giovedì, Marzo 28, 2024

Bf.109 G-14 “1 Giallo” Magg. Bellagambi – dal kit Eduard in scala 1/48.

Sul caccia di Willy Messerschmitt sono stati spesi fiumi di inchiostro ed è oggetto, da sempre, di lunghe ed approfondite disamine storiche e tecniche. Non starò qui, quindi, a tediarvi con l’ennesima premessa che, per la natura di questo blog, non potrebbe essere né esaustiva, né completamente utile.

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Meno nota, sia a causa del breve e concitato periodo in cui operarono, sia per la “damnatio memoriae” cui fu sottoposto l’argomento per troppi anni, nel dopoguerra, è la storia dell’impiego del Bf.109 (e degli uomini che lo pilotarono e mantennero in efficienza) in seno all’Aeronautica Nazionale Repubblicana. A partire dalla metà del 1944, l’aviazione repubblichina ricevette circa 200 esemplari suddivisi nelle versioni G-6, G-12, G-14 e G-14 AS, G-10 e K-4 impiegati nella difesa delle città settentrionali sottoposte a incessanti bombardamenti da parte delle forze alleate.

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I velivoli, gran parte già con parecchie di volo all’attivo, ebbero caratteristiche disomogenee e furono equipaggiati con diversi Umrüst-Bausatz e Rüstsätze (i famosi kit di modifica e accessori previsti dalla Messerschmitt) che, spesso, furono smontati ed eliminati sul campo; un esempio pratico di quanto appena affermato lo si può trovare nei G-6/R-6 del 2° Gruppo Caccia di stanza a Cascina Vaga (Pavia), consegnati dai tedeschi con i cannoni da 20 mm. nelle gondole alari ma ben presto sbarcati perché ritenuti imprecisi e soggetti a inceppamenti.

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Tutto ciò, unito ad una generalmente scarsa documentazione e ad una lista, spesso incompleta, di Werk Nummer (numeri di matricola) delle cellule utilizzare, ha fatto sì che si creassero delle false convinzioni supportate da teorie e interpretazioni non sempre logiche e/o corrette. Col tempo e con la ricerca (fondamentale è stato il lavoro di Ferdinando D’Amico e Gabriele Valentini), parte di queste ipotesi sono state consolidate o smentite, altre sono ad oggi ancora oggetto di discussioni.

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Il soggetto:

Con queste doverose premesse, dopo lungo tempo in attesa di trovare la giusta ispirazione e voglia di districarmi in un percorso non privo di ostacoli, ho deciso di mettere sul banco proprio un Bf.109 dell’ANR. Tra i papabili, senza dubbio l’1 Giallo del Maggiore Mario Bellagambi è quello di cui si hanno (poche) notizie più “certe” e di cui sono state ritrovate foto di entrambi i lati (anche se della fiancata destra esiste solo uno scatto, di bassissima qualità, eseguito a terra per testare una fotomitragliatrice di tipo “Robot”). Oltre a questo, dopo alcuni dibattimenti si è potuti giungere alla conferma definitiva della matricola (464380) che è un elemento molto importante per capire le peculiarità (e la costruzione) del velivolo.

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La scatola scelta per questo progetto è stata la numero 82111 commercializzata nel 2016 dalla Eduard (un altro nostro WIP lo trovate QUI) . Benché dedicata al G-6, conteneva già da subito tutti gli elementi per ricavare un G-14 senza ricorrere ad altri set esterni e lo stampo era già stato aggiornato e corretto rispetto alla prima edizione che, ricordo, presentava parecchi errori tra cui quello di essere in scala 1/45 circa (per riconoscere le vecchie stampate dalle nuove cliccate QUI). A vedere i pezzi, si ha subito la sensazione di un prodotto curato, con molti dettagli e soluzioni costruttive all’avanguardia… ma è davvero tutto oro quello che luccica? ve ne parlerò nel corso di questo articolo.

Fondamentali si sono rivelati i volumi che vi elenco:

  • Camouflage & Markings of Aeronautica Nazionale Repubblicana, D’Amico & Valentini – Classic Publications.
  • Ali straniere in Italia n°1 – Messerschmitt Bf.109, G.Alegy – Giorgio Apostolo Editore.
  • Messerschmitt Bf.109: the complete monography, J.C. Mermet e C. J. Ehrengardt – Caraktere publishing.

Lo stesso Jean Claude Mermet, uno degli studiosi più affermati del caccia tedesco, anni addietro distribuì una serie di appunti e osservazioni sottoforma di piccole dispense di una cinquantina di pagine. Quella denominata “Bf.109 G-1 through K-4 – Engine & Fittings” è reperibile on line gratuitamente ed è una vera miniera di informazioni, indispensabili per comprendere appieno le varie versioni e sotto versioni.

Cockpit:

Come mia prassi, la costruzione ha avuto inizio dal cockpit. Quello originale è di buona fattura ma ho preferito comunque sostituirlo con l’accessorio in resina della Eduard Brassin (codice 648240, indicato per il G-6 ma perfettamente compatibile con i G-14) che ha una qualità superiore. Completati con le relative fotoincisioni, i pezzi si incastrano senza fatica e si inseriscono bene all’interno della fusoliera.

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Da prescrizioni del Reichsluftfahrtministerium (ministero dell’aviazione tedesco), l’abitacolo dei Gustav era in RLM66 schwartzgrau per cui ho scelto il Gunze H-416. Appena steso risulta leggermente troppo chiaro ma, dopo i lavaggi ad olio (nero d’avorio Maimeri passato sulla vernice non protetta da trasparenti), il tono si è scurito a dovere. Per mettere in risalto i dettagli ho applicato la solita tecnica del Dry Brush, eseguita con un grigio medio ad olio non diluito (mix di bianco di Marte e nero d’Avorio Maimeri) e un pennello a setole piatte e dure; è importante scaricare molto il colore in modo da avere delle luci morbide e perfettamente integrate.

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Altri particolari sono stati verniciati con acrilici Vallejo prendendo come riferimento l’abitacolo dell’unico Bf.109 G ancora originale esistente al mondo, e conservato in Australia (il web è pieno di foto ma si riferiscono quasi sempre ad esemplari restaurati). CLICK QUI PER LE FOTO.

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Per il cruscotto la Brassin fornisce due opzioni, una completamente in resina con dettagli già stampati e strumentazione in decal, l’altra con supporto di base in resina liscio e fotoincisioni per i restanti elementi. Inizialmente avevo scelto la prima, ma dopo aver posato gli strumenti in decal il risultato non mi soddisfaceva del tutto. Alla fine ho deciso di optare per il pannello misto resina e fotoincisioni ma, dato che quest’ultime sono le classiche pre-colorate con colore di fondo completamente sbagliato e molto lontano dall’RLM66, ho deciso di riverniciarle col Gunze e uniformare il tutto.

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I particolari persi li ho ripristinati con un pennello triplo zero e parecchia pazienza. Alcuni elementi, soprattutto quelli in rilievo, dopo l’opaco finale li ho profilati con del nero ad acquerello per definirli meglio e dargli ulteriore profondità; ci vuole mano ferma ma il procedimento dà molte soddisfazioni: questo tipo di pigmenti sono molto versatili e si possono sfumare con facilità, oltre ad essere reversibili (basta un cotton fioc umido di acqua per eliminarli). Le cinture sono in fotoincisione, anch’esse già colorate, e provengono dalla lastrina inclusa nel set; ho cercato di dargli maggiore movimento piegandole con cura e attenzione, inoltre sono state sottoposte ad un lavaggio in Bruno Van Dyck al fine di simulare una patina di sporco.

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L’esemplare pilotato da Bellagambi era equipaggiato col collimatore di tiro REVI 16b (nella confezione è fornito anche il REVI 12c, quindi attenzione a scegliere quello corretto). Il sistema di puntamento rappresentava l’evoluzione del precedente 12c ed era montato su di un’asta che scorreva all’interno di un tubo fissato sul cruscotto; in questo modo poteva essere spostato in lunghezza in base alle esigenze del pilota e, soprattutto, ruotato e abbattuto per occupare meno posto e lasciare libera la visuale. Questa caratteristica fu introdotta per evitare che i piloti potessero urtarci la testa durante gli atterraggi pesanti o in situazioni di emergenza (cosa frequente con il REVI 12c che, invece, era fisso e non abbattibile).

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Il collimatore della Eduard è stampato in un unico pezzo che include anche l’asta telescopica ma, controllando le misure dell’abitacolo col parabrezza appoggiato sulla fusoliera, essa risulta un po’ troppo lunga (e anche abbastanza fragile). Per aggirare qualsiasi problema, e ottenere una struttura più resistente, ho deciso di replicare in scala il sistema reale, ovvero ho utilizzato un tubicino di ottone della Albion Alloy da 0,5mm passante nel pannello strumenti e un tondino da 0,4 fissato sulla scatola del collimatore con una goccia di Attak. In questo modo, al momento di fissare definitivamente il windshield, ho potuto aggiustare la posizione del REVI con facilità e senza troppi patemi d’animo.

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Fusoliera:

Gli scarichi del kit sono, senza dubbio, tra gli elementi meno belli e accurati, per questo ho deciso di scartarli prontamente. Al loro posto ho acquistato l’accessorio dedicato della Eduard Brassin (codice 648247) che ha una fattura decisamente migliore e dettagli ben definiti. Perciò, prima di chiudere le due semi fusoliere, ho incollato all’interno gli alloggiamenti previsti che permettono, oltretutto, di poter montare i pezzi a verniciatura ultimata (possibilità negata dai pezzi originali che devono essere necessariamente incollati subito complicando la vita al modellista).

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Lo stesso discorso fatto sopra vale anche per il ruotino di coda (del tipo lungo, come evidenziano le foto del velivolo di Bellagambi) e, per evitare di renderlo vulnerabile a urti e rotture accidentali, ho deciso di sezionare tutta la parte che comprende la forcella e la ruota per separarla dal resto; la gamba di forza l’ho incollata nel proprio alloggiamento rinforzandola ulteriormente con alcuni tasselli di Plasticard a sezione quadrata.

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Inoltre, al suo interno, ho ricavato un alloggiamento in cui ho innestato un tubicino in ottone che ha funzionato da invito per lo stelo dell’ammortizzatore, rifatto con un altro tondino d’ottone da 1,2mm. Così facendo ho potuto inserire la ruota, a pressione e senza uso di colla, solo alla conclusione modello risparmiandomi un bel po’ di preoccupazioni.

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Le semi fusoliere si accoppiano senza grossi intoppi, ma lo stesso non si può affermare per l’inserto che chiude la cofanatura motore e che ingloba le volate delle armi. Esso, infatti, fa fatica ad incastrarsi e forma degli scalini ben visibili, soprattutto nella parte anteriore verso l’ogiva. Se si vuole ottenere una giunzione pulita e una stuccatura a regola d’arte, non si può far altro che ridurre gli spessori in eccesso utilizzando limette e carte abrasive, ed accettare la perdita inevitabile di gran parte dei rivetti di cui sono costellate tutte le superfici. Questi sono stati, poi, ripristinati utilizzando la punta sottile di uno scriber cercando di ottenere una foggia e profondità simile agli originali. Da tenere a mente che tutte le linee di giunzione vanno eliminate, eccezion fatta per le volate delle armi che rappresentavano un pannello a parte per i velivoli di produzione della Erla (l’esemplare oggetto di questo articolo fu costruito proprio nella fabbrica di Liepzig). Allo scopo ho utilizzato il Gunze Mr. Surfacer 500 che ho lisciato, con delicatezza, utilizzando un cotton fioc appena umido di Lacquer Thinner Tamiya.

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Rimanendo sul muso, le bugne (Die beule in tedesco) che coprono le culatte delle due mitragliatrici MG 131  si innestano bene e basta una spennellata di Tamiya Extra Thin Cement per tenerle in posizione. Ricordatevi, però, di aprire la presa d’aria per il raffreddamento del gruppo magneti della Bosch (freccia in blu). Sul lato sinistro occorre spostare più in alto il pannello d’accesso al serbatoio dell’olio poiché il G-14 di Bellagambi integrava già quello maggiorato dei G-10, con cui condivideva le linee di montaggio.

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Continuando con gli errori grossolani del kit, lo spessore dei piani di coda è minore rispetto all’alloggiamento sulla fusoliera e questo crea dei brutti disallineamenti delle superfici. Personalmente ho deciso di eliminare i pin di riscontro già stampati e rifarli con un tondino in ottone al fine di allineare al meglio le parti. Per raccordare il tutto ho utilizzato la lama affilata di un bisturi come una pialla, per eliminare l’eccesso di materiale e riportare le forme in squadro. Anche qui una mano di Mr. Surfacer ha fatto il resto.

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Durante le necessarie prove a secco per testare il fitting del timone di direzione (il velivolo era dotato di quello denominato T4 con doppia aletta compensatrice fissa, pezzo n°156 nelle stampate), mi sono accorto che anch’esso soffre dei medesimi problemi di spessore che affliggono gli stabilizzatori. Per cercare di pareggiare la differenza di profondità ho incollato, con la colla ciano acrilica, una strisciolina di Plasticard che ho poi riportato alle giuste dimensioni.

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Alla presa d’aria del compressore volumetrico ho ridotto l’altezza della base (che è troppo alta per essere in scala 1/48) e aggiunto le cinque viti che (simulate con dei fori praticati con una punta elicoidale da 0,2 mm) che fissavano il bordo d’attacco.

Ali:

Tra gli accessori acquistati per questo modello figura anche il set di fotoincisione della Eduard (codice 48885) che fornisce molte parti per dettagliare ulteriormente il kit come, ad esempio, le coperture interne delle gambe di forza. Non è mai semplice sagomare le PE (photoetch) ma, con un po’ di pazienza, il manico di un pennello e una pinzetta a becco piatto sono riuscito a sistemarle. Per l’incollaggio mi sono avvalso dell’aiuto dei rod quadrati della Evergreen che hanno fornito una buona base di contatto per la ciano acrilica (frecce in rosso).

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La freccia in blu, invece, evidenzia il pistone di retrazione del carrello (uno per ogni gamba) che si intravede tra i fori di alleggerimento della struttura; li ho aggiunti utilizzando i tubicini di ottone della Albion Alloy, per questo genere di autocostruzioni sono ottimi. Altro intervento ha riguardato la base di fissaggio dell’antenna Morane, sostituita con la controparte in PE.

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Ho anche aggiunto i due leveraggi per il controllo dell’apertura dei flabelli dei radiatori ricorrendo, ancora una volta, ai profilati della Albion Alloy.

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Le luci di posizione sono in plastica e stonano decisamente rispetto alla cura e alla quantità di pezzi che la ditta ceca ha previsto per questo prodotto. Ad ogni modo, non volendo tralasciare questo importante dettaglio, ho deciso di intervenire ricreando la carenatura in plexiglass. Ho, quindi, eliminato la plastica in eccesso e rifinito l’alloggiamento con una limetta piatta; successivamente ho incollato, con la ciano acrilica, una scheggia di sprue trasparente a cui avevo preventivamente praticato un foro per simulare il bulbo della lampadina (il blu e il rosso – della linea clear Tamiya – li ho colati all’interno per capillarità). La stessa colla l’ho sfruttata anche per stuccare e raccordare i pezzi e, ovviamente, si è resa necessaria una carteggiatura abbastanza pesante che ha portato via la flangia di fissaggio delle coperture, già stampata dalla Eduard in rilievo.

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Per ricrearla, ho utilizzato un metodo veloce e indolore: tramite il plotter da taglio ho creato delle mascherine con la forma della flangia stessa, e le ho applicate nel punto dove il particolare è andato perso. Grazie al Mr. Surfacer 500, diluito con la nitro al 60%, ho iniziato ad applicare strati leggeri di stucco e, dopo sei o sette leggere mani, ecco il risultato.

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A seguire si è reso necessario lisciare e uniformare il tutto “seppiando” la zona con una spugnetta grana 4000. Al termine ho aggiunto le sei viti di fissaggio (tre sopra, tre sotto) utilizzando la punta di uno scriber. I flap presentano dei vistosi ritiri della plastica sulla faccia superiore, difetto inaccettabile, a mio avviso, per un new tool commercializzato appena pochissimi anni fa. Ho stuccato, ancora una volta, col Mr. Surfacer 500 vedendomi costretto a ripristinare tutta la rivettatura andata persa. Facendo delle prove a secco ho anche notato che i pezzi sono leggermente corti in lunghezza, per questo ho aggiunto una strisciolina di Plasticard alle estremità interne.

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Montaggio:

Se fino a questo momento avevo avuto delle avvisaglie sulla non proprio entusiasmante qualità degli incastri, le prove preventive per l’unione delle ali alla fusoliera mi hanno dato la definitiva conferma. Unendo i due sottoinsiemi si formano delle fessure importanti lungo il raccordo Karman e, inoltre, il diedro alare è troppo positivo con le estremità che puntano esageratamente verso l’alto.

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Non potendo utilizzare stucco o materiali che necessitano di carteggiature, allo scopo di salvaguardare i tanti (troppi per certi versi) rivetti stampati sulle zone interessate, ho scelto una soluzione già sperimentata in passato (click QUI) e che ha sempre dato ottimi risultati:

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Inserendo degli spessori per allargare la fusoliera e per alzare leggermente il punto di battuta del complesso alare (evidenziati dalle frecce in rosso), i pezzi sono tornati in squadro. È bastato, infine, forzarli un po’ e mantenerli in posizione con del nastro mentre la colla Extra Thin Cement della Tamiya colava per capillarità saldando definitivamente lo stirene. Una passata veloce di Surfacer sul raccordo ala/fusoliera ha fatto il resto.

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Sulle superfici inferiori la situazione non è critica ma è opportuno stuccare ed eliminare le giunzioni indicate dalle frecce in rosso, non presenti sui veri 109, e di reincidere (allungandola) la pannellatura evidenziata.

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Con l’assemblaggio quasi completo ho completato anche gli ultimi dettagli, in particolare nell’abitacolo. Nel set Brassin è inclusa anche la piastra blindata a protezione della testa del pilota che è in fotoincisione col blindo vetro in resina trasparente; devo dire che si monta con inaspettata facilità ed è molto bella.

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Il ‘109 di Bellagambi mera dotato del sistema de-fog di tipo pneumatico caratteristico della ERLA di Liepzig (la MTT Regensburg, ad esempio, ne montava elettrico); per evitare la formazione di condensa sui vetri veniva spillata l’aria calda provenienti dai radiatori del liquido refrigerante, e questa era poi “sparata” all’interno del cockpit tramite quel tubo rigido contrassegnato dalla freccia in rosso. Il pezzo è già incluso nel kit, ricordatevi di montarlo.

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Ho completato anche il pianale posteriore aggiungendo:

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Freccia in blu: il raccordo da cui fuoriusciva l’aria calda citata sopra.

Freccia in rosso: la struttura di tenuta del canopy una volta chiuso. Anche in questo caso il pezzo è già presente nella scatole, ma leggermente fuori scala e non del tutto corretto. Mancano, infatti, i due supporti laterali fissati alla paratia posteriore che ho rifatto con del Plasticard. Il tubo è in ottone della Albion Alloy, la “cravatta” di fissaggio centrale è in alluminio adesivo. Fate anche attenzione ad utilizzare il pezzo da scatola (n° I57) che rappresenta la copertura del vano portabagagli in cui, nei G-14, aveva preso posto la batteria (l set Brassin non fornisce questo particolare e bisogna fare affidamento sul kit).

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Ho ricreato anche i due anelli su cui si fissavano le cinture di sicurezza (con filo di acciaio armonico).

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Il parabrezza è di poco più stretto del suo alloggiamento ma, in tutta sincerità, non me la sento di ascrivere la colpa alla Eduard, bensì il set in resina potrebbe aver falsato le geometrie allargando la fusoliera. Ad ogni modo ho dovuto carteggiare con cura la base del trasparente per ridurre lo spessore ed eliminare lo scalino.

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In corso d’opera ho potuto constatare che l’ogiva, purtroppo, ha una forma incorretta degli scassi delle pale; quelli stampati dalla Eduard sono dritti, mentre quelli reali “abbracciavano” i mozzi con un andamento più stondato. Oltre a questo, il piatto dell’elica fornito nelle mie stampate soffre, tanto per cambiare, di un fastidioso ritiro dello stirene che lo ovalizzava leggermente.

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Per ovviare a entrambi gli inconvenienti avevo fatto, inizialmente, la scelta più naturale… ovvero procedere con l’acquisto del set in resina della Brassin. Essendo prodotto direttamente dalla Eduard per un suo modello, ero praticamente certo di andare a colpo sicuro. All’atto pratico, e dopo svariate prove a secco, l’aftermarket n°648255 si è rivelato un totale fallimento non solo perché l’errata foggia degli scassi non è stata corretta, ma soprattutto perché il pezzo che rappresenta l’ogiva ha un diametro inferiore rispetto al piatto dell’elica stesso. Purtroppo questo inconveniente l’ho riscontrato anche in altri set della stessa marca (click QUI per un altro esempio) e, evidentemente, gli articoli interessati dal problema sono molteplici.

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Per dovere di cronaca vi informo di aver contattato direttamente il servizio clienti Eduard, sempre precisi e puntuali, che mi ha inviato una nuova confezione con un set “apparentemente” accurato (contrassegnato dal numero 2 nelle foto). Dopo un ulteriore check ho potuto confermare che le dimensioni erano comunque inesatte e che, ironia della sorte, mixando l’ogiva in plastica con la base in resina tutto va al suo posto con buona precisione. Morale della favola? Il set Brassin è stato scartato in favore del più fedele (ed economico) Quickboost n°QUB48944.

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I portelloni dei carrelli e i flabelli dei radiatori dell’acqua sono stati sostituiti con le controparti in fotoincisione, con spessori molto più in scala e realistici, provenienti dal già citato set. I primi sono molto facili da modellare e montare, i secondi mi hanno fatto passare momenti di puro brivido rischiando di compromettere tutto il lavoro. I pezzi, infatti, sono talmente sottili che hanno pochissimi punti di contatto con la plastica da risultare delicatissimi ed estremamente complessi da allineare. Personalmente ho aggiunto dei piccoli spessori in Plasticard che, nelle intenzioni iniziali, dovevano fungere da battuta ma si sono rivelati quasi del tutto inutili. 

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Le gambe di forza sono state completate con i tubicini idraulici ricavati da un filo di acciaio armonico. Le ruote sono in resina, della Brassin (codice n°648261), e rendono molto bene.

Prima di dichiarare definitivamente conclusa la fase del montaggio, ho stuccato ed eliminato le due pannellature indicate. Il portellino circolare permetteva l’accesso al vano dov’erano alloggiate le bombole dei percussori delle MG-131 e del cannone Mk.108 (non installato sull’esemplare di Bellagambi). Da quanto riportato da Claude Mermet sulla sua fondamentale dispensa “Engines and Fittings”, le armi da 13 mm (fino ad un certo punto della produzione) utilizzavano l’aria compressa, stivata nelle bombole sopracitate, per attuare il meccanismo di sparo; sugli esemplari più tardi, invece, tale sistema fu sostituto con un altro elettrico (evidentemente più affidabile) eliminando, di fatto, la necessità degli accumulatori pneumatici. L’autore specifica anche che in qualche caso il pannello in oggetto poteva essere “cieco”, ovvero presente ma saldato chiuso (e comunque era sempre presente nel caso degli esemplari che montavano il Rüstsatz U4, ovvero il cannone da 20mm, non implementato sul velivolo da me scelto). Da tenere a mente che, contestualmente all’eliminazione del pannello, fu chiuso anche l’alloggiamento per la maniglia di salita sul lato destro (evidenziata dall’altra freccia in blu).

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È importante spendere qualche riga, invece, sull’impianto MW50. Bellagambi, comandante della 5a Squadriglia del 2° Gruppo Caccia, stilò una lista di tutte le cellule in linea con il suo reparto complete di matricole; accanto ad esse si può leggere la dicitura “met” per tutte quelle dotate del sistema di sovralimentazione, ed il 464380 non rientra in tale elenco. Non era chiaro se l’asso italiano avesse voluto intendere che l’impianto non fosse proprio presente o non funzionante, ma un telex dell’ottobre 1944 inviato dalla ERLA alla MTT di Regensburg riporta testuali parole: “… in diesem monat haben wir die G-14 als schulmaschine ohne mw 50-anlage zu liefern …” – In questi mesi abbiamo consegnato dei G-14 da addestramento sprovvisti dell’MW50.

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Alla luce di quanto scritto sopra, un’altra diatriba ha tenuto impegnati per anni i modellisti: il portellino ovale che permetteva di rifornire il serbatoio con una mix di Metanolo e acqua al 50% circa (più precisamente formato per il 50% da metanolo, per il 49,5% da acqua e per il restante 0,5% da un olio protettivo – Schutzöl 39), era presente (si trovava sul lato destro della fusoliera, in alto e subito dietro al canopy)?

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C’è da dire che le fusoliere, prodotte in serie, erano standardizzate e presentavano tutte le stesse macro caratteristiche; ci potevano essere piccole differenze costruttive peculiari dei vari stabilimenti, ma la presenza o meno dei portellini è fuori dubbio in base alla versione. Per questo motivo un margine di dubbio è rimasto, ma seguendo un ragionamento logico ho deciso di non eliminare la pannellatura (n.d.r. la Eduard nel suo kit 82118 indica di stuccare il dettaglio) e di NON aggiungere, alla fine, lo stencil che identificava il tipo di miscela da utilizzare.   

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Per ultima, utilizzando un tornio da banco e un tondino di ottone, ho ricavato la base dell’antenna IFF FuG 25A che aveva una forma a bulbo.

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Verniciatura:

Per primo ho steso l’RLM02 (Gunze H-70) all’interno dei pozzetti carrello. Sulle coperture in tela (il dettaglio è ben stampato dalla Eduard) ho usato il Khaki della AK in versione vinilica.

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Volendo ridurre al minimo l’utilizzo delle decal, ho preferito tagliare al plotter le Balkenkreuz per la superficie superiori delle ali e per la fusoliera. Degno di nota il fatto che il G-14 di Bellagambi è l’unico documentato ad avere le croci sui fianchi di colore nero, anziché nel solito bianco. In più di qualche disegno sono stati applicati i fasci sul dorso delle ali accanto alle insegne tedesche obliterate (opzione suggerita anche dal foglio decal che ho utilizzato e di cui parlerò più avanti) , ma questa scelta appare quanto meno azzardata poiché nessun’altro esemplare in carico al 2° Gruppo Caccia presentava tale particolarità (un esempio si può avere da quello fotografato a pagina 162 del libro Camouflage and Markings of ANR). Per tale motivo, ho preferito optare per una scelta più pragmatica e riprodurre direttamente le croci tedesche.

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Anche il numero individuale (1 Giallo) è stato ottenuto tramite mascheratura.

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Sui colori realmente utilizzati su questo esemplari si è generata un po’ di confusione negli anni. Ferdinando D’Amico e Gabriele Valentini affermano che lo schema fosse formato dai colori RLM 75/83/76 ma questa tesi appare oramai poco corretta. Studi recenti, infatti, hanno portato alla quasi certezza che la ERLA continuò ad utilizzare fino alla fine del conflitto il classico schema in RLM 74/75/76 e alcune foto di velivoli con matricola vicina a quella del ‘109 oggetto di questo articolo, mostrano proprio tali vernici applicate. Appare comunque evidente, dall’unica immagina chiara a nostra disposizione, che la mimetica fu rimaneggiata dal personale italiano soprattutto per quanto concerne la forma e l’andamento (non standard per la fabbrica di Leipzig) delle macchie sui fianchi della fusoliera.

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Ad ogni modo, i prodotti utilizzati (tutti Gunze) li ho riportati direttamente nelle foto seguenti. L’RLM 76 ho preferito schiarirlo con qualche goccia di bianco poiché, se prelevato direttamente dalla boccetta, ha un tono troppo tendente al turchese.

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Per l’RLM70 (anche se la pubblicazione della MPM “Late Bf.109 Camouflage” segnala che le ogive e le pale dei G-14 potevano essere anche in nero, sono andato sul sicuro utilizzando il classico Schwarzgrun) ho scelto il Gunze H-65 che ho preferito scurire con qualche goccia di Flat Black.

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Sempre in RLM70, questa volta non scurito, ho ricreato le obliterazioni delle insegne di reparto precedenti che si possono notare sulla cofanatura del muso. La scelta è stata fatta ipotizzando l’utilizzo di vernici italiane, in questo caso il Verde Oliva Scuro 2, che era già impiegato dalla ANR.

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Il timone, a giudicare dalla documentazione, era (ragionevolmente) in RLM 81 con macchie in RLM 83. Per il verde (RLM83) ho usato il Gunze direttamente da boccetta, mentre per il Braunviolet il tono della vernice giapponese non mi ha affatto convinto. È pur vero, però, che dell’RLM81 ce ne sono state diverse versioni ed è un colore ancora molto discusso.

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Se preso da boccetta il Gunze è molto poco rossiccio e abbastanza chiaro; personalmente, invece, volevo rappresentare la versione più tarda di questa tinta che corrispondeva ad un marrone “cioccolato”. Per intenderci, mi sono affidato a QUESTA interessante discussione aggiungendo un po’ di NATO Brown Tamiya al pigmento di base.

Lavaggi e decalcomanie:

Prima di proseguire con gli step successivi ho realizzato i fumi degli scarichi, che su questo G-14 erano molto evidenti. Il colore scuro e fuligginoso era causato dal tipo di carburanti sintetici utilizzati dalla Luftwaffe nell’ultimo periodo di guerra, quando le benzine avio derivate da combustibili fossili scarseggiavano sempre di più. Il colore è un mix di nero opaco e NATO Brown aggiunto in diverse percentuali per ottenere diverse sfumature dei toni. Sul bordo esterno della striscia di fumo ho aggiunto, a bassa pressione ed estremamente diluito, del NATO Brown puro.

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Dopo tre mani ben diluite, (80% la prima, 90% la seconda e quasi 100% l’ultima) con diluente nitro, di X-22 Tamiya il modello ha ricevuto i lavaggi ad olio. Devo dire che mi sono trovato in difficoltà con la scelta dei colori, complici anche le pannellature Eduard che sono davvero molto profonde (forse troppo) e li fanno apparire più scuri.

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Alla fine ho optato per un grigio medio ad olio (mix di nero e bianco in vari percentuali) per le superfici inferiori, un grigio scuro sulle zone in RLM 75 e Bruno Van Dyck scurito col nero per quelle in RLM 74.

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Le decalcomanie utilizzate provengono dal foglio della Stormo! Decals (n°48005), una ditta canadese che da anni propone degli interessanti prodotti per i soggetti ANR e della Regia Aeronautica. Sebbene siano stampate dalla Cartograf, con colori saturi e buona adesività, il film è spesso e reagisce pigramente ai liquidi ammorbidenti (anche a quelli più forti come il Mr.Mark Softer della Gunze). Per far copiare le pannellature alle balkenkreuz posizionate sulle superfici inferiori delle ali, infatti, ho dovuto applicare più volte il softer e utilizzare un bisturi affilato in accoppiata con uno stuzzicadenti (a cui ho smussato la punta). Alcuni stencil, inoltre, non sono in registro. Correttamente riprodotto, invece, il tricolore da posizionare sotto all’abitacolo che sull’esemplare di Bellagambi mostrava le frange (il “francobollo”) verticali rivolte verso il verde anziché, come prassi, verniciate sul lato del rosso (come quelle visibili sulla deriva). Tale difformità è ben documentata anche a pagina 163 del libro “Camouflage & Markings of ANR”.

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Ricordate di utilizzare i triangoli gialli con la scritta “C3” sotto al bocchettone del rifornimento (a sinistra) e del rabbocco del primer (a destra): questo tipo di benzina sintetica a 96 ottani, infatti, era quella raccomandata per l’utilizzo col propulsore DB.605 AM e, leggendo anche on line, quella più comunemente distribuita ai reparti del teatro europeo (quella a 84 ottani, ad esempio, era stata più usata in Russia).

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Per livellare lo spessore delle insegne sono state necessaria altre mani di trasparente lucido a cui ha fatto seguito l’opaco (FLAT Alclad diluito con la nitro) che ha dato la finitura definitiva al mio modello.

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Nella zona inferiore, sul cassone centrale, senza cadere nella tentazione di esagerare, ho aggiunto dello sporco e lubrificante proveniente dal DB605 AM. Ho usato un po’ di tutto: olio per la tecnica dello Streaking, polveri Tamiya del Weathering Set D e sfumature ad aerografo (in nero, Olive Drab e Nato Black) per amalgamare gli effetti.

Ultimi dettagli:

Per completare il canopy ho incollato all’interno la piastra blindata fornita nel set Brassin del cockpit, già completata nelle fasi precedenti. Non crea particolari problemi e si adatta con relativa facilità, bisogna solo essere accorti a non graffiare il trasparente con i bordi del pezzo in ottone.

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All’interno ho aggiunto dei dettagli che, anche vedendo i lavori di altri modellisti, quasi tutti sembrano omettere; eppure, nelle foto d’epoca che ritraggono i piloti seduti negli abitacoli, essi sono ben visibili:

Immagine proveniente da manuale tecnico.
Immagine proveniente da manuale tecnico.

Gli Erla Haube, a differenza dei tettucci early, potevano avere l’asta dell’antenna a filo montata direttamente sul plexiglass come nel caso dell’esemplare da me scelto. Il sistema meccanico che tendeva il cavo era davvero ingegnoso e funzionale, ed è raffigurato nell’immagine proveniente dal manuale di manutenzione.

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In pratica il filo passava all’interno dell’asta e sbucava dentro il plexiglass, all’interno di una guaina semi rigida agganciata al frame laterale. Da lì veniva collegato alla maniglia di bloccaggio che, una volta azionata dal pilota, lo teneva teso. Se il filo fosse rimasto sempre in tensione, l’apertura del trasparente non sarebbe stata possibile; con questo accorgimento tecnico, al contrario, rimaneva abbastanza lasco da permettere la rotazione laterale. Per tale motivo ricordate sempre che: se volete rappresentare un ‘109 col canopy chiuso a terra (che non si poteva bloccare dall’esterno), il filo dell’antenna deve rimanere morbido. Qui si nota bene:

Fonte ww2aircraft.net

La maniglia è in fotoincisione ed è già inclusa nel set Brassin. Il filo di diametro maggiore è di rame, il cavo sottile è della Uschi Van Der Rosten ed è lo stesso usato anche per rappresentare l’antenna.

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Infine, ho aggiunto le due MG-131 in caccia prelevate dall’ottimo aftermarket in ottone tornito della Master (codice 48011) da cui proviene anche il tubo di pitot, e installato le gambe di forza del carrello. A tal proposito prestate molta attenzione al loro allineamento (che è, ovviamente, uno dei segni distintivi del caccia di Willy Messerschmitt): se accettate quello proposto dagli inviti stampati sul kit, queste assumeranno una posizione innaturale e troppo avanzata. Per rappresentarle correttamente dovete spingerle tutte indietro facendo toccare il rostro di blocco posteriore (indicato dalla freccia) alla parete del pozzetto.

Concludendo, ritorno al proverbio citato in apertura: è tutto oro quello che luccica? Sicuramente no.  Il detto è perfettamente applicabile anche a questo kit new tool della Eduard che, bellissimo da vedere ancora sugli sprue imbustati dentro la confezione, all’atto pratico si è rivelato più complesso e meno preciso negli incastri di quanto lasciava immaginare.

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Indubbiamente la saga dei Bf.109 Eduard rappresenta un passo in avanti in termini di dettagli e completezza delle versioni proposte rispetto ai vecchi stampi (pensiamo, ad esempio, alla lacuna dei G-10 ERLA che la ditta ceca ha finalmente colmato), ma rimane sempre quella sensazione di un prodotto meno rifinito di quanto dovrebbe essere; purtroppo (o per fortuna), sotto questo aspetto la Tamiya ha alzato di parecchie tacche l’asticella e difficilmente gli altri marchi riusciranno ad eguagliarla.

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Buon modellismo a tutti!

Valerio Starfighter84 D’Amadio  

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