici dei freni (il materiale scelto è stato il filo di stagno Plus Model da 0,2mm).

Al termine di questa lunga sequenza di montaggio il modello si presenta così:

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Verniciatura:

La livrea dei Talon della NASA ha subito vari cambiamenti durante gli anni di servizio, quella da me scelta è del 2004 circa.

Immagine proveniente da: http://www.dfrc.nasa.gov/Gallery/Photo/T-38/

Per il fondo, ovviamente bianco, non ho usato i classici colori acrilici, smalti o lacche, bensì mi sono affidato al Mr. Finishing Primer 1500 White della Gunze; non è la prima volta che lo utilizzo come vernice vera e propria e ogni volta ho ottenuto un risultato ottimo. Ho diluito questo prodotto all’80% circa col Mr. Levelling Thinner, sempre della Gunze, e ne ho atteso la completa asciugatura (il modello può essere maneggiato già dopo circa 20 minuti comunque). Trascorse 24 ore ho carteggiato le superfici con carte dalla grana 3000 alla 10.000 raggiungendo una finitura liscia e molto vellutata.

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Al contrario delle vernici classiche, questo primer regge molto bene le manipolazioni, si maschera senza problemi ed è davvero molto coprente. Personalmente per questo genere di verniciature lo reputo il massimo e lo consiglio.

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Per il pannello anti riflesso sul muso, il bordo di attacco delle ali, prese d’aria e piani di coda ho optato per il Mr. Finishing Primer 1500 Black per i medesimi vantaggi già segnalati qualche riga sopra.

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A proposito dei bordi di attacco, sul velivolo che ho scelto (e non solo su quello) hanno un andamento particolare con le estremità che si rastremano alla fusoliera e alle tip. Dato che è importante ottenere delle forme uguali e speculari, anche in questo caso ho progettato delle mascherine pre tagliate col plotter.

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Le estremità delle ali e dei taileron sono verniciate nello stesso blu delle fasce in fusoliera; il riferimento ufficiale della NASA corrisponde all’F.S.15092. Partendo dal presupposto che non esiste un colore pronto con questo codice (purtroppo), in ogni caso sarebbe inutile averlo perché la tinta a cui ci si deve rifare è quella delle decalcomanie e che, ovviamente, non sono codificate in Federal Standard. Ho provato a replicare un mix di vernici per raggiungere l’esatto tono delle decal Wolfpack, ma ogni tentativo non mi ha del tutto soddisfatto. Alla fine, nel mio magazzino, ho trovato una vernice che si avvicinava abbastanza – un barattolo di smalto Revell Email Color SM350. La tinta non è del tutto fedele ma è pur vero che le zone sono molto delimitate e alla fine non si nota molto la differenza.

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Le coperture dei jet pipe (scarichi motore) sono state verniciate dapprima in Alclad Airframe Aluminium, poi scurite con delle velate leggere di Steel (diluito con la nitro).

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Le luci di posizione alari sono il Clear Red e Clear Blue Tamiya (scuriti con del Transparent Smoke Alclad), stesso rosso usato anche per la beacon light rettangolare sulla deriva. La flood light (quella circolare) l’ho lasciata trasparente ma ne ho verniciato uno “spicchio” con lo Smoke Alclad in accordo con le foto reperite nei vari walkaround in rete:

Immagine proveniente da www.net-maquettes.com/

Lavaggi e decalcomanie:

Arrivato a questo punto ho steso le prime tre mani di trasparente lucido H-30 Gunze diluito all’80% con il Mr. Levelling Thinner. A completa essiccazione ho ulteriormente lucidato le superfici con la pasta abrasiva Coarse della Tamiya allo scopo di ottenere una finitura a specchio; tale procedimento l’ho ripetuto dopo ogni mano di clear fino a quella finale.

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I lavaggi li ho eseguiti con colori ad olio mediante un grigio molto chiaro (mix di Bianco di Marte e Nero D’Avorio della Maimeri) e cercando di non marcare molto l’effetto sulle pannellature. Come si può vedere dall’immagini qui sotto, i velivoli assegnati alla NASA sono davvero ben tenuti e a volte è quasi impossibile notare l’andamento dei vari pannelli.

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Non me la sono sentita di non applicare la tecnica del washing perché, altrimenti, il modello sarebbe risultato davvero piatto. Il colore ad olio ha contribuito a dare un minimo di volume alle forme ma il mio consiglio è quello di non esagerare, anzi. All’interno dei pozzetti ho preferito utilizzare gli acquerelli che sono più facili da rimuovere e mi hanno permesso di non sporcare troppo una zona che, in realtà, è molto pulita.

Decal:

Le decalcomanie meritano una prefazione. Avendo a disposizione una scatola che non prevedeva insegne per l’ente spaziale americano, avevo preventivamente acquistato un aftermarket della Fundekals (una piccola ditta americana).

A prima vista il prodotto è davvero bello e accattivante, complici anche delle istruzioni ben disegnate e complete di tante informazioni sui singoli velivoli proposti. Ad un esame più approfondito, al contrario, ho notato che i colori delle bande laterali non erano poi così corretti e nel foglio mancavano parte degli stencil di manutenzione necessari per completare il modello (in particolare le walkway nere presenti sul dorso delle ali). Inoltre proseguendo la ricerca e lo studio della documentazione ho anche constatato degli errori sugli esemplari proposti, ma di questo ho parlato nella prima pagina del Work In Progress sul nostro forum.

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A conti fatti l’acquisto è stato abbastanza deludente e di conseguenza ho deciso di richiedere direttamente alla Wolfpack il piccolo foglietto originale incluso nella scatola dedicata alla NASA; mi è stato spedito con pochi Euro di spesa e, devo dire, il servizio clienti è stato ottimo. Inoltre la sua qualità mi ha stupito: decal ben stampate e dai colori saturi, scritte di manutenzione molto nitide e film molto lucido… a saperlo prima avrei risparmiato i soldi per l’acquisto delle Fundekals (anche se da esse ho recuperato un particolare di cui parlerò tra poco).

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Prima di applicarle ho eseguito delle prove a secco delle bande laterali, di cui temevo un’eccessiva lunghezza. A tale scopo ho fotocopiato le insegne e ho ritagliato quelle che mi servivano per avere un riscontro; dopo averle posizionate provvisoriamente con dei pezzi di nastro ne ho controllato le misure: le strisce anteriori sono molto precise e sbordano solo di circa mezzo millimetro sull’ogiva del musetto in nero (basta “trimmarle” spuntandole leggermente prima di trasferirle sul kit). Le posteriori sono più lunghe di 2,5mm ma non è un problema sistemarle – le ho riportate a misure tagliandole lungo la pannellatura che delimita la zona degli scarichi mediante la lama nuova di un bisturi n°11.

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Le restanti calzano a pennello, hanno un potere adesivo soddisfacente (ma permettono di essere riposizionate senza problemi) e reagiscono perfettamente ai liquidi ammorbidenti della Microscale.

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Montaggio finale:

Dopo lunghe fatiche la fine dei lavori si avvicina. Di seguito tutti gli elementi, quali carrelli, portelloni e pitot (la Wolfpack fornisce le spirali rosse in decal ma io ho preferito verniciarle) pronti per essere installati.

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I canopy, dopo aver eliminato le mascherature, sono stati completati con i tubi del sistema de-mister (anti appannamento) sui lati: anche questi sono inclusi nella confezione sottoforma di fotoincisioni ma, personalmente, ho preferito rifarli da capo con del tubicino di ottone della Albion Alloy per dargli maggiore tridimensionalità. Un tocco di colore è rappresentato dalle guarnizioni che su alcuni aerei sono arancioni.

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Sul tettuccio posteriore ho aggiunto il nome del pilota/astronauta che, stavolta, proviene dal Fundekals (uniche decal da lì prelevate).

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Le quattro piccole antenne per comunicazioni UHF, caratteristica di questo esemplare specifico, sono verniciate in nero e applicate due sulla dorsal spine superiore, e due sulle superfici inferiori. Tutte provengono dal magazzino pezzi di, avanzi di un vecchio A-4 Skyhawk Hasegawa. Sulla sommità della deriva, invece, c’è un’antenna VHF a frusta che ho ricreato con una sezione di corda di chitarra.  

Talon END 2 Talon END 6

Per ultimo ho ricostruito e aggiunto il trasduttore del sensore dell’angolo d’attacco (AOA) sul lato destro, sotto il cockpit anteriore. È fatto di rame (l’asta) e da Plasticard sottile (la paletta).

Talon END 9 Talon END 3

Conclusioni:

Se avete avuto la pazienza di leggere l’intero articolo vi sarete resi conto che questo è uno dei classici progetti solo in apparenza semplici. Il kit nasconde delle mancanze che, per chi non è amante del super dettaglio e della fedeltà assoluta, possono anche essere tralasciate. Per i più esigenti questo T-38 necessita di molti, forse troppi, interventi per poter essere portato ad un livello accettabile.

Talon END 7 Talon END 17

Ad ogni modo questo progetto, con la mente, mi ha riportato indietro di molti anni. Mio padre, colui che mi ha trasmesso questa bella passione per il nostro hobby, è da sempre un appassionato di velivoli della NASA e delle missioni spaziali… ricordo ancora quando realizzò anche lui un Talon con questa livrea (un vecchio Hasegawa in 1/72) tanto, tanto tempo fa. Io, ancora bambino, lo osservavo mentre era alle prese con il suo modello… a lui dedico con piacere il mio!

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Buon modellismo a tutti!

Valerio – Starfighter84 – D’Amadio.

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