giovedì, Aprile 18, 2024
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Mig-17 F “Fresco-C” dal kit Hobby Boss in scala 1/48.

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Il progetto del MiG-17 nacque nel 1949 da una richiesta da parte della V-VS per un velivolo con prestazioni superiori rispetto al MiG-15 e con caratteristiche multiruolo e ognitempo. Il nuovo caccia, designato I-330, pur essendo un diretto derivato del MiG-15bis, era in realtà una cellula completamente nuova con un’ala a freccia più elevata e di minor spessore, e apertura alare ridotta. Inoltre era dotato di impennaggi con superficie maggiorata e di un nuovo sedile eiettabile. Sia il MiG-15bis, sia le prime versioni del MiG-17, montavano il medesimo propulsore Klimov VK-1, una versione leggermente migliorata del RD-45, il quale era una copia del Rolls Royce Nene. A partire dalla versione F e per tutte le varianti successive si optò per il VK-1F dotato di postbruciatore. Designato ‘Fresco’ nel codice NATO, il MiG-17 ha avuto grandissimo successo con oltre 6.000 esemplari costruiti. Prodotto su licenza anche in Polonia (Lim-5) ed in Cina (Shenyang J-5), ha servito praticamente tutte le aeronautiche sotto la sfera di influenza dell’Unione Sovietica. I primi MiG-17 ad avere il battesimo del fuoco furono due esemplari sovietici che, il 29 luglio 1953, abbatterono un Boeing RB-50 penetrato nello spazio aereo russo in prossimità di Vladivostok. In seguito ebbe modo di mettersi in evidenza durante la guerra del Vietnam, dove la sua maneggevolezza pose in difficoltà i più sofisticati velivoli statunitensi, ma anche in medio oriente, in particolare nelle mani dei piloti egiziani e siriani contro le forze israeliane, e dagli iracheni nella guerra contro l’Iran.

Immagine inserita a scopo di discussione – fonte http://edokunscalemodelingpage.blogspot.com/

Il modello:

Al momento, volendo realizzare un Mig-17F nella scala del quarto di pollice, abbiamo tre possibilità. Il kit Hobbycraft, molto basico e in positivo. Il kit SMER, inscatolato anche da Airfix, Heller e Mistercraft, in un negativo piuttosto pesante ma che mi è tornato utile per prelevare alcuni pezzi, e infine il kit Hobby Boss, dal buon dettaglio di superficie e ottimi interni, compreso il motore.

Naturalmente la mia scelta è caduta su quest’ultimo che credevo mi avrebbe agevolato nelle fasi di montaggio rispetto ai più vetusti concorrenti; in realtà le cose sono andate diversamente da come avevo preventivato. Oltre alla scatola, mi sono dotato di una buona dose di aftermarket: abitacolo Aires, ventral fin corretta e pneumatici in resina Quickboost, tubo di pitot e vanne delle armi in ottone della Master e, infine, decalcomanie della Hi-Decal Line per riprodurre un esemplare egiziano in mimetica Nile Valley.

Questo schema fu così denominato perché doveva riprodurre, nei colori e nell’andamento, le anse del Nilo sopra il quale operavano molto spesso questi velivoli. A mio parere rappresenta uno degli “abiti” più belli vestiti dal MiG-17 nella sua carriera operativa ed è stato, alla fine, il motivo principale che mi ha spinto a realizzare questo soggetto.

Il montaggio è iniziato, naturalmente, dall’abitacolo. La vasca del kit è dettagliata e fedele all’originale (probabilmente la parte migliore insieme al Klimov), non discostandosi troppo dal pezzo aftermarket. Di contro, l’abitacolo Aires ha qualche dettaglio in più sotto forma di cablaggi ma, nel mio caso, lo stampo era piuttosto sporco e pieno di sbavature e questo mi ha costretto, fin da subito, a un lavoro di pulizia supplementare non preventivato. Alla fine la resina si è adattata bene e non ha necessitato di grossi aggiustamenti.

Occorre solo fare attenzione al posizionamento della paratia interna della presa d’aria perché, senza l’abitacolo originale, si perde ogni riferimento nel montaggio. Gli interni, dopo una mano di fondo nero, hanno ricevuto una base in Gunze H-308, un grigio molto vicino al riferimento fotografico. Il colore è già praticamente lucido da boccetta (se diluito correttamente, almeno al 70%) e si presta bene ai successivi lavaggi ad olio.

Questi li ho effettuati con un grigio molto scuro ottenuto mischiando del nero con una punta di bianco. Dopo il washing la vasca si presenta con tutti i dettagli bene in evidenza e la verniciatura dei particolari risulta facilitata. In questa fase ho adoperato i colori vinilici Vallejo, molto più gestibili a pennello, rispetto ai classici Gunze e Tamiya. Prendendo spunto dalle foto presenti nel volumetto della Kagero dedicato al Fresco, è possibile notare che gli interni presentano scrostature molto evidenti. In alcuni punti è visibile solo lo strato di primer, nei punti più usurati si arrivava a scoprire il nudo metallo. Per ricrearle ho iniziato picchettando le superfici con una spugnetta imbevuta nell’alluminio Vallejo Metal Color e scaricata di quasi tutto il colore su un foglio di carta assorbente.

Quindi ho ripetuto il procedimento utilizzando l’XF-4 Yellow Green della Tamiya Un soffice dry-brush con un grigio chiarissimo ad olio lungo gli spigoli è servito a dare tridimensionalità ai particolari. Il pannello strumenti è riprodotto con il classico sandwich acetato-fotoincisione di ottima resa.

Gli strumenti sulle consolle laterali sono realizzati fustellando delle veglie da delle decal di recupero e simulando il vetro con una goccia di cera Future. Il seggiolino presenta delle parti sottili e molto delicate, quindi va dipinto e messo da parte per essere installato solo alla fine del montaggio.

Il turboreattore Klimov risulta praticamente invisibile all’interno della fusoliera e quindi ho evitato di colorarlo se non nella parte interna del terminale di scarico. La fusoliera del kit è divisa in due tronconi, anteriore e posteriore. Seguendo le istruzioni dovrebbero essere montati separatamente e poi uniti ma, per esperienza, ho preferito prima incollare i due pezzi di ogni semi-fusoliera al fine di ridurre al minimo il lavoro di stuccatura lungo la giunzione trasversale. Per favorire l’allineamento, inoltre, ho posato i componenti su di una superficie perfettamente piana, ad esempio una lastra di vetro; nonostante quest’accortezza, essi presentano una curvatura diversa lungo la giunzione, e quindi occorre forzarli utilizzando delle strisce di Plasticard incollate all’interno della linea di raccordo, tenendo il tutto serrato con delle piccole morse.

Malgrado ciò la giunzione non è esente da difetti.

Superato questo primo ostacolo, dopo aver installato abitacolo, presa d’aria e motore, si può finalmente chiudere la carlinga. Anche la palpebra del cruscotto in plastica deve essere rimossa, per fare posto a quella in resina più dettagliata. Ogni vano disponibile della sezione anteriore deve essere riempito con pallini di piombo per evitare che il modello si sieda sulla coda; ne servano veramente tanti, non lesinate. A questo punto inizia la parte più noiosa e cioè quella della stuccatura e della carteggiatura.

Malgrado tutte le precauzioni prese nell’incollaggio e nell’aggiustamento preventivo dei pezzi, si formano parecchie fessure da riempire.

Per quelle più piccole ho utilizzato la colla cianoacrilica, per quelle più grandi sono ricorso alle classiche fette di Plasticard di spessore adeguato, inserite e incollate con la colla Tamiya Tappo Verde.  In alcuni punti, soprattutto nel raccordo tra ala e fusoliera, ho utilizzato dello sprue stirato ottenuto dagli stessi alberi di stampata del modello. Questo mi ha assicurato una miglior uniformità della plastica, molto utile quando occorre reincidere lungo le linee stuccate.

In questa fase è bene aggiungere anche i freni aerodinamici, che ho preferito rappresentare chiusi, e anche questi richiedono il loro bel lavoro di raccordo alla fusoliera.

Terminato il montaggio, sono passato all’aggiunta dei rivetti. Gli aerei sovietici di quel periodo sono famosi per le rivettature molto evidenti che li facevano somigliare a dei veri e propri carri armati volanti. Studiando i piani in scala e le foto, ho tracciato le linee dei rivetti con una matita morbida e le ho incise con lo strumento apposito della Rosie the Riveter. Generalmente eseguo questa operazione prima di unire i pezzi per poi ripassare solo lungo le linee di giunzione ma, vista la mole di stuccature e carteggiature effettuate, ho dovuto rimandare questa fase a dopo il montaggio complicandomi notevolmente la vita. Prima della verniciatura occorre incollare anche il blindo vetro che ha un fitting ottimo, basta un filo di Mr. Surfacer 500 per raccordarlo perfettamente al resto del modello. Nel mio caso, l’inserimento della palpebra in resina deve aver modificato leggermente le tolleranze tra i pezzi, quindi l’incollaggio ha richiesto qualche sforzo in più. La qualità della plastica trasparente è scadente e, malgrado l’utilizzo delle paste abrasive Tamiya e della cera Future, il risultato finale non mi ha entusiasmato. Al parabrezza occorre aggiungere il sistema di sbrinamento, che ho realizzato con del sottile filo di rame scaldato sulla fiamma di una candela per renderlo più malleabile. Per le piastre di bloccaggio ho utilizzato del nastro di alluminio adesivo.

Seguendo le foto presenti nel già citato volumetto Kagero, ho provveduto ad arricchire il mio Mig-17 degli altri particolari non riprodotti dalla Hobby Boss: in particolare ho aggiunto i canali di espulsione dei bossoli, realizzati con Plasticard sottilissimo, i cablaggi all’interno dei vani carrello sia anteriore che posteriore (anche se su quello anteriore, alla fine, non si vedrà quasi nulla), e una sonda presente nella parte superiore della fusoliera.

Caratteristica peculiare dei Fresco sono i due contrappesi posti quasi alle estremità delle ali con funzione anti-fluttering; Hobby Boss li ha completamente tralasciati ed ho provveduto ad aggiungerli utilizzando dei blocchetti di Plasticard sagomati.

Tocca, quindi, a quei particolari che caratterizzano la versione egiziana, non presente tra le opzioni del kit cinese. In particolare i MiG-17 egiziani montavano due piccoli piloni in fusoliera sui quali erano installate delle bombe FAB 100 o FAB 250 di produzione sovietica. Partendo dai piloni presenti nel kit SMER, ho provveduto ad assottigliarli nel bordo d’entrata e uscita e ho ottenute con Plasticard le piastre di rinforzo.

Le FAB 100 provengono dal kit Eduard del MiG-21. Inoltre, esternamente ai serbatoi sub-alari, venivano montati due rail per ala, armati ciascuno con due razzi non guidati SAKR di costruzione egiziana. Anche in questo caso mi sono avvalso dei pezzi presenti nel kit SMER, assottigliati e con qualche particolare aggiunto.

I razzi sono, viceversa, auto costruiti partendo da un tondino di Plasticard di adeguato diametro e utilizzando il Dremel, a basso numero di giri come se fosse un tornio, rucavando l’ogiva dell’ordigno (ulteriormente lavorata e affinata con la carta abrasiva). Le alette stabilizzatrici sono ricavate dal solito Plasticard sottilissimo.

Anche le alette laterali di raccordo dei serbatoi sub-alari sono state sostituite da sostegni in Plasticard, perché utilizzando quelli del kit sarebbe rimasto un vistoso gap molto difficile da colmare.

Verniciatura:

Finalmente si arriva alla fase per me più divertente, quella della colorazione. Ho subito steso una mano di Mr. Finishing Surface 1500 Grey al fine di verificare che non ci fossero difetti nel montaggio. Questo primer consente di ottenere una finitura liscia e vellutata senza bisogno di carteggiare. L’importante è diluirlo almeno al 70% col Levelling Thinner Gunze e applicarlo a bassa pressione, non più di 0,6-0,7 bar. Poi si passa ai colori…

Per le superfici inferiori, dopo un pre-shading in Field Blue Tamiya X-50 lungo le linee delle pannellature, ho utilizzato una miscela al 50% di Gunze H-25 e H-11, formula già impiegata da Valerio “Starfighter84” per il suo MiG-21 egiziano. Questo stesso mix, schiarito con qualche goccia di bianco, è servito per movimentare la colorazione e dare profondità ai pannelli. Il consiglio è quello di utilizzare sempre vernici molto diluite, bassa pressione, e tanta, tanta pazienza. Se per il colore di base partiamo da una diluizione del 70% e pressione del compressore a 0,6-0,7 bar, nel caso degli effetti di schiaritura dobbiamo diluire oltre l’80% e pressione settata a non più di 0,3-0,4 bar. Naturalmente un aerografo a gravità ci permette di eseguire più agevolmente queste operazioni, rispetto ad uno ad aspirazione che richiede pressioni di esercizio maggiori.

Dopo aver delimitato con dei salsicciotti di Patafix la separazione tra le superfici inferiori e superiori, mi sono dedicato alla mimetica vera e propria. Il Nile Valley è uno schema a tre toni con delle macchie piuttosto sinuose, composto da un color sabbia, un verde chiaro e un verde bruno scuro. Non esiste uno schema standard, dalle foto ogni aereo ha un andamento della mimetica diverso ma con una caratteristica particolare: salvo rare eccezioni, il sabbia ed il bruno sono sempre divisi dal verde più chiaro e non vengono mai a contatto.

Ho iniziato naturalmente dal colore più chiaro, il sabbia. Generalmente effettuo sempre un pre-shading, ma con una mimetica a tre toni così complessa la tecnica non è idonea a mio avviso. Per il giallo sabbia sono partito dal Tamiya XF-59 Desert Yellow schiarito con del bianco (ad occhio intorno al 25%) e con l’aggiunta di qualche goccia di H-413 Yellow Gunze. Con questa miscela ho spruzzato l’intera superficie del modello. A questo punto sono passato al secondo colore della mimetica, il verde più chiaro. Base in H-312 Green Gunze con aggiunta di qualche goccia di H-340 Field Green della stessa ditta. In questo caso sono andato ad occhio, fermandomi quando il colore mi è sembrato uguale al riferimento fotografico.

La separazione dei colori l’ho ottenuta sempre con Patafix, prelevato nuovo dalla bustina. A seguire sono passato al verde/bruno per il quale ho utilizzato l’H-421 Gunze. Tolte le mascherature, sono rimasto piacevolmente sorpreso dal risultato anche se la colorazione si presentava ancora piuttosto piatta. Per movimentarla ho effettuato un post-shading schiarendo e scurendo le tinte base e lavorando le superfici in modo random. In questa fase ho cercato di enfatizzare maggiormente i contrasti, certo che i passaggi successivi con i trasparenti avrebbero ammorbidito e uniformato gli effetti. Il sabbia l’ho scurito aumentando la percentuale di Desert Yellow, mentre per le schiariture ho utilizzato direttamente l’H21 Off White Gunze. Il verde chiaro è stato schiarito utilizzando il color sabbia base e scurito aumentando la percentuale di H-340. Per il verde scuro ho utilizzato sempre il sabbia base, poi ho aggiunto qualche goccia di Nato Black per scurirlo.

Dopo gli ultimi ritocchi, il modello è pronto per il trasparente lucido e per l’applicazione delle decal (altra fase che, in genere, mi diverte e rilassa). Questa volta, purtroppo, le insegne mi hanno dato parecchi grattacapi perché il bianco delle coccarde è davvero poco coprente e le bandierine sulla deriva sono affette da una strana retinatura. Nel primo caso ho risolto dando una base bianca sotto alle coccarde, nel secondo spruzzando il bianco sopra la decalcomania e applicando successivamente il fregio con l’aquila, prelevato da un altro foglio.

Weathering:

Per i lavaggi ho deciso per una volta di abbandonare i colori ad olio ed affidarmi ai Panel Liner della AK. Ho utilizzato due tinte: AK2073 “Sand and desert camouflage” sulle due tonalità più chiare della mimetica e sulle superfici inferiori, e AK2071 “paneliner for Brown and Green” sul verde/bruno. Rispetto agli oli ho notato subito una maggiore difficoltà a scorrere all’interno delle pannellature. Probabilmente questi prodotti avrebbero bisogno di una diluizione più spinta utilizzando del white spirit.

Dopo aver atteso le canoniche ventiquattr’ore, ho sigillato il tutto col trasparente opaco Gunze H-20 e iniziato il weathering sulle superfici inferiori. Basandomi sulle poche foto disponibili, ho realizzato trafilature e colature utilizzando i colori ad olio. Per ottenerle, ho piazzato una striscia di nastro lungo la pannellatura sulla quale volevo realizzare l’effetto, ho picchettato con il colore ad olio lungo il nastro (generalmente Bruno van Dyck o terra di Cassel), quindi ho tirato il pigmento con un pennello piatto e asciutto nella direzione dei flussi. Se non si riesce al primo tentativo, basta cancellare con essenza di petrolio e ripetere l’operazione. Allo stesso modo ho realizzato i residui di cordite in corrispondenza dei fori di espulsione dei bossoli, scurendo il bruno van Dyck con del nero. Dopo aver aggiunto qualche traccia di sporco in corrispondenza dei vani carrello ho archiviato le superfici inferiori con un paio di mani di trasparente opaco.

Sulle superfici superiori ciò che attrae l’occhio sono le scrostature della vernice in corrispondenza dei pannelli di servizio. Sul sabbia e il verde chiaro ho picchettato inizialmente con un grigio scuro acrilico, utilizzando un pennello a punta 00. Successivamente, all’interno del grigio scuro ho realizzato le scrostature con l’allumino Vallejo della serie Metal Color. Sul verde scuro ho utilizzato direttamente l’alluminio. Il grigio scuro serve per creare una sorta di ombreggiatura in modo tale da far risaltare il colore metallico che, altrimenti, sui toni chiari, sarebbe praticamente invisibile. Per i graffi e le scrostature più sottili generalmente utilizzo una matita acquerellabile argento. L’eccessiva lucentezza verrà smorzata in seguito dal trasparente opaco. Sempre utilizzando le matite acquerellabili e gli oli, ho applicato qualche effetto di sporco all’interno dei pannelli, picchettando e sfumando con acqua nel caso delle matite, con l’essenza di petrolio per quanto riguarda i colori ad olio. Anche in questo caso, è opportuno sigillare gli effetti con il trasparente opaco.

Ultimi tocchi e considerazioni finali:

Dopo il weathering non resta che incollare i carrelli, ai quali ho aggiunto le tubazioni idrauliche, i portelli dei vani con i relativi attuatori, i flaps, i carichi di caduta, pitot e canne della Master. Con l’aereo ormai sulle sue gambe resta da applicare solo il canopy scorrevole. Il pezzo della Hobby Boss è desolatamente vuoto per cui ho aggiunto la piastra di scorrimento, le leve di sbloccaggio e i cablaggi.

Dopo cinque mesi di lavoro il risultato finale non mi dispiace ma sono convinto che qualche punto avrei dovuto fare di più. I lavaggi, in particolare, dopo il trasparente opaco, si sono scuriti eccessivamente e, soprattutto sul sabbia, risultano un po’ più scuri di quanto avrei voluto.

Altro punto dolente sono i trasparenti, spessi e opachi, che ho cercato di recuperare con paste abrasive e Future seguendo questo TUTORIAL. Sebbene siano migliorati, anche in questo caso, il risultato non è del tutto convincente. Un ringraziamento doveroso ai ragazzi e allo staff di Modelingtime.com per il supporto e la possibilità di veder pubblicato questo articolo in home page.

Un abbraccio virtuale e alla prossima.

Fabio Cannova.

The Franken-Viper: F-16C “Blue Splinter” dal kit Tamiya in Scala 1/48.

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Creati per l’addestramento avanzato al combattimento aereo, i reparti denominati “Aggressor” sono tra i più accattivanti per noi modellisti grazie ai loro aerei con livree uniche e particolari, che si rifanno a quelle dei velivoli avversari (in particolare del blocco sovietico). Uno di questi è il 18th Aggressor Squadron del 354th Fighter Wing dell’USAF, basato ad Eielson in Alaska; esso opera con una flotta di F-16 “Viper”.

Tra quelli assegnati, l’esemplare con matricola 86-0335 mi ha colpito da subito per la sua mimetica in toni di grigio, azzurro e blu applicati con lo schema chiamato “splinter”. A questo aggiungete anche alcune parti “cannibalizzate” da altri F-16 C, come il flap sinistro in toni desertici e il timone di direzione in toni artici, che lo rendono davvero unico… come si fa a non innamorarsene?

Dalla realtà alla scala 1/48 il passo è, fortunatamente, molto breve perché la Tamiya nel suo catalogo propone una scatola dedicata proprio alla variante Aggressor dell’F-16C/N, e che contiene già tutti i pezzi necessari per il corretto Block costruttivo (oltre ai Pod ACMI e ALQ-188 che spesso vengono utilizzati per simulare minacce o generare disturbi elettronici).

La qualità del kit è ormai nota, ma si può sempre migliorare. Per questo mi sono dotato di alcuni aftermarket che lo hanno ulteriormente impreziosito:

  • Vano carrelli Aires n°4370.
  • Scarico Eduard Brassin n°648020 + Aires n° 4425 (più avanti nell’articolo spiegherò il perché gli exhaust sono due).
  • Aerofreni Eduard Brassin n°648039.
  • Seggiolino Eduard Brassin n°648008.
  • Tamiya detail up parts set n°12621.
  • Fotoincisioni Eduard n°49390 Undercarriage.
  • Ruote Eduard Brassin early n°648005.
  • Decals Bullseye Aggressor Vipers II n°48-013.

Ho deciso di iniziare la costruzione partendo dalla zona più complessa, i vani carrello. Quelli originali sono una buona base di partenza, ma il set in resina della Aires dà una marcia in più a tutto l’alloggiamento. Come spesso accade, però, il suo inserimento non è così semplice e richiede molta attenzione per lasciare il giusto spazio affinché il condotto della presa d’aria, che passa proprio sopra, si innesti correttamente.

Per prima cosa ho assemblato a secco le varie parti che compongono la sezione esterna dell’intake: il velivolo che ho deciso di rappresentare monta la versione maggiorata, denominata MCID (Modular Common Inlet Duct), che è quella necessaria per il motore GE F110-GE-129. A seguire ho liberato dalla materozza di stampa i pozzetti della ditta ceca.

Il pezzo più complesso da adattare è quello del carrello anteriore poiché deve entrare in uno spazio molto ridotto ed è a contatto diretto con il condotto. È necessario assottigliare fino alla trasparenza la base per recuperare decimi di millimetro preziosi e, a tale scopo, ho utilizzato una fresetta montata sul mio Dremel. Operazione simile va eseguita anche per ridurre lo spessore del “tubo” della presa d’aria, ma in questo caso ho preferito limare lo stirene a mano per evitare di scaldarlo e fonderlo. Dopo molte prove a secco ed aggiustamenti ho trovato la quadra e ho fissato gli elementi con la colla ciano-acrilica. È toccato poi al vano principale che, per fortuna, non necessita di particolari adattamenti; semplicemente si poggia sulla sezione di fusoliera ma non ha riscontri per capire se la posizione sia corretta. Ho proceduto incollando il blocco progressivamente e partendo dalla sezione anteriore; per avere un ulteriore riscontro, l’ho centrato ponendo il longherone posto sulla mezzeria in corrispondenza delle linee di pannellatura incise davanti e dietro. Questo passaggio è delicato e importantissimo, basta un minimo disallineamento per trovarsi col modello inclinato su di un fianco. La parte anteriore del vano in resina è leggermente più stretta rispetto alla sua sede, tuttavia con un minimo di pressione la fessura si chiude senza creare indesiderati svergolamenti nelle forme.

Una delle operazioni più tediose ha riguardato la stuccatura delle giunzioni all’interno della presa d’aria stessa. Dopo vari passaggi con carta abrasiva di diverse grane, ho spruzzato il Mr. Surfacer 1500 White Gunze che, oltre ad essere un primer, ha un’ottima copertura, può essere lisciato e, soprattutto, è già bianco come il colore definitivo.

La mascheratura e la verniciatura dell’interno del bordo d’attacco è un altro passaggio scomodo; ho iniziato con una strisciolina sottile di nastro Tamiya in modo da rendere più semplice l’applicazione nei punti curvi, per poi riprendere tutto con delle sezioni più larghe e chiudere il resto del condotto con della spugna. Dopo aver controllato con attenzione l’adesione del kabuki, ho spruzzato del trasparente lucido lungo il bordo per evitare che il colore finale della mimetica, l’MRP-238 F.S. 35109, potesse filtrare e sporcare il bianco. Ho ricostruito la lama antighiaccio con una sezione di fotoincisione, tagliata a misura usando quella del kit come dima, e brunita leggermente con la fiamma di un accendino. Scavando la plastica in corrispondenza del suo punto di innesto, l’ho infilata e fissata con una goccia di ciano-acrilica completando la sezione frontale della presa d’aria.

Il già citato Mr. Surfacer 1500 White l’ho utilizzato anche sui pozzetti carrello. Una volta asciutto ho colorato i dettagli, come i vari cavi e tubazioni in nero H-77 Gunze e alluminio AK Silver, seguendo le foto a mia disposizione. La batteria è in rosso Gunze H-3, la bombola dell’halon in alluminio ALC-101, le fascette ferma-cavi in giallo H-34 e i bulloni di innesto delle tubazioni in rosso Humbrol 51 e blu 14.

Dopo averlo lucidato con diverse passate leggere di Tamiya X-22, ho posizionato le decal dove necessario per poi evidenziare i dettagli con un lavaggio deciso col Tamiya Panel Line Accent black. La finitura finale opaca l’ho resa con l’Alclad Klear Kote Flat ALC-314.

Ultimata la parte inferiore del modello, mi sono dedicato all’abitacolo. Sulla parete laterale destra, dietro alla cloche, ci sono due poggioli che ho riprodotto con piccole sezioni di Plasticard sottile opportunamente tagliati e sagomati. Sopra la consolle ho aggiunto il tubo dell’ossigeno e il cavo del microfono, attorcigliando tre fili in rame molto serrati, e inserendo un tubicino di un millimetro alla sua estremità per riprodurle l’attacco.

Nella parete sinistra, invece, mancano i comandi di blocco e sblocco del tettuccio. Il primo è ben visibile davanti alla manetta, di colore giallo, dalle forme particolari, che ho ricostruito con sezioni di fotoincisioni tagliate e incollate fino ad ottenere una discreta riproduzione; un secondo, invece, si trova dietro, nel fianco, ed è una maniglia che forza lo sbloccaggio e l’apertura del canopy. Con una strisciolina di Plasticard ho riprodotto la leva e con una sezione di sprue stirata a caldo l’impugnatura tonda leggermente conica.

Sulla consolle sinistra mancano il tubo dell’aria per la tuta anti-G del pilota, ricostruito come quello dell’ossigeno, e la leva di emergenza che attiva le cariche esplosive e libera il canopy (quella gialla, più piccola, a forma di T – ricostruita con due fili in rame, e colorata in giallo H-4).

Con delle sezioni di Plasticard tondo lunghe circa un millimetro e diametro 0.5mm, ho aggiunto, sul bordo dove batte il trasparente, i chiavistelli dove si infilano i ganci di chiusura, quattro in tutto più due ai lati della palpebra. Nella zona alle spalle del seggiolino, in prossimità delle rotaie per l’eiezione, sono presenti dei cavi che ho rifatto con dei fili in rame e stagno. La scatola che vedete in foto è la centralina per le contromisure chaff/flare, anche questa ricostruita in Plasticard. Ho dipinto la vasca e le pareti laterali in grigio H-306 Gunze, usando come fondo una tonalità più scura (H-305) per creare delle ombre e dare maggiore profondità ai sottosquadri. Le consolle, il frame esterno dell’abitacolo e la parte posteriore sotto al cupolino fisso sono in Nato Black Tamiya, lumeggiato poi con H-77 e H-416 Gunze. I vari switch sono in grigio chiaro H-57 e, studiando la documentazione, alcuni li ho poi ripresi in giallo e rosso. Per concludere, ho lucidato col Tamiya X-22 al fine di applicare un lavaggio leggero in grigio medio ad olio ed enfatizzare ulteriormente i particolari. Per gli strumenti ho usato le decal della Airscale e, dopo aver opacizzato col solito Alclad, ho aggiunto qualche effetto di usura e sporco picchiettando a pennello asciutto del grigio Gunze H-331. L’applicazione di un po’ di polveri provenienti dal set Weathering Mater “E” della Tamiya ha completato le operazioni.

Il sedile ACES II è uno degli elementi più in vista e merita molte attenzioni; per questo ho scelto l’Eduard Brassin in resina, nella versione “late” con imbottitura in lana.

Il pezzo è molto bello e ricco di dettagli ma i pitot barometrici posti ai lati del poggiatesta risultano leggermente sovradimensionati. Personalmente ho preferito sostituirli con altri provenienti dal set Aires che avevo già a disposizione. Ho colorato il corpo del seggiolino in grigio H-306 Gunze, lo schienale e la seduta in grigio scuro H-416, le parti un tessuto nel poggiatesta dove si trova il paracadute in verde Oliva H-304 e XF-62 e la bombola dell’ossigeno in verde H-16.

Dopo aver applicato, ancora una volta, il fidato X-22 Tamiya, ho eseguito un lavaggio in grigio scuro sulla struttura e in nero sui cuscini, per poi applicare tutte le fotoincisioni pre-colorate, le targhette, le maniglie e le cinture. Alla fine, una buona mano di Flat Alclad e le solite polveri Tamiya hanno fatto il resto.

La chiusura delle due valve che compongono la fusoliera non crea grossi problemi, medesimo discorso applicabile anche alle ali. Nel pieno stile Tamiya, il kit si monta benissimo e richiede un uso minimo dello stucco.Documentazione foto dell’esemplare vero sotto mano, ho aggiunto vari elementi quali le antenne UHF poste sulla deriva e inferiormente accanto al gancio d’arresto, la volata del cannone (che ho dettagliato internamente con l’aggiunta della bocca dell’M61A1, riprodotta con pezzo analogo preso da un vecchio kit di recupero), l’antenna TACAN sul dorso, la bocchetta RAM accanto alla presa d’aria e i lanciatori delle contromisure.

All’interno della fusoliera è presente un perno di riscontro per il corretto allineamento dello scarico originale. Questo deve essere eliminato per far spazio al nuovo pezzo in resina della Brassin. Seguendo la fidata documentazione ho eliminato due pannellature circolari alla base della deriva, che servono per l’ispezione dei condotti del carburante e non sono presenti sui Block 30. Un’altra fa da cornice allo scarico ECS sul lato destro dell’abitacolo.

Tamiya non ha previsto il montaggio degli aerofreni in posizione aperta, quindi per riprodurli è necessario rivolgersi ad un accessorio e tagliare le plastiche del kit; quelli proposti della Eduard Brassin sono molto belli e rifiniti, li ho subito scelti. Come detto bisogna rimuovere la parte in plastica interessata per posizionare la nuova base con l’attuatore. I tagli li ho eseguiti con il seghetto Tamiya Craft Tools e i nuovi pezzi in resina si adattano molto bene (con una passata di carta abrasiva la giunzione scompare del tutto).

La ditta giapponese, come aftermarket per questo kit, offre un set di fotoincisioni, il Detail Up Parts set 12621, che comprende le piastre di rinforzo strutturali (altro elemento indispensabile), oltre che il pitot e i sensori AOA per il radome. I Block 30 hanno due piastre tra la base della deriva e il ricettacolo per il rifornimento in volo, due in prossimità dell’attacco alare e due sul muso, in materiale radar assorbente, sotto le antenne RHAW (Radar Homing and Warning) poste ai lati. Questi elementi sono tutti compresi nel set, tuttavia ne sono assenti altre sei e devono essere autocostruite

Le prime due assenti si trovano ai lati della presa d’aria, di piccole dimensioni, mentre altre quattro più grandi si trovano lungo i fianchi della fusoliera, tra i flap e gli stabilizzatori. Ho usato un foglio adesivo in alluminio per riprodurle, disegnandole prima sul nastro Tamiya direttamente sul modello per avere i giusti riferimenti di forme e dimensioni.

Mi sono, poi, dedicato al radome aggiungendo il pitot in metallo proveniente dal sopracitato aftermarket ed eliminando le pannellature romboidali attorno ai sensori AOA che sono erroneamente riportate sul (quella sagoma, in realtà, è lo sporco lasciato dalla copertura anti FOD). Per il colore del muso ho steso il grigio H-331 Gunze di base, sporcato con una punta di marrone H-310. Successivamente ho velato con un grigio più chiaro, l’H-305, fino ad ottenere il tono e i riflessi a mio avviso più corretti in accordo con le foto. Le zone intorno ai sensori dell’angolo d’attacco, invece, tendono a rimanere sempre più pulite grazie alle coperture che vengono montate a terra e, difatti, si notano delle sfumature più chiare che ho riprodotto col grigio H-306 Gunze.

Ho aggiunto a questo punto la palpebra con il pannello strumenti anteriore dell’abitacolo, stuccando la parte frontale col Milliput nero. Il cupolino fisso si innesta bene e non necessita di interventi. A seguire ho mascherato abitacolo, vani carrello, presa d’aria e radome, preparando il modello alla verniciatura.

Prima di iniziare, però, ho deciso di completare tutti gli elementi rimasti quali lo scarico, i carrelli con relativi portelloni e i carichi alari. Inizialmente avevo scelto il set Brassin per l’exhaust ma, già dalle prime prove a secco, mi sono accorto delle sue dimensioni ridotte rispetto alla sede in fusoliera. Approfondendo le mie ricerche ho scoperto che l’ugello reale del motore F110 ha un diametro di 118 cm, che riportato in scala 1/48 dà come risultato 2,45 cm. – il Brassin misura appena 2,3cm. In casa avevo già a disposizione la controparte prodotta dalla Aires che è correttamente dimensionata (il diametro del pezzo è di 4,5 mm circa). A conti fatti è ovvio che la resina della Eduard non è idonea e ne sconsiglio l’acquisto.

Avendo comunque entrambi i set disponibili ho verificato la compatibilità scegliendone le parti migliori: infine ho utilizzato i petali e il condotto interno della Aires, mentre l’ultimo stadio del compressore è della Brassin. La ventola è in resina completata da tre fotoincisioni sovrapposte, che consentono una colorazione in diversi livelli e con più dettagli; verniciata con diversi toni metallici Alclad, sfumati poi col Weathering Master set D Tamiya, fa la sua bella figura!

Per ciò che concerne il tubo di scarico, dopo aver steso una mano di Surfacer 1500 white al suo interno, ho aggiunto un velo di Off White H-21 per simulare il rivestimento ceramico; per completare il lavoro ho eseguito un lavaggio in Bruno Van Dyck ad olio. Una volta opacizzato, ho aggiunto i segni dei gas incombusti di colore nero con le polveri del Weathering Master Set B Tamiya.

Come base per la colorazione dei petali esterni ho usato il Primer Alclad ALC-305-60, proseguendo poi con il Dark Aluminium ALC-103 e il Metallo Scuro “Metalizer” della Model Master. Una volta unite le due parti che compongono lo scarico, ho steso del trasparente semilucido Tamiya X-35 al fine di proteggere le vernici metallizzate.

Il flap sinistro cannibalizzato ha i toni desertici: metà l’ho colorato in Light Sand LP-30 Tamiya, lumeggiato con del Radome Tan H-318 Gunze; l’altra metà in verde H-330, lumeggiato con il verde oliva XF-62 Tamiya. La linea di separazione tra i colori, questo caso, deve essere sfumata.

Le ruote in resina Eduard Brassin sono molto belle, basta dargli un effetto peso limando la zona di appoggio. I cerchioni, come del resto i vani carrello e le gambe di forza, sono in bianco opaco mentre gli pneumatici in Nato Black Gunze H-77 (col battistrada lumeggiato in Gunze H-305 molto diluito). Dopo aver lucidato con X-22 il tutto, ho messo in evidenza i dettagli con un lavaggio in nero e, a seguire, ho posizionato le decal. Una volta opacizzato, ho aggiunto qualche piccola sbavatura d’olio e di sporco con il Weathering Master Set D e i cavi dei freni lungo le gambe principali.

La configurazione dei carichi esterni che ho scelto prevede i soli tre POD che nel kit Tamiya sono già tutti compresi. Sotto alla fusoliera, al pilone centerline, c’è l’ALQ-188 con compiti di “jammer”; all’estremità alare destra un CATM-9 e un ACMI TACTS POD sul rail opposto. A questo ho ricostruito il sensore frontale, eliminando quello in plastica, e ricostruendolo con uno spillo inserito in un ago da siringa.

Ora è tutto pronto per la verniciatura del modello. Ho iniziato applicando il pre shading in H-305 e, subito dopo, l’Air Superiority Blue F.S. 35450 della Mr.Paint (MRP-450). Foto alla mano, ho mascherato col nastro Tamiya le zone interessate (ricordo che gli stacchi tra i colori sono netti) cercando di prendere i riferimenti seguendo le linee delle pannellature. Il secondo tono ad essere spruzzato è stato l’International Blue F.S. 35109 sempre della Mr.Paint (MRP-238). Per ultimo ho lasciato il grigio F.S. 36270 (H-306 Gunze) applicato, però, su un pre shading leggermente più scuro (fatto col Gunze H-331).

Una volta asciutto ho rimosso il nastro controllando eventuali imperfezioni o infiltrazioni indesiderate di vernici… per fortuna non ne ho trovate. Gli altri due elementi cannibalizzati da altri velivoli sono il timone di direzione e lo slat sinistro, entrambi in livrea “artic”. Ho iniziato dal bianco col Surfacer 1500 White Gunze, per poi passare al Nato Black Tamiya e al grigio H-306.Le linee di demarcazione, anche qui, sono morbide e sfumate e per realizzarle ho usato il metodo del Patafix. L’antenna TACAN e GPS sul dorso sono in Gunze H-331; il ricettacolo per il rifornimento in volo e il pannello dello scarico dell’APU sotto alla fusoliera, in Aluminium ALC-101 Alclad.

Ho sigillato tutto con diverse passate leggere di Tamiya X-22, diluito inizialmente all’80% con diluente nitro, per poi salire progressivamente fino al 90% per ottenere una superficie liscia, lucida e ottimale per le decal. A tal proposito, il foglio della Bullseye è davvero molto bello e consente di riprodurre fino a quindici esemplari appartenenti al 64th e al 18th Squadron, uno più bello dell’altro! La loro qualità non si discute, aderiscono bene e si conformano utilizzando i liquidi Micro SOL e SET. Il passaggio più delicato riguarda la composizione delle walkway che hanno colori a contrasto con i toni della mimetica che attraversano.  Fortunatamente sono presenti dei segmenti aggiuntivi nel foglio che aiutano a correggere eventuali imprecisioni.

Ricordate, inoltre, che la stella sopra l’ala sinistra è posta fuori dalla posizione standard ed è rovesciata…un’altra particolarità di questo Viper!

Con un’altra passata di lucido ho fissato ulteriormente le decalcomanie e preparato la superficie per i lavaggi, che ho eseguito partendo dall’olio 502 della Abteilung (schiarito o scurito alla bisogna. Sui toni azzurri ho usato il Paynes Grey ABT255 e il Midnight Blue ABT225. Per le leggere sporcature e trafilature oleose dagli organi in movimento ho usato il Bruno Van Dyck. Dopo un ulteriore controllo ho dato la finitura finale al modello con l’Alclad klear kote Flat.

Mi sono, infine, dedicato al canopy che Tamiya offre già in versione brunita; purtroppo il pezzo presenta un segno superficiale sul lato destro dovuto ad un problema dello stampo. Ne abbiamo parlato anche sul nostro forum.

Con mano delicatissima per non aggravare la situazione ho iniziato a levigare il trasparente con carta fine da 1000, fino a eliminare ogni segno di stampaggio, per poi continuare con grane maggiori fino a rifinire con un cotton fioc e Compound Fine Tamiya. Se volete potete seguire anche la nostra guida per la lucidatura dei trasparenti.

Una volta mascherato col nastro Tamiya, ho verniciato l’interno in Nato Black ed ho aggiunto alcuni elementi come le maniglie, costruite con filo di stagno, per poi passare ai ganci di chiusura ricavati sezionando parti di vecchie fotoincisioni avanzate, piegate e lavorate. Lungo tutta la struttura corrono dei rivetti ben evidenti, e quelli della Archer sono perfetti (ho usato quelli per la scala 1/72 (AR88146), ritenendoli più piccoli e idonei).

Eliminate le mascherature rimanenti ho montato tutti i pezzi, iniziando dal carrello con relativi portelli, flap, sensori AOA in metallo, POD, e scarico. Ho lasciato per ultimi i dispersori statici, per via della loro delicatezza: li ho realizzati con un filo sottile in rame, verniciati poi in nero a pennello, Silver AK e giallo H-34 Gunze.

Devo ammettere che, al termine di tutte le fatiche, il modello si fa apprezzare anche grazie alla colorazione appariscente resa ancor più accattivante dalle parti cannibalizzate prelevate da altri velivoli. È la caratteristica che rende questo esemplare davvero unico e che, nel mio piccolo, ho ribattezzato… il mio piccolo “FrankenViper”!

Buon modellismo a tutti e…buon Aggressor!!!

Fabio “Jolly Blue” Barazza.

Bell AH-1 F Tzefa (Cobra) dal kit Revell/Monogram in scala 1/48.

La storia del Cobra in seno alla Israeli Air Force ha inizio ufficialmente l’11 aprile 1975, quando il primo AH-1 giunse in Israele venendo subito rinominato “Tzefa” (vipera in ebraico). La decisione della IAF di dotarsi di un moderno ed efficiente elicottero da combattimento arrivò dopo le esperienze maturate durante la Guerra dei Sei Giorni, dove circa 35 mezzi ad ala rotante (tra cui gli UH-1 e i Sikorsky S-58) contribuirono al successo delle operazioni spostando con rapidità le unità di paracadutisti sul teatro, e rappresentando un notevole vantaggio tattico. Al fine di fornire protezione alle forze a terra, e di garantirla per il maggior tempo possibile, gli Huey e gli S-58 furono dotati di armi brandeggiabili da 7,62 mm montati sui portelloni, ma era ovvio che questo accorgimento non fosse sufficiente per offrire la giusta capacità di reazione in caso di attacco nemico.

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Per questo motivo, dopo attenta valutazione, il comando dell’aeronautica israeliana scelse l’elicottero da attacco della Bell che fu consegnato in sei esemplari della variante G, ex surplus dell’esercito americano (le cellule avevano già avuto ampio battesimo del fuoco nella guerra del Vietnam).  Dopo appena un anno dall’entrata in linea, i vertici della IAF si resero conto che il sistema d’arma palesava delle nette carenze su almeno tre aspetti: la mancanza di un sistema di navigazione all’avanguardia, l’impossibilità di lanciare missili guidati e l’assenza di un sistema di visione laser e ad infrarosso (FLIR). Per tale motivo i sei elicotteri da poco operativi vennero nuovamente inviati negli Stati Uniti per essere convertiti allo standard AH-1 S, caratterizzato dalla più potente turbina Lycoming T53 da 1800 HP e capacità di impiego dei missili TOW. Contestualmente, per sopperire alla carenza momentanea, Israele acquistò anche sei AH-1 S ECAS “Cobra TOW” di nuova costruzione già dotati del cannone a tre canne rotanti M-197 e della nuova conformazione dei vetri della cabina. Nel 1978 gli esemplari convertiti furono, finalmente, rispediti in patria entrando ufficialmente in combattimento appena dieci mesi dopo, nel maggio del 1979, durante un attacco notturno ai danni di alcune abitazioni, all’interno del campo profughi di Al-Batz – in Libano, che ospitavano terroristi palestinesi.

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Nel settembre dell’82 l’amministrazione americana autorizzò la vendita di un lotto di Cobra alla Giordania e, come controparte, fu concessa alla Israeli Air Force la possibilità di acquistare dozzine di nuovi AH-1 S Modernized (dal 1986 ri designati ufficialmente AH-1 F) che presentavano importanti upgrade tra cui un nuovo sistema di tiro, Head Up Display, ridotta traccia IR, maggiori capacità di auto difesa, early warning e Chaff & Flare dispenser. Proprio la variante F ha rappresentato la spina dorsale della componente da attacco per circa 30 anni, venendo impiegato in tutti i maggiori teatri operativi ed in particolare la striscia di Gaza e quello libanese.

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Nonostante il Cobra sia uno degli elicotteri più famosi e diffusi al mondo, i kit a lui dedicati sono esigui e, in particolar modo, quelli relativi alle versioni più vecchie (qualcosa di più, invece, esiste per quelle più “late” come la W – “Whiskey” e la Z – “Zulu”). L’unico prodotto a disposizione per riprodurre un AH-1 F è il datato Monogram risalente al 1986, più di recente re inscatolato dalla Revell (con codice 04646) diversificandolo dalle precedenti uscite con un foglio decal che include anche un esemplare israeliano. Il modello risente del peso degli anni con le pannellature, poche anche sull’elicottero reale a dire il vero, tutte in positivo e dettagli molto basici. Tuttavia, raffrontandolo con i disegni in scala, è molto preciso come forme e dimensioni (la ditta americana, per i canoni dell’epoca, lavorava davvero bene).

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Indubbiamente, lo stampo ha un pressante bisogno di essere aggiornato e portato a standard più confacenti le esigenze modellistiche moderne benché il mercato degli aftermarket offre davvero poco per tale scopo. A conti fatti ho potuto reperire solamente le comode mascherine pre tagliate della Eduard (codice EX-291), il cannone M-197 in ottone tornito della Master (codice 48-056), l’IR Jammer ALQ-144 in resina della Fireball Modelworks (codice FMR-018), la conversione “multimedia” (resina e fotoincisioni) della Isracast (codice IC-48028) e un set della Werner’s Wing che comprende i lanciatori dei missili TOW (di dubbia fattura, ma di questo parlerò in seguito). A completare il corredo ho aggiunto il foglio decalcomanie della Isradecal IAF-81 – IAF Attack Helicopters e, davvero fondamentale per la buona riuscita del progetto, la monografia della stessa ditta. La documentazione inerente i Cobra israeliani è scarsissima ed in rete si reperiscono solamente poche foto; senza disporre del libro trovare informazioni e foto di walkaround diventa un’impresa praticamente impossibile, per questo ne consiglio l’acquisto anche se, ultimamente, è diventato difficile reperirlo se non a prezzi decisamente troppo alti. Proprio sfogliandolo mi sono reso conto della mancanza di molti particolari che, purtroppo, non sono mai stati proposti neanche come accessori; grazie al fondamentale aiuto e collaborazione dell’amico Andrea, moderatore del forum di Modeling Time, ho ottenuto queste parti mediante progettazione e stampa 3D (approfondirò l’argomento più avanti nell’articolo).

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Fusoliera e gruppo turbina:

Contrariamente a quanto sono solito fare, i lavori hanno preso il via dalle fusoliere che sono state interessate da vari interventi. Il primo ha riguardato l’apertura dello scarico del separatore di particelle del filtro anti sabbia eseguita incidendo la plastica con il cesello della Mr. Hobby, poi rifinito con una limetta piatta e striscioline di Plasticard per livellare i bordi.

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Rimanendo nella stessa zona, nel punto indicato dalla freccia azzurra è prevista una finestra trasparente per il controllo del livello olio motore: anche in questo caso ho praticato lo scasso (con delle punte elicoidali sottili) che ho, poi, riempito con una “scheggia” di stirene trasparente adattata e lisciata a dovere.

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La freccia blu indica il complesso delle griglie di aerazione della trasmissione e dello scarico motore: le due in alto sono già forate da scatola, al contrario quella più in basso è in plastica piena. Questa è stata la fase più delicata perché, oltre ad eliminare l’anti estetica griglia stampata, è necessario assottigliare lo spessore della fusoliera in modo che tutto risulti in scala. Per questo ho utilizzato varie frese montate sul trapanino elettrico e, con molta attenzione, ho asportato una cospicua quantità di materiale dall’interno. I bordi esterni degli alloggiamenti li ho successivamente rettificati con ulteriori striscioline di Plasticard da 0,13 mm per renderli lineari.

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Una volta raggiunto uno spessore accettabile per la 1/48 (prestate molta attenzione a non “bucare” la superficie accidentalmente), ho incollato sul retro le griglie. Per simularle ho trovato perfetti i filtri a rete per il tè che, oltretutto, sono in materiale plastico e si incollano agevolmente con la Tamiya Extra Thin Cement. Per dovere di cronaca, le griglie sono fornite anche nella conversione Isradecal ma sono foto incise e molto più complicate da gestire; inoltre la maglia ha una trama, a mio avviso, assolutamente fuori scala.

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Spostandomi sul troncone di coda, gli Tzefa montavano un’antenna VHF a lama sul lato sinistro, parzialmente annegata in un alloggiamento della fusoliera. Sul kit esso è delimitato da una pannellatura che torna molto utile per prendere le misure (N.d.R. attenzione alla forma dell’antenna stessa, negli anni è cambiata in base agli aggiornamenti subiti). Dopo aver praticato l’apertura ho incollato il fondo (ricavato dal solito Plasticard) e ho riempito i bordi con del Magic Sculpt.

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A questo punto ho proceduto alla totale re incisione delle pannellature, aggiungendo quelle mancanti con foto del soggetto reale alla mano. Altri pannelli li ho replicati solo dopo aver chiuso le semi-fusoliere per evitare di perderli a seguito delle immancabili stuccature.

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Nel corso delle mie ricerche per reperire documentazione e foto degli elicotteri reali, mi sono imbattuto in questo sito che offre buona parte dei manuali di manutenzione originali della Bell (sono di libero utilizzo e divulgazione oramai) approfondendo la conoscenza del mezzo e trovando molti spunti per dettagliare ulteriormente il modello. Primo particolare aggiunto, visibile anche nelle foto pubblicate sulla monografia Isradecal, è la copertura aerodinamica che protegge l’Intermediate Gear Box (e che mette in movimento il rotore di coda) – nello schema è contrassegnata dal numero 10.

Tail Boom Gear BoxIntermediate Gear Box

Sul lato sinistro è protetta da una carenatura che ho riprodotto con Plasticard da 0,3 mm sagomato e raccordato alla carlinga col Magic Sculpt.

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Sul lato destro, esternamente, si vede l’indicatore visivo del livello olio della scatola ingranaggi. Personalmente mi sono limitato a forare la plastica nel punto che potete vedere in foto e, a modello ultimato, simulare il vetrino con una goccia di Krystal Klear.

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Rimanendo in tema di trasmissione e turbina, gli AH-1 F israeliani disponevano di filtri anti sabbia alloggiati all’interno del vano motore (evidenziati dalla freccia in rosso nello schema qui sotto).

Particle Separator

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Il kit prevede gli elementi filtranti classici e per questo vanno eliminati e sostituiti con quelli in resina forniti nel set Isradecal (fate molta attenzione durante il loro montaggio perché hanno una posizione e un’inclinazione specifica).

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Come si nota anche nella foto sopra, al loro interno passa l’albero di trasmissione del rotore principale, particolare che ho rappresentato con un rod tondo della Evergreen da 1,2 mm.

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La parte “calda” e il condotto di scarico li ho verniciati in Steel della Alclad, la zona anteriore è un primer anti corrosivo simile al Chromate Yellow, ma più chiaro (il mix suggerito è composto da Tamiya XF-4 e Gunze H-413).

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La freccia in rosso indica una cornice sottile che tiene in posizione l’elemento filtrante anti sabbia, realizzato al plotter tagliando un foglio di Plasticard da 0,1 mm.

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Dato lo spessore cospicuo dello stirene, anche in questo caso ho reputato opportuno limare con attenzione i bordi di attacco delle prese d’aria esterne evidenziati dalla freccia in blu. Inoltre ho costruito un supporto per dare al complesso turbina un incollaggio più saldo e il corretto allineamento.

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Gli Tzefa erano dotati del kit per la riduzione della traccia IR, e questo comprendeva anche un “radiatore” che avvolgeva l’esterno dello scarico per favorire la dissipazione del calore. L’exhaust rappresentato dalla Monogram è del tipo intermedio senza soppressore, abbastanza approssimativo nelle forme e nei dettagli; ovviamente, non è corretto per i Cobra della Israeli Air Force. Cobra_48

Non esistendo un aftermarket dedicato, l’unica via per ricreare il pezzo è stata quella della stampa 3D mediante una stampante Photon della Anycubic, la flangia di fissaggio alla fusoliera e il rivestimento interno dello scarico sono in ottone tornito.

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Il pezzo è stato progettato per essere modulare permettendo di verniciarlo separato dal resto del modello, accortezza che ha di molto agevolato le operazioni.

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Ho migliorato anche il bocchettone del serbatoio carburante forando la superficie (anche in questo caso le pannellature originali sono state un valido riferimento) e incollando dall’interno due dischetti di Plasticard con spessore 0,13 mm sovrapposti.

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Cockpit e parti vetrate:

Ad essere del tutto sincero, il cockpit di questo vecchio kit non è neanche troppo male per avere 35 anni sulle spalle. La Monogram aveva la buona abitudine di particolareggiare bene cruscotti e consolle, e anche in questo caso non si era smentita. Cobra_33

Di certo non sono comunque presentabili per lo standard attuale e per tale motivo ho deciso di carteggiare e fare tabula rasa di tutte le superfici, ripartendo da zero.

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Dietro al sedile del pilota erano installati due pannelli dei circuit breaker: quello di destra è già fornito nelle stampate ed è accettabile. Quello di sinistra, al contrario, deve essere auto costruito con del Plasticard.

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La scatola montata sulla paratia (già stampata dalla Monogram ma abbastanza approssimativa) è l’M136 Electronic Interface Unit: in pratica è l’elaboratore dei segnali che arrivano dall’Helmet Sight Subsystem, ovvero i sensori di puntamento montati sui caschi del pilota e del cannoniere. L’apparato era composto anche di altri elementi di cui vi parlerò nel prosieguo dell’articolo.

Helmet Sight Subsystem

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L’altra box, anch’essa già presente, è l’SCAS (Stability And Control Augmentation Sensor). Era parte di un sistema che il pilota e il cannoniere potevano ingaggiare durante il tiro (del cannone o dei missili TOW) per stabilizzare l’elicottero.

SCAS

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Le consolle sono state completamente rifatte col solito Plasticard sottile e alcune fotoincisioni provenienti dal set Scale Modern Jet Components della Airscale (codice PE-48 MOD). Le migliorie hanno interessato anche le paratie laterali dell’abitacolo del pilota e la zona alle sue spalle dove sono alloggiate diverse scatole avioniche riprodotte con varie sezioni di rod quadrati della Evergreen.

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I cruscotti da scatola sono buoni ma devono essere modificati per rappresentare correttamente la configurazione degli Tzefa:

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Frecce Rosse: indicano gli elementi ricostruiti e aggiunti prendendo come base le foto contenute nella monografia Isradecal. Nei vari anni di servizio la postazione del cannoniere è cambiata molto, l’esemplare che ho scelto presentava un aggiornamento intermedio stando alle foto che sono riuscito a reperire. Lo schermo centrale è formato da varie sezioni di rod quadrato, più una fotoincisione recuperata dal set Airscale sopra citato. Stesse PE (photoetched) utilizzate anche per aggiornare la parte sinistra del pannello strumenti dove trovavano posto una serie di pulsantiere per inserimento dei dati di navigazione e di tiro.

Frecce Arancioni: aggiunte le bocchette del sistema anti appannamento/aerazione.

Freccia Nera: indica uno strumento da eliminare sopra l’orizzonte artificiale perché non installato sugli Tzefa.

Freccia Blu: aggiunta la scatola di quello che dovrebbe essere il controllo dei lanciatori Chaff & Flare sulla palpebra della postazione del pilota.

Freccia Verde: allungata la consolle centrale, quella originale è davvero troppo corta.

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Rimanendo sul cruscotto del pilota, ho eliminato l’Head Up Display stampato in plastica per sostituirlo con una copia, migliorata e corretta, anch’essa in resina 3D. La lente del proiettore è ricavata da un tondino di alluminio tornito e lucidato a specchio.

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I seggiolini meriterebbero un capitolo a parte per quanto lavoro hanno richiesto. Partendo dal solido presupposto che quelli da scatola sono inutilizzabili e vanno cestinati (le forme e le dimensioni sono di pura fantasia), anche in questo caso non ho potuto far altro che chiedere l’aiuto di Andrea per riprodurre in 3D gli schienali blindati e i cuscini; le piastre delle sedute, invece ho preferito auto costruirle con del Plasticard da 0,2 mm sagomato per contenere gli spessori.

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Pilots Seat

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Per quanto concerne la verniciatura, per praticità ho riportato tutte le vernici utilizzate nell’immagine che segue:

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Le cinture dei sedili provengono dal set HGW dedicato al P-51 che sono simili e compatibili (almeno in scala) con quelle installate sui Cobra. Le cinghie sono fatte del materiale chiamato “fabric”, una sorta di stoffa un po’ elastica che dà veramente un tocco di realismo poiché può essere conformata a piacimento. Il suo colore, però, è poco realistico per cui ho preferito riverniciare le superfici con il mix Vallejo che ho indicato. Tutti i volumi del cockpit li ho messi in evidenza con la tecnica del dry brush che si sposa benissimo col colore scuro del fondo. A tale scopo ho creato un mix non troppo chiaro miscelando del nero e del bianco ad olio per cercare di mantenere le luci ben bilanciate. A seguire ho profilato tutti i sottosquadri e le ombre con un nero ad acquerello steso con un pennello sottile: il metodo funziona e dona molta profondità e definizione ai pezzi, inoltre questo genere di pigmenti sono sfumabili e modulabili a in base all’effetto che si vuole ottenere.

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La strumentazione dei pannelli proviene dal set di decal “Model Airplane Instruments” della Airscale (codice AS48 HAC), in più ho aggiunto altri particolari della Anyz che danno una marcia in più all’insieme.

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Il tubo sagomato, che passa sotto al cuscino del cannoniere, veicola l’aria dal sistema di condizionamento e l’ho realizzato con un filo di acciaio armonico su cui ho avvolto a spirale un filo sottile di rame per simulare i rinforzi. Lo stesso sistema pneumatico è previsto anche per il sedile del pilota.

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Per ciò che riguarda le grandi parti vetrate che chiudono gli abitacoli, andando ad analizzare quelle contenute nel mio kit ho trovato una brutta sorpresa perché durante le prove a secco mi sono reso conto che qualcosa non andava. Sistemando i pezzi sul lato destro si presentavano vistosi disallineamenti sul sinistro, e viceversa. Alla fine, dopo vari tentativi, mi sono reso conto che il trasparente che chiude il cielo cabina è completamente deformato.

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Non è un problema di confezionamento degli sprue che potrebbero essere stati sottoposti a eccessive pressioni o schiacciamenti, bensì è un difetto dello stampo che, evidentemente, con gli anni e i vari re-box si è deteriorato. A riprova di quanto affermato, il vetrino in alcuni punti presenta degli spessori della plastica anomali che si notano ponendolo sotto la luce di una lampada; inoltre, controllando i work in progress di altri modellisti che si sono cimentati con la scatola Revell, ho notato gli stessi problemi da me riscontrati. Ho pensato a varie opzioni per poter superare l’inconveniente, tra cui quella di ricostruire da zero il telaio e riprodurre i singoli vetri con acetato, ma alla fine ho dovuto scartare tutte le idee perché la struttura sarebbe risultata davvero troppo fragile. Non mi è rimasta altra scelta che acquistare un altro kit originale Monogram (per fortuna se ne trovano ancora in circolazione) in cui il pezzo è perfettamente allineato. La differenza è netta:

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Volendo riprodurre i portelloni di accesso agli abitacoli aperti, è necessario separare le porzioni di vetrino interessate. Per la parte sinistra l’intervento è semplice poiché basta sezionare il pezzo lungo la linea di taglio già stampata all’interno. Per la destra, al contrario, è decisamente più complicata perché il portello, oltre ad avere una forma meno lineare, è anche unito alla copertura superiore e al blindo vetro del pilota. Le incisioni le ho praticate mediante la seghetta a doppia lama della Razor e il cesello della Gunze con punta da 0,2 mm (ottimo per questo genere di lavori).

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Le parti ottenute hanno spessori esagerati per la 1/48 e sono anche sottodimensionati: per riportarli alle giuste proporzioni ho deciso di incollare delle cornici esterne fatte del solito Plasticard tagliato al plotter. I pezzi ottenuti li ho sfruttati come master per la riproduzione tramite la tecnica del Vacuform (un nostro video tutorial lo trovate QUI) ricavandone dei nuovi con sezioni decisamente più in scala.

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A questo punto mi sono dedicato al dettaglio interno: sul vetro fisso a sinistra ho ricreato l’alloggiamento per la sonda della temperatura esterna, e con un tondino di Plasticard ho simulato la veglia dello strumento; su quello alla destra del navigatore c’è una bugna che serve a dare ulteriore spazio di manovra al braccio quando si utilizza il joystick, posto sulla consolle, che comanda anche la torretta del sistema di puntamento. Lo scasso non esiste, per cui ho dovuto asportare la plastica in eccesso con il trapanino elettrico e rifinire il tutto con una striscia di Plasticard da 0,1 mm che simula il longherone di rinforzo della cornice.

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Sulle parti apribili ho inserito la struttura di rinforzo che tiene i plexiglass in posizione, semplicemente sfruttando il progetto già usato per ricreare le cornici di dimensioni corrette e adattando i pezzi al nuovo scopo. Ho infilato anche i pin di riscontro utilizzando delle sezioni di cavo di acciaio armonico e, alla fine della costruzione, questo escamotage mi ha permesso di unire i pezzi solidamente senza rischiare indesiderati aloni di colla. Le sedi per i pistoni di sollevamento sono sezioni di tubicino di ottone da 1 mm limato e adattato, le piastre delle maniglie sono un mix di nastro d’alluminio adesivo e Plasticard.

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Altre lavorazioni hanno riguardato, in ordine:

  1. Rimozione e rifacimento della piastra su cui verrà poi fissata la lama taglia cavi fornita in fotoincisione nel set Isracast. Ho preferito rimuovere l’originale, stampata assieme al trasparente, perché la struttura contemplava lo scasso per il pezzo che simula la lama stessa, e che da kit ha spessori inaccettabili. Quindi, via tutto e ho auto costruito i vari elementi col solito Plasticard.
  2. Dato che sui portelloni di accesso ho, come detto prima, realizzato dei perni di fissaggio, ho dovuto creare degli scassi ad hoc sulla parte fissa. Facendo estrema attenzione ho forato la plastica con delle micro punte da 0,3 mm… un lavoro da sudori freddi!
  3. Per ultimo ho aggiunto le piastre (dei pezzi di nastro Dymo tagliato a misura, che è già nero e auto adesivo (cosicchè incollarli in posizione è stato molto più semplice), su cui si montano gli elementi che compongono l’HSS – Helmet Sight System, ovvero il sistema di puntamento integrato nei caschi degli operatori. Sui Cobra americani l’HSS era utilizzabile sia dal pilota, sia dal cannoniere, ma guardando le foto degli esemplari israeliani mi sono reso conto che nella maggior parte dei casi era solo quest’ultimo a disporne (nell’abitacolo del pilota i rail erano solitamente rimossi e rimanevano visibili solo le piastre di fissaggio). Studiando i manuali di manutenzione e le foto on line (poche a dire il vero, ancora una volta è stata utilissima la monografia Isradecal in questo senso) ho cercato di riprodurre il pantografo che si agganciava al casco stesso con due magneti. Esso è composto da tre tondini di ottone da 0,8 mm piegati a freddo e montati su due striscioline di Plasticard da 0,2 mm; non è del tutto fedele ma la mancanza di spazio dovuta agli spessori del trasparente, e l’effetto scala da rispettare, mi hanno fatto scendere a compromessi. Per completare il lavoro ho aggiunto i cavi che collegano il link all’elaboratore elettronico posto alle spalle del seggiolino del pilota (una delle tante “scatole” presenti in quella zona) e che, normalmente, erano lasciati sul bracciolo destro della postazione del gunner o sulla relativa consolle.

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Rotore principale e di coda:

Come molte altre parti del kit, anche i rotori soffrono di parecchie approssimazioni e mancanze. Inizialmente volevo limitare gli interventi al minimo sindacale ma, controllando anche la documentazione, mi sono reso conto che avrei fatto meno fatica a ricostruire quasi del tutto i vari meccanismi piuttosto che sfruttare quelli già esistenti. Il primo intervento ha riguardato quello principale a cui ho separato, con una seghetta foto incisa e molta attenzione, le pale dal piatto oscillante.

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Mediante il mio fidato plotter ho tagliato i supporti cui sono assicurate le pale stesse (da eliminare subito dopo il taglio al fine di rappresentarli col giusto spessore), e così facendo ho ottenuto delle parti con le medesime dimensioni. Utilizzando l’originale come dima ho ricavato le misure per eseguire il foro di centraggio del mozzo che ho realizzato con un pezzo di rod circolare della Evergreen.

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Le pale stesse sono state assottigliate, reincise e completate con i bulloni di fissaggio che ho rappresentato con piccole sezioni di tondino d’ottone. Anche l’albero motore ha subito delle migliorie, ma solo nella parte superiore che è l’unica visibile a modello ultimato.

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Sul rotore anti-coppia mi sono limitato ad aggiungere alcuni braccetti e i contrappesi di equilibratura; i materiali utilizzati sono i soliti tra cui Plasticard (fustellato in dischetti), ottone e vecchie fotoincisioni provenienti dal provvidenziale magazzino spare part.

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Pattini:

I pattini sono un altro elemento che denota tutto il peso degli anni del kit Revell/Monogram. I tubolari sono spessi, di sicuro non in scala e stampati in modo dozzinale con evidenti bave di plastica. Inizialmente non ero intenzionato a modificarli se non migliorando piccoli particolari ma, in definitiva, ho deciso di ricostruirli da zero anche per garantire al modello ultimato una maggiore solidità.

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La prima operazione è stata quella di tagliare via tutto mantenendo solamente l’inserto che chiude la fusoliera nella parte inferiore. Successivamente, con un tondino di ottone da 0,7 mm piegato a freddo, ho ricreato la forma dei montanti basandomi sui pezzi originali. Non è stato semplice trovare il giusto metodo ma alla fine, sfruttando il manico in legno di una lima ad ago come una calandra, sono riuscito nell’intento.

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I pattini, invece, sono due profilati tondi della Evergreen da 2mm di diametro (codice 212) modellati a caldo. I quattro alloggiamenti in cui si innestano i montanti (due per ogni elemento) sono tubicini, sempre della Evergreen, con diametro esterno da 3,2mm, ma che ho limato e ridotto per fargli assumere una forma tronco-conica.

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Sul corpo centrale ho incollato due sezioni degli stessi tondini che hanno funzionato da invito in cui infilare l’ottone.

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Il passaggio più complesso ha riguardato gli aggiustamenti per incollare tutti i nuovi pezzi in bolla, ed evitare che il piccolo Cobra possa assumere un assetto errato una volta concluso. Per tale motivo ho costruito una specie di telaio su cui ho riportato le misure dei pattini originali: allo scopo di tenerli fermi ho incollato delle palettine di legno, e sulla linea di mezzeria ho tracciato un riferimento per capire se il nuovo complesso fosse ben allineato e le distanze fossero correttamente riportate sia a destra, sia a sinistra.

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Una piccola livella mi è stata utilissima, in più, per avere conferma che la struttura fosse centrata, ho sfruttato il classico metodo per lavori in muratura: due fili a piombo provvisoriamente fissati a poppa e a prua.

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Dopo decine di prove a secco, e dopo aver trovato la quadra, ho inondato (letteralmente) i tondini di ottone con la ciano-acrilica per fissarli saldamente. Qualche aggiustamento è stato necessario per permettere ai pattini di toccare perfettamente a terra lungo tutta la loro estensione. Inoltre ho aggiunto ulteriori dettagli quali le piastre di rinforzo, con nastro d’alluminio adesivo, e relativi rivetti (provenienti dai set della Archer di cui parlerò più avanti). Con un tondino di ottone da 0,1mm, invece, ho simulato i ganci che tengono in posizione le coperture in tela dell’abitacolo.

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Dal manuale di manutenzione ho ricavato le misure reali e da queste ho fatto un check per quelle in 1/48. Facendo la conversione tra pollici e centimetri, e riportando i valori in scala, tra i due pattini deve esserci un’apertura di 4,2 cm; misurando i pezzi ho riscontrato una misura di circa 4,1 cm.

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Particolari esterni:

L’unione delle due semi fusoliere non presenta problemi di sorta e gli insiemi combaciano abbastanza bene. Al contrario, la parte inferiore crea molte fessure ed è stato necessario intervenire con abbondante uso di ciano-acrilica (come stucco) e, in qualche punto, anche delle striscioline di Plasticard per riempire al meglio i gap.

In questa zona ho migliorato il faro d’atterraggio retrattile (gli Tzefa ne avevano altri due fissi) che sul kit è rappresentato in posizione chiusa. Dato che a terra era spesso estratto, ho aperto l’alloggiamento con delle fresette montate sul fidato trapanino elettrico e ho rifatto il fondo con una lastrina, ancora una volta, di Plasticard incollato dall’interno. I fari veri e propri (frecce in blu) li ho ottenuti in ottone, tornendo le parabole con un tornio da banco: quello centrale e quello fisso più piccolo a sinistra sono a luce diretta, l’altro contenuto nella carenatura aggiuntiva (in resina bianca Isradecal) era schermato per le operazioni notturne in NVG. I vetrini sono in plexiglass sagomato, ancora una volta, con il tornio e rifiniti/lucidati a mano.

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I particolari di colore bianco che vedete in foto sono i portellini di ispezione e le antenne circolari del radar altimetro, tutte rifatte col solito Plasticard e plotter da taglio.

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Sul castello motore occorre aggiornare o rimuovere alcuni apparati che non erano previsti per gli Tzefa. L’antenna ADF e il ricevitore del radar per le contromisure non erano installati perché rimpiazzati da sistemi più aggiornati. Parte del sistema RWR (Radar Warning Receiver) era integrato in una nuova carenatura della luce anticollisione che, infatti, è stata sostituita con la resina dedicata della Isracast (la luce stessa è stampata male e l’ho eliminata in favore di un’altra tornita in ottone).

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Subito dietro è visibile la carenatura del tubo di spurgo della sovrappressione del serbatoio olio, installato all’interno; tale tubo serviva, appunto, per eliminare la pressione in eccesso al di fuori del barilotto e, difatti, nelle foto si nota spesso l’area antistante abbastanza sporca di lubrificante.

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Ad ogni modo il pezzo stampato dalla Monogram è molto abbozzato ed ho optato per rifarlo da capo, immagini dei Cobra reali alla mano, partendo da un rod tondo della Evergreen da 2mm (scavato all’interno per simulare l’alloggiamento della cannetta).

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Con l’aggiunta delle ultime griglie di aerazione ho terminato il complesso dello scarico. I due sfoghi triangolari li ho tagliati su Plasticard da 0,2 (sempre col plotter) che, dopo averlo assottigliato ulteriormente, ho incollato direttamente sulla cofanatura. La retina proviene, ancora una volta, dal filtro da tè già usato in precedenza. A seguire ho montato la flangia di chiusura in ottone e l’anello di fissaggio del tubo di scarico esterno, su cui è necessario posizionare le staffe di fissaggio. Sono otto in totale, stampate in 3D e molto piccole; non è stato semplice allinearle per cui ho usato la massima cura e Attack Gel per avere più tempo durante le operazioni.

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I tanti portelli che chiudono altrettanti vani sono stati tutti disegnati e plotterati sul solito Plasticard. Qui sotto vedete i pannelli di copertura rettangolari di vari apparati avionici tra cui il sistema di stabilizzazione degli assi, alimentazione del FLIR e l’EPS (electronic power supply); il portellino più piccolo è quello che copre l’external power plug, dove si inseriva il generatore esterno per l’alimentazione elettrica.

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Sul lato destro, invece, si trovava il vano batteria (quello tondeggiante con griglie di aerazione) e il vano dell’Interface Control Unit (un altro sistema che fa parte del computer di tiro). Come avrete notato, i primi due pannelli li ho riprodotti con nastro kabuki adesivo, quello più grande in Plasticard, perché anche sull’elicottero reale avevano spessori differenti. Sempre in kabuki è anche la piccola piastra di rinforzo sotto il tappo del serbatoio carburante.

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Altre piastre e coperture rifatte in kabuki si trovano sotto il troncone di fusoliera. Quella a destra è relativa all’antenna del transponder, quella a sinistra ingloba due griglie di aerazione per l’avionica dei ricevitori radar warning.

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Sul frontale del castello motore c’è una presa d’aria che convoglia il flusso verso la turbina per il raffreddamento, e sugli elicotteri reali essa è protetta da una griglia anti fod. Per realizzare un lavoro pulito ho tagliato una cornice su cui ho incollato, all’interno, un altro pezzo di filtro da tè; il tutto è stato poi fissato sul modello stuccando con la ciano-acrilica (fortunatamente non ci sono pannellature da reincidere intorno).

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Alla base della deriva, in prossimità dello snodo della trasmissione, ci sono due rinforzi sagomati (anche questi plotterati). Cobra_91 Cobra_92

Noterete anche il pattino di coda che è formato da un tubicino di ottone e dall’elemento flessibile realizzato con dell’acciaio armonico; sulla fusoliera ho migliorato il relativo alloggiamento riempiendolo con un pezzo di rod tondo da 1,6 mm che ho poi scavato nuovamente utilizzando una fresa montata sul mio Proxxon, e varie limette ad ago. L’operazione si è resa necessaria perché, sul vero, il vano non è centrato sulla linea di mezzeria dell’elicottero, ma segue la forma dell’impennaggio verticale che è sbandato di qualche grado a sinistra per contrastare la coppia del rotore principale.

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Immagine inserita a scopo di discussione – fonte: https://www.ipms.nl

Alcuni AH-1 di determinati block costruttivi consegnati ad Israele erano dotati dell’ALT (Airborne Laser Tracker), sistema non sempre implementato sugli esemplari americani su cui la bolla in plexiglass era sostituita da una carenatura in vetroresina (così come rappresentato dalla Monogram).

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Per essere più preciso, verso la fine della vita operativa delle cellule l’ALT fu scollegato e non più utilizzato (a riprova del fatto in alcune foto di taluni Tzefa si nota della sabbia all’interno della cupola). L’elicottero da me scelto ne era, invece, provvisto per cui non ho potuto far altro che auto costruire la bolla stessa partendo da una bacchetta di plexiglass da 5 mm circa di diametro. Il pezzo è stato lavorato grazie all’ausilio del tornio da banco che mi ha risparmiato un bel po’ di fatiche. La fase più complicata è stata quella per svuotare il tondino, che ovviamente era pieno, e creare l’alloggiamento interno per il puntatore vero e proprio; questo è stato simulato tornendo il solito ottone.

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Replicata dal nuovo anche l’asta dell’ADS (Air Data System), perché il pezzo in plastica fornito nel kit non è assolutamente all’altezza. Ho usato un tubicino di rame tagliato a misura e piegato, la sfida è stata quella di non abbozzare il metallo nella parte curva. Il ricettacolo montato sul boom è stampato in 3D, mentre il sensore mobile è in alluminio tornito. Sul trasparente ho ricreato la piastra, su cui il complesso andrà poi alloggiato, con del Plasticard.

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Cannone e missili TOW:

Come anticipato all’inizio di questo lungo articolo, per migliorare i lanciatori e i TOW mi ero affidato al set della Werner’s Wings. Quando ho aperto la confezione, osservandolo più da vicino, mi sono reso conto che i pezzi forniti non erano altro che le copie di quelli da scatola con minimi dettagli aggiunti e, a conti fatti, non contribuivano al realismo generale.

Cobra TOW

Cobra TOW 2

Per questo li ho quasi del tutto scartati preferendo ricostruire gran parte dei componenti utilizzando il già citato tornio da banco. In particolare, il corpo dei missili l’ho ricavato, dal pieno, partendo dal solito ottone (metallo dolce e malleabile che si presta bene ad essere modellato); così facendo ho anche potuto dare la forma corretta al tubo che sia la Monogram, sia la Werner’s, non hanno riprodotto correttamente.

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La rastrelliera è un mix dei pezzi in resina (il travetto centrale è già rivettato e ho potuto sfruttarlo) ed altri totalmente auto costruiti. Le volate sono anch’esse tornite in ottone, come anche i tubi di scarico, ma quest’ultimi ottenuti da un tubicino di rame; ad entrambi ho assottigliato gli spessori delle sezioni frontali per renderli quanto più in scala possibile.

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Le parti in Plasticard sono delle flange di rinforzo che ho ritagliato dal solito foglio da 0,1 e incollate in posizione con la ciano-acrilica.

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Le ali (così vengono chiamate anche nei manuali di manutenzione), dove trovano alloggiamento i carichi esterni, sono state reincise e completate dei due piccoli pannelli circolari in rilievo per cui ho usato, di nuovo, il nastro Dymo; le sedi dei bulloni di fissaggio le ho riprodotte con un tubo Albion Alloy da 0,4 mm. Sotto ho riempito gli scassi per i piloni delle razziere (o dei serbatoi ausiliari) che sugli Tzefa, nell’ultimo periodo di vita operativa, non erano praticamente quasi mai installati.

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Pur essendo, inizialmente, convinto di poter migliorare i pezzi forniti nel kit, sono stato costretto a scartare anche gran parte del cannone M-197 perché col materiale a disposizione non avrei ottenuto nulla di soddisfacente. Anche in questo caso il ricorso al tornio è stata la soluzione per ricavare gli elementi principali dell’arma, a parte le canne che (fortunatamente) provengono dal bellissimo articolo della polacca Master.

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In rete, e sulla monografia Isradecal, si trovano parecchie foto del cannone ma, in realtà, quasi tutte non sono veramente utili. Inoltre, molto spesso in situazioni non operative veniva smontato il “feeder”, ovvero la “scatola” dove passano i nastri dei colpi e che alimenta il tamburo. Approfondendo l’argomento, preso anche dalla curiosità, ho compreso che esso è uno dei sistemi più soggetti all’usura e all’ossidazione per cui gli armieri preferivano salvaguardarlo da eventuale ruggine e, di conseguenza, inceppamenti. Girovagando in rete (che è una fonte inesauribile di ottima documentazione e, soprattutto, gratuita) ho direttamente reperito il manuale tecnico con l’esploso e i vari part number:

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A questo punto ho acceso il tornio per lavorare il solito tondino di ottone e tirarne fuori il tamburo. Sulla destra c’è, appunto, il feeder che ho ricostruito con del Plasticard da 0,2 mm sagomato (ci sono volute decine di prove a secco e molta calma perché non è facile capire gli ingombri corretti in scala). Per simulare le ruote dentate che fanno scorrere le cartucce ho recuperato dei vecchi ingranaggi da un amico orologiaio (il suo aiuto è stato provvidenziale); anche se non sono del tutto in scala, fanno comunque la loro figura. L’alberino è in ottone tornito.

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Sulla parte opposta, invece, ho rifatto da zero il motorino che controlla lo spostamento sull’azimut (Azimuth Drive) utilizzando, ancora una volta, del Plasticard e dei profilati Evergreen.

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Più in basso ci sono due smorzatori che regolano il rinculo del cannone; sono davvero piccoli e li ho ottenuti da una base in Plasticard su cui ho applicato due sezioni di tubicini di ottone Albion Alloy da 0,1 e 0,2 mm l’una dentro l’altra.

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Il telaio (saddle part nello schema sopra) su cui è fissato il cannone è sempre in Plasticard, ricostruito per seguire gli ingombri dei nuovi pezzi e della torretta originale del kit che è già buona di suo. All’interno ho anche inserito un pezzo di nastro munizioni prelevato dalla scatola “U.S. Machine Gun” della Academy, è in scala 1/35 ma la differenza non si nota anche perché, alla fine, i proiettili sono praticamente nascosti dalla struttura.

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Montaggio finale e rivetti:

Uno dei passaggi più delicati è stato quello del montaggio delle grandi superfici vetrate. Ma prima di unirle al resto del modello ho inserito gli ultimi particolari mancanti:

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Quella che vedete sulla destra dell’abitacolo anteriore, montata su uno stelo e col filo elettrico a spirale, è una luce da lettura. In alcune foto è ben visibile, in altre è nascosta perché spesso il cannoniere (o il pilota) la “collassavano” verso il basso per non intralciare la visibilità.

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L’equipaggio era protetto da delle piastre balistiche poste sui fianchi dei seggiolini (per cui ho usato il Plasticard da 0,2 mm). Frontalmente sulla destra del cannoniere/puntatore, ho aggiunto una piccolissima consolle che alloggia la bussola di backup, l’orologio/cronometro e uno specchietto retrovisore.

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Per incollare i vetrini ho adottato una sequenza ben precisa: per primo ho fissato il finestrino laterale alla sinistra del pilota con due gocce di Vinavil; l’incollaggio definitivo l’ho eseguito spennellando del metiletilchetone (va bene anche la Tamiya Extra Thin Cement) lungo tutte le giunzioni. È importante montare prima questo elemento poiché funge da battuta e da allineamento per il trasparente superiore che, ancora una volta, è stato saldato facendo filtrare il MEK in profondità nelle fessure. Sconsiglio l’utilizzo di ciano acrilica o Vinavil (se non per fermare momentaneamente le parti) dato il rischio di macchiare le superfici che sono davvero molto estese.

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Gli Tzefa israeliani durante gli anni hanno subito molti upgrade e, tra questi, almeno tre hanno riguardato il sistema di puntamento. Quello montato sul mio esemplare presentava l’aggiornamento “Reshafim”, ultimo ricevuto prima della radiazione. La forma delle lenti e della torretta stessa era molto diversa dagli elicotteri americani, per questo la Isradecal le fornisce in resina da applicare sul pezzo da scatola che rappresenta il retro. Mancano, però, i pannelli d’ispezione imbullonati ai lati, che ho reinciso.

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Ovviamente differiva anche la configurazione della barra antiurto che non è uguale a quella proposta nella scatola (tra l’altro anche abbastanza sproporzionata e fuori scala, quindi da scartare a priori). Alla fine, ho ricostruito tutto con il solito tubicino in ottone della Albion incollato su due supporti in Plasticard.

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La piccola “antennina” che vedete è, in realtà, l’indicatore visivo della posizione della torretta che il puntatore poteva sfruttare per rendersi conto di eventuali incongruenze nell’allineamento. La base è un pezzo di ago di siringa rastremato su cui ho incollato una sezione di filo armonico d’acciaio che è sottile e proporzionato.

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Spostandomi sul troncone di coda, ho preparato e predisposto i lanciatori dei Chaff/Flare in resina che, purtroppo, sono mancanti della griglia che racchiude le cariche. L’ho rifatta utilizzando una retina foto incisa della Eduard (codice 00106) che non è propriamente in scala ma, alla fine, fa il suo dovere.

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In alto c’è l’IR Jammer che, in gergo, viene chiamato “disco ball”. Anch’esso è in resina poliuretanica ed è stampato dalla Fireball Modelworks con una buona qualità.

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Le frecce in blu mettono in evidenza i tappi che sugli esemplari della IAF coprivano gli alloggiamenti delle antenne ILS (su entrambi i lati), sistema montato sugli elicotteri americani ma non sugli Tzefa. Ho chiuso i fori con dei dischetti di Plasticard fustellati.

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Il set Isradecal fornisce praticamente tutte le antenne RWR e sensori aggiuntivi montati dagli israeliani (a tal proposito fate attenzione a cosa aggiungere perché, negli anni e secondo i vari aggiornamenti, alcuni sistemi non furono installati), eccezion fatta per questa piccola antenna trapezoidale che è stata completamente tralasciata. Poco male, l’ho rifatta con del Plastirod di sezione quadrata sagomato a colpi di lima.

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Approfittando del tornio in funzione ho rimodellato anche l’antenna GPS posta davanti al parabrezza.

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A questo punto ho anche incollato i pattini che mi hanno dato del filo da torcere, soprattutto per trovare il giusto allineamento e assetto finale. Ho usato del Vinavil colato all’interno degli alloggiamenti poi, dopo avere messo in bolla il modello, ho saldato il tutto facendo filtrare della ciano acrilica dall’esterno.

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Ho completato anche i travetti laterali cui ho aggiunto le luci di posizione (provenienti dai set in resina trasparente colorata della CMK) e la flangia di copertura dei bulloni di fissaggio che ho riprodotto plotterando la forma sul nastro Kabuki.

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Anche le superfici inferiori sono complete. In più ho anche tornito in ottone la sonda della temperatura esterna che si vede appena uscire da sotto. I due fori che vedete liberi sono di predisposizione per un gancio di “tie down” (cioè che veniva usato per ancorare l’elicottero a terra) che, al termine dei lavori, ho rifatto con del filo di acciaio armonico.
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Sempre tramite tornitura di un tondino d’ottone, ho ottenuto il pitot (che ho poi piegato a dovere, a freddo).

Passo, ora, alla fase che mi ha tenuto impegnato per parecchie ore. Costruttivamente gli elicotteri, anche per le forze in gioco (vibrazioni, forze di coppia) e le basse velocità, sono pieni di particolari esterni e poco curati a livello aerodinamico. A maggior ragione, sono caratterizzati dalla presenza di molti rivetti e il Cobra non è da meno sotto questo aspetto. Il vecchio Monogram, da buon kit di una volta, ne includeva già un bel po’ in positivo e già dallo stampo originale, ma dopo tutte le lavorazioni, aggiustamenti e modifiche e per la totale re incisione delle pannellature, del dettaglio iniziale era rimasto ben poco. Ma dato che sull’elicottero reale ce ne sono tanti e si vedono, non ho potuto far altro che cercare di ripristinarli tutti (o quasi).
Dico “quasi” perché, foto alla mano, a livello modellistico sarebbe stato impossibile applicarli tutti e in tutti i punti giusti; ho cercato di mediare tra realismo e colpo d’occhio senza esagerare per non appesantire troppo le superfici.

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Per riprodurre le varie file mi sono rivolto, di nuovo, alla Archer. Questa ditta americana commercializza dei rivetti di varie dimensioni e sono, fondamentalmente, dei piccoli “puntini” di resina fissati su un film trasparente unico adesivo, quello delle decal per intenderci, che va ritagliato e scontornato a dovere prima di applicarlo.
Il potere adesivo del supporto è praticamente nullo e, per esperienze personali pregresse, se trova una superficie liscia come la plastica nuda non sopporta la minima manipolazione.

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Al contrario, se lo si adagia su un fondo trattato con il Mr.Surfacer Gunze e lo si fissa con una spennellata di Mr. Mark Softer della stessa ditta, diventa tenace a tal punto da reggere anche le mascherature più invasive.
Il metodo che ho usato è stato proprio quello appena descritto: mano di Mr. Finishing Surfacer 1500 Grey su tutto il modello che, una volta asciutto, ho lisciato con spugnette abrasive fini bagnate.

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A seguire ho iniziato la posa delle strisce di rivetti prestando molta attenzione al Mark Softer: una volta che inizia ad agire non toccate nulla! il film diventa talmente morbido da piegarsi appena viene sollecitato, col risultato di perdere l’allineamento della fila che si sta posando.
Guardando le foto sulla monografia della Isradecal mi sono reso conto che sull’elicottero sono stati usati almeno tre tipi di rivetti con dimensioni e spaziature delle teste differenti; nel mio caso ho scelto il foglio 88146, 88145 e 88014.

Dopo un’ulteriore mano finale di primer, questo è il risultato:

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Verniciatura e decal:

Messa da parte la lunga e complessa costruzione, dopo mesi di lavoro ho iniziato la verniciatura. L’obiettivo, sin da subito, era utilizzare meno decalcomanie sostituendole, dove possibile, con insegne direttamente verniciate sul modello. Questa scelta è stata quasi obbligata per vari motivi.
Il fregio del “Northern Squadron”, che corre lungo entrambe le fiancate, è davvero esteso e abbastanza invasivo. Utilizzando le decal dal set Isradecal avrei avuto maggiori difficoltà nel posizionamento. Fattore ancor più importante, queste non sono del tutto corrette perché il disegno della vipera è cambiato negli anni per semplificarne l’applicazione da parte degli specialisti. In particolare, la base del rettile non copriva più parte della struttura dei pattini ma rimaneva sopra, e la coda (il terminale che prende parte della deriva) aveva un andamento diverso. L’emblema rappresentato dalla Isradecal (tra l’altro ideato e disegnato per la IAF dallo stesso titolare della ditta, Raanan Weiss) è del primissimo tipo e permette di rappresentare solo gli Tzefa cui il motivo è stato applicato durante l’estate del 2002.
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Oltre a quanto detto, ho constato che la “V” gialla è errata nelle dimensioni e non copre correttamente tutta la zona corrispondente sulle cofanature della turbina. Questo segno di riconoscimento fu applicato su tutti gli elicotteri israeliani a partire dal 1982, anno della prima campagna di Libano (Operation Peace for Galilee ) contro l’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina), per distinguere meglio i velivoli ad ala rotante israeliani ed evitare casi di fuoco amico.

Quindi, scartate le decal e con l’aiuto di un amico (Vincenzo, che saluto e ringrazio ancora), ho tagliato tutte le insegne col mio fidato e irrinunciabile plotter:

Tzefa Mask

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Le maschere sono state modificate, adattate e poi applicate sul modello. L’allineamento non è semplice, ma con un po’ di pazienza e usando le pannellature come riferimento, alla fine si riesce nell’intento.
Ho scelto anche di utilizzare la tecnica del pre shading (col Dark Earth Gunze) optando, però, per un effetto leggero e poco visibile sotto il colore definitivo della mimetica.

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Già che c’ero, ho preferito verniciare anche le stelle di David (per il blu ho mixato ad occhio l’XF-8 Tamiya e il blu scuro Gunze H326).

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Centrare i colori per questo soggetto è stato davvero complicato, devo ammetterlo. Il TAN, controllando decine di foto dei soggetti reali, ha delle tonalità diverse in ogni immagine (a volte è marrone, a volte è giallo… altre volte addirittura rosa). A peggiorare la situazione c’è il riferimento ufficiale, il 30145, che se visto sulla mazzetta Federal Standard è un marrone scurissimo!
Altra tinta che mi ha portato via tantissimo tempo, e decine su decine di prove, è quella con cui è verniciata la vipera sulle fiancate. Di primo acchito viene da pensare che sia nera, o grigio molto scuro… in realtà è verde, esattamente l’FS 34031.

Alla fine, dopo svariati mix (alcuni improvvisati sul momento, per cui non ho preso dei riferimenti precisi e me ne scuso) il risultato è quello che vedete in foto:

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Piccola nota: sui pattini e relativa struttura v’erano delle zone anti skid per agevolare la salita dei piloti e degli specialisti. Queste erano spesso molto logore e impolverate; a volte neanche si distinguevano dal resto della mimetica. Per questo, come base, ho scelto l’Helo Drab RC-229 della AK Real Color che ho ulteriormente sbiadito con varie passate di XF-59, XF-60 e H-313.
La grande antenna ADF posta sulla superficie inferiore della fusoliera è, invece, in nero opaco. È interessante osservarla anche sugli elicotteri veri perché fa subito capire che, in realtà, la vipera non è del medesimo, bensì in Helo Drab.

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All’interno dei portelloni di accesso all’abitacolo c’erano delle bande gialle che aiutavano ad identificare le uscite di emergenza per l’equipaggio. Sono realizzate col plotter usando il nastro Kabuki che, una volta verniciato con lo stesso mix della “V” identificativa, ho applicato direttamente sui pezzi sfruttandone il potere adesivo.

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Lo scarico ha il radiatore in Steel Alclad annerito, come nella realtà, con il nero opaco Tamiya.

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Per ultimo, ecco l’IR jammer AN/ALQ-144 ultimato:

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A vederlo è davvero affascinante poiché tutti gli elementi riflettenti sono rivestiti con un trattamento prismatico che gli fa assumere tantissime tonalità diverse a seconda dell’incidenza della luce. All’inizio, per riprodurre l’effetto, ero orientato sulle tinte Prismatic della Alclad, ma dopo alcune prove l’idea è naufragata miseramente… queste vernici danno davvero risultati molto dubbi.
Fortunatamente in mio aiuto è corso l’amico Fulvio Spillone che mi ha fornito un nastro adesivo iridescente che ricorda le pellicole utilizzate per i DVD o CD. L’ho tagliato, come al solito, col mio plotter e i pezzi li ho applicati uno ad uno per aumentare i riflessi. Click Play sul video sotto:

Disco Ball

Dopo tre/quattro mani di trasparente X-22 Tamiya diluito all’80% con la nitro, è giunto il momento dei lavaggi:

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Ho preferito, come sempre, un tono su tono mixando il bruno Van Dyck, Terra di Siena naturale e il grigio di Payne per scurire e smorzare il tono rossiccio. Com’è possibile vedere dalle immagini, la consistenza dei colori ad olio preferisco mantenerla molto “grassa” per sfruttare un po’ di filtro che contribuisce a dare un aspetto vissuto alle superfici.
A seguire ho eseguito un piccolo assaggio di post shading usando il Sand Gunze H-313, ma su zone molto limitate e in accordo con le foto del mio esemplare.
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Dopo altre due mani di lucido, è arrivato il turno delle decal. Le Isradecal sono, come al solito, di buona qualità anche se questo set è stampato in Repubblica Ceca e non dalla Microscale come gli accessori di qualche anno più recenti (che sono anche migliori come resa).
Purtroppo ho constato che lo stemma di reparto è errato giacché rappresenta un versione molto “early”; i badge più recenti non avevano il bordo nero intorno al disco e presentavano un verde di riempimento molto più tenue. Attualmente non esiste, almeno da quanto mi è dato sapere dopo le deludenti ricerche in rete, l’insegna corretta in commercio.

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Per finire questa prima parte di invecchiamento, ho anche realizzato le zone scure investite dai gas di scarico sulla trave di coda. Le scie non sono molto evidenti sugli Tzefa grazie al soppressore IR che limita molto il fenomeno, ma sugli esemplari più usurati si notano e sporcano anche le stelle di David.
Qui ho usato un po’ di tutto: marrone scuro, nero, Panzer Grey, sabbia per de saturare… altro olio sfruttato come filtro per amalgamare… il bello di queste lavorazioni è che più si aggiungono layer, meglio è! ovviamente tutte le vernici sono state diluite fino a farle diventare quasi trasparenti.

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A seguire ho aggiunto qualche altro spot di post shading, molto mirato nella zona delle cofanature motore, e un po’ di sporco e graffi sfruttando le matite acquerellabili con toni di marrone (sono tornate utili soprattutto sui pattini). Per sigillare il tutto ho usato il Matte Alclad (C-313), ma su alcuni punti (in particolare sulla trave di coda) anche il Flat (C-314) che ha un potere opacizzante maggiore. L’aggiunta degli ultimi particolari, quali gli anelli delle funi per il fissaggio delle pale a terra all’estremità anteriore dei pattini stessi, le antenne e le NAV light bianche sotto la deriva (anche in questo caso sono ricorso al set in resina della CMK), ha decretato la fine di questo lungo ed intenso progetto.

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Conclusioni:

A dispetto del ragguardevole impegno che questo modello ha richiesto, “svecchiare” un vecchio stampo e dargli la giusta importanza mi ha regalato grandi soddisfazioni. Nonostante l’obsolescenza dei kit Monogram, dopo tanti anni riescono ancora a dare adeguate basi per tirare fuori qualcosa di buono. Se avete voglia di divertirvi sfruttando manualità, ingegno e tecniche/strumenti moderni (la stampa 3D sta aprendo un mondo nuovo e molto interessante), è quello che fa per voi.

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Se poi cercate un soggetto particolare e poco visto come gli AH-1 F della IAF, la scelta si riduce al minimo e, per ora, non potete far altro che prendere in considerazione il kit che vi ho appena finito di presentare in questo articolo. Speriamo che in un futuro prossimo il mercato si accorga di questa importante lacuna e le ditte dedichino maggiore attenzione ad uno degli elicotteri che hanno fatto la storia dei mezzi ad ala rotante.

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Buon modellismo!

Valerio “Starfighter84” D’Amadio.

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Aftermarket Review – T/RT-33 Conversion & Upgrade Set in scala 1/48.

A distanza di pochi mesi dalla prima recensione sui set di conversione e dettaglio della Mister Kit (click QUI per leggerla), sono di nuovo qui a parlarvi degli ultimi prodotti messi in commercio dalla ditta milanese, ugualmente realizzati in collaborazione con Andrea Paternieri. Questa volta il soggetto scelto è uno dei velivoli che hanno composto la spina dorsale della nostra Aeronautica Militare negli anni ’70: il Lockheed RT-33. Gli articoli che presenterò in questa review sono ideati su base del kit Great Wall Hobby dedicato al T-33 nella scala del quarto di pollice, e sono composti da un mix di parti stampate in resina 3D e altre realizzate in resina poliuretanica con metodo classico (stampo in gomma siliconica).

MK-4806 – RT-33A Conversion Set:

Il primo aftermarket sotto la lente d’ingrandimento è il più corposo e, soprattutto, il più importante poiché permette di trasformare la versione da addestramento in quella fotografica.

Cockpit: la vasca è realizzata completamente in 3D, così come le scatole avioniche sistemate nell’alloggiamento alle spalle del pilota. Quest’ultime rappresentano la configurazione più tarda e sono corrette per gli esemplari proposti dal set, ad eccezione del CT-31 di cui parlerò nel capitolo decalcomanie. I particolari sono ben riprodotti e nitidi, con i layer di fusione appena percettibili e, comunque, facilmente eliminabili con una mano di Mr. Surfacer della Gunze.

Con lo stesso metodo sono ricavati anche i seggiolini di cui vengono fornite due copie (benché ne occorra solamente uno, quello rimanente potrà tornare utile per futuri progetti).

Inoltre, nella confezione è inclusa anche una lastrina di fotoincisioni pre-colorate, prodotta dalla Eduard, con una dotazione completa di cinture di sicurezza e altri particolari. Da segnalare che i braccioli dei sedili sono posti troppo in avanti e che, su quello di destra, l’imbottitura non è correttamente realizzata poiché realmente c’è solo un “pad” più piccolo (come si può vedere dalla foto).


Oltre a questo ci sono anche delle piccole paratie laterali, normalmente non presenti sui sedili utilizzati dai nostri velivoli (come osservabile in foto e documentazione) , e che vanno rimosse. A conti fatti, è più conveniente separare direttamente i braccioli, apportare le necessarie modifiche per fargli assumere un aspetto più realistico e, infine, incollarli nuovamente nella posizione corretta.  


I cruscotti forniti sono due: il primo corrisponde alla versione classica di fabbrica, come quella riportata su manuale di volo, con la “scatola” per la gestione degli apparati fotografici fissata al centro, sulla parte superiore. È importante tenere presente che gli RT-33 italiani non sono mai stati utilizzati nel ruolo di ricognitori e, di conseguenza, le fotocamere non furono mai utilizzate.


Il secondo tipo è la versione “late” aggiornata con il pannello di controllo e gestione del DELMAR Towed Target System, che era removibile e poteva essere montato anche senza che tutto il sistema di traino bersaglio fosse montato (come si può notare da alcune foto). Anche qui, però, è da tenere conto che tale compito era affidato solo alla 636ª Squadriglia del 36° Stormo, alla 651ª Squadriglia del 51° Stormo e al CAT di Decimomannu, perciò tale pannello non poteva sicuramente essere presente sui velivoli di altre squadriglie come, ad esempio, la 609ª cui era assegnato il 9-35 proposto nelle decal (volendo realizzare tale esemplare il pannello del DELMAR va eliminato).


Interessante la scelta di stamparli con resina trasparente e di fornire la strumentazione in decal da applicare sul retro; un buon metodo per dare la giusta profondità agli strumenti e dare un tocco di realismo maggiore.

L’RT-33 manteneva la stessa struttura dell’abitacolo di un normale T-33 ma in quello posteriore montava un serbatoio ausiliario di carburante su cui era fissato il rack dell’avionica. La parte finale del pezzo in resina presenta alcune imprecisioni, come si può vedere dalle foto, che non correggono gli errori già presenti sul kit della GWH. La zona sarà comunque poco visibile una volta incollato il tettuccio.


Muso: la zona più interessata alle modifiche è, appunto, quella del muso che cambiava molto rispetto all’addestratore. Tutta la parte anteriore è un blocco unico di resina trasparente, ben colata e priva di bolle, che sostituisce in toto lo stirene del kit e necessita di un certo adattamento per essere installata. Ovviamente, sia per la difficoltà della lavorazione, sia per i tagli da realizzare in punti particolarmente delicati, le operazioni richiedono una certa manualità ed è sconsigliata ai modellisti meno esperti. Il pezzo è stato realizzato a mano partendo da quello originale in plastica e, osservandolo da vicino, purtroppo presenta più di qualche errore. Anche in questo caso, un confronto fotografico è il miglior modo di capire le differenze.

Foto 1: le forme e dimensioni delle finestrature inferiori lasciano delle perplessità, soprattutto per ciò che concerne la numero uno e la due. Appaiono, inoltre, molto strette in larghezza ma questo dipende dall’ampiezza ridotta della parte inferiore del pezzo. Le frecce in rosso mettono in risalto un andamento abbastanza incerto dello spigolo, difetto identificato su entrambi i lati.


Foto 2: guardando il muso da davanti, esso appare molto raccordato nei punti evidenziati in rosso. Questo, conseguentemente, fa assumere anche al dielettrico un aspetto molto “magro”. La finestra circolare per la fotocamera frontale è spostata in basso ed è troppo piccola come diametro. Comunque, in generale, non sembra esserci la dovuta simmetria tra lato destro e sinistro.


Foto 3: le frecce in bianco evidenziano delle difformità nel profilo inferiore (dove la linea che parte dal vano carrello anteriore dovrebbe essere molto più piatta, per poi cambiare inclinazione in corrispondenza della finestra frontale con più evidenza rispetto al pezzo in resina) e nella parte bassa del muso, dove si crea una curva troppo dolce. La freccia in rosso, invece, indica una difformità nell’altezza della finestra per la fotocamera laterale che sul set ha misure ridotte rispetto a quella reale.


Foto 4: Il profilo superiore si raccorda al dielettrico (che conteneva l’antenna ADF AN/ARN-6) con una curva poco pronunciata quando, nella realtà, questa scende più ripida nel punto indicato in giallo.


Foto 5: nel punto indicato le forme dovrebbero essere più squadrate e con gli spigoli più evidenti.


Foto 6: da questa immagine è possibile osservare il particolare andamento della linea di pannellatura in corrispondenza dell’alloggiamento per la fotocamera laterale, che sul set è rappresentata dritta.



In linea di massima, anche le incisioni andrebbero riprese e corrette perché alcune hanno un tratto non proprio pulito e con profondità diverse. Da segnalare la fornitura di un foglietto in vinile con delle utili mascherine pre-tagliate per i vetri degli alloggiamenti fotocamere.

Ruotino e altri particolari: nella confezione sono incluse anche delle griglie di sfiato da applicare inferiormente e che sostituiscono quelle stampate sul kit, dando maggiore profondità.

C’è anche il ruotino anteriore, anch’esso in 3D (ricordo, per completezza, che gli RT-33 dell’A.M. hanno utilizzato diversi tipi di cerchioni durante la loro vita operativa, questo proposto è identico a quello che poteva essere montato anche sugli F-86K). Ad un’analisi più approfondita si può notare che i fori di alleggerimento non hanno il giusto profilo e sono più piccoli del dovuto. Da aggiungere, con autocostruzione, la staffa di sicurezza del tappo a copertura del mozzo.


Decalcomanie: sono realizzate su supporto unico dalla Fides Grafica di Verona, per cui sarà necessario scontornarle con accuratezza al fine di eliminare il film in eccesso. Il loro spessore non è trascurabile ed è caldamente consigliato l’impiego di vari strati di trasparente per livellarle a dovere. In compenso, i colori sono saturi e con la retinatura invisibile ad occhio nudo. Buoni anche gli stencil, con i testi ben leggibili, pur se alcuni di questi risultano un po’ fuori scala. Anche in questo caso ho proceduto con un confronto fotografico:

CT-31 (53-5631): era un ex esemplare turco assegnato al Centro Addestramento al Tiro (CAT) di Decimomannu. Come accennato all’inizio di questa recensione, le poche foto del velivolo reperibili, soprattutto su pubblicazioni cartacee (Nicola Malizia – Lockheed T/RT-33 “Storia di un addestratore”, pag. 44 e pag. 88), mostrano come l’avionica era del tipo “early” e differente da quella proposta dal set. Dalla documentazione, inoltre, è possibile capire che le decal presentano varie difformità nella foggia dei numeri di carrozzella ma, in particolare, nell’aspetto dello stemma applicato sulla deriva. Quello raffigurato era tipico dei T-33 dove mancava la fascia bianca sopra allo scudetto nero, e questa andrà aggiunta tramite verniciatura o decalcomania di recupero. Tra gli stencil sono assenti i simboli del pacco batterie, del generatore elettrico e del punto di sollevamento, tutti concentrati sulla parte sinistra del muso tra i numeri di carrozzella (i simboli sono ben visibili a pagina 88 del già citato volume di Malizia).


  • 36-39 (53-5396): esemplare assegnato alla 636ª Squadriglia del 36° Stormo. Anche in questo caso, purtroppo, è da segnalare una diversa forma dei numeri nei punti indicati in foto. Sul foglio istruzioni è riportato il 1983 come anno di utilizzo di questo velivolo quando, in realtà, i T-33/RT-33 italiani furono radiati nel 1982.

  • 9-35 (53-5594): esemplare assegnato alla 609ª Squadriglia del 9° Stormo, attualmente preservato al museo dell’Aeronautica Militare di Vigna di Valle. Le cifre appaiono troppo basse (oppure troppo larghe) con conseguente “schiacciamento” delle forme interne messe in evidenza dalle frecce. Come nei casi precedenti, vi è un’imprecisione nella data sulle istruzioni (1983); le referenze fotografiche lo mostrano operativo fino al 1981.

  • 51-83 (53-5668) esemplare assegnato alla 651ª Squadriglia del 51° Stormo. Il velivolo di Istrana è, invece, sostanzialmente corretto.

Il prezzo al pubblico è fissato a 40€.

MK-4809 – RT-33A Delmar Tow Target System:

Come accennato qualche riga sopra, in seno all’A.M. gli RT-33 furono largamente utilizzati come velivoli per traino bersagli. Questi potevano essere la classica manica in rete tessuta per l’addestramento al tiro Aria/Aria, oppure il sistema Delmar previsto per l’allenamento al tiro delle unità navali e terrestri. Il complesso era costituito da un pod denominato AERO-43 che conteneva un rocchetto di cavo d’acciaio lungo circa 5000 metri, e un target AERO-36A (in Italia comunemente chiamato “bombetta”) costruito in materiale leggero di fibre pressate al cui interno erano alloggiati degli elementi radar riflettenti che permettevano ai sistemi di puntamento di agganciare e seguire il bersaglio. Per dovere di cronaca, i nostri RT-33 usarono anche l’AERO-42 (non previsto in questo accessorio) su cui venivano montati degli artifici pirotecnici (tipo flare) ed era deputato all’addestramento per i missili a guida IR.


Il set è composto da quattro pezzi in resina 3D comprendenti la bombetta e il cestello su cui si alloggiava, il pod e l’elica della turbina a vento (in base al calettamento delle palette il filo veniva svolto o ritirato).

L’unica parte in resina poliuretanica è il pilone che veniva agganciato sotto l’ala e a cui era saldata un’asta che teneva in posizione il target; osservandola si ha l’impressione che sia piccola come circonferenza e non perfettamente dritta (a causa della lunghezza del pezzo, la resina tende a curvarsi), per questo sarebbe meglio ricostruirla con un tondino di ottone opportunamente lavorato.


La bombetta ha la corretta dimensione in lunghezza (98 pollici/248 centimetri nella realtà, 5,18 cm in scala) ma appare un po’ magra nel diametro del corpo. Da sagomare meglio, invece, le alette che presentavano degli angoli stondati anche sui bordi d’uscita.


Il pod è quello che, purtroppo, ha maggiori difetti: il corpo è troppo affusolato ma l’imperfezione è comunque poco visibile, soprattutto montando il pezzo sotto al modello. La pecca che appare, invece, più evidente riguarda la forma e dimensione della bugna laterale da cui fuoriusciva il cavo: questa è eccessivamente corta, poco sporgente e falsa di molto le fattezze dell’intero pezzo perché l’errore si ripercuote anche sulle pannellature che corrono in quel punto (e sulle decal che sono abbastanza sovradimensionate).



L’accessorio potrebbe essere sfruttato anche per altri tipi di velivoli come, ad esempio, i G.91 R tedeschi o gli F-8 Crusader della U.S. Navy, ma il pilone incluso nella scatola è peculiare per i soli T o RT-33 (quindi deve essere ricostruito da zero in base al tipo specifico di aeromobile). Da specificare che questa tipologia di Delmar, invece, non è compatibile con i sistemi impiegati dalla Royal Canadian Air Force che impiegava una versione specifica.


Il prezzo al pubblico è fissato a 12€.

MK-4807 – (R)T-33 Main Landing Gear Bays:

Il pozzetto carrello include anche i vani aerofreni, e sostituisce integralmente il pezzo originale del kit Great Wall Hobby. Stampato anch’esso in 3D, ha buoni dettagli e, nel complesso, è davvero ben fatto. Può essere applicato anche ai classici addestratori e la sua installazione è abbastanza semplice. Assente l’alloggiamento per il carrello anteriore per cui sarà necessario sfruttare le parti da scatola.

Il prezzo al pubblico è fissato a 12€.

Conclusioni:

Se appena uscì il prodotto della GWH il modellista italianofilo poteva sperare in una versione mainstream dell’RT-33, col passare degli anni l’aspettativa è scemata progressivamente fino a sparire. I prodotti presentati in questa recensione, quindi, rappresentavano un’opportunità praticamente irripetibile per poter aggiungere alla nostra collezione uno dei velivoli iconici della nostra Aeronautica Militare.

In definitiva i set della Mister Kit hanno il retrogusto amaro di un’occasione mancata: si nota una certa differenza, in termini di qualità, tra i pezzi ottenuti col metodo 3D (più belli e maggiormente accurati) rispetto a quelli lavorati a mano che, come detto, mostrano varie imprecisioni (non facilmente risolvibili). Tutto ciò, unito ad un prezzo abbastanza elevato (seppur i set forniscono molto materiale), forse fa pendere la bilancia su un giudizio non del tutto positivo. Un peccato.

Un ringraziamento particolare va ad Andrea Pinto che si è occupato della ricerca storica e tecnica per realizzare i confronti fotografici. Senza il suo aiuto questa recensione non sarebbe stata completa.

Buon modellismo a tutti, Valerio Starfighter84 D’Amadio.

Il vero caccia italiano – Macchi C.202 “Folgore” dal kit Hasegawa in scala 1/48

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Guido Carestiato, collaudatore storico dei velivoli AerMacchi, definì il C.202 Folgore “Il vero caccia sano, sicuro, senza sorprese”. Nonostante le ottime doti di volo fu, ovviamente, sminuito dalla propaganda di guerra alleata ma si guadagnò da subito il rispetto dei piloti e dei reparti della Regia Aeronautica.

Parlando di velivoli italiani spesso si sottolineano più i difetti che i pregi; il Folgore è sicuramente un’eccezione. Non fu il migliore in assoluto, e neanche il più prodotto, ma è senza dubbio il più iconico dando prova di essere una macchina matura ed affidabile, e prestando orgogliosamente servizio in tutti i reparti C.T. (caccia terrestri). Allo scoppio della guerra, gli stormi caccia erano costituiti da aeroplani non proprio brillanti, propulsi da motori radiali sottopotenziati rispetto a quelli in linea raffreddati a liquido. Una lacuna che li poneva in ombra rispetto ai più prestanti prodotti dell’industria aeronautica inglese e americana.

Ed è proprio su queste evidenze che l’Ingegner Mario Castoldi decise di unire la collaudata cellula del Macchi C.200 con il potente motore tedesco DB 601A, dando vita ad un caccia contemporaneo. Riprogettando il castello motore e le carenature anteriori, ottenne una linea filante, agile nelle manovre, con un brillante propulsore.

Il soggetto:

Il Folgore ha volato con tutti i reparti C.T. della Regia si è fregiato di vari distintivi di Stormo e Gruppo, e su mimetiche molto differenti l’una dalle altre. Per noi modellisti c’è davvero l’imbarazzo della scelta perché soggetti rappresentabili sono davvero tanti. Personalmente preferisco scegliere i miei modelli per gli aspetti tecnici e storici peculiari, e come descritto qualche riga sopra, il C.202 ha rappresentato un vero e proprio salto di qualità per la nostra aeronautica.

Un velivolo elegante e con ottime qualità di volo, quindi perché non scegliere la prima cellula che ha visto concretizzarsi queste qualità? quella che vanta il primo abbattimento in assoluto? Il Group Build 2018 del forum di Modeling Time, dedicato al “Made in Italy” è stata un’occasione ghiotta per mettere sul tavolo da lavoro un kit che mi ronzava in testa da parecchio tempo: il C.202 pilotato dal S.Ten. Jacopo Frigerio – 97 Squadriglia – IX gruppo – 4° Stormo, aeroporto di Comiso – settembre 1941.

Il velivolo, registrato come M.M. 7712 e di costruzione AerMacchi, è uno dei primi dieci esemplari in assoluto (Serie II con matricole comprese tra la 7709 e la 7718). Il 4° Stormo fu il primo a riceverli per un totale di 31 cellule assegnate proprio alla 97^ squadriglia del IX Gruppo.

Alla fine del Settembre 1941, esso si trasferì temporaneamente da Udine in Sicilia, con tutte le sue squadriglie (97-96-73) per un primo ciclo operativo su Malta. Alcuni Folgore della 73^ furono anche adattati per la foto ricognizione. Nel pomeriggio del 30 Settembre una formazione di sei Hurricane RAF si diresse verso l’aeroporto con l’intento di un bombardamento a bassa quota sulle linee volo. I tre velivoli di allarme si alzarono immediatamente in volo per intercettare la formazione nemica, tra di loro il 97-2 pilotato da Frigerio che vanta il primo abbattimento accreditato per il velivolo della Macchi. Fu, a tutti gli effetti, il battesimo del fuoco!

La vittima fu un Hurricane II B (Z5265) marche GL-B, appartenente al 185° Squadron della RAF, che precipitò nel canale di Sicilia (altre fonti affermano invece che il velivolo fu danneggiato sul canale ma successivamente arrivò a precipitare a qualche km dall’isola di Gozo). Il pilota, Officer Donald William Lintern, fu visto lanciarsi fuori dalla carlinga ma non venne mai recuperato. Invece il S.Ten. Frigerio passò indenne tutta la guerra e fu richiamato in servizio dalla neocostituita Aeronautica Militare Italiana dopo il conflitto, in qualità di istruttore, sempre al 4° Stormo. Ironia della sorte, morirà nel 1955 a bordo del suo F-86E durante un volo di addestramento a causa di una piantata motore a parecchie miglia dalla base di Nellis, in Nevada.

Tornando al 97-2, il velivolo non abbandonerà mai più l’isola sicula nonostante il 24 novembre la 97^ e la 96^ Squadriglia lasceranno Comiso per rinforzare le linee in Africa settentrionale, affiancando il 1° stormo. Solo la 73^ squadriglia resterà in Sicilia, essendo l’unica del gruppo ad avere velivoli dotati di camera foto planimetrica, continuando le ricognizioni su Malta. Il “7712” venne successivamente convertito in ricognitore.

Alla fine del 1941 anche la 73^ squadriglia, alla volta di Udine, lasciò gli aeroplani efficienti ad altri stormi operanti sull’isola e il Folgore oggetto di quest’articolo fu preso in carico dalla 168^ Squadriglia, 16° Gruppo, del 54° Stormo basato a Castelvetrano. Il velivolo sopravvisse fino alla primavera del ‘43, assegnato alla 377^ Squadriglia autonoma C.T. sull’aeroporto di Boccadifalco. Successivamente non si hanno più notizie riguardo al suo impiego o sulla sua sorte.

In accordo con le pubblicazioni, la matricola appartiene alla serie II prodotta nello stabilimento di Lonate Pozzolo della Aermacchi.

Il kit:

La scatola da me utilizzata è la 09139 (JT39) della Hasegawa, nella scala del quarto di pollice (quella che preferisco). Essa risale al 1995 ma ancora è molto curata nel dettaglio e con delle incisioni finissime. Analizzando con più attenzione, lo stampo del Folgore non si può definire “puro” ed è più simile alle caratteristiche del successore C.205 (commercializzato l’anno precedente).

Per questo motivo è adeguato per le versioni più tarde del C.202, ma approssimativo per le prime (ne parlerò in modo più approfondito fra qualche riga). Tornando al contenuto, sono presenti sei stampate in stirene grigio (più una trasparente), oltre ad un foglio decal, assolutamente inadeguato per gli standard modellistici moderni, che permette di realizzare un esemplare del 4° e uno del 1° Stormo.

Aftermarket utilizzati:

  • Stormo! 48007 – Decal: il foglio, intitolato “Battle of Malta Macchi C.202 Italian Aces”, è veramente ben fatto ed accattivante. Messo in commercio nel 2017 da una nuova ditta canadese, gode dell’ottima qualità di stampa della Cartograf e mostra numerosi profili tutti a colori. Accanto ad ognuno vi è una breve descrizione del velivolo e delle vittorie di ciascun pilota. Le informazioni sono precise, anche se in alcuni casi ho riscontrato piccole incongruenze facilmente risolvibili con un attento studio della documentazione. Si possono realizzare otto differenti soggetti, dalla serie I alla serie VIII, e viene illustrato anche l’andamento della mimetica che differisce tra costruzioni Macchi, Breda e Sai Ambrosini. Sebbene le insegne di reparto, di gruppo e i numeri identificativi siano presenti per tutti gli esemplari, i distintivi della Regia Aeronautica e gli stencil permettono di realizzare al massimo tre modelli con un unico foglio. Bastano ed avanzano, a meno che voi non siate degli appassionati del Folgore!
  • S.B.S. 48017 – Cockpit: il set in resina è ben fatto e ingegnerizzato proprio sul kit Hasegawa, quindi si adatta facilmente. Il sedile è il pezzo forte, molto dettagliato. Fornite anche le fotoincisioni e il foglio acetato per gli strumenti.
  • Eduard 648278 – Undercarriage: già da solo questo articolo è un piccolo modello. Il vano carrello del C.202 ha la peculiarità di essere incassato in una grande porzione del pianetto alare inferiore, in prossimità della ordinata para fiamma. Al suo interno, quindi, è ben visibile la struttura tubolare del castello motore posteriore e parecchie tubazioni di vari impianti. Necessita di qualche attenzione per poterlo inserire correttamente nel minuscolo ingombro ma è assolutamente consigliato.
  • Eduard 648281 – Exhaust stack: i collettori di scarico del kit sono molto poco rifiniti. Con questo set il salto di qualità è evidente, per quello che costano l’acquisto è praticamente obbligato.

Cockpit:

Come detto sopra, l’aftermarket in resina è praticamente pronto all’uso e ci vuole davvero poco sforzo per adattarlo al suo spazio.

Quindi ho concentrato maggiormente la mia attenzione sul colore degli interni. Le direttive dello Stato Maggiore Aeronautica dell’epoca prevedevano l’utilizzo del verde anticorrosione e non solo per l’abitacolo, ma anche per il vano carrelli. Più in generale tale vernice era usata come protettivo per tutte le superfici metalliche interne. Molti modellisti partono dal più comune U.S. Cockpit Green schiarendolo con del bianco ma, dal mio canto, ho preferito utilizzare il mix che riporto nella foto sottostante:

Per le tubazioni e i cavi ho utilizzato il giallo, il blu, il nero e il bruno in base alla natura del fluido che vi scorreva o nel caso di cavi elettrici. (ad esempio, giallo carburante, bruno olio idraulico, ecc.).

Altri dettagli come aste, barra di comando, piastre protettive sul pavimento e gruppo manetta sono stati verniciati con uno smalto color alluminio. Ovviamente la documentazione è fondamentale in ogni passaggio.

Il sedile è ben fatto ed ha il cinghiaggio completo già stampato. Purtroppo, per un mio errore di ricerca, o forse per mancanza di documentazione esaustiva, ho eliminato in un primo momento tutto il dettaglio lasciandolo spoglio. A quanto pare il seggiolino così riprodotto è corretto sia per un Macchi 202, sia per il successivo 205. Oltre agli spallacci e ad un ancoraggio centrale, è presente un’imbottitura sullo schienale atta a proteggere il sistema di azionamento del paracadute, più precisamente la maniglia di estrazione. Voi non fate il mio errore, il seggiolino va già benissimo come si presenta.

Per ripristinare le cinture perse ho utilizzato del semplice nastro kabuki, incollando due facce una sopra l’altra e ritagliando due striscioline di spessore 1 mm. La lunghezza non è importante perché può essere sistemata prima dell’incollaggio. Le fibbie, invece, sono state riprodotte con del filo di rame abbastanza sottile da essere modellabile con delle pinzette a punta. C’è voluto parecchio tempo per realizzarle considerate le dimensioni, partendo da un filo unico si fanno delle curve di 90° gradi creando una specie di “8” che non è mai chiuso.

La catena e le fibbie sono state dipinte con uno smalto Mr. Color Silver mentre il sedile, precedentemente verniciato con Alclad White Alluminium, ha subito un lavaggio ad olio ed è stato, poi, opacizzato. Il cruscotto è completo ed è composto dal pannello frontale con tutti gli strumenti di volo, un pannellino più piccolo posto sotto quello principale per la gestione dell’idraulica, e un pannello inferiore laterale. Quasi tutto è fornito in fotoincisione e trasparenti acetati, alcuni pezzi come il collimatore San Giorgio sono in resina.

Il pannello è stato verniciato in nero opaco ad eccezione della parte di centina sul quale è fissato, e che sarà in verde anticorrosione. I vetrini dei quadranti sono stati simulati con la canonica goccia di cera Future. Tornando al cockpit, prima di eseguire i lavaggi con un bruno Van Dick poco scurito con del nero, ho applicato la tecnica del dry brush sui correntini e sulle centine visibili cercando di mettere in risalto qualche particolare.

Il set della SBS non considera affatto due dettagli importanti: una parte del sistema di controllo degli elevatori, fatto di aste e rinvii e che all’interno attraversa tutta la parte destra rimanendo molto in vista, ed il tubo corrugato che porta ossigeno alla maschera del pilota. L’asta l’ho realizzata con del filo di acciaio rigido dello spessore di 0.5 mm; il corrugato, invece, è un filamento molto sottile di rame arrotolato attorno ad un’anima più spessa, sempre di acciaio.

A proposito del tubo corrugato, ho notato che in realtà era diviso in due parti: una attaccata alla maschera che il pilota portava con sé nell’equipaggiamento, e l’altra solidale al miscelatore in cabina. Quindi ho ritenuto giusto realizzare il tubo abbastanza corto e di appoggiarlo al sedile.

Alla fine, l’abitacolo è stato sigillato con il solito opaco Gunze H-20 diluito al 70 % con la nitro.

Montaggio:

Prima di chiudere le due valve della fusoliera occorre modificare alcuni particolari specifici per l’esemplare che ho scelto. Come anticipato, quando l’Hasegawa propose la scatola dedicata al Folgore utilizzò gli stessi stampi del Macchi C.205 aggiungendo solo alcune parti relative al predecessore. Per questo motivo troveremo sulla fusoliera degli elementi non appartenenti al C.202 e, nel mio caso, anche elementi non presenti sulle primissime serie.

Per migliorare la comprensione, ho assegnato dei colori differenti in base alla modifica:

Rosso: rimozione.

Blu: stuccatura.

Verde: nuova posizione.

Inizio dal lato sinistro, dove sono presenti tre bugne sulla cofanatura. La più avanzata è peculiare dei C.205, per le altre due c’è da aprire una piccola parentesi: dalle foto esistenti del Folgore si può notare che alcuni velivoli ne mostrano soltanto una, la centrale posta in alto, altri invece ne hanno due. Su quei velivoli con fondo sabbia, oppure con la livrea continentale in verde oliva scuro, notare le bugne è abbastanza semplice. Invece nei primissimi esemplari verniciati con lo schema “uovo in camicia”, la loro individuazione è quasi impossibile per via della fitta mimetizzazione.

Quindi ho cercato ulteriori informazioni sia sulle pubblicazioni (Ali D’Italia n°22 – Macchi Mc 202 di Di Terlizzi – ecc.), sia sul nomenclatore illustrato del 1939 della stessa ditta Aermacchi (si trova in rete con qualche ricerca) e, dopo qualche giorno di letture, ho scoperto il motivo tecnico della presenza di entrambe le bugne:

All’inizio della produzione, i motori montati sul Folgore erano stati inviati dalla Germania direttamente dalla Daimler-Benz e fissati alla struttura tramite un castello motore tubolare saldato. Successivamente, il motore fu prodotto su licenza dalla Alfa Romeo con il nome RA 1000 RC 41 e fissato tramite un castello stampato in duralluminio. Quindi, con l’adozione del nuovo sistema si aggiunse la seconda bugna. Per mia fortuna, ho trovato sul nomenclatore illustrato le M.M. dei velivoli che hanno utilizzato il primo tipo di castello (dal 7709 al 7730 – dal 7732 al 7737 – dal 7742 al 7748 – e il 7751) e di conseguenza presentano un’unica bugna sulla cofanatura motore.

Detto ciò, sul mio esemplare va lasciata solo quella centrale. Altri dettagli da eliminare sulla cofanatura sono tre piccole prese d’aria posizionate sui pannelli di accesso alle candele del motore; va lasciata solo la più avanzata. Correndo lungo la fusoliera, all’altezza del abitacolo troviamo alcuni fori. Come indica la freccia verde, quello che rappresenta la presa ricarica ossigeno va spostato più in basso accanto all’alloggiamento del test sistema elettrico (il precedente foro va, ovviamente, stuccato). In realtà questa modifica è necessaria solo sui primi esemplari, successivamente la presa fu spostata più in alto come rappresentata sul kit (ma non chiaro da quale matricola in poi). Altro particolare da eliminare è quello posto più in basso, dietro il raccordo ala fusoliera. Qui è previsto un piccolo “pitot” facente parte del sistema di sfiato dei serbatoi carburante, ma fino alla M.M. 7759 non era presente.

Medesimo discorso per il dipolo del sistema ricetrasmittente posto sulla carenatura dell’anti cappottata. La serie I aveva una semplice antenna a frusta. I pannelli di accesso al vano mitragliatrici erano completamente lisci, quindi vanno stuccati quelli tondi e rimossi gli estrattori d’aria. Anche gli inviti per la presa d’aria cabina sono da asportare poiché essa è stata montata solo dalla versione A.S. in poi. Anteriormente a questi pannelli, sulla cofanatura accessori motori, va stuccato uno degli estrattori d’aria perché superfluo. Posteriormente invece è necessario riempire il pannello di accesso al vano pronto soccorso. Ovviamente questi interventi si sono resi necessari dopo aver studiato e aver trovato conferma dalle foto trovate in rete e dalla documentazione in mio possesso.

Sul lato destro la situazione è più o meno simile.

Sulla cofanatura motore vanno eseguite le stesse operazioni inerenti le bugne e le prese d’aria in basso. Unica differenza è la presenza di un piccolo foro su uno dei pannelli accesso alle candele che va spostato poco più avanti, nella posizione indicata dal punto verde. Anche in questo caso il vecchio elemento va riempito e carteggiato.

Sulla cofanatura accessori motore vanno stuccati il foro centrale e il pannellino in basso. Quanto detto prima vale anche per il lato sinistro dei pannelli vano mitragliatrici, e sul pannello di accesso sotto la carenatura dell’anti cappottata. Su questo lato troviamo anche un portello quadrangolare poco dietro il raccordo ala fusoliera, anch’esso da togliere. Passando alle semi ali che, come per la fusoliera, sono più corrette per un “205” che per un “202”; le modifiche sono speculari per la destra e la sinistra. Al solito ho assegnato dei colori differente in base alla modifica:

Blu: stuccatura.

Giallo: modifica forma.

I tre piccoli pannelli che si trovano a sinistra sono caratteristici del C.205, invece il pannello rettangolare più lungo (accesso munizionamento) e quello più piccolo alla sua destra (riarmo mitragliatrice) sono presenti sui Folgore che montavano l’arma da 7.7 mm.

Anche in questo caso bisogna consultare le fonti a disposizioni per cercare di arrivare al punto:

La predisposizione per accogliere le mitragliatrici Breda-Safat 7.7 mm inizia dalla serie VII. Quindi, in termini temporali, dal maggio 1942.Spesso questa modifica veniva introdotta anche su velivoli di serie precedenti in quanto era possibile il “retrofit”, senza dimenticare che era prassi comune cannibalizzare parti intere di altri aerei, come per esempio le due semiali. Inoltre il fatto che l’ala fosse predisposta non corrisponde alla presenza reale delle mitragliatrici, spesso fatte rimuovere su richiesta dei piloti. Anche sulle serie successive alla VII la predisposizione prevedeva due pannelli sul dorso d’ala per ricarica e riarmo, un foro di espulsione bossoli sul intradosso alare e un piccolo oblo sul bordo di attacco che permetteva lo sparo. Le mitragliatrici erano montate sul campo dagli armieri e l’oblo veniva tappato in caso di assenza.

Ne ho dedotto che gli esemplari delle primissime serie non abbiano avuto la predisposizione. Ovviamente analizzare le foto aiuta moltissimo, anche se la bassa qualità del periodo può non confermare o smentire la tesi.

Quindi in futuro, per chi si accingesse a costruire un qualsiasi Folgore, è sufficiente guardare il bordo di attacco sopra la gamba carrello per individuare oblò e mitragliatrice.

Tornando al modello, ho quindi cancellato tutti i pannelli di accesso per ottenere una semiala pulita. Ho altresì stuccato anche alcune incisioni che non ho riscontrato sui disegni tecnici di Angelo Brioschi allegati in alcune monografie. Per logica, ho anche chiuso la volata dell’arma sul bordo d’attacco.

Immagine inserita a scopo di discussione – fonte forums.ubi.com

Infine, il piccolo pannellino circolare evidenziato in giallo.

Esso rappresenta l’accesso diretto alla testa della gamba carrello, importante per effettuare la carica di aria e rabbocco di olio dell’ammortizzatore durante la manutenzione. Oltre ad avere una forma leggermente diversa, presentava un indicatore visivo di ausilio al pilota. Praticamente consisteva in un dischetto rotante, mezzo rosso e mezzo verde, il quale era collegato al movimento del carrello. Era mosso da un sistema di funi e pulegge, quindi in caso di avaria della strumentazione, il pilota poteva accorgersi se il carrello era eclissato (colore verde) oppure estratto (colore rosso.)

Il pannello è un’eredità del precedente Macchi 200 e ha una forma è particolare, il rettangolino nero in figura è un visivo trasparente.

Immagine inserita a scopo di discussione – fonte drawingsdatabase.com

Per ciò che riguarda la parte inferiore, qui gli interventi sono molto più contenuti. Bisogna eliminare i fori di espulsione dei bossoli e qualche pannellatura che, sempre in base ai disegni, è superflua. È, invece, importante modificare la forma degli ipersostentatori più interni, sotto la fusoliera, che sul kit sono molto più simili a quelli del Saetta. Per agevolarmi il compito mi sono creato una dima in Plasticard per reincidere correttamente le superfici mobili.

Corretti tutti questi particolari, ho voluto verificare direttamente due note negative conosciute dai modellisti riguardo questo kit:

  • Raccordo ala-fusoliera posteriore.
  • Lunghezza fusoliera posteriore.

E purtroppo ho avuto conferma di questi due piccoli difetti di forma, confrontando le stampate con le tavole in scala.

La fusoliera risulta essere più corta di circa 2 mm. Se voleste cimentarvi nell’impresa dovrete tagliarla poco prima degli stabilizzatori orizzontali (all’altezza del piccolo foro di sollevamento) ed aggiungere uno spessore in Plasticard. Un lavoro lungo e tedioso che, personalmente, ho deciso di non affrontare. Invece il raccordo tra ala e fusoliera, visto in pianta, ha un raggio di curvatura troppo stretto. Quest’imperfezione è abbastanza complicata da correggere perché, oltre a rendere la curva più dolce, bisogna ridurre anche lo spessore del raccordo stesso. È un punto molto delicato da sistemare, ma non ho resistito.

Fin da subito mi è stato chiaro che accorciare quel raccordo si sarebbe tradotto nella rimozione di un bel pezzo di plastica tra fusoliera ed ala (in più in un punto di giunzione). In un primo momento ho pensato che un eventuale vuoto l’avrei potuto riempire con l’uso di stucco bicomponente, ma spingerlo dall’esterno verso l’interno, senza qualcosa che fungesse da battuta, avrebbe significato perdere gran parte del riempitivo dentro al modello.

Quindi ho preferito stendere una generosa porzione di Milliput negli ultimi centimetri della fusoliera posteriore, nel punto di intersezione del pianetto inferiore dell’ala (proprio sotto l’aerea del radiatore), per poi pressare con attenzione le due parti a contatto facendo fuoriuscire l’eccesso di filler. Dopo aver provvisoriamente bloccato i pezzi con del nastro carta, ho proceduto ad incollare con calma tutto il resto. Ovviamente ho atteso ventiquattro ore per permettere allo stucco di indurire correttamente e, solo dopo, ho iniziato a correggere le forme con lime e carte abrasive.

Se possibile, è meglio lavorare parallelamente il lato destro e il sinistro per avere una visione d’insieme ed essere quanto più simmetrici. Altra miglioria da attuare riguarda la carenatura del radiatore liquido refrigerante. Già accostando il pezzo sotto la fusoliera salta all’occhio qualcosa che non quadra, e la conferma si ha con i soliti utilissimi disegni. È palese che il pezzo è troppo lungo e deve essere riportato alle giuste proporzioni.

In un primo momento ho semplicemente pensato di tagliare il pezzo lungo l’ultima linea di pannello e ridurne la lunghezza, ma non è la strada giusta da percorrere poiché la parte finale (che si rastrema verso la fusoliera) deve combaciare con le nuove forme del raccordo precedentemente corretto.

A questo punto ho deciso di limare e ridurre direttamente dall’estremità posteriore, cercando di mantenere le linee dei bordi con la giusta curvatura. Prima di incollare il radiatore nella sua sede mi sono preso cura dei pannelli per la dissipazione del calore. Ho subito rifatto e sostituito, con del Plasticard da 0.25 mm, l’aletta che divide il flusso dell’aria nel blocco anteriore. È meglio non incollarla subito per non rendere la successiva verniciatura oltremodo difficoltosa.

Posteriormente, invece, è presente una parte mobile che aumentava la sezione di uscita ed è presente una aletta parzializzatrice che ho riprodotto allo stesso modo, ricorrendo ancora una volta al Plasticard da 0.25 mm. Per essere pignoli vanno riprodotte anche due aste di comando, che la muovono, collocate lateralmente dentro la carenatura stessa.

Il tutto è stato dipinto con un nero vinilico come fondo, poi ho applicato la tecnica del dry brush con l’alluminio sulle griglie.

Il radiatore dell’olio posto sotto la carenatura del motore è completamente spoglio al suo interno; per questo motivo ho ritagliato due pezzi di Plasticard della stessa sagoma e li ho incollati sulla parte del kit. Per riprodurre le maglie ho usato un sacchetto di confetti che avevo messo da parte; la trama non è molto in scala, ad essere sincero, e l’uso delle fotoincisioni avrebbe restituito un realismo diverso, ma tutto sommato, l’elemento è talmente piccolo che si vede solo con la luce diretta.

Prima di chiudere la fusoliera va inserito il vano carrello. Al posto di quello da scatola, come detto all’inizio di questo articolo, ho utilizzato il set in resina della Eduard Brassin che è davvero ben fatto. È progettato in maniera talmente precisa che, anche con un montaggio a secco, resta tutto al proprio posto. Vi è un unico pezzo proveniente dal kit Hasegawa, ovvero la porzione di longherone principale (che attraversa l’ala da un’estremità all’altra) visibile nel vano stesso.

La fotoincisione di forma triangolare (pezzo unico da piegare in vari punti) è di una fragilità estrema e va fissata saldamente sulla piccola centina che divide il vano carrello in due. Essendoci poco spazio di manovra, è necessario fare molta attenzione posizionandola a colpo sicuro con un alone di ciano acrilica, in caso di errore sarebbe davvero ostico sistemarla.

Le parti interne sono in verde anticorrosione, stesso mix del cockpit steso ad aerografo in tutto il vano.

La struttura tubolare è dipinta con il Gunze Mr. Color 159 a smalto, dato a pennello. Ho messo in risalto i dettagli con la tecnica del pennello asciutto e, dopo il trasparente lucido acrilico, ho eseguito i lavaggi ad olio in bruno Van Dick. Per finire, ho opacizzato il tutto con il flat clear Gunze H-20.

Riguardo i colori utilizzati per distinguere le tubazioni, le istruzioni Brassin sono abbastanza precise. Ma in realtà tutte queste informazioni si trovano sui manuali AerMacchi, già citati precedentemente, in cui vi è una tabella che stabilisce la colorazione dedicata a ciascun impianto.

Ad esempio:

·        Colore Marrone per le tubazioni in cui circola Olio motore.

·        Colore verde per le tubazioni in cui circola Liquido refrigerante.

·         Colore blu per le tubazioni in cui vi è passaggio di aria.

·        Colore giallo è dedicato a tutti gli elementi del sistema carburante.

Infine, vi consiglio vivamente di fissare il complesso accessori senza tutti i tubi per incollare al meglio il pozzetto e avere meno pezzi delicati che potrebbero essere di disturbo. Per dare maggiore movimento al modello ho deciso di separare i timoni di profondità per rappresentarli a picchiare, come spesso si vedevano nei velivoli a terra.

I piani di coda del kit hanno stampate le cerniere che andranno perse con la modifica e devono, giocoforza, essere ricostruite. Visionando le foto sui vari testi a disposizione, ho notato che il Folgore aveva delle piastrine a copertura delle cerniere, molto sottili e non rigide.

Sono presenti solo sulla parte superiore e sono più large della cerniera stessa, quindi ipotizzo che nel movimento a cabrare questi pezzi di lamiera si potessero flettere senza ostacolare il movimento della superficie, essendo fissate solo da un lato. Per simularle ho tagliato dei piccoli quadrati di nastro alluminio adesivo.

Come per i piani di coda, ho voluto rappresentare anche il direzionale leggermente sbandato. Diversamente dagli equilibratori, la superficie era incernierata in dei semplici occhielli in cui ruotava. Dalle foto si può notare che erano leggermente rigonfi, come delle piccole bugne, per questo li ho riprodotti con una micro-goccia di Mr. Surfacer 1000.

Passando alle semiali, ho eliminato le luci di navigazione originali in plastica e le ho rifatte con dello sprue trasparente.

Altro piccolo dettaglio sono le coperture degli attacchi a pettine (che fissano le semiali alla struttura del pianetto alare). Vanno tagliati in totale otto rettangoli dal solito nastro d’alluminio adesivo, quattro per semiala. Dopo averli posizionati ne ho ridotto lo spessore carta abrasiva grana 1000 e 1500.

Prima di incollare il parabrezza è necessario posizionare il collimatore San Giorgio fornito nella scatola del set SBS per il cockpit. È formato da un telaio in fotoincisione, lastrina di acetato trasparente (per il vetrino) e dal gruppo proiettore in resina.

Ho fissato l’acetato sul telaio cospargendolo di cera “Future” perché, così facendo, l’ho contemporaneamente incollato e mantenuto lucido. Ho applicato una goccia di trasparente anche sul proiettore per enfatizzare l’effetto vetro della lente.

I montanti interni del windshield sono stati dipinti con del nero opaco steso a pennello.

Dopo le necessarie prove a secco, ho notato che il vetrino è leggermente più stretto dell’alloggiamento in fusoliera. Inizialmente avevo valutato di forzare leggermente il pezzo per aumentarne la larghezza, ma alla fine ho preferito non rischiare e incollarlo direttamente con alcune pennellate di colla Tamiya Extra Thin Cement. Il leggero scalino che si forma l’ho sistemato riducendo lo spessore (con carta abrasiva) dello stirene nel punto indicato dalla freccia.

Attenzione al corretto montaggio della piastra blindata che proteggeva la testa del pilota: inizialmente l’avevo incollata direttamente a contatto con la struttura dell’anti cappottata ma, dopo aver controllato nuovamente la documentazione, mi sono accorto che vi è un spazio evidente tra le parti. Quindi ho rimosso delicatamente la fotoincisione e, grazie ad uno spessore di 0,5 mm incollato sul retro, ho ottenuto il corretto montaggio.

Finalmente, ultimata l’intera sagoma del velivolo, ho predisposto il modello per la tanto attesa fase della verniciatura. Armato di pazienza e carta abrasiva, ho trattato le superfici in progressione con carte abrasive bagnate grane 1200, 1500, 2000, 3000 ed infine lucidato con una spugnetta per unghie al fine di eliminare anche le più piccole imperfezioni.

Verniciatura:

Apro questo capitolo con un preambolo, perché ritengo necessario fare alcune considerazioni:

Vernici e schemi mimetici:

Agli albori della Regia Aeronautica il concetto di mimetizzazione era in fase teorica e sperimentale. Macchie e bande di colori diversi apparvero pian piano sulle superfici dei velivoli e, con il passare degli anni, l’importanza della mimetizzazione si consolidò nell’ottica strategica dell’uso del mezzo aereo in guerra. Quindi, ben presto si fece incalzante la necessità di standardizzare le vernici usate e gli schemi mimetici. Un primo tentativo ufficiale fu denominato serie mimetica (1938-1941), ovvero l’insieme di tonalità e di schemi mimetici da adottare su tutte le tipologie di velivoli del fascio. Fecero la loro comparsa tonalità caratteristiche come il giallo, il verde e il marrone mimetici.

Invece gli schemi erano a bande trasversali, usati soprattutto su bombardieri e siluranti, oppure a reticolo a macchie rade, su base gialla o verde, per lo più per i velivoli da caccia. In realtà, solo gli schemi mimetici furono in linea di massima standardizzati per tutti i produttori. Per le vernici si crearono involontariamente varie tonalità della stessa tinta in quanto ogni azienda costruttrice aveva il proprio fornitore. Il risultato fu quello di avere diverse gradazioni simili ma non uguali.

Infatti, discutendo del solo giallo: La Aermacchi e le IMAM avevano come fornitore la Max Mayer e il giallo usato sui loro velivoli è oggi identificato come Giallo mimetico 4. Invece la Breda, la SIAI e la Caproni avevano come fornitore Arson-Sisi e il giallo è identificato come Giallo mimetico 3. Ovviamente, al tempo, i colorifici indicavano le vernici semplicemente come giallo mimetico (vedi verde o marrone) senza numerazione, la quale è un modo utile e moderno per distinguerli. In generale erano quattro le tonalità di giallo mimetico usate:

  • Giallo mimetico 1 FS 33531.
  • Giallo mimetico 2 FS 33481.
  • Giallo mimetico 3 FS 33434.
  • Giallo mimetico 4 FS 30266.

Successivamente, l’incalzare della guerra rese necessario anche la completa standardizzazione delle vernici.

Questo portò alla cosiddetta Tavola 10 (1941-1943), che determinava, per i velivoli da caccia, l’uso di due sole vernici per le superfici superiori, e una sola per quelle inferiori.

Date le informazioni di cui sopra, tradurre nella maniera corretta la mimetica sul mio modello è stata la mia preoccupazione sin dall’inizio. Ovviamente la fonte più importante è la documentazione fotografica, e fortunatamente ne ho trovata parecchia sui Folgore delle prime produzioni.

Purtroppo, la bassa risoluzione e il bianco e nero delle foto d’epoca mettono in difficoltà alcuni dettagli ma, in ogni caso, lo schema utilizzato sui primi velivoli della serie I, ereditata tra l’altro dal predecessore C.200, è il classico continentale a macchie rade (schema C8 e più comunemente conosciuto come “uovo in camicia”).

Dalle immagini si può notare che le macchie sono di dimensioni diverse, di forma pressappoco simile, e che il bruno all’interno della chiazza in giallo spesso la ricopre quasi completamente. Il contrasto tra il giallo e il bruno è abbastanza evidente quindi, anche se minimo, il bordo si nota. Anche questa volta ho iniziato a verniciare le superfici inferiori, completamente in grigio mimetico.

Ho utilizzato il Gunze H-317, diluito al 70% con il Leveling Thinner Gunze. Successivamente ho mascherato il grigio utilizzando il Patafix per demarcare la linea di stacco.

Il verde mimetico 2 (Gunze H-312) ha una bella resa, molto coprente, ed è stato diluito con le stesse percentuali indicate sopra.

Per le macchie consiglio di alzare la diluizione all’80%, abbassare la pressione a 0,5 bar circa e lavorare con l’aerografo molto vicino alla superficie.

Sul muso, e a ridosso della gobba dell’anti cappottata, le ho interrotte poiché, in quei punti, andranno dipinte le bande rispettivamente giallo cromo e bianco. Riassumendo questi sono le vernici utilizzate:

Per il giallo mimetico 4 ho preferito spegnere la tonalità e scurirla leggermente. Il Gunze H-34 utilizzato è, a mio avviso, più corretto per un giallo mimetico 3 della Breda e della SIAI (ditte subappaltatrici della Macchi per la produzione del Folgore).

In realtà, secondo codifica FS, il giallo mimetico 4 sarebbe da scurire ulteriormente ma non mi convinceva il contrasto che si veniva a creare con il bruno mimetico. A conti fatti ho lasciato la tinta leggermente più accesa.

Per completare la verniciatura bisogna aggiungere le due bande trasversali di riconoscimento, una sul muso e una in fusoliera. Come al solito mi diverto, e trovo utile, integrare con alcune precisazioni storiche:

Distintivi ottici

Le due bande dipinte sopra la mimetica sono particolari distintivi ottici adottati dalla R.A. per esigenze pratiche. Con il sempre maggiore impegno della R.A. nei più disparati teatri operativi, soprattutto a diretto contatto con la Luftwaffe, si rese necessario rendere i propri velivoli immediatamente distinguibili, ed evitare pericolosi fraintendimenti da parte dei tedeschi. In realtà già nel breve conflitto aereo contro i francesi, il 15 giugno 1940, i piloti della R.A. ebbero problemi ad identificare i compagni durante un raid notturno condotto dal nemico.

Si crearono parecchi incidenti e furono fatte delle modifiche non ufficiali sul campo, aggiungendo una fascia bianca a tre quarti di fusoliera posteriore ai primi C.R.42 del 23° Gruppo. Verso la fine del 1940 si iniziò ad applicare su tutti gli aerei la fascia bianca di riconoscimento, di larghezza circa 600 mm per i caccia (1200 mm per plurimotori), e fu ufficializzata a partire dall’anno seguente divenendo standard per tutti gli aerei della Regia Aeronautica, fino all’armistizio del 1943.

In Nord Africa, alle insegne standard, furono aggiunte le estremità delle ali dipinte di bianco e i tedeschi le applicarono anche sui loro velivoli. La banda giallo cromo sul muso, apparve durante gli scontri aerei della battaglia di Inghilterra. Per uniformare i velivoli del CAI (Corpo Aeronautico Italiano) alle direttive della Luftwaffe, si dipinsero così le cappottature motore. Nel teatro operativo russo invece, oltre al muso, anche la fascia in fusoliera fu dipinta di giallo. La banda sul muso fu usata fino al novembre 1941, poi fu eliminata.

Secondo le direttiva, lo standard di larghezza per la fascia bianca era di 600 mm. In scala 1/48 corrispondono a 12,5 mm. Per il bianco ho usato direttamente il Surfacer 1500 White, che ha un tono già soddisfacente e ha svolto anche funzione di base per il successivo giallo.

Per la banda del muso non ho trovato nessuna misura di riferimento, spesso coincideva con la cappottatura dei motori radiali. Sui musi lunghi era una porzione contigua all’ogiva, quindi bisogna trovare il riferimento attraverso le foto a disposizione. Per il giallo cromo ho usato il Gunze H-4 tagliato al 50% col Gunze H-34. Puro, a mio parere, è troppo acceso. Stesso fondo e stessa vernice usata, ovviamente, anche per l’ogiva del gruppo elica. Per la porzione anteriore delle pale ho mixato il Tamiya XF-23 e l’XF-19 (proporzione 1:1), mentre il retro in nero perché aveva funzione di anti riflesso per il pilota.

Al fine di dare un po’ di movimento alle parti telate delle superfici di comando, ho utilizzato una tecnica già utilizzata con successo da un altro nostro amico modellista, Andrea “Nannolo” – CLICK QUI!

In pratica ho ricreato le ombre tra le centine, dovute alla tela che si rilassa, spruzzando all’interno i colori di base leggermente scuriti del 30% (7 base – 3 nero), diluiti all’80%.

Ultimo dettaglio da verniciare, per chiudere definitivamente il capitolo, riguarda la cofanatura del radiatore ventrale. Ho notato grazie alle foto che, sui primissimi esemplari, la parte centrale era lasciata in alluminio (in realtà la porzione centrale è il radiatore vero e proprio fissato direttamente sul ventre. La carena era un convogliatore d’aria anteriore e posteriore). Ho trovato ulteriore riscontro in alcune immagini in cui sono ritratti proprio i velivoli della 97^ Squadriglia sull’aeroporto di Ciampino, durante il trasferimento verso Comiso.

Quindi, ancora una volta, mi sono affidato agli Alclad scegliendo il White Aluminium.

Wheatering:

In tutte le immagini che ho potuto visionare, l’esemplare che ho scelto non presentava particolari segni di usura dovuta all’attività operativa avendo poche ore di volo all’attivo. Per cui ho deciso di non esagerare con l’invecchiamento e di attenermi, ovviamente, alla documentazione. Per iniziare ho steso tre mani abbondanti di trasparente lucido Tamiya X-22 diluito all’80% col Mr. Leveling Thinner della Gunze.

Lasciato asciugare il clear un giorno intero, ho preparato due tinte principali per i lavaggi ad olio: un grigio medio per le superfici inferiori (utilizzato anche per la fascia bianca in fusoliera) e il bruno Van Dyck scurito con del nero per le superfici superiori.

Sulla banda in giallo e sull’ogiva, invece, ho usato il Van Dyck puro.  

Sugli scarichi ho riprodotto una semplice cottura della parte più interna dei collettori, senza la presenza di ruggine tipica dei metalli soggetti al calore dei gas.

La verniciatura di base l’ho realizzata con l’Alclad Dark Alluminium sui cui ho spruzzato a bassa pressione un mix 50/50 di nero e marrone acrilico, diluito al 90 %. Sulle estremità dei collettori, in corrispondenza dei fori d’uscita, ho aggiunto una miscela ancora più scura per simulare i residui carboniosi. Con un nero vinilico a pennello ho dipinto l’interno, mentre con un vinilico grigio ho lumeggiato gli spigoli vivi.

Decalcomanie:

Come già indicato ad inizio articolo, ho utilizzato il bellissimo foglio della Stormo! Decals, stampato dalla Cartograf. Colori molto belli e in registro, disegni molto accurati. il supporto è resistente ma morbido, anche se a conti fatti risulta abbastanza spesso e opaco per cui le insegne necessitano di un fondo perfettamente lucido per scongiurare il silvering.

Le istruzioni sono abbastanza precise sulla posizione, ma come sempre, un riscontro fotografico è molto meglio per decidere dove collocarle. A parte i fasci littori sull’ala che sono decisamente grandi, non ho avuto problemi con le altre. Anche la croce sabauda sulla deriva e sul timone si posiziona agevolmente con l’ausilio dei liquidi ammorbidenti.

Per completezza di cronaca, il colore della scritta “AerMacchi C.202” su questo soggetto non è corretta perché il colore blu chiaro utilizzato era standard per i velivoli A.S. (Africa Settentrionale) che avevano un fondo nocciola. Sui velivoli Macchi con livrea continentale come il mio soggetto, la scritta della ditta costruttrice era in blu più scuro.

Sempre per completezza di trattazione, riporto qualche informazione che può tornare utile a noi modellisti:

Introduzione del fascio littorio sugli aeromobiliFOGLIO D’ORDINI N.6 25 Febbraio 1927 – Anno V.

Viene introdotto a partire dal 1° Marzo 1927 su tutti gli aeromobili in uso o in carico agli Enti dipendenti. Il fascio di verghe sarà dipinto in giallo oro e la scure in grigio argento con sfumature; il tutto racchiuso in un circolo a fondo grigio piombo scuro avente il diametro di cm. 50 per le specialità: bombardamento notturno, bombardamento diurno, bombardamento idro e dirigibili; cm. 35 per le altre specialità. Sarà dipinto per la specialità bombardamento notturno, sulla parte anteriore e da ambo i lati della carlinga; per le specialità: bombardamento diurno, ricognizione terrestre e caccia terrestre da ambo i lati della fusoliera a circa un metro dal bordo d’uscita dell’ala.

Possiamo dedurre facilmente che nella scala 1/48, per un caccia terrestre, il Fascio littorio avrà un diametro di circa 7 mm. Inoltre, se volete essere pignoli, posizionatelo a circa 20 mm dal bordo di uscita dell’ala (Nel caso la foto non aiutasse) e ricordate che la lama dell’ascia va rivolta sempre verso il muso. Per le insegne alari, invece, le lame sono rivolte sempre verso l’estremità. Invece per i fasci alari, furono tre le tipologie adottate durante gli anni:

  • Fasci neri, cerchio nero su fondo bianco.
  • Fasci bianchi, cerchio bianco su fondo nero.
  • Fasci e cerchio nero e fondo trasparente.

Alcune erano decalcomanie, altri delle maschere da verniciare. Dalla metà del 1941 si cominciarono ad utilizzare le decalcomanie a fondo trasparente. Prima invece i vari stili erano utilizzati in modo diverso in base alle ditte costruttrici. Le dimensioni previste erano: per i bombardieri erano di 180 cm; per i ricognitori erano di 120 cm; Per i caccia erano di 96 cm.

Quindi facendo un rapido calcolo, in scala 1/48 sono rispettivamente: 3,75 cm; 2,5 cm; 2 cm.

Data la grande dimensione e il fondo omogeneo e liscio, il posizionamento dei fasci sulle ali mi ha dato un po’ di filo da torcere. Il film aggrappa immediatamente e riposizionarlo diventa alquanto problematico; se dovesse capitare anche a voi lo stesso inconveniente, bagnate la zona con abbondante acqua e cercate di spostarli con un bastoncino cotonato. L’insegna va posizionata al di sopra dell’alettone, con la circonferenza del cerchio che lambisce la linea che delimita la superficie di governo.

Alla fine della posa ho protetto le decalcomanie con un ulteriore mano abbondante di trasparente nel tentativo di il loro spessore che non è trascurabile in scala, purtroppo. A seguire ho applicato dei lavaggi mirati per mettere di nuovo in risalto le pannellature che passano al di sotto dei fregi.

Ultimi dettagli

Ormai sono rimasti pochi pezzi per completare il modello, ma quelli più piccoli vanno rifiniti tutti comunque. È necessario assottigliare tutti i portelli del vano carrello per raggiungere un buon effetto scala; si possono, inoltre, aggiungere altri particolari come l’effetto peso degli pneumatici o le staffe di fissaggio del portello alla gamba carrello principale.

Su quest’ultima ho anche aggiunto i tubi che alimentano aria compressa all’impianto frenante (purtroppo ben poco visibili in quanto collocati posteriormente). Per le zone in alluminio ho utilizzato l’Alclad white Aluminium, per gli interni il verde anticorrosione Macchi, e per l’esterno in grigio mimetico H-317 come per le superfici inferiori. Ho completato tutto con dei lavaggi mirati in Bruno Van Dyck scurito ad olio.

Per rendere più omogeneo l’invecchiamento ho preferito desaturare le decal stendendovi sopra delle velature leggerissime di verde mimetico diluito al 95%. La stessa procedura l’ho ripetuta per spegnere (di poco) l’azzurro delle scritte e del fascio littorio in fusoliera. Soddisfatto del risultato, ho caricato l’aerografo con l’opaco Gunze H-20 (diluito all’80% con la nitro) dando circa tre mani.

Il lavoro si è concluso fissando le pale dell’elica e l’ogiva, tutto il sistema del carrello, il canopy e il sottilissimo il cavo dell’antenna realizzato con il filo elastico della Uschi Van Der Rosten.

A presto e buon modellismo a tutti.

Luca “Madd22” Miceli

RA-5C Vigilante dal kit Trumpeter in scala 1/48.

E ‘innegabile che, tra tutti gli aerei imbarcati, il Vigilante è stato tra i più belli ed eleganti. Nato su iniziativa privata della North American per fornire un bombardiere con capacità nucleari e ad alte prestazioni, in sostituzione dello Skywarrior (un mio articolo lo trovate QUI), le soluzioni tecniche con le quali fu sviluppato erano all’avanguardia per i tempi (stiamo parlando dei primi anni ’50) e dettero vita ad un velivolo dalle linee aereodinamiche filanti e molto curate.

Innovativo era il sistema di sgancio dell’ordigno sistemato in una stiva interna e che scivolava fuori grazie all’apertura del radome posteriore. Altre novità riguardavano l’utilizzo delle prime versioni di prese d’aria a geometria variabile e del titanio per alcune parti strutturali, così da renderlo adatto ai voli in regime supersonico fino a mach 2 per i quali era destinato. La propulsione fu inizialmente affidata a due General Electric YJ79-GE-2 per le versioni da bombardamento AJ3-2 o A-5A che furono poi sostituiti, nella RA-5C, con i J79-GE-10.

Una scelta ugualmente innovativa fu attuata anche per il controllo delle superfici mobili, affidata ad un fly-by-wire affiancato ancora da un sistema meccanico per sopperire ad eventuali avarie. Dopo poco tempo dalla sua entrata in servizio, i mutamenti nella strategia della marina portarono il concetto di bombardiere nucleare imbarcato ad essere accantonato e quindi anche la produzione della nuova versione dell’A-5B fu interrotta con la trasformazione buona parte dei velivoli già realizzati in RA-5C.

Il modello:

Quando alcuni anni fa la Trumpeter mise in commercio il kit in 1/48 di questo soggetto, fui di sicuro uno dei primi ad acquistarlo con l’intento di costruire uno dei miei aerei preferiti. All’apertura della confezione la delusione fu piuttosto cocente, e le recensioni che iniziarono a comparire in rete furono piuttosto impietose. L’errore più macroscopico riguardava il muso, completamente errato nelle forme e proporzioni, le prese d’aria adatte per realizzare solo le prime varianti (completamente prive di condotti e grossolane nei dettagli), cono di coda e parte superiore della deriva principale errati. Per chiudere in bellezza rivetti, pannellature e linee di stampa degne del miglior carro sovietico degli anni ‘30. Con queste premesse, chiudere la scatola e buttarla tra le altre accatastate fu un attimo.

Qualche tempo dopo la Cutting Edge commercializzò un super set per la correzione dello stampo cinese e, naturalmente, non mi feci scappare l’occasione di acquistarlo; ad oggi mi pento di non averne presi due, dato che non è più reperibile se non a prezzi stratosferici. Per completare il tutto, da buon malato di detail set, presi l’abitacolo della Black Box (anche questo oramai introvabile), gli scarichi cod.4278 e il vano carrelli cod.4304 entrambi dell’Aires. Giusto per la cronaca, è ancora disponibile della stessa ditta il cockpit cod.4305 e, ultimamente, la Res Kit ha anche messo in catalogo le ruote con il set cod. RS48-213. Con tutto questo ben di Dio, preso dall’entusiasmo e con lo sprone di un altro amico appassionato di Vigilante, iniziai a tagliare le fusoliere per sostituirle con quelle del set in resina e provare i vari fit degli altri pezzi. È fatta, direte voi… invece no. Come tutti i modellisti che si rispettino, ho richiuso tutto dentro la sua bella scatola e lì e rimasto per diversi anni, fino a quando solito amico di cui sopra ha di nuovo stuzzicato la mia passione latente facendomi riprendere quest’avventura, perché di questo si parla quando si realizza un kit del genere. Come mia abitudine ho pianificato i lavori da effettuare e le soluzioni alle varie problematiche che affliggono il kit. Gli interventi hanno preso il via dalla fusoliera, già parzialmente lavorata in precedenza, che è stata tagliata fino alla parte posteriore del secondo abitacolo. Al posto dello stirene eliminato ho inserito i pezzi della Cutting Edge che hanno bisogno di un pizzico di attenzione per trovare il corretto allineamento (raggiunto inserendo anche degli spessori in resina). Per ottenere un incollaggio resistente e duraturo ho scelto la colla cianacrilica rinforzata con una polverina di microsfere.

Il secondo passaggio ha riguardato la modifica dell’abitacolo Black Box per alloggiarlo nelle semi-fusoliere Cutting Edge che, a loro volta, erano predisposte per i pezzi originali Trumpeter. Questa fase è stata piuttosto snervante poiché ho dovuto asportare parecchia resina (sia dalla vasca, sia dalle fusoliere stesse) per far sì che potessero chiudersi senza troppi problemi. E di prove, ne ho fatte parecchie!

Durante questi passaggi ho notato un errore nel set dell’abitacolo in resina, che presenta le piastre posteriori con le rotaie per l’espulsione dei seggiolini troppo alte rispetto all’allineamento visto nelle foto in mio possesso. Ho provveduto, così, ad abbassarle e portarle di poco sopra il poggiatesta dei seggiolini.

In parallelo, ho iniziato a preparare le prese d’aria e relativi condotti. Devo ammettere che il set della Cutting Edge era, già all’epoca, ben progettato. L’unico difetto è un leggero fuori squadro della parte inferiore, come si può vedere dalle foto, che deve essere carteggiata per asportare la resina in eccesso ed eliminare il gradino che si forma. Magic Dust (Microsfere), ciano, tanta lima e pazienza, hanno fatto il resto.

Un’altra fase delicata è stata far combaciare il vano carrello anteriore con la vasca dell’abitacolo per via della particolare forma del primo. Il set della Eduard l’ho escluso, proprio per l’impossibilità di trovare il giusto incastro con la wheel bay.

Per come è ingegnerizzato lo stampo, la gamba di forza anteriore deve essere montata necessariamente prima di chiudere le semi fusoliere, lasciandola così in posizione estratta e soggetta ad eventuali urti durante il montaggio. Per evitare rotture accidentali ho forato lo stelo nella parte superiore inserendovi un rinforzo in metallo che ho, poi, infilato in uno scasso praticato sul fondo del vano. Se vi può tornare utile, per mascherare l’ammortizzatore ho provato del comune nastro in teflon (quello per termo idraulica), che non è adesivo e non danneggia le vernici cromate.

Per quanto riguarda gli alloggiamenti dei carrelli principali, il lavoro di si è limitato ad inserire le tubazioni principali e piccoli particolari in Plasticard. Del resto, una volta assemblati i portelli, che a terra sono sempre chiusi (tranne che in caso di manutenzione) si vedrà ben poco.

Durante le prove a secco per inserire l’abitacolo, sono diventati evidenti i problemi di chiusura delle due semi fusoliere principali, che per la scarsa efficacia dei perni di riscontro non si allineano a dovere. Per rimediare, ho incollato delle strisce di Plasticard su entrambe le valve, così da creare degli inviti più sicuri.

La scomposizione del modello e piuttosto macchinosa ma consente di poter montare i motori in una seconda fase, risolvendo così i piccoli problemi di adattamento di cui parlerò più avanti. Prima di chiudere il tutto ho controllato il posizionamento del radome posteriore, quello che in origine era il portello del vano bomba a scivolo. A parte qualche piccola limatura, l’intervento è risultato più agevole del previsto.

Nella lista delle operazioni da eseguire vi era anche il dettaglio delle fotocamere presenti sull’aereo, ma assolutamente inesistenti nel kit. Grazie ad alcune foto recuperate nei libri, usati come fondamentale documentazione, ho ricostruito quella presente sotto il radome anteriore chiusa in una bolla di vetro rastremata a goccia. Per questa ho recuperato varie parti dalla banca pezzi, oltre a cannibalizzare il set di macchine fotografiche presenti nella scatola del Cougar della Kitty Hawk, che non avrei mai usato. La resa finale rende il modello di sicuro più realistico.

Dopo aver eseguito svariati controlli e verificato che la fusoliera si chiudesse senza problemi, ho iniziato la colorazione dell’abitacolo utilizzando prima un fondo con il colore nero satinato della Gunze Mr.Color, poi il Mr.Paint MRP-100 corrispondente al F.S.36231. La resina dell’abitacolo non è delle migliori, risultando leggermente sgranata nel dettaglio (caratteristica dei set di dettaglio di qualche anno fa).

Terminati tutti gli interni, ho iniziato ad assemblare la fusoliera anteriore che, come previsto, ha lasciato diverse piccole fessure lungo le giunzioni; queste sono state stuccate con la colla ciano acrilica, in abbondanza. Durante questa fase, ho avuto la conferma del problema già indicato in altre recensioni, ovvero, la spiacevole tendenza a “chiudersi” verso l’interno della fusoliera posteriore. Fino a poco tempo fa la ditta Nautilus commercializzava un set di ordinate in legno che serviva a rinforzare tutta la parte posteriore e ridargli la giusta forma, permettendo oltretutto il corretto allineamento dei motori. Non avendola presa in considerazione all’inizio, ho provveduto a risolvere il problema in maniera più casalinga utilizzando una gomma piuma deformabile, che si trova in alcune confezioni di lampade: l’ho tagliato nella misura necessaria inserendola all’interno e, una volta adattata alla zona vuota, l’ho impregnata di colla ciano per renderla rigida e non più mobile. Effettivamente questa operazione dà al modello una certa solidità e soprattutto, meno effetto vuoto, quando lo si maneggia. Il pezzo che rappresenta il complesso degli scarichi l’ho stuccato e rifinito con l’aiuto dello stucco bi-componente Milliput. A proposito, i condotti dei due motori J79 in resina vanno incollati leggermente disassati verso l’esterno – essi non sono paralleli alla mezzeria del velivolo. Per la loro verniciatura ho scelto i metallizzati Alclad su una base nera satinata e un lavaggio con i colori a olio, per dar loro quel tocco di realismo e usura in più.

Dalla foto si può notare anche un piccolo cubo di resina forata: l’ho aggiunto per dare maggior tenuta al perno della deriva evitando di renderla troppo delicata. A seguire ho incollato il pannello della zona motori/gancio di arresto. La successiva fase di carteggiatura mi ha consentito di ridurre anche la profondità delle rivettature e asportare le linee di stampaggio, presenti in prossimità delle parti arrotondate della fusoliera.

A questo punto ho lavorato sul contenitore installato sotto la fusoliera, detto canoa, che conteneva la fotocamera frontale, le due laterali e quella inferiore. Anche in questo caso le ho ricostruite, visto che nella scatola non se ne vede neanche l’ombra, partendo da cubi e tondini di resina recuperati dalle materozze dei set che di solito vengono buttate. Li ho lavorati fino a dargli la forma delle cinecamere e inserendole dopo aver incollato l’alloggiamento.

Anche in questo caso, ho dovuto eliminare delle linee di stampata dalle curve della carenatura… un vero delirio. Devo dire di aver visto stampate peggiori, ma i progettisti della Trumpeter si sono impegnati per complicare la vita di noi appassionati. Dopo aver ripristinato le pannellature che,

inevitabilmente dati i tanti passaggi invasivi, avevo perso, sono passato al montaggio delle ali. Non hanno riservato grosse sorprese, tranne le solite stuccature di rito e qualche striscia di Plasticard fino per compensare dei vuoti lungo il raccordo con la fusoliera. Unico dettaglio da non trascurare è il rinforzo (anch’esso in Plasticard) inserito tra la parte fissa e quella ripiegabile, così da evitare rotture durante eventuali spostamenti. Le superfici mobili e gli slat sono stati preparati sempre in questo momento, compresa la correzione della parte superiore della deriva con il relativo pezzo, presente nel set della Cutting Edge, che ne riproduce la corretta forma e angolazione.

Studiando il radome poppiero ho notato che il pod delle ECM (Electronic Counter Measures) posteriore stampato sul pezzo della Cutting, e presente su tutti gli esemplari delle versioni aggiornate o di tarda produzione, non era quello montato sull’esemplare che volevo riprodurre. Stranamente il mio soggetto, pur avendo il Bu.No. (Buzz Number, numero di serie) delle versioni “late”, montava il vecchio tipo di sensore. Sinceramente se non avessi avuto delle foto di riferimento sarei andato avanti con l’apparecchiatura più aggiornata commettendo un grossolano errore, ad ennesima dimostrazione di quanto non bisogna dare per scontato un dettaglio anche quando tutta la documentazione cartacea codici e direttive tecnico-produttive sembrano inoppugnabili (una foto dell’esemplare che ho riprodotto è ben stampata a pagina 23 dell’Aerofax Minigraph n°9).

Alla fine, facendo molta attenzione, ho asportato la carenatura non corretta dalla resina e, contemporaneamente, ho recuperato il pezzo corretto dalla plastica originale del kit.

Terminato il montaggio principale, sono passato alla parte più delicata di tutto il lavoro: i vetrini. Nel set di correzione sono presenti tutti e tre i pezzi stampati in una discreta resina trasparente il cui spessore, purtroppo, li rende troppo poco realistici oltre che a creare molta distorsione guardando l’abitacolo attraverso le parti trasparenti. Dopo attenta valutazione ho deciso di scartarli e modificare quelli forniti nella scatola che, essendo più lunghi, rende possibile asportarne gli eccessi per portarli alla giusta lunghezza (la larghezza è, invece, giusta). Per renderli ancora più corretti, ho stuccato i rivetti dei montanti, troppo evidenti, lasciandoli solo dove li vedevo nelle foto. Per completare l’opera, ho dettagliato il tettuccio anteriore con le fotoincisioni e l’interno del posteriore con dei fogli di alluminio adesivo e pezzi di recupero, così da riprodurre i pannelli protettivi e i due retrovisori laterali.

Dopo tante peripezie il modello è finalmente pronto per la verniciatura. I Vigilante hanno utilizzato il classico schema della U.S. Navy degli anni ‘70, Light Gull Gray F.S. 16440 per le superfici latero superiore e bianco F.S. 17875 per quelle inferiori e per le superfici mobili. Ho scelto un esemplare del RAVH-13 Bats (Bu.No.156608), imbarcato sulla portaerei Enterprise (CVAN-65) durante la crociera di guerra in Vietnam dal settembre del 1972 a giugno del 1973.

Tornando alla colorazione, per questo modello ho iniziato a ripassare con l’aerografo le pannellature con due colori, il Cocoa Brown Gunze H-17 e il nero opaco H-12 della stessa marca. Questa tecnica del pre-shading già in uso da tempo e rielaborata nel corso degli anni, dona ai colori finali una resa più variabile simulando bene anche l’usura. A mio avviso, funziona meglio su colori finali chiari che, stesi per velature, fanno risaltare il lavoro di fondo.

Una volta conclusa la preparazione, ho steso il bianco lucido acrilico della Gunze H-1 sui vari portelli della fusoliera, lavorandoli singolarmente così da creare una serie di differenze di tono. Terminato questo passaggio sono passato al Bianco FS.17875 sempre della Gunze, ma smalto della linea Mr.Color (C-316) aggiungendo velature leggere, fino a coprire la base e lasciare in evidenza le zone di sfumature diverse.

Attesa la completa asciugatura di almeno 24 ore, ho aerografato il Light Gull Gray FS.16440 della MR.Paint MRP-98 con lo stesso procedimento del bianco. Tra le due fasi di colorazione ho ultimato i carrelli e i relativi portelli per i vani dove, anche questa volta, sono dovuto intervenire con delle modifiche: dalle foto, infatti, mi sono accorto che sui portelloni del vano principale mancavano i chaff dispenser. Nel foglio della Zotz è presente una versione grafica del particolare, ma è poco realistica; così, ho recuperato dalle fotoincisioni avanzate due dispersori forati delle giuste dimensioni e aggiunto i caricatori interni in resina sagomati.

Per le ruote, ho optato quelle del kit che sono comunque corrette, anche se la Res Kit, come detto all’inizio di questo articolo, da qualche tempo propone delle ottime copie in resina.

A questo punto ho proceduto col post-shading schiarendo i colori di base in maniera disomogenea. Dalle foto del velivolo reale mi sono reso conto che la zona dorsale della fusoliera, in corrispondenza dell’attacco delle prese d’aria, era di un colore più scuro rispetto al resto. Parlando con il mio amico Fulvio (l’appassionato, citato all’inizio), siamo giunti alla ragionevole conclusione che durante il ciclo operativo era stata fatta un’importante riverniciatura della parte segnalata e altri ritocchi (che si possono vedere in corrispondenza del muso). Fatta questa variazione in corso d’opera sono passato al mio solito lavaggio ad olio “pesante” (come tono ho scelto il Bruno Van Dyck miscelato con del Grigio di Payne che porta il colore ad avere dei riflessi bluastri), così da evidenziare i pannelli ed i rivetti. Una vota finito il trattamento ho ripassato qualche velatura molto diluita di colori di base per stemperare l’effetto.

Per ciò che riguarda le decal, come mio solito durante la fase preliminare del progetto avevo acquisito due diversi fogli: uno della Aeromaster codice 48-732 e l’altro della Zotz codice 48-018. Mai cosa fu così buona e giusta!

Infatti, verificandone la correttezza tramite le immancabili foto, mi sono accorto che Aeromaster ha sbagliato la foggia del pipistrello sulla deriva ma, soprattutto, le dimensioni e forme del codice NK. Alla fine, ho utilizzato un mix dei due aftermarket per annullare le mancanze dell’uno e dell’altro. Lo spessore delle insegne, in entrambe i casi, non è trascurabile e sono serviti diversi passaggi di liquidi ammorbidenti per conformarle al meglio alle incisioni. Dopo un paio di giorni anche le decalcomanie sono state trattate con il colore a olio per uniformarle al resto del mio Vigilante in scala. Il montaggio di tutti gli ultimi componenti, compreso il pitot realizzato con due aghi ipodermici di diametro diverso, e il trasparente satinato della Alclad finale hanno concluso le mie fatiche.

Devo dire che vederlo realizzato sul tavolo da lavoro è stata una grossa soddisfazione. Le linee filanti del Vigilante sono una vera gioia per gli occhi. Spero di aver reso giustizia ad un aereo che, a causa dei pochi kit in commercio e non proprio di livello, è stato troppo trascurato negli anni. Un saluto a tutti e buon modellismo.

Ben Kit Modelling.

Aftermarket Review – MB-339 CD Resin Conversion & MB-339 (All Variants) Update Set in scala 1/48.

Indubbiamente l’Aermacchi MB-339 è uno dei più grandi successi commerciali dell’industria aeronautica italiana a livello mondiale. In servizio da più di 35 anni, l’addestratore della ditta di Venegono Inferiore ha formato centinaia di piloti servendo in numerose forze aeree mondiali. Anche se la sua vita operativa sta giungendo oramai al termine, con l’imminente sostituzione da parte del nuovo Leonardo M-345 HET, numerosi esemplari (soprattutto nella versione CD – Completamente Digitale) continueranno a svolgere i propri compiti per almeno altri tre anni.

Pur molto diffuso, il ‘339 non ha mai riscosso molto successo a livello modellistico ed attualmente in commercio sono solo due i kit a disposizione: il vetusto Supermodel in 1/72 e il più recente, anche se non troppo oramai, FREMS nella scala del quarto di pollice.

I set che presenterò in questa review sono appunto dedicati allo stampo in 1/48 e rappresentano una gradita novità che permetterà a molti appassionati di aggiungere alla collezione dei soggetti interessanti e, altrimenti, difficili da riprodurre.

Parto subito col dire che alla base di questo progetto c’è Andrea Paternieri che si è occupato della realizzazione dei master e dei tanti pezzi che compongono i set. La loro commercializzazione, invece, è affidata al noto negozio milanese Mister Kit.

MR-4801 – MB-339 CD Conversion Set:

Il primo aftermarket in esame è il più sostanzioso tra quelli proposti poiché permette la totale conversione di un MB-339 A in CD. L’articolo è composto da 48 parti, sia in resina 3D, sia in resina poliuretanica stampata.

  • Cockpit: è, senza dubbio, l’elemento più pregevole del set con una vasca ricca di dettagli ben riprodotti e molto nitidi. Benché sia realizzata in 3D, i layer di fusione sono appena percettibili e solo in zone che poi non saranno visibili, quindi il pezzo è utilizzabile senza essere costretti ad ulteriori lavorazioni.
    I Martin Baker Mk.10 hanno le cinture di sicurezza già stampate con andamento diverso tra i due seggiolini (accortezza molto utile ai fini del realismo) e il panneggio dei cuscini ha forme convincenti e morbide; vanno solo completati con i due rostri per infrangere il plexiglass sopra il poggiatesta (anche loro in resina). La maniglia d’espulsione, forse, è più conveniente eliminarla e rifarla con il classico filo di rame per dargli maggiore risalto e tridimensionalità.
    Molto belle le palpebre dei cruscotti direttamente fornite da stampa 3D con le griglie di aerazione già aperte e precise; sopra di esse, realizzati con lo stesso metodo, andranno aggiunti i bracci di sostegno degli Head Up Display.
  • Musetto, deriva ed elevatori: esteriormente sono questi i pezzi che contraddistinguono l’MB-339 CD dalla variante A. In particolare il musetto, più lungo per alloggiare una nuova e più completa avionica, è composto da un blocco unico di resina che andrà a sostituire quello originale FREMS. Integrato nel pezzo vi è anche il pozzetto carrello anteriore (di cui viene fornita anche la gamba di forza) che è stato arricchito di alcuni particolari e delle centine della struttura. Per completarlo sarà necessario aggiungere il faretto di atterraggio sul bordo d’attacco, fornito pre-tagliato su una lastrina di acetato trasparente. La soluzione è comoda ma i più esigenti potranno sostituire questo elemento con uno strass da bigiotteria che simulerà meglio la parabola interna della luce.
    La deriva non è completa, bensì è compresa solo la metà superiore che integra gli alloggiamenti per le antenne RWR (anche queste tipiche della versione CD). Quella in plastica dovrà essere parzialmente sezionata per aggiungere la resina da raccordare con attenzione. Le superfici del pezzo della conversione sono lisce e ben lavorate anche se, probabilmente, sarà utile ridurre leggermente la profondità delle incisioni che simulano i pozzetti d’ispezione degli attuatori idraulici (quelli di forma ovale) sul lato sinistro.
    Nulla da segnalare sugli elevatori che riportano correttamente le nuove superfici compensate per ridurre lo sforzo di barra.  
  • Sonda RIV: la sonda per il rifornimento in volo è fornita in un solo pezzo ed è completa. Le forme sembrano ben raffigurate ma, data la particolare natura del pezzo, ci potrebbero essere delle difficoltà nel separarlo dalla materozza e dai supporti. Prestate molta attenzione in questa fase.

  • Griglie di aerazione, sfiati e air scoop: altra “porzione” importante del set è quella riguardante i vari sfiati, air scoop e griglie dell’MB-339 CD, molto differenti in forme e dimensioni rispetto alla variante Alpha. Senza dubbio è questa la parte di conversione più complicata perché il modellista dovrà aprire svariati scassi sulle due semi fusoliere per far posto ai nuovi pezzi in resina 3D inclusi nella confezione. C’è da dire che sulle nuove parti sono ben visibili i livelli di fusione ma che, in ogni caso, dovranno essere stuccate e raccordate alle forme del modello per cui gli scalini spariranno.

A corredo dei pezzi principali sono fornite anche le varie antenne previste per il “Completamente Digitale” e la piccola strobe light compatibile con visori NVG da aggiungere sul ventre del velivolo e riprodotta già con resina trasparente.

Le istruzioni sono contenute in due fogli formato A4 e riportano le indicazioni, con misure, per eseguire i tagli dello stirene. In alcuni passaggi, soprattutto per ciò che riguarda le già citate griglie, possono non risultare chiare al primo impatto e per questo consiglio di affiancarle alle foto del soggetto reale per comprendere meglio dove operare. Del resto, data la mole di lavoro e di modifiche in gioco, è più che richiesta una certa skill da parte del modellista e una buona dose di documentazione a margine.

Le decalcomanie sono stampate dalla Fides Grafica di Verona su supporto unico. Il film, avendo provato un’insegna di scarto, è e di buona fattura (reagiscono correttamente anche ai liquidi ammorbidenti) ma leggermente spesso; sarà necessario, quindi, scontornarlo al massimo e livellare al meglio gli scalini con abbondanti mani di trasparente lucido. I neri e i bianchi sono saturi, gli altri colori presentano un minimo di retinatura ma questa si nota solamente osservando le decalcomanie da distanza ravvicinata. Completi gli stencil, con testi comunque ben leggibili, mentre per le coccarde si dovrà far ricorso al foglio contenuto nel kit FREMS.

Analizzando l’accessorio viene naturale un confronto con la vecchia conversione proposta anni fa dalla Alitaliane che aveva un criterio totalmente diverso: fusoliere in un solo pezzo con ampi ritiri della resina, forme discutibili e incisioni non all’altezza. In questo caso l’approccio è, a mio avviso, più logico e dal risultato finale più sicuro poiché permette di sfruttare le caratteristiche di base dello stampo originale mantenendo anche una certa uniformità delle pannellature e dei dettagli di superficie.

Contemporaneamente alla conversione integrale, sono proposti anche altri tre set di dettaglio e miglioria utilizzabili per tutte le versioni dell’MB-339, comprese quelle impiegate all’estero.


MR-4802 – Engine Hydraulic And Electric Bays – All Variants (A, PAN, CD, CM, CE, CD):

Nella confezione sono inclusi tutti i vani idraulici ed elettrici che si trovano al centro della fusoliera del velivolo. Il sistema ideato è ingegnoso e comodo perché prevede un rack stampato in 3D da posizionare all’interno delle valve e su cui vanno aggiunti i singoli pannelli con le apparecchiature. Questo metodo ovvia ai soliti problemi di allineamento e adattamento rendendo semplice l’inserimento dei vari insiemi.

Le baie hanno dei bei dettagli ma potranno comunque essere completate con i soliti tubi e cavi; comunque già “da scatola” danno una bella resa. I portelli di accesso sono direttamente in resina 3D, a tutto vantaggio dello spessore dei pezzi.

MR-4803 – Main Landing Gear Bays – All Variants (A, PAN, CD, CM, CE, CD):

Set più piccolo ed essenziale, ma che potrà comunque tornare utile per risolvere uno dei tanti problemi di cui soffre il kit della FREMS: la ridotta profondità dei vani carrello principali. Gli alloggiamenti sono in resina 3D mentre i portelloni vengono proposti nella classica resina poliuretanica (sono inclusi solo quelli più grandi, per quelli che coprono le gambe di forza bisognerà utilizzare gli originali in plastica).

MR-4804 – Flaps – All Variants (A, PAN, CD, CM, CE, CD):

Tra tutti è forse l’articolo meno appetibile perché il FREMS prevede gli ipersostentatori già separati dal resto dell’ala. Nel set, però, è inclusa tutta la struttura interna con le singole centine ben rappresentate e con spessori molto sottili. Dato, appunto, la ridotta sezione e la lunghezza delle parti, le stesse tendono purtroppo ad imbarcarsi; il produttore, che è a conoscenza dell’inconveniente dovuto alle tecnologie 3D ancora in fase di sviluppo, assicura che sta cercando una soluzione ma che incollando i pezzi con colla ciano acrilica essi riprendono la corretta forma.

Oramai da anni speravo nell’uscita di una conversione al passo con i tempi per il trainer dell’Aermacchi e gli aftermarket che vi ho appena presentato sono una vera manna. La tiratura sarà abbastanza limitata perché, come anticipato da Andrea Paternieri, altri progetti molto interessanti bollono in pentola: entro giugno 2021, infatti, sono in uscita dei set dedicati all’RT-33 e all’S.M.79 sempre nella scala del quarto di pollice. Rimanete sintonizzati!


Buon modellismo a tutti.

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Valerio – Starfighter84 – D’Amadio.

Kit Review – F-14D Tomcat AMK 1/48, Terza Parte.

This is the end… my only friend, the end (ovvero come montare un F-14 AMK e sopravvivere felici).

Un anno. Per finire (e digerire) questo modello ho impiegato un anno. Ci siamo odiati, insultati, sbeffeggiati, ci siamo fatti dispetti e scherzi di vario genere ma alla fine ho vinto io.

Ad ogni modo, a questo “Tomcat”, un po’ di bene gliene voglio lo stesso. Ormai era diventato una compagnia costante della mia giornata modellistica. Ora che è finito un po’ mi dispiace, ma affogherò i dispiaceri nell’alcool isopropilico e me ne farò una ragione. Certo è che resterà figlio unico di madre vedova, certi errori non andrebbero mai fatti due volte…

Come nelle due puntate precedenti, anche stavolta cercherò di essere il più possibile oggettivo. Adesso che ho il modello finito davanti gli occhi, gli errori di forma e le approssimazioni nella riproduzione mi sembrano ancora più evidenti e non riesco proprio a ignorarli. La mia realizzazione è lontana dall’essere a prova di giudice e di difetti ce ne sono parecchi, ma nel complesso, grazie a un po’ di mestiere nella verniciatura, penso di essere riuscito a tirare fuori un modello realizzato decentemente. Ciò non toglie che più lo guardo più mi dico che no, non ci siamo proprio. Una cosa è certa: la TPS non è la mia livrea preferita e renderla come si deve è complicato. La fortuna è stata trovare diverse foto degli esemplari del VF-2 nel 2003, aspetto che mi ha consentito di trarre spunto da immagini reali e di non improvvisare.

Una cosa la vorrei sottolineare subito: ci siamo fossilizzati per mesi sulla parte posteriore della fusoliera che come sapete è, usando un eufemismo, un po’ fuori forma (in tutti i sensi 😊), ma dopo aver terminato il modello posso dire che la parte meno riuscita è il muso!

Le proporzioni sono sbagliate, il parabrezza sembra corto, il radome grosso e il bordo d’attacco in corrispondenza dei glove vane è troppo, troppo spesso. In altre parole, un mezzo disastro. Anche la forma dei taileron si è rivelata errata, ma una volta montati si nota poco (non che sia una giustificazione, ovviamente. Diciamo, però, che può essere una consolazione).

Come già detto nella seconda parte dell’articolo, il livello generale di dettaglio è molto alto ma la fedeltà della riproduzione nelle forme è insufficiente. Tecnicamente il montaggio è difficile e l’ingegnerizzazione di alcune zone inutilmente complicata. In questa terza ed ultima parte dell’articolo proverò a spiegarvi come mitigare qualcuno dei problemi che ho incontrato, con un po’ di attenzione si possono evitare parecchi mal di testa. Andiamo!

NOTA: il modello è stato realizzato interamente da scatola. Tutto quello che vedete si trova all’interno del kit e non sono state apportate modifiche di sorta alle parti AMK. Non c’è trucco né inganno: quello che vedete è esattamente ciò che avete acquistato, con i suoi pregi e i suoi difetti.

Montaggio:

Cercherò di darvi qualche dritta su come evitare i principali inconvenienti di montaggio ma sappiate che è, e resta, un kit difficile, di quelli che alla fine più che una sensazione di appagamento ti lasciano un senso di fastidio. Avete presente quando a scuola dicevano “E’ bravo ma non si applica”? Ecco. Il Tomcat AMK è così, è bravo ma non si è applicato, nemmeno un po’.

NOTA: per mascherare il più possibile il difetto di forme della parte posteriore della fusoliera, il mio modello è rappresentato con l’ala in posizione di parcheggio. Le mie osservazioni valgono comunque anche nel caso in cui il soggetto venga realizzato con l’ala estesa e la “biancheria fuori” quindi niente paura, ce n’è per tutti.

Commenterò solo gli step di montaggio che presentano punti di attenzione riferendomi alla sequenza delle istruzioni; se lo stesso non è indicato significa che non ci sono criticità particolari da segnalare e potete stare tranquilli (relativamente. Sapete tutti che fine ha fatto “tranquillo”, no? 😊)

Suggerimenti generali:

  • Montate le luci di posizione prima della verniciatura e stuccatele con attenzione. Non sono precise e aggiungendole alla fine lasciano gap e fessure molto antiestetiche. In alternativa, usate una colla UV (io ho fatto così per le luci in fusoliera), metodo molto efficace e molto comodo essendo la colla UV carteggiabile in pochi minuti.
  • Montate e stuccate subito il labbro inferiore delle prese d’aria.
  • Non dimenticate i fori per piloni e armamenti, praticateli prima di incollare qualsiasi altra parte.
  • Più prove a secco farete, meno mal di pancia avrete.
  • Più prove a secco farete, meno mal di pancia avrete.
  • Più prove a secco farete, meno mal di pancia avrete.
  • Più prove a secco farete, meno mal di pancia avrete.
  • Più prove a secco farete, meno mal di pancia avrete.
  • Più prove a secco farete, meno mal di pancia avrete!

Step 1: Ejection Seat.

I seggiolini sono bellissimi (dietro) e bruttissimi (davanti). Sarebbe stato meglio il contrario, ma tant’è. Vi consiglio di montarli interamente e di stuccare con attenzione i poggiatesta. I cuscini sono a malapena accettabili e le cinture in fotoincisione piatte e sottodimensionate. Peccato, perché la struttura del sedile e il dettaglio del cannone di lancio e dei vari meccanismi è di prim’ordine.

Step 2: Cockpit.

  • Quando montate le consolle si forma una brutta fessura tra la vasca e le consolle stesse. Cercate di rifinirle prima del montaggio per mitigare il gap quanto più possibile
  • Fate molta attenzione a posizionare correttamente (senza fessure o disallineamenti) le pareti laterali dell’abitacolo. Questi pezzi influiranno sull’allineamento rispetto ai ganci del canopy (parte V27 e V28 dello step 4). Dopo aver montato tutta la vasca, fate subito una prova a secco. Vi eviterete svariati momenti di nervosismo più tardi. 😉
  • Stesso discorso per tutto il vano carrello anteriore. Il montaggio deve essere il più preciso possibile altrimenti si creeranno dei fuori squadro che non consentiranno l’inserimento di tutto il complesso all’interno della fusoliera anteriore. Prendetevi tempo e verificate continuamente l’accoppiamento delle parti. Solo alla fine incollate tutto con la Tamiya Extra Thin Cement (tappo verde) in modo da non spostare più i componenti una volta allineati.

Step 3: Front Fuselage.

  • Attenzione alla posizione del cannone (pezzo U50). Se non viene assemblato con attenzione il cockpit non si infilerà nel modo corretto.
  • Stesso discorso per il vano scaletta (pezzo V17) dove vi consiglio di eliminare qualche decimo di plastica sul punto di incollaggio e dalle pareti posteriori, agevolerà lo scorrimento del cockpit nella semi-fusoliera.

Step 4: Front Fuselage.

  • Qui iniziano i primi problemi seri. L’abitacolo deve scorrere senza difficoltà all’interno della carlinga, se riscontrate forzature cercate di eliminarle assottigliando il più possibile i punti di contatto tra le parti. E’ fondamentale che la semi-fusoliera anteriore non venga deformata dalla vasca, pena pericolosi disallineamenti con la parte posteriore della cellula.
  • Se tutto il cockpit è allineato a dovere, il pezzo U2 copierà bene la sezione del muso. Se notate gradini tra U2 e la semi-fusoliera qualcosa è andato storto.
  • Inserite qualche peso (20/30 grammi sono sufficienti) nel muso. Credo che questo sia l’unico modello di F-14 in 1/48 che tende a essere un “tail sitter”. Coincidenze? Io non credo..!

Come mia abitudine, ho lasciato seggiolini e gli altri dettagli delicati alla fine del montaggio. La paratia U16 e l’attuatore del canopy (U19) possono essere aggiunti a modello concluso. I sedili vanno abbassati leggermente, montati come da scatola restano alti e soprattutto non allineati tra loro (visti di profilo). Ho eliminato l’incastro presente sul pavimento della vasca e limato le loro basi dal basso, in modo da farli poggiare meglio sulle paratie della vasca stessa e dargli un assetto migliore.

Step 5: Engine & Nozzle.

Niente da segnalare, anzi! I motori sono decisamente una delle parti più riuscite del kit.

Step 6: Intake Trunk.

Estrattori, estrattori ovunque! Stuccate tutto e armatevi di pazienza. Già che ci siete togliete la rugosità dello stampo cassoni che è molto evidente. Montate (E STUCCATE!) subito il labbro inferiore della presa d’aria. Io non l’ho fatto fidandomi di una prova a secco fatta all’inizio dei lavori e mi sono ritrovato dei pezzi non raccordati e sporgenti. Peccato, la prossima volta andrà megl… Ah no, scusate. Non monterò mai più un F-14 AMK, ci potete scommettere la bussola.

Step 7: Attacching Intake Ramps.

  • Anche qui, eseguite molte prove a secco perché la larghezza dei componenti è leggermente abbondante (soprattutto la parte G7, che è quella davanti e che chiude tutta la presa d’aria). Montate a secco tutto il sottoinsieme delle rampe nel pezzo U14 e provatelo nella semi-fusoliera inferiore, stando attenti a fessure strane e disallineamenti. La rampa della presa d’aria è molto visibile a modello ultimato quindi necessita di qualche attenzione in più.
  • Tutte le parti da inserire nella semi-fusoliera inferiore vanno montate con cura, soprattutto la D2 che deve essere perfettamente a filo con la pancia. Le paratie del vano carrello (V48 e V49) si devono bloccare esattamente come descritto nelle (poco chiare) istruzioni. In altre parole, i bordi sia sotto, sia laterali, non devono creare scalini con la fusoliera. Se così non fosse, non riuscirete ad incollare correttamente i portelli, quindi attenzione!

Step 8: Horizontal Tail Wing Position.

  • Buttate tutto. Facile, veloce, efficace. Se non avete avuto il coraggio di buttare il kit, perlomeno cestinate i riscontri dei pezzi U5/6 (e equivalenti) e montate al loro posto un bel perno metallico. Eviterete rotture (di perni e di balle) e potrete montare i piani di coda nella posizione che preferite.

Step 9: Attaching Engine, Intake Ramp & Main Landing Gear Bay.

  • Lo so, sono ripetitivo ma… controllate, verificate e ricontrollate A SECCO più e più volte la posizione di tutti i sotto-assemblaggi all’interno della fusoliera. Se qualcosa non è a posto, la stessa non si chiuderà (o sarà deformata a causa delle tensioni tra le parti). Se la fusoliera non è a posto, il troncone anteriore non si monterà e poi sistemare l’orrenda giuntura che si viene a creare sarà un delirio. In particolare, fate attenzione al vano carrelli e alle rampe delle prese d’aria.

Step 12: Close Wing.

Niente da segnalare, l’ala è decisamente una delle parti migliori del kit, sia in configurazione chiusa, sia in configurazione aperta. Ho comunque inserito le semi-ali alla fine in modo da poter verniciare tutta la fusoliera più comodamente.

Step 13: Horizontal Tail Wing & Tail.

  • Il beaver tail può essere montato come da istruzioni ma invece di assemblarlo alla parte inferiore della fusoliera (step 16) l’ho incollato a quella superiore evitando così scalini, e gestendo meglio la fessura che si forma nella parte inferiore.

Step 13: Attacching Wing (errore nelle istruzioni, ovviamente questo avrebbe dovuto essere lo step 14 ma poco male)

  • Come detto, non ho montato le ali al cassone per non avere intralci nelle stuccature e nella verniciatura del modello. Queste possono essere tranquillamente inserite alla fine.

Step 14: Top Fuselage.

  • L’antenna segnata come pezzo O10 è in realtà il pezzo V34, per il resto nessuna nota particolare. Il pezzo C2 tende a formare una fessura inferiormente, è utile togliere qualche decimo dall’incastro per aiutare il suo posizionamento.

Step 16: Closing Fuselage & Attaching Nozzle.

  • Vi consiglio di seguire questa sequenza:
    • Beaver tail incollata alla fusoliera superiore.
    • Parte K1 o L1 (cuscini dell’ala) incollati alla fusoliera inferiore.
    • Parte G15 o G22 o V3 (cassone dell’ala) incollato alla fusoliera inferiore.
    • Incollaggio fusoliera superiore a quella inferiore.
    • Parte J12 incollata a parte J13 (carenature del motore).
    • Insieme J12+J13 incollato alla fusoliera.

Il pezzo J12 (e il suo simmetrico) vanno stuccati, nel vero aereo non c’è pannello tra la “guancetta” e la fusoliera 😉

Step 17: Front Fuselage.

Questo è il momento della verità. In base alla vostra attenzione negli allineamenti e soprattutto alla vostra fortuna, si verificherà uno di questi due scenari:

  1. Tutta la parte anteriore si incastra senza grossi problemi alla fusoliera posteriore, con fessure accettabili e solo un piccolo scalino nella parte inferiore (LIVELLO: TOMCAT’S MASTER MODELLER).
  2. La parte anteriore crea un enorme gap nel lato destro del modello, accompagnato da un gradino (più o meno evidente) inferiormente. In aggiunta, sempre a destra, si formerà un gradino sopra la fessura che vi costringerà a un lavoro di stuccatura/allineamento/reincisione che durerà più o meno il tempo necessario a finire interamente un Tomcat Tamiya (LIVELLO: TI PIACEREBBE ESSERE UN MASTER MODELLER!).

Nel mio caso sono andato incontro alla situazione #2, peggiorata dal fatto che tutte le problematiche che ho scritto sopra le ho scoperte a mie spese in corso d’opera… voi non fate come me!

Oltretutto, sono stato costretto a montare la scaletta chiusa perché nel mio kit era danneggiata. Il portello comunque si inserisce bene nel vano e anche la copertura della sonda RIV (rifornimento in volo) va a posto senza grossi pensieri. (Thank you AMK! BTW, your packaging really sucks).

Step 18 e 19: Front and Main Landing Gear.

Tanti pezzi con un bel dettaglio. Unico problema: I MALEDETTI SEGNI DEGLI ESTRATTORI, OVVIAMENTE MESSI NEI PUNTI PEGGIORI IMMAGINABILI. A voi la scelta su come risolvere; il buon vecchio Mr. Surfacer 500 probabilmente resta il metodo più efficace.

Step 20: Attaching Front Landing Gear.

  • Provate a secco l’inserimento del carrello nel vano più volte, la gamba non entra bene e probabilmente dovrete fare degli aggiustamenti (nel mio caso, sui perni che scorrono nelle slitte del vano). Vi consiglio anche di provare tutto il sottoinsieme prima di verniciarlo, martinetti compresi. Vista la complessità dello stampo accertatevi che tutto si incastri come deve perché metterci le mani dopo è davvero complicato. Fate attenzione al martinetto principale di retrazione (U30) ed a quello più piccolo (G21), potrebbero essere scarsi in lunghezza e richiedere una sistemata alla loro posizione rispetto alla gamba di forza.
  • I portelli con le cerniere separate sono una nota dolente. Complessi da montare e allineare, potrebbero non entrare nelle sedi del vano costringendo a incollaggi avventurosi e poco stabili. Nel mio caso, quasi tutti quelli di destra hanno avuto problemi, mentre quelli a sinistra si sono incastrati senza difficoltà. Armatevi di pazienza per questa fase, anche qui un’ingegnerizzazione meno estrema avrebbe, forse, aiutato.

Step 21:  Attaching Main Landing Gear.

Stesse considerazioni di cui sopra. In particolare state attenti al braccio del carrello principale (V21): deve arrivare nel suo scasso senza forzature. Se questo non fosse possibile, meglio cercare il corretto posizionamento della gamba principale e “barare” sull’attacco del braccio che viceversa. L’assetto del Tomcat dipende moltissimo da come sono allineati i carrelli, quindi metteteci cura.

Il resto dell’assemblaggio fila via liscio, canopy compreso quindi non c’è molto da dire. Anzi, è davvero bello e dettagliato, una delle cose che mi è piaciuta di più di tutto il kit. AMK fornisce due opzioni: calotta classica tutta trasparente o in tre pezzi (frame e trasparenti separati). Nel mio caso ho optato per la bolla in un solo pezzo per una serie di ottimi motivi:

  1. È migliore come forma.
  2. La si può maneggiare senza rischi che si scolli o si rompa in mano.
  3. Non devo incollare ben due trasparenti su un telaio lungo e sottile.

Ma soprattutto:

  • Non sto montando il Tornado ESCI del 1979.
  • Il frame della bolla in tre pezzi era rotto e storto (Thank you AMK! BTW, your packaging really sucks parte 2).

Un plauso per gli armamenti e i piloni: davvero ben fatti, con riscontri precisi, decal complete e un aspetto finale molto realistico. Il pilone sub-alare del Phoenix non ha dettaglio inferiormente; se non si monta il missile (come nel mio caso) resta un po’ spoglio ma comunque si nota poco.

Decal:

Parliamo dele decalcomanie: stampate benissimo, sono però un po’ delicate. In compenso, hanno un film davvero sottile e lavorano alla pari di quelle aftermarket. Fate attenzione ai fregi più grandi che scorrono poco e tendono a fissarsi rapidamente sul modello. Reagiscono bene alla combinazione Micro Set/Micro Sol; nel mio esemplare ho spesso usato il solo Micro Sol essendo di base  di ottima qualità adesiva.

Verniciatura:

Il mio modello è verniciato con colori Gunze (in particolare H-337, H-307 e H-308 per lo schema mimetico) e Tamiya acrilici. Per le piccole parti a pennello ho usato Vallejo e Andreas Miniatures, i trasparenti sono Gunze H-101 (lucido) e H-20 (opaco) diluiti con Tamiya tappo arancione (Lacquer Thinner con retarder). Motori verniciati con Alclad Steel, parti metalliche (es. bordo d’attacco, cannone) con smalto C-8 Gunze. Lavaggi a olio con bruno Van Dick e nero di Marte, pannellature ripassate in zone particolari con panel liner Tamiya (nero e dark brown), ad esempio nelle fessure di flap o nelle griglie in fusoliera.

Pre-shading, post-shading, lavaggi a olio e “maculatura” con mascherine AK hanno contribuito alla resa finale del TPS.

Riflessioni finali (mescolate, NON agitate):

Io e questo kit non ci siamo mai stimati molto. Difficile nel montaggio, con scelte progettuali opinabili e dalle forme che complessivamente non riescono proprio a convincermi, mi ha esasperato oltre ogni ragionevole previsione. La mia esecuzione ha difetti spesso dovuti a una certa freddezza nei confronti del kit (leggasi: disaffezione, disamore, avversione, ostilità etc.) e a problemi di vario tipo (ad esempio cadute con parabrezza che si stacca, stuccature che ricompaiono, decal che si spezzano, coccarde messe sulla semiala sbagliata etc. etc.) quindi vi prego: siate clementi nel giudizio, sappiate che già averlo finito equivale a una vittoria (e lo scopo del progetto non era quello di mostrare questo Tomcat in qualche concorso).

Non c’è stato un momento o una fase della realizzazione, in quasi un anno, in cui non abbia dovuto pensare a come risolvere un problema di assemblaggio o a come mitigare qualche difetto. La cosa peggiore è che è capitato con un kit dell’ultimissima generazione, non con un tragico Aurora datato 1965.

No, non mi sono divertito affatto.

Intendiamoci: di stampi peggiori ne esistono a centinaia ma questo non è (e non sarà mai, anche riempiendolo di aftermarket) il modello definitivo dell’F-14. Lo consiglierei? No. Ne farei un altro? Ma nemmeno per sogno! Ha qualche punto di forza? Sì, ma non tali da renderlo poi così appetibile.
E ribadisco che, dopo averlo finito, quello che pensavo fosse il suo difetto peggiore (la parte posteriore) alla fine nemmeno si nota troppo. Ciò che davvero lo fa sembrare sproporzionato e, in una parola, un po’ bruttino è la sezione anteriore di fusoliera. Tutto il muso è tozzo e il parabrezza, come già detto, è corto e troppo inclinato. L’altro punto che davvero non riesco a digerire è il bordo d’attacco sopra la presa d’aria, dove ci sono i glove vane. E’ assurdamente spesso e non si sfina abbastanza verso il davanti; la riprova è la grandezza delle due antenne ECM gialle che sembrano reduci da una cura anabolizzante tanto sono grosse e grasse… Ah, e non c’è soluzione ovviamente, ce lo dobbiamo tenere così.

In due parole, questo poteva essere davvero il kit risolutivo del Tomcat ma purtroppo non è riuscito a centrare l’obiettivo. Mentre il suo competitor può diventare un modello eccezionale con pochissimi accorgimenti (fondamentalmente migliorando il cockpit e i motori), l’AMK è inficiato da talmente tanti errori di forma che secondo me parte battuto già da subito. Anche modellisticamente parlando, la sua realizzazione è complicata e, in alcuni passaggi, direi ostica.

Volendolo comunque realizzare, bisogna per lo meno sostituire i seggiolini e le ruote. La cosa veramente importante, però, è non metterlo mai in vetrina di fianco a un Tamiya (e adesso sapete anche il perché, vero?).

Nota finale: ora che questa avventura è finita, voglio ringraziare con infinito affetto i miei amici del “Gruppo di Sostegno Modellisti a 10 BAR” di Roma (voi sapete bene chi siete) per avermi aiutato a perseverare e a portare a termine questo F-14, più e più volte arrivato a un passo dal cassonetto dell’indifferenziata. Il Tomcat resta uno dei velivoli più belli che abbiano mai solcato i cieli, finirne un modello il giorno del suo 50° compleanno (il primo volo fu fatto il 21 dicembre 1970) mi rende felice e anche un po’ malinconico. ANYTIME, BABY!

Fulvio Spillone Felicioli.

The Flying Circus – Albatros D.V von Richthofen dal kit Wingnut Wings in scala 1/32.

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Quando ho deciso di iniziare l’Albatros D.V della Wingnut Wings sono stato colto da un certo timore reverenziale perché si trattava di un aereo pilotato da LUI, l’asso tra gli assi della prima guerra mondiale: Manfred von Richthofen, il mitico Barone Rosso.

Il kit è di altissima qualità e, come sempre, la cura nei dettagli si nota fin dalla box art dove delle cornici color metallo racchiudono una foto del pilota. Il volumetto delle istruzioni in 3D è ricco di foto storiche e vale la pena conservarlo anche a modello finito.

Dopo aver resistito alla tentazione di richiudere la scatola per non rovinare cotanta bellezza, mi sono messo a studiare i vari profili proposti dalla ditta del famoso regista, Sir Peter Jackson.

Alla fine ho scelto il D.V2059/17 con alcune modifiche nella colorazione. Il profilo della Wingnut, infatti, lo rappresentava con una fusoliera rossa nella parte anteriore e gialla in quella posteriore. Personalmente ho deciso di stendere il rosso su tutta la superficie poiché, come specificato anche nel libro “Windsock Fabric Special No.1 – von Richthofen’s Flying Circus_Colors and Markings of Jagdgeschwader Nr.1 ” , l’ipotesi più accreditata è che la fusoliera stessa fosse in unico colore.


Inoltre anche osservando la foto del sito della Wingnut Wings non sembra ci sia soluzione di continuità tra la tonalità della parte anteriore e posteriore.

Il muso e le ruote invece erano sicuramente rossi per l’appartenenza alla Jasta 11. Questo colore, divenuto celebre e passato alla storia, era infatti identificativo della squadriglia comandata da Von Richthofen ed era applicato sulla zona anteriore delle fusoliere dei velivoli assegnati, mentre ciascun pilota poi sceglieva dei propri colori identificativi per il resto.

Sebbene il kit sia già ricco di dettagli, ho comunque preferito completarlo con alcuni aftermarkets: tenditori della Gaspatch Models tipo A e tipo C, decal della Ushi van Der Rosten per il cuoio, canne in ottone della Master (codice AM-32-023) per le mitragliatrici Spandau e le fotoincisioni della HGW (codice 132044) per motore, fusoliera e per il radiatore posto sull’ala.

Fusoliera:

Per prima cosa ho corretto delle piccole imperfezioni e ho aggiunto alcuni particolari che sono stati trascurati dalla Wingnut.

Sotto la fusoliera sono presenti degli sportellini di ispezione solo abbozzati nelle forme, a differenza di quelli nella parte superiore (freccia in rosso). Per questo motivo li ho rimossi per poi sostituirli con delle fotoincisioni incollate solo dopo aver unito le due valve. Inoltre sono presenti due fori di drenaggio che vanno aperti e rifiniti inserendovi all’interno dei tubicini in ottone (freccia in blu).

Uno di questi due sportelli inoltre proteggeva uno spurgo con una valvola che è stato del tutto tralasciato. Per simularlo ho usato un pezzo di sprue che ho dapprima forato per ricreare un alloggiamento circolare e, successivamente, ho incassato nella fusoliera. La valvola è stata realizzata usando un dado foto inciso, un tubicino in alluminio e una fotoincisione prelevata dal magazzino “spare part”.

Su di essa ho poi incollato lo sportellino bucato al centro per riprodurre la caratteristica apertura “a pera” presente in quello reale.

Altre modifiche hanno riguardato anche altri due sportelli circolari vicino la deriva che sono stati rimossi e sostituiti con altrettante PE (photo etched part). Inoltre, nella parte inferiore della coda è stampata una cinghia che va eliminata perché non installata sull’Albatros di Ricthofen.

Rimanendo sempre nello stesso punto, i fori di uscita dei cavi che comandavano gli elevoni e il timone di profondità sono quadrati, mentre nella realtà avevano una forma più allungata e tondeggiante. Per questo, dopo aver forato la plastica, li ho sostituiti con ulteriori fotoincisioni.

Sistemata la parte esterna mi sono dedicato agli interni. L’Albatros aveva la fusoliera lignea e nella zona motore tale materiale veniva verniciato con il colore utilizzato per le parti metalliche; il cockpit era lasciato al naturale. Per riprodurre l’effetto legno (che tendeva al giallo) ho usato i colori ad olio.

Su una base ad aerografo di Gunze Radome H-318, ho dato un primo strato sottile di Terra di Siena. Poi ho depositato dei puntini di marrone scuro che, una volta “tirati” con un pennello a ventaglio, sono diventati striature che ho cercato di rendere quanto più simili possibile alle venature. Per far ciò le ho amalgamate con il Terra di Siena sottostante.

Una volta asciutto l’olio ho steso delle velature ad aerografo prima con il Clear Yellow Tamiya X-24, poi con il Clear Orange Tamiya X-26, entrambi molto diluiti con la nitro. Tali colori (specie l’arancio) esaltano le venature del legno.

Cockpit:

Il bello dei modelli Wingnut Wings sono i particolari degli interni. Il modellista puntiglioso però qualche aggiunta la riesce ugualmente a fare, ma si tratta perlopiù di interventi di rifinitura che contribuiscono a migliorarne la resa finale.

Ad esempio la cloche a cui ho aggiunto delle leve e le due ”orecchie” (trigger delle mitragliatrici) ricostruite con Magic Sculpt (uno stucco bicomponente molto plastico).

Un errore più grave, però, la ditta neo zelandese lo ha commesso nel diaframma dietro al seggiolino riprodotto con un pezzo piatto di plastica e indicato come in legno nelle istruzioni. In realtà esso era costituito da tessuto legato alla intelaiatura della fusoliera.

La modifica ha reso necessario eliminare il supporto su cui si fissa il sedile e ricostruire la tela; questa è stata riprodotta con un pezzo di carta sagomato al plotter elettronico e che ho reso meno liscio, e più grezzo, con alcune passate di carta abrasiva fine. Per simulare la stoffa ho usato il Sail H-85 Gunze.

Anche il seggiolino è stato oggetto di attenzioni ricostruendo il cuscino realizzato, anche in questo caso, con del Magic Sculpt e su cui ho riprodotto la pelle con le decal della Ushi Van Der Rosten. Dopo una mano di trasparente lucido per sigillare il tutto, con colori ad olio e opaco finale ho ricreato il giusto grado di usura e invecchiamento.

Il serbatoio del carburante ha un bellissimo dettaglio che ho arricchito aggiungendo tappi e tubicini provenienti da fotoincisioni avanzate da altri modelli. Una volta verniciato in Grey Green Tamiya XF-76 mi sono divertito a ricreare scrostature e colature usando il bruno Van Dyck ad olio.

Agli strumenti ho simulato il vetrino con una goccia di Future, poi ho iniziato ad assemblare le varie parti dell’abitacolo. Sul quadro a destra ho inserito le leve di ogni quadrante riprodotte con del filo di ottone. Dietro di esso, con del filo di rame, ho accennato i diversi tubi che comunque quasi non si vedranno una volta chiusa la fusoliera.

Per le cinture ho preferito utilizzare le fotoincisioni della scatola, le HGW in tessuto che avevo comunque a disposizione mi sembravano troppo piccole e non in scala.

I rinvii delle superfici di comando (alettoni, piani di coda e timone) sono stati riprodotti utilizzando il cavo elastico della EZ Line seguendo lo schema delle dettagliatissime istruzioni.

Da ultimo ho fissato l’intelaiatura che serviva da supporto al motore. A tal proposito si deve prestare attenzione nell’evitare che i punti di contatto tra telaio e fusoliera non siano coperti dalla vernice, dato che il fitting del modello è così preciso da essere influenzato anche solo da un piccolo spessore.

Stessa cosa vale per la parte bassa del serbatoio dove si incastrano le semi ali inferiori attraverso gli scassi predisposti sulla fusoliera.

A questo punto ho unito le due semi fusoliere. Il propulsore può essere inserito in qualsiasi momento, avendo però la accortezza di non incollare prima il serbatoio dell’olio posto sulla parte destra del castello (in caso contrario esso ne impedisce un corretto posizionamento).

Motore:

Il Daimler Mercedes D.III da 160 cavalli incluso nella scatola è davvero un gioiello e nasconderlo sotto la cofanatura è un vero peccato. Proprio per questo ho deciso di realizzarlo a vista completandolo, però, di alcuni dettagli. Ad esempio mancano le candele che ho riprodotto tagliando a fette del Plasticard con sezione esagonale in modo da ottenere tanti piccoli dadi su cui ho inserito, successivamente, una sezione da 1,5 mm di tubicino di alluminio di 0,6 mm di diametro. Al suo interno ho incollato un pezzo di filo di rame da 0,2 mm di spessore.

Ad occhio nudo tale espediente simula abbastanza le 12 candele che ho fissato su ogni cilindro (due su ciascuno).

I relativi cavi sono stati ottenuti con filo di rame da 0,1 mm. Le estremità che andavano inserite sulle candele stesse sono state avvolte sulle stesse per simulare i contatti ad anello come nella realtà.

Un’altra piccola (microscopica viste le dimensioni…) aggiunta sono state le valvole che il kit raffigura appena accennate. Ho preferito rifarle da zero inserendo al loro posto dei perni di ottone da 0,6 mm intorno ai quali ho incollato delle piccole molle; queste le ho ottenute avvolgendo del filo di stagno da 0,1 mm intorno ad una punta di stuzzicadenti. Avendo lo stecchino una forma appuntita il risultato sono molle dalla caratteristica forma conica. La parte superiore della valvola è stata ottenuta con un punzonatore e Plasticard. I piccoli dischetti sono incollati direttamente ai meccanismi delle leve.

Il corpo del motore è stato verniciato con White Aluminium Alclad spruzzato cercando un poco di spessore in modo da ricreare l’originale aspetto ruvido del basamento; lavaggi abbondanti con olio terra Cassel lo hanno scurito il necessario.

Dopo aver fissato l’olio con del trasparente opaco, ho sporcato e invecchiato il tutto con l’Engine Grime della AK.

Sui tubi che vanno dal carburatore ai cilindri ho utilizzato vari pigmenti per dare l’idea di materiale cotto e usurato dal calore.

Elica:

I biplani spesso utilizzavano eliche di legno laminato, ovvero sandwich fatti con diversi strati che conferivano il tipico aspetto a due colori. Esistono in commercio eliche in vero legno che però sono molto costose, anche se bellissime. Un’alternativa economica è ricreare l’effetto sfruttando quanto offerto dalla scatola e utilizzando le matite acquerellabili, il cui pigmento inumidito si comporta come gli acquerelli.

Su una base acrilica di XF-59 Desert Yellow Tamiya ho riprodotto con una matita nera i vari strati, aiutandomi con striscioline di nastro per seguire il non facile profilo del pezzo.

Poi ho usato le matite colorate cercando di eseguire tratti che seguissero la venatura del legno.Per le parti scure ho usato l’Ombra bruciata mescolato con il Terra di Siena bruciata che aggiunge delle piacevoli gradazioni rossastre.

Per le parti chiare ho utilizzato invece il Terra di Siena naturale, ocra bruciata e giallo scuro. Su queste parti ho tracciato anche qualche segno con la matita bianca, che ho poi sfumato, per aumentare la texture del materiale dando più tridimensionalità e corpo.

Per finire una passata del solito Clear Orange Tamiya ha sigillato e accentuato le venature.

Mitragliatrice Spandau:

Il kit offre due possibilità per le mitragliatrici: in un unico pezzo in plastica oppure con la fotoincisione per realizzare il rivestimento a rete cilindrica e il mirino.

La seconda opzione è ottima ma, come detto anche all’inizio di questo articolo, ho optato per una terza alternativa acquistando le canne della Master in ottone.

Per invecchiarle le ho immerse nel brunitore della AK. La parte in plastica, da unire alle parti in ottone, l’ho verniciata con un mix di Jet Exhaust e Pale Burnt Metal Alclad. La Master fornisce anche il supporto delle armi in fotoincisione, ben realizzato ma anche molto delicato. Dovendolo inserire e incollare su un sostegno all’interno della fusoliera, ho preferito sostituirlo con un pezzo di Plasticard che mi garantiva una maggiore stabilità e resistenza.

Radiatore:

Anche se poco visibile, la differenza qualitativa tra le fotoincisioni e il pezzo originale in plastica è notevole.

Esso si compone di due parti: quella a lamelle va incollata sulla parte inferiore dell’ala mentre su quella superiore è prevista una retina foto incisa da posizionare dopo aver eliminato il dettaglio in plastica.

L’assemblaggio richiede molta pazienza e mano ferma.

Verniciatura:

Il rosso è un colore difficile da gestire e il pericolo dell’”effetto giocattolo” è sempre in agguato. Dopo lunga meditazione ho deciso di tentare un approccio diverso da quello che utilizzo solitamente. In alcune foto avevo notato che a volte sulla fusoliera, sotto il colore, si intravedeva il legno. Gli Albatros, infatti, uscivano dalla fabbrica in legno naturale lucido e dopo la consegna ogni squadriglia e ogni pilota era solito personalizzare gli aerei verniciandoli con diversi colori. In alcuni casi essi risultavano coprenti forse anche per una mano di fondo sotto la vernice, in altri si percepiva una certa disomogeneità nella superficie. Questo mi ha fatto pensare che dipendesse dal legno sottostante che in parte traspariva con la sua venatura.

Ho così inaugurato una mia tecnica che ho definito… “pre-wooding”, ovvero un pre-shading fatto con venature anziché seguendo le linee di pannellatura! Per ottenere l’effetto ho dapprima dato una mano di XF-55 Deck Tan Tamiya, poi ho utilizzato delle fotoincisioni della RB Production (esse non sono altro che delle maschere che riproducono la trama) spruzzando del Flat Brown XF-10 Tamiya. Il colore risultante è scuro ma in questo modo le venature sono molto marcate in vista della copertura successiva con il colore rosso. Non mi sono preoccupato di essere molto preciso, mi interessava maggiormente che si percepisse solo la texture del rivestimento ligneo. In ogni caso ho seguito la scomposizione della pannellatura spezzando così l’omogeneità dei tratti. Una leggera passata di Clear Yellow Tamiya prima, e Clear Orange dopo, hanno accentuato l’effetto.

La copertura con il rosso è stata graduale. Il colore è un mix di X-7 e XF-99 Hull Red (entrambi Tamiya) in proporzione 5 a 1, ed è stato diluito con Lacquer Thinner Tamiya (tappo giallo) in modo da farlo asciugare rapidamente e vedere in tempo reale l’effetto raggiunto.

Sebbene le decal fornite dalla Wingnut siano di buona qualità, di queste ho utilizzato solo i numeri sulla deriva. Le croci ho preferito realizzarle con maschere tagliate con il plotter; quella sulla deriva con il bordo bianco mi ha creato qualche difficoltà per il punto delicato in cui si trova (la superficie scomposta in due parti non aiuta) ma, in ogni caso, con un poco di pazienza tutto è andato bene. Terminata la fusoliera, dopo il lucido, ho effettuato dei lavaggi col Bruno Van Dyck ottenendo il risultato che vedete in foto.

Per la verniciatura delle ali ho seguito lo schema mimetico, con il quale i biplani uscivano dalla fabbrica, suggerito dalle istruzioni: il classico verde e lilla per le superfici superiori e azzurro chiaro per le inferiori. Ho iniziato stendendo il tono più chiaro (il lilla) che ho ricavato seguendo il mix di colori Tamiya suggerito dalla Wingnut: X-16 (1 goccia) + XF-52 (1 goccia) + XF-2 (2 gocce). Poi, come al solito, ho coperto le centine con il nastro da 1,5 mm e sui bordi ho passato il colore base scurito con molto grigio per dargli maggiore volume e risalto.

Una volta rimosse le mascherature ho ridotto il contrasto con il lilla molto diluito in modo da lasciare le ombre ai lati e schiarendo il centro delle stesse.

Per il verde ho scelto il Tamiya XF-76 e l’ho spruzzato delimitando l’andamento della mimetica col metodo del Patafix. Anche in questo caso ho messo ben in evidenza le centine con lo stesso procedimento sopra descritto, cercando di riprendere le sfumature già ottenuto sul primo tono.  


Per l’azzurro chiaro mi sono affidato il mix suggerito che riporta Tamiya XF-2 (10 gocce) + XF-18 (1 goccia). Anche in questo caso ho operato sulla centinatura come nella parte superiore.

Assemblaggio finale:

Dopo aver usato il Flat Clear H-20 Gunze con moderazione per lasciare la fusoliera leggermente satinata, è giunto il momento della verità: unire tutte le parti dell’aereo.

Le ali inferiori mi hanno dato un po’ di filo da torcere per via del fitting preciso al decimo di millimetro, a cui avevo già fatto cenno all’inizio di questo articolo, e hanno fatto un po’ di fatica ad inserirsi negli alloggiamenti attraverso la fusoliera. Per evitare anche il minimo spessore non necessario, le ho fissate con la colla Gunze Extra Thin Cement.

Prima di verniciare lo scarico ho eliminato la plastica che chiudeva il terminale con una punta da trapano sottile. Per ottenere il tipico colore del metallo ossidato dai fumi ho usato il Copper Alclad su cui, dopo il Flat Gunze, ho applicato i pigmenti della Mig nero, Track Rust (marrone rossiccio) e ruggine rossa. All’interno, per riprodurre i fumi incombusti, ho dato piccole quantità di polvere grigia.

Ho quindi posizionato il parabrezza, il motore e, sopra di esso, le due mitragliatrici Spandau.

Le canaline che alloggiavano i nastri di munizioni sono molto complicate da allineare agli otturatori sulle armi. Mentre per la mitragliatrice di sinistra è prevista una carenatura che copre il tutto, per quella di destra rimane un piccolo ma anti estetico spazio che ho dovuto nascondere utilizzando una fotoincisione avanzata e adattata allo scopo. 

Anche il serbatoio dell’olio sulla destra è stato incollato con i due tubicini di mandata e di ritorno, come sul componente reale.

Avevo poi una piccola fissazione: in una foto ho visto la chiavetta di accensione penzolare con una catenella fuori dalla fusoliera… perché non riprodurla all’interno del cockpit? Quasi non si vede ad occhio nudo ma a me basta sapere che c’è…!

Infine, sotto l’ala superiore ho fissato il radiatore e, sotto la carlinga, il relativo spurgo.

A proposito delle ali, è necessario prestare attenzione al loro allineamento perché quella inferiore aveva un particolare diedro positivo, mentre quella superiore aveva diedro nullo. Bisogna, quindi, forzare leggermente le semiali inferiori verso l’alto per evitare che, una volta incollate, trascinino verso il basso l’ala superiore piegandola e facendogli assumere una posizione del tutto errata.

Superato questo scoglio ho fissato l’ogiva e l’elica, dedicandomi poi ai tiranti.

Volevo utilizzare i tenditori della Gaspatch con estremità sferica tipici dell’aereo ma, alla fine, mi sono reso conto che sono leggermente fuori scala e bisogna affondarli un po’ nella plastica per renderli realistici. Per non effettuare operazioni rischiose a modello finito ho usato gli altri tipi che avevo già a disposizione, in combinazione con tondino di alluminio per assicurare il filo elastico EZ line.

Diorama:

Per riprodurre la base del diorama ho scelto il prodotto in resina della True Details n.32001 che raffigura, con un dettaglio notevole, una pista in assi di legno ai cui bordi è presente della vegetazione e alcune parti di biplani (radiatore, elica, una ruota).

A sua volta è stata innestata su una cornice in legno fatta in casa predisposta per essere coperta da una teca in plexiglas.
Per la colorazione sono partito dando ad aerografo una base in marrone cioccolato (Gunze H-406) su tutto il pezzo poi, sulle assi, mi sono divertito a stendere diversi layer con marroni sempre più chiari tendenti al giallo, sfumando e schiarendo il colore verso il centro.


Terminata il fondo ad acrilico è stata la volta dei lavaggi ad olio sulle assi usando del Siena Bruciata, Ombra Bruciata e lo Shadow Braun della Abteilung (un marrone scuro). Li ho applicati molto diluiti sfumandoli tra loro e cercando di ottenere le variazioni cromatiche tipiche del legno. Il lavoro ha richiesto diverse fasi, aspettando che l’olio asciugasse per valutare il risultato raggiunto.

Per quanto riguarda il terreno e le rocce, invece, dopo un lavaggio scuro per le ombre ho usato il dry brush per evidenziare le asperità con colori più chiari. Un poco di pigmenti hanno concluso il lavoro, amalgamando gli elementi tra loro.


I personaggi invece sono della Blackdog in scala 1/32. Non sono rimasto molto colpito dal loro dettaglio che in alcuni punti sembrava solo abbozzato. Per Manfred von Richthofen avevo deciso di utilizzare il figurino della Wingnut Wings compreso nel kit ma purtroppo risultava troppo basso in confronto al fotografo. Ho scelto, quindi, di usare solo la testa e di innestarla sul corpo della Blackdog avendo visto una foto d’epoca in cui il Barone indossava calzoni, stivali e un maglione (con binocolo annesso) esattamente come il figurino.


Per la divisa, visto che le foto ricolorate non sono attendibili, ho studiato dei dipinti dell’epoca e mi sono basato su un Green Grey tendente al verde.
Un vero e proprio gioiello è la cisterna in resina della Aviattic (codice ATTRES 011), è stato piacere montarla e invecchiarla. Per farlo, dopo un lavaggio per evidenziarne i particolari, ho utilizzato l’Engine Grime della Mig per la sporcizia e il Fresh oil per le colature.


Da ultimo ho arricchito la scena con qualche attrezzo e con la scala della Copper State Model. Gli elementi, come la tanica e l’imbuto sul lato anteriore, sono stati inseriti per dare l’idea di un lavoro ancora in corso da parte dei meccanici allontanatisi per permettere la foto.
Per la disposizione dei soggetti ho cambiato approccio rispetto al mio solito e non ho voluto realizzare una scena da osservare da un solo lato, come in un teatro.

Invece, prendendo come riferimento l’elemento centrale che è il biplano, ho ripartito la scena in tre diversi punti di vista. Da un lato abbiamo il momento della foto, da un altro la cisterna e infine il terzo punto con la scala che guida lo sguardo dell’osservatore verso il bel motore lasciato a vista.
In questo modo lo spettatore può girare intorno alla basetta e trovare scorci diversi ogni volta.

Per questa volta la star non sarà solo il pilota, l’intramontabile Barone Rosso, ma anche il favoloso Albatros.

Buon modellismo a tutti e ci leggiamo sul forum di Modeling Time! Andrea “nannolo” Nanni.

A difesa del Reich: Fw 190 D-9 Hans Dortenmann – dal kit Tamiya in scala 1/48.

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La bellezza di questo magnifico hobby, spesso, risiede nelle piccole cose: ad esempio entrare in un negozio di modellismo e rimanere ore per far due chiacchiere in compagnia, progettare, scambiare opinioni con i propri amici modellisti, documentarsi sul prossimo modello da mettere sul banco di lavoro. Ecco, a proposito del “prossimo” modello… da quella visita al mio rivenditore di fiducia sono tornato con un bel kit sottobraccio… un FW.190 D9 della Tamiya in 1/48!

Non avevo mai affrontato questo soggetto prima ed ero curioso di capire come me la sarei cavata con le intrigate mimetiche della Luftwaffe…

Il soggetto:

Hans Dortenmann è stato uno dei più prolifici assi della Luftwaffe durante il secondo conflitto mondiale e si pensa che Costermano sia stato abbattuto per mano sua.

Ha partecipato a 150 missioni di combattimento e gli furono accreditate ben 38 vittorie,16 sul fronte orientale e 22 sul fronte occidentale, incluso un bombardiere quadrimotore e sei Mustang.
Ha volato inizialmente con il JG.54, che il 25 febbraio del 1944 fu accorpato al JG.26. I reparti erano noti per avere il timone o l’intera coda dei propri Dora verniciata in giallo.
Il 29 marzo del 1945 a seguito della promozione a Staffelkapitain, il suo velivolo “Black 1” divenne “Yellow 1” con cui terminò la guerra. Le sue memorie raccontano che, poco tempo dopo, pur di non far cadere il suo velivolo in mani maniche, lo distrusse e cambiò radicalmente vita. Divenne un architetto è morì durante gli anni ‘70.

È proprio lo “Yellow 1” quello che ho deciso di realizzare.

Il kit:

Il Fw-190 D9 è un soggetto proposto da tantissime ditte costruttrici fin dagli albori, basti pensare addirittura al Trimaster/Dragon (annata 1987) che è più vecchio del sottoscritto!

Per il mio progetto, invece, ho scelto il classico kit made in Tamiya, cod. 61041, con pregi e difetti che mostrerò nel corso di quest’articolo.

Lo stampo ha un costo contenuto e il dettaglio di superficie e nel solito fine e ben definito negativo. Questa volta non ho utilizzato alcun tipo di aftermarket, se non le decal provenienti dal kit Eduard cod. 8184, gentilmente donato dall’amico Stefano/Tomcat97 del forum che saluto e ringrazio ancora affettuosamente!

Il montaggio:

Come di consueto il montaggio ha avuto inizio dalla cabina di pilotaggio, che si è rivelata più che discreta già da scatola rendendo inutile, secondo me, alcun tipo di accessorio in resina. Personalmente mi sono limitato a realizzare solo ed unicamente le cinture di sicurezza del seggiolino in nastro Tamiya con fibbie prelevate da alcuni kit di auto da corsa in scala 1/43.

L’intero cockpit è stato dipinto in RLM66 (Gunze H-416) in accordo con la documentazione, ricevendo successivamente dei lavaggi in bruno leggermente scurito per mettere in evidenzia i recessi della vasca. Una mano di satinato Mig ha dato la finitura finale all’intera zona.

Per far risaltare i dettagli ho usato la tecnica del dry-brush con un grigio medio della Vallejo ed un beige della Life Color. Questa volta ho impiegato anche le matite acquerellabili della Mig per simulare qualche graffio e usura; si sono rivelate un prodotto valido ed efficace per questo genere di lavori.

Il pannello strumenti, dopo essere stato lucidato con il Gunze H-30, è stato completati con la strumentazione in decalcomania della Airscale cod. AS-48. Per simulare il vetro, all’interno di ogni quadrante ho applicato una puntina di cera Future.

Il montaggio della vasca con tutti i suoi accessori è stato davvero facile, non crea alcun tipo di interferenza nell’accoppiamento delle due semi-fusoliere che combaciano alla perfezione.

La nota dolente di questo kit è la presenza nei vani carrello delle piastre di rinforzo, assenti sulla variante D9.

Perciò, armato di documentazione, cutter e lime diamantate ho asportato i dettagli superflui, aiutandomi con una mina fine per tracciare i contorni da usare come riferimenti.

Dopo aver verniciato l’intero vano in RLM02 (Gunze H-70) ho applicato, nuovamente, la tecnica del dry-brush sui rilievi in beige. Il pozzetto è stato, inoltre, completato dei vari tubi idraulici e cavi elettrici in modo da non lasciare un antiestetico vuoto al suo interno.

Un altro importante particolare che ho ricostruito da zero è stato il collimatore Revi EZ42 perché quello fornito nella scatola è davvero improponibile. Ho utilizzato Plasticard per la base e filo di rame per simulare i supporti, il tutto contenuto in ben tre millimetri di grandezza! I vetri per la riflessione del mirino li ho riprodotti con due piccoli pezzi di acetato trasparente e hanno donato quel tocco in più di realismo.

Il montaggio del modello procede veloce, ma non senza piccole difficoltà; è necessario, infatti, porre una certa attenzione sul raccordo ali/fusoliera per evitare fastidiosi scalini o un non corretto diedro alare. Per allineare tutto correttamente mi sono aiutato con dei piccoli spessori del solito Plasticard e, dopo le necessarie prove a secco per verificare che tutto fosse a posto, ho effettuato un incollaggio con colla Revell Contacta e ciano-acrilica. Successivamente il raccordo è stato stuccato col bicomponente Milliput, ottimo per la possibilità di poterlo levigare con l’acqua senza carteggiare.

La ciano-acrilica mi è tornata utile anche per riempire altre fessure, in particolare quella che si forma sulla linea di giunzione dei portelli del vano armi, perché per meta è stampato sulle ali e per metà, invece, sulla fusoliera. Sul più recente kit Eduard, ad esempio, questa zona è meglio ingegnerizzata poiché i portelloni sono a parte, in un unico pezzo.

Il resto dei componenti ha un ottimo fitting come Tamiya ci ha abituato, compreso il parabrezza che è stato incollato per capillarità con la colla tappo verde Tamiya.

Un altro dettaglio su cui ho lavorato è la presa d’aria posizionata a destra della cofanatura motore a cui ho aggiunto, con del filo elastico della SBS, il cordone di saldatura.

Verniciatura e decal:

La colorazione è uno dei momenti più divertenti del nostro hobby, soprattutto quando si ha a che fare con le mimetiche della Luftwaffe. Come detto all’inizio di questo articolo, l’esemplare che ho scelto è lo “Yellow 1” che aveva una uno schema in RLM 82/83/76.

Innanzitutto ho dipinto le parti in giallo Tamiya XF-3 (precisamente la sezione di coda e la cofanatura motore inferiore nella quale ho anche inserito due tubicini per simulare gli scarichi del radiatore dell’acqua e dell’olio), tipiche del Focke Wulf 190 di Dortenmann poiché durante il 1945, quando ebbe la promozione in Staffelkapitain, il “Black 1” divenne “Yellow 1”. L’intera coda fu dipinta in giallo obliterando la svastica e il Werknummer, e lasciando intravedere parte del colore sottostante.

Sono partito dal tono delle superfici inferiori, l’RLM 76 (Gunze H-417), che ho trovato ottimo come corrispondenza. Per donare tridimensionalità a questa tinta, sfruttando il concetto del pre shading, ho riprodotto una texture sul modello utilizzando il Tamiya XF-64 Red Brown.

Successivamente ho steso di nuovo un’altra mano, molto diluita e leggera, di l’RLM76 in modo da far intravedere il lavoro di pre-ombreggiatura fatto in precedenza.

La mimetica, infine, è stata completata con l’applicazione delle altre due vernici, il Gunze H-422 per l’RLM82 ed il Gunze H-423 per l’RLM83. In questi due casi non ho lavorato in alcun modo la base optando per dare volume alle vernici con la tecnica del post-shading, applicata solo dopo aver atteso la loro completa asciugatura. Ai colori di base ho aggiunto delle quantità graduali di bianco insistendo sulle zone più esposte e soggetto all’invecchiamento. Considerando che questo velivolo ha totalizzato ben 38 vittorie, un invecchiamento più spinto è lecito realizzarlo.

La linea di separazione fra le tinte in fusoliera non era netta e con delle piccole “mottle” per cui, con i colori ben diluiti (almeno all’80% con diluente nitro antinebbia), ho realizzato la sfumatura a mano libera.

Ho dipinto anche la fascia bianco/nera in fusoliera, con del nastro Tamiya accuratamente posizionato, che era l’insegna di teatro applicata su tutti i velivoli a difesa del Reich.

Terminata la fase di invecchiamento ad aerografo, ho proseguito simulando qualche scrostatura sulle aree di calpestio del raccordo ala/fusoliera (utilizzando la mia fidata penna gel) e, con le matite acquerellabili, ho aggiunto dei graffi sulla vernice. Queste matite, ancora una volta si sono rivelate molto efficaci, utilizzandole sia asciutte, sia leggermente inumidite con acqua.

Sulle ali e sulla fusoliera ho optato per il “Neutral Grey” e “Streaking Grimes”, invece sulle superfici inferiori per “Rubber” e, nuovamente, “Streaking Grimes” al fine di simulare perdite e colature di liquidi idraulici, e non.

A questo punto il modello è stato lucidato con il clear Gunze H-30, diluito con nitro antinebbia, che ha conferito quel bell’aspetto liscio e lucido che ha scongiurato il pericolo di silvering delle decal.

Quest’ultime, come detto prelevate dal kit Eduard, sono state applicate dopo le canoniche 12 ore di asciugatura e si sono rivelate ottime. Grazie ai liquidi Miscroscale Sol e Set hanno copiato alla perfezione le pannellature sottostanti.

Per i lavaggi ad olio ho scelto un marrone medio sul grigio, ed un bruno scurito su entrambi i verdi.

Per mettere la parola fine, a mesi di studio e di lavoro, ho spruzzato il trasparente opaco della Alclad ALC-313 che ha un potere opacizzante molto buono e che, personalmente, consiglio.

È arrivato il momento di dedicarsi agli ultimi particolari e procedere all’assemblaggio finale del mio Dora: per primi, i carrelli, i quali sono stati arricchiti con dei cavetti in rame per simulare il filo dei freni. Sulla parte bassa dei portelloni ho simulato la polvere che si accumulava durante i movimenti a terra rivolgendomi, ancora una volta, alle matite acquerellabili. Sul battistrada degli pneumatici, invece, ho spruzzato un grigio acrilico ad aerografo molto diluito.

Attenzione a quando andrete a montare le gambe di forza perché, con gli incastri proposti dalla Tamiya, il modello assumerà un assetto non proprio realistico (i pezzi tendono ad avere una posizione troppo avanzata rispetto a quella reale).

Gli scarichi hanno ricevuto un trattamento molto particolare, proveniente dagli Stati Uniti! Colgo infatti l’occasione per salutare l’amico del forum Dario Giuliano, che ci ha reso partecipi del suo modus operandi. Qui troverete il suo breve ma efficace tutorial:

Dalle pochissime foto reperite on line del velivolo di Dortnemann è inequivocabile che il canopy fosse di tipo late (siamo durante il 1944), per questo ho prelevato il pezzo con la forma a goccia dalle stampate del kit.

Le pale dell’elica sono state dipinte in RLM 70 (Gunze H-65) e l’ogiva in Nato Black Tamiya.

Anche qui è stato divertente invecchiarla ricorrendo alle onnipresenti matite già usate in precedenza. Ho scelto toni caldi, come il beige, per riprodurre graffi e weathering. Inoltre, con una spugnetta, ho applicato il verde chiaro della Mig, precisamente l’A-Mig-060, per ottenere un leggero fading.

Il filo dell’antenna, accuratamente incollato in posizione morbida come vuole la documentazione, è della SBS. Le volate delle armi originali in plastica sono state sostituite con del rod in rame di opportuno diametro, che ha degli spessori molto più in scala.

Sono finalmente al termine di questa avventura, vissuta ancora una volta con gli utenti, ma che dico, gli amici, del forum di Modeling Time! Importantissimo è stato il confronto avuto durante il Work in Progress che mi ha fatto sempre scegliere la strada corretta da prendere e per certi versi, mi ha fatto anche andare oltre le mie capacità…non si smette mai di imparare, un aspetto bellissimo di questo hobby!

Bene, adesso non mi resta che augurarvi come al mio solito, buon modellismo…ma soprattutto… che cosa aspettate ad inscrivervi nel nostro forum ed aprire il vostro primo topic?!

Su Modeling Time, il modellismo è soltanto l’inizio!

Saluti dallo Stretto di Messina – Roberto “rob_zone” Boscia.