venerdì, Aprile 19, 2024
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Il vero caccia italiano – Macchi C.202 “Folgore” dal kit Hasegawa in scala 1/48

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Guido Carestiato, collaudatore storico dei velivoli AerMacchi, definì il C.202 Folgore “Il vero caccia sano, sicuro, senza sorprese”. Nonostante le ottime doti di volo fu, ovviamente, sminuito dalla propaganda di guerra alleata ma si guadagnò da subito il rispetto dei piloti e dei reparti della Regia Aeronautica.

Parlando di velivoli italiani spesso si sottolineano più i difetti che i pregi; il Folgore è sicuramente un’eccezione. Non fu il migliore in assoluto, e neanche il più prodotto, ma è senza dubbio il più iconico dando prova di essere una macchina matura ed affidabile, e prestando orgogliosamente servizio in tutti i reparti C.T. (caccia terrestri). Allo scoppio della guerra, gli stormi caccia erano costituiti da aeroplani non proprio brillanti, propulsi da motori radiali sottopotenziati rispetto a quelli in linea raffreddati a liquido. Una lacuna che li poneva in ombra rispetto ai più prestanti prodotti dell’industria aeronautica inglese e americana.

Ed è proprio su queste evidenze che l’Ingegner Mario Castoldi decise di unire la collaudata cellula del Macchi C.200 con il potente motore tedesco DB 601A, dando vita ad un caccia contemporaneo. Riprogettando il castello motore e le carenature anteriori, ottenne una linea filante, agile nelle manovre, con un brillante propulsore.

Il soggetto:

Il Folgore ha volato con tutti i reparti C.T. della Regia si è fregiato di vari distintivi di Stormo e Gruppo, e su mimetiche molto differenti l’una dalle altre. Per noi modellisti c’è davvero l’imbarazzo della scelta perché soggetti rappresentabili sono davvero tanti. Personalmente preferisco scegliere i miei modelli per gli aspetti tecnici e storici peculiari, e come descritto qualche riga sopra, il C.202 ha rappresentato un vero e proprio salto di qualità per la nostra aeronautica.

Un velivolo elegante e con ottime qualità di volo, quindi perché non scegliere la prima cellula che ha visto concretizzarsi queste qualità? quella che vanta il primo abbattimento in assoluto? Il Group Build 2018 del forum di Modeling Time, dedicato al “Made in Italy” è stata un’occasione ghiotta per mettere sul tavolo da lavoro un kit che mi ronzava in testa da parecchio tempo: il C.202 pilotato dal S.Ten. Jacopo Frigerio – 97 Squadriglia – IX gruppo – 4° Stormo, aeroporto di Comiso – settembre 1941.

Il velivolo, registrato come M.M. 7712 e di costruzione AerMacchi, è uno dei primi dieci esemplari in assoluto (Serie II con matricole comprese tra la 7709 e la 7718). Il 4° Stormo fu il primo a riceverli per un totale di 31 cellule assegnate proprio alla 97^ squadriglia del IX Gruppo.

Alla fine del Settembre 1941, esso si trasferì temporaneamente da Udine in Sicilia, con tutte le sue squadriglie (97-96-73) per un primo ciclo operativo su Malta. Alcuni Folgore della 73^ furono anche adattati per la foto ricognizione. Nel pomeriggio del 30 Settembre una formazione di sei Hurricane RAF si diresse verso l’aeroporto con l’intento di un bombardamento a bassa quota sulle linee volo. I tre velivoli di allarme si alzarono immediatamente in volo per intercettare la formazione nemica, tra di loro il 97-2 pilotato da Frigerio che vanta il primo abbattimento accreditato per il velivolo della Macchi. Fu, a tutti gli effetti, il battesimo del fuoco!

La vittima fu un Hurricane II B (Z5265) marche GL-B, appartenente al 185° Squadron della RAF, che precipitò nel canale di Sicilia (altre fonti affermano invece che il velivolo fu danneggiato sul canale ma successivamente arrivò a precipitare a qualche km dall’isola di Gozo). Il pilota, Officer Donald William Lintern, fu visto lanciarsi fuori dalla carlinga ma non venne mai recuperato. Invece il S.Ten. Frigerio passò indenne tutta la guerra e fu richiamato in servizio dalla neocostituita Aeronautica Militare Italiana dopo il conflitto, in qualità di istruttore, sempre al 4° Stormo. Ironia della sorte, morirà nel 1955 a bordo del suo F-86E durante un volo di addestramento a causa di una piantata motore a parecchie miglia dalla base di Nellis, in Nevada.

Tornando al 97-2, il velivolo non abbandonerà mai più l’isola sicula nonostante il 24 novembre la 97^ e la 96^ Squadriglia lasceranno Comiso per rinforzare le linee in Africa settentrionale, affiancando il 1° stormo. Solo la 73^ squadriglia resterà in Sicilia, essendo l’unica del gruppo ad avere velivoli dotati di camera foto planimetrica, continuando le ricognizioni su Malta. Il “7712” venne successivamente convertito in ricognitore.

Alla fine del 1941 anche la 73^ squadriglia, alla volta di Udine, lasciò gli aeroplani efficienti ad altri stormi operanti sull’isola e il Folgore oggetto di quest’articolo fu preso in carico dalla 168^ Squadriglia, 16° Gruppo, del 54° Stormo basato a Castelvetrano. Il velivolo sopravvisse fino alla primavera del ‘43, assegnato alla 377^ Squadriglia autonoma C.T. sull’aeroporto di Boccadifalco. Successivamente non si hanno più notizie riguardo al suo impiego o sulla sua sorte.

In accordo con le pubblicazioni, la matricola appartiene alla serie II prodotta nello stabilimento di Lonate Pozzolo della Aermacchi.

Il kit:

La scatola da me utilizzata è la 09139 (JT39) della Hasegawa, nella scala del quarto di pollice (quella che preferisco). Essa risale al 1995 ma ancora è molto curata nel dettaglio e con delle incisioni finissime. Analizzando con più attenzione, lo stampo del Folgore non si può definire “puro” ed è più simile alle caratteristiche del successore C.205 (commercializzato l’anno precedente).

Per questo motivo è adeguato per le versioni più tarde del C.202, ma approssimativo per le prime (ne parlerò in modo più approfondito fra qualche riga). Tornando al contenuto, sono presenti sei stampate in stirene grigio (più una trasparente), oltre ad un foglio decal, assolutamente inadeguato per gli standard modellistici moderni, che permette di realizzare un esemplare del 4° e uno del 1° Stormo.

Aftermarket utilizzati:

  • Stormo! 48007 – Decal: il foglio, intitolato “Battle of Malta Macchi C.202 Italian Aces”, è veramente ben fatto ed accattivante. Messo in commercio nel 2017 da una nuova ditta canadese, gode dell’ottima qualità di stampa della Cartograf e mostra numerosi profili tutti a colori. Accanto ad ognuno vi è una breve descrizione del velivolo e delle vittorie di ciascun pilota. Le informazioni sono precise, anche se in alcuni casi ho riscontrato piccole incongruenze facilmente risolvibili con un attento studio della documentazione. Si possono realizzare otto differenti soggetti, dalla serie I alla serie VIII, e viene illustrato anche l’andamento della mimetica che differisce tra costruzioni Macchi, Breda e Sai Ambrosini. Sebbene le insegne di reparto, di gruppo e i numeri identificativi siano presenti per tutti gli esemplari, i distintivi della Regia Aeronautica e gli stencil permettono di realizzare al massimo tre modelli con un unico foglio. Bastano ed avanzano, a meno che voi non siate degli appassionati del Folgore!
  • S.B.S. 48017 – Cockpit: il set in resina è ben fatto e ingegnerizzato proprio sul kit Hasegawa, quindi si adatta facilmente. Il sedile è il pezzo forte, molto dettagliato. Fornite anche le fotoincisioni e il foglio acetato per gli strumenti.
  • Eduard 648278 – Undercarriage: già da solo questo articolo è un piccolo modello. Il vano carrello del C.202 ha la peculiarità di essere incassato in una grande porzione del pianetto alare inferiore, in prossimità della ordinata para fiamma. Al suo interno, quindi, è ben visibile la struttura tubolare del castello motore posteriore e parecchie tubazioni di vari impianti. Necessita di qualche attenzione per poterlo inserire correttamente nel minuscolo ingombro ma è assolutamente consigliato.
  • Eduard 648281 – Exhaust stack: i collettori di scarico del kit sono molto poco rifiniti. Con questo set il salto di qualità è evidente, per quello che costano l’acquisto è praticamente obbligato.

Cockpit:

Come detto sopra, l’aftermarket in resina è praticamente pronto all’uso e ci vuole davvero poco sforzo per adattarlo al suo spazio.

Quindi ho concentrato maggiormente la mia attenzione sul colore degli interni. Le direttive dello Stato Maggiore Aeronautica dell’epoca prevedevano l’utilizzo del verde anticorrosione e non solo per l’abitacolo, ma anche per il vano carrelli. Più in generale tale vernice era usata come protettivo per tutte le superfici metalliche interne. Molti modellisti partono dal più comune U.S. Cockpit Green schiarendolo con del bianco ma, dal mio canto, ho preferito utilizzare il mix che riporto nella foto sottostante:

Per le tubazioni e i cavi ho utilizzato il giallo, il blu, il nero e il bruno in base alla natura del fluido che vi scorreva o nel caso di cavi elettrici. (ad esempio, giallo carburante, bruno olio idraulico, ecc.).

Altri dettagli come aste, barra di comando, piastre protettive sul pavimento e gruppo manetta sono stati verniciati con uno smalto color alluminio. Ovviamente la documentazione è fondamentale in ogni passaggio.

Il sedile è ben fatto ed ha il cinghiaggio completo già stampato. Purtroppo, per un mio errore di ricerca, o forse per mancanza di documentazione esaustiva, ho eliminato in un primo momento tutto il dettaglio lasciandolo spoglio. A quanto pare il seggiolino così riprodotto è corretto sia per un Macchi 202, sia per il successivo 205. Oltre agli spallacci e ad un ancoraggio centrale, è presente un’imbottitura sullo schienale atta a proteggere il sistema di azionamento del paracadute, più precisamente la maniglia di estrazione. Voi non fate il mio errore, il seggiolino va già benissimo come si presenta.

Per ripristinare le cinture perse ho utilizzato del semplice nastro kabuki, incollando due facce una sopra l’altra e ritagliando due striscioline di spessore 1 mm. La lunghezza non è importante perché può essere sistemata prima dell’incollaggio. Le fibbie, invece, sono state riprodotte con del filo di rame abbastanza sottile da essere modellabile con delle pinzette a punta. C’è voluto parecchio tempo per realizzarle considerate le dimensioni, partendo da un filo unico si fanno delle curve di 90° gradi creando una specie di “8” che non è mai chiuso.

La catena e le fibbie sono state dipinte con uno smalto Mr. Color Silver mentre il sedile, precedentemente verniciato con Alclad White Alluminium, ha subito un lavaggio ad olio ed è stato, poi, opacizzato. Il cruscotto è completo ed è composto dal pannello frontale con tutti gli strumenti di volo, un pannellino più piccolo posto sotto quello principale per la gestione dell’idraulica, e un pannello inferiore laterale. Quasi tutto è fornito in fotoincisione e trasparenti acetati, alcuni pezzi come il collimatore San Giorgio sono in resina.

Il pannello è stato verniciato in nero opaco ad eccezione della parte di centina sul quale è fissato, e che sarà in verde anticorrosione. I vetrini dei quadranti sono stati simulati con la canonica goccia di cera Future. Tornando al cockpit, prima di eseguire i lavaggi con un bruno Van Dick poco scurito con del nero, ho applicato la tecnica del dry brush sui correntini e sulle centine visibili cercando di mettere in risalto qualche particolare.

Il set della SBS non considera affatto due dettagli importanti: una parte del sistema di controllo degli elevatori, fatto di aste e rinvii e che all’interno attraversa tutta la parte destra rimanendo molto in vista, ed il tubo corrugato che porta ossigeno alla maschera del pilota. L’asta l’ho realizzata con del filo di acciaio rigido dello spessore di 0.5 mm; il corrugato, invece, è un filamento molto sottile di rame arrotolato attorno ad un’anima più spessa, sempre di acciaio.

A proposito del tubo corrugato, ho notato che in realtà era diviso in due parti: una attaccata alla maschera che il pilota portava con sé nell’equipaggiamento, e l’altra solidale al miscelatore in cabina. Quindi ho ritenuto giusto realizzare il tubo abbastanza corto e di appoggiarlo al sedile.

Alla fine, l’abitacolo è stato sigillato con il solito opaco Gunze H-20 diluito al 70 % con la nitro.

Montaggio:

Prima di chiudere le due valve della fusoliera occorre modificare alcuni particolari specifici per l’esemplare che ho scelto. Come anticipato, quando l’Hasegawa propose la scatola dedicata al Folgore utilizzò gli stessi stampi del Macchi C.205 aggiungendo solo alcune parti relative al predecessore. Per questo motivo troveremo sulla fusoliera degli elementi non appartenenti al C.202 e, nel mio caso, anche elementi non presenti sulle primissime serie.

Per migliorare la comprensione, ho assegnato dei colori differenti in base alla modifica:

Rosso: rimozione.

Blu: stuccatura.

Verde: nuova posizione.

Inizio dal lato sinistro, dove sono presenti tre bugne sulla cofanatura. La più avanzata è peculiare dei C.205, per le altre due c’è da aprire una piccola parentesi: dalle foto esistenti del Folgore si può notare che alcuni velivoli ne mostrano soltanto una, la centrale posta in alto, altri invece ne hanno due. Su quei velivoli con fondo sabbia, oppure con la livrea continentale in verde oliva scuro, notare le bugne è abbastanza semplice. Invece nei primissimi esemplari verniciati con lo schema “uovo in camicia”, la loro individuazione è quasi impossibile per via della fitta mimetizzazione.

Quindi ho cercato ulteriori informazioni sia sulle pubblicazioni (Ali D’Italia n°22 – Macchi Mc 202 di Di Terlizzi – ecc.), sia sul nomenclatore illustrato del 1939 della stessa ditta Aermacchi (si trova in rete con qualche ricerca) e, dopo qualche giorno di letture, ho scoperto il motivo tecnico della presenza di entrambe le bugne:

All’inizio della produzione, i motori montati sul Folgore erano stati inviati dalla Germania direttamente dalla Daimler-Benz e fissati alla struttura tramite un castello motore tubolare saldato. Successivamente, il motore fu prodotto su licenza dalla Alfa Romeo con il nome RA 1000 RC 41 e fissato tramite un castello stampato in duralluminio. Quindi, con l’adozione del nuovo sistema si aggiunse la seconda bugna. Per mia fortuna, ho trovato sul nomenclatore illustrato le M.M. dei velivoli che hanno utilizzato il primo tipo di castello (dal 7709 al 7730 – dal 7732 al 7737 – dal 7742 al 7748 – e il 7751) e di conseguenza presentano un’unica bugna sulla cofanatura motore.

Detto ciò, sul mio esemplare va lasciata solo quella centrale. Altri dettagli da eliminare sulla cofanatura sono tre piccole prese d’aria posizionate sui pannelli di accesso alle candele del motore; va lasciata solo la più avanzata. Correndo lungo la fusoliera, all’altezza del abitacolo troviamo alcuni fori. Come indica la freccia verde, quello che rappresenta la presa ricarica ossigeno va spostato più in basso accanto all’alloggiamento del test sistema elettrico (il precedente foro va, ovviamente, stuccato). In realtà questa modifica è necessaria solo sui primi esemplari, successivamente la presa fu spostata più in alto come rappresentata sul kit (ma non chiaro da quale matricola in poi). Altro particolare da eliminare è quello posto più in basso, dietro il raccordo ala fusoliera. Qui è previsto un piccolo “pitot” facente parte del sistema di sfiato dei serbatoi carburante, ma fino alla M.M. 7759 non era presente.

Medesimo discorso per il dipolo del sistema ricetrasmittente posto sulla carenatura dell’anti cappottata. La serie I aveva una semplice antenna a frusta. I pannelli di accesso al vano mitragliatrici erano completamente lisci, quindi vanno stuccati quelli tondi e rimossi gli estrattori d’aria. Anche gli inviti per la presa d’aria cabina sono da asportare poiché essa è stata montata solo dalla versione A.S. in poi. Anteriormente a questi pannelli, sulla cofanatura accessori motori, va stuccato uno degli estrattori d’aria perché superfluo. Posteriormente invece è necessario riempire il pannello di accesso al vano pronto soccorso. Ovviamente questi interventi si sono resi necessari dopo aver studiato e aver trovato conferma dalle foto trovate in rete e dalla documentazione in mio possesso.

Sul lato destro la situazione è più o meno simile.

Sulla cofanatura motore vanno eseguite le stesse operazioni inerenti le bugne e le prese d’aria in basso. Unica differenza è la presenza di un piccolo foro su uno dei pannelli accesso alle candele che va spostato poco più avanti, nella posizione indicata dal punto verde. Anche in questo caso il vecchio elemento va riempito e carteggiato.

Sulla cofanatura accessori motore vanno stuccati il foro centrale e il pannellino in basso. Quanto detto prima vale anche per il lato sinistro dei pannelli vano mitragliatrici, e sul pannello di accesso sotto la carenatura dell’anti cappottata. Su questo lato troviamo anche un portello quadrangolare poco dietro il raccordo ala fusoliera, anch’esso da togliere. Passando alle semi ali che, come per la fusoliera, sono più corrette per un “205” che per un “202”; le modifiche sono speculari per la destra e la sinistra. Al solito ho assegnato dei colori differente in base alla modifica:

Blu: stuccatura.

Giallo: modifica forma.

I tre piccoli pannelli che si trovano a sinistra sono caratteristici del C.205, invece il pannello rettangolare più lungo (accesso munizionamento) e quello più piccolo alla sua destra (riarmo mitragliatrice) sono presenti sui Folgore che montavano l’arma da 7.7 mm.

Anche in questo caso bisogna consultare le fonti a disposizioni per cercare di arrivare al punto:

La predisposizione per accogliere le mitragliatrici Breda-Safat 7.7 mm inizia dalla serie VII. Quindi, in termini temporali, dal maggio 1942.Spesso questa modifica veniva introdotta anche su velivoli di serie precedenti in quanto era possibile il “retrofit”, senza dimenticare che era prassi comune cannibalizzare parti intere di altri aerei, come per esempio le due semiali. Inoltre il fatto che l’ala fosse predisposta non corrisponde alla presenza reale delle mitragliatrici, spesso fatte rimuovere su richiesta dei piloti. Anche sulle serie successive alla VII la predisposizione prevedeva due pannelli sul dorso d’ala per ricarica e riarmo, un foro di espulsione bossoli sul intradosso alare e un piccolo oblo sul bordo di attacco che permetteva lo sparo. Le mitragliatrici erano montate sul campo dagli armieri e l’oblo veniva tappato in caso di assenza.

Ne ho dedotto che gli esemplari delle primissime serie non abbiano avuto la predisposizione. Ovviamente analizzare le foto aiuta moltissimo, anche se la bassa qualità del periodo può non confermare o smentire la tesi.

Quindi in futuro, per chi si accingesse a costruire un qualsiasi Folgore, è sufficiente guardare il bordo di attacco sopra la gamba carrello per individuare oblò e mitragliatrice.

Tornando al modello, ho quindi cancellato tutti i pannelli di accesso per ottenere una semiala pulita. Ho altresì stuccato anche alcune incisioni che non ho riscontrato sui disegni tecnici di Angelo Brioschi allegati in alcune monografie. Per logica, ho anche chiuso la volata dell’arma sul bordo d’attacco.

Immagine inserita a scopo di discussione – fonte forums.ubi.com

Infine, il piccolo pannellino circolare evidenziato in giallo.

Esso rappresenta l’accesso diretto alla testa della gamba carrello, importante per effettuare la carica di aria e rabbocco di olio dell’ammortizzatore durante la manutenzione. Oltre ad avere una forma leggermente diversa, presentava un indicatore visivo di ausilio al pilota. Praticamente consisteva in un dischetto rotante, mezzo rosso e mezzo verde, il quale era collegato al movimento del carrello. Era mosso da un sistema di funi e pulegge, quindi in caso di avaria della strumentazione, il pilota poteva accorgersi se il carrello era eclissato (colore verde) oppure estratto (colore rosso.)

Il pannello è un’eredità del precedente Macchi 200 e ha una forma è particolare, il rettangolino nero in figura è un visivo trasparente.

Immagine inserita a scopo di discussione – fonte drawingsdatabase.com

Per ciò che riguarda la parte inferiore, qui gli interventi sono molto più contenuti. Bisogna eliminare i fori di espulsione dei bossoli e qualche pannellatura che, sempre in base ai disegni, è superflua. È, invece, importante modificare la forma degli ipersostentatori più interni, sotto la fusoliera, che sul kit sono molto più simili a quelli del Saetta. Per agevolarmi il compito mi sono creato una dima in Plasticard per reincidere correttamente le superfici mobili.

Corretti tutti questi particolari, ho voluto verificare direttamente due note negative conosciute dai modellisti riguardo questo kit:

  • Raccordo ala-fusoliera posteriore.
  • Lunghezza fusoliera posteriore.

E purtroppo ho avuto conferma di questi due piccoli difetti di forma, confrontando le stampate con le tavole in scala.

La fusoliera risulta essere più corta di circa 2 mm. Se voleste cimentarvi nell’impresa dovrete tagliarla poco prima degli stabilizzatori orizzontali (all’altezza del piccolo foro di sollevamento) ed aggiungere uno spessore in Plasticard. Un lavoro lungo e tedioso che, personalmente, ho deciso di non affrontare. Invece il raccordo tra ala e fusoliera, visto in pianta, ha un raggio di curvatura troppo stretto. Quest’imperfezione è abbastanza complicata da correggere perché, oltre a rendere la curva più dolce, bisogna ridurre anche lo spessore del raccordo stesso. È un punto molto delicato da sistemare, ma non ho resistito.

Fin da subito mi è stato chiaro che accorciare quel raccordo si sarebbe tradotto nella rimozione di un bel pezzo di plastica tra fusoliera ed ala (in più in un punto di giunzione). In un primo momento ho pensato che un eventuale vuoto l’avrei potuto riempire con l’uso di stucco bicomponente, ma spingerlo dall’esterno verso l’interno, senza qualcosa che fungesse da battuta, avrebbe significato perdere gran parte del riempitivo dentro al modello.

Quindi ho preferito stendere una generosa porzione di Milliput negli ultimi centimetri della fusoliera posteriore, nel punto di intersezione del pianetto inferiore dell’ala (proprio sotto l’aerea del radiatore), per poi pressare con attenzione le due parti a contatto facendo fuoriuscire l’eccesso di filler. Dopo aver provvisoriamente bloccato i pezzi con del nastro carta, ho proceduto ad incollare con calma tutto il resto. Ovviamente ho atteso ventiquattro ore per permettere allo stucco di indurire correttamente e, solo dopo, ho iniziato a correggere le forme con lime e carte abrasive.

Se possibile, è meglio lavorare parallelamente il lato destro e il sinistro per avere una visione d’insieme ed essere quanto più simmetrici. Altra miglioria da attuare riguarda la carenatura del radiatore liquido refrigerante. Già accostando il pezzo sotto la fusoliera salta all’occhio qualcosa che non quadra, e la conferma si ha con i soliti utilissimi disegni. È palese che il pezzo è troppo lungo e deve essere riportato alle giuste proporzioni.

In un primo momento ho semplicemente pensato di tagliare il pezzo lungo l’ultima linea di pannello e ridurne la lunghezza, ma non è la strada giusta da percorrere poiché la parte finale (che si rastrema verso la fusoliera) deve combaciare con le nuove forme del raccordo precedentemente corretto.

A questo punto ho deciso di limare e ridurre direttamente dall’estremità posteriore, cercando di mantenere le linee dei bordi con la giusta curvatura. Prima di incollare il radiatore nella sua sede mi sono preso cura dei pannelli per la dissipazione del calore. Ho subito rifatto e sostituito, con del Plasticard da 0.25 mm, l’aletta che divide il flusso dell’aria nel blocco anteriore. È meglio non incollarla subito per non rendere la successiva verniciatura oltremodo difficoltosa.

Posteriormente, invece, è presente una parte mobile che aumentava la sezione di uscita ed è presente una aletta parzializzatrice che ho riprodotto allo stesso modo, ricorrendo ancora una volta al Plasticard da 0.25 mm. Per essere pignoli vanno riprodotte anche due aste di comando, che la muovono, collocate lateralmente dentro la carenatura stessa.

Il tutto è stato dipinto con un nero vinilico come fondo, poi ho applicato la tecnica del dry brush con l’alluminio sulle griglie.

Il radiatore dell’olio posto sotto la carenatura del motore è completamente spoglio al suo interno; per questo motivo ho ritagliato due pezzi di Plasticard della stessa sagoma e li ho incollati sulla parte del kit. Per riprodurre le maglie ho usato un sacchetto di confetti che avevo messo da parte; la trama non è molto in scala, ad essere sincero, e l’uso delle fotoincisioni avrebbe restituito un realismo diverso, ma tutto sommato, l’elemento è talmente piccolo che si vede solo con la luce diretta.

Prima di chiudere la fusoliera va inserito il vano carrello. Al posto di quello da scatola, come detto all’inizio di questo articolo, ho utilizzato il set in resina della Eduard Brassin che è davvero ben fatto. È progettato in maniera talmente precisa che, anche con un montaggio a secco, resta tutto al proprio posto. Vi è un unico pezzo proveniente dal kit Hasegawa, ovvero la porzione di longherone principale (che attraversa l’ala da un’estremità all’altra) visibile nel vano stesso.

La fotoincisione di forma triangolare (pezzo unico da piegare in vari punti) è di una fragilità estrema e va fissata saldamente sulla piccola centina che divide il vano carrello in due. Essendoci poco spazio di manovra, è necessario fare molta attenzione posizionandola a colpo sicuro con un alone di ciano acrilica, in caso di errore sarebbe davvero ostico sistemarla.

Le parti interne sono in verde anticorrosione, stesso mix del cockpit steso ad aerografo in tutto il vano.

La struttura tubolare è dipinta con il Gunze Mr. Color 159 a smalto, dato a pennello. Ho messo in risalto i dettagli con la tecnica del pennello asciutto e, dopo il trasparente lucido acrilico, ho eseguito i lavaggi ad olio in bruno Van Dick. Per finire, ho opacizzato il tutto con il flat clear Gunze H-20.

Riguardo i colori utilizzati per distinguere le tubazioni, le istruzioni Brassin sono abbastanza precise. Ma in realtà tutte queste informazioni si trovano sui manuali AerMacchi, già citati precedentemente, in cui vi è una tabella che stabilisce la colorazione dedicata a ciascun impianto.

Ad esempio:

·        Colore Marrone per le tubazioni in cui circola Olio motore.

·        Colore verde per le tubazioni in cui circola Liquido refrigerante.

·         Colore blu per le tubazioni in cui vi è passaggio di aria.

·        Colore giallo è dedicato a tutti gli elementi del sistema carburante.

Infine, vi consiglio vivamente di fissare il complesso accessori senza tutti i tubi per incollare al meglio il pozzetto e avere meno pezzi delicati che potrebbero essere di disturbo. Per dare maggiore movimento al modello ho deciso di separare i timoni di profondità per rappresentarli a picchiare, come spesso si vedevano nei velivoli a terra.

I piani di coda del kit hanno stampate le cerniere che andranno perse con la modifica e devono, giocoforza, essere ricostruite. Visionando le foto sui vari testi a disposizione, ho notato che il Folgore aveva delle piastrine a copertura delle cerniere, molto sottili e non rigide.

Sono presenti solo sulla parte superiore e sono più large della cerniera stessa, quindi ipotizzo che nel movimento a cabrare questi pezzi di lamiera si potessero flettere senza ostacolare il movimento della superficie, essendo fissate solo da un lato. Per simularle ho tagliato dei piccoli quadrati di nastro alluminio adesivo.

Come per i piani di coda, ho voluto rappresentare anche il direzionale leggermente sbandato. Diversamente dagli equilibratori, la superficie era incernierata in dei semplici occhielli in cui ruotava. Dalle foto si può notare che erano leggermente rigonfi, come delle piccole bugne, per questo li ho riprodotti con una micro-goccia di Mr. Surfacer 1000.

Passando alle semiali, ho eliminato le luci di navigazione originali in plastica e le ho rifatte con dello sprue trasparente.

Altro piccolo dettaglio sono le coperture degli attacchi a pettine (che fissano le semiali alla struttura del pianetto alare). Vanno tagliati in totale otto rettangoli dal solito nastro d’alluminio adesivo, quattro per semiala. Dopo averli posizionati ne ho ridotto lo spessore carta abrasiva grana 1000 e 1500.

Prima di incollare il parabrezza è necessario posizionare il collimatore San Giorgio fornito nella scatola del set SBS per il cockpit. È formato da un telaio in fotoincisione, lastrina di acetato trasparente (per il vetrino) e dal gruppo proiettore in resina.

Ho fissato l’acetato sul telaio cospargendolo di cera “Future” perché, così facendo, l’ho contemporaneamente incollato e mantenuto lucido. Ho applicato una goccia di trasparente anche sul proiettore per enfatizzare l’effetto vetro della lente.

I montanti interni del windshield sono stati dipinti con del nero opaco steso a pennello.

Dopo le necessarie prove a secco, ho notato che il vetrino è leggermente più stretto dell’alloggiamento in fusoliera. Inizialmente avevo valutato di forzare leggermente il pezzo per aumentarne la larghezza, ma alla fine ho preferito non rischiare e incollarlo direttamente con alcune pennellate di colla Tamiya Extra Thin Cement. Il leggero scalino che si forma l’ho sistemato riducendo lo spessore (con carta abrasiva) dello stirene nel punto indicato dalla freccia.

Attenzione al corretto montaggio della piastra blindata che proteggeva la testa del pilota: inizialmente l’avevo incollata direttamente a contatto con la struttura dell’anti cappottata ma, dopo aver controllato nuovamente la documentazione, mi sono accorto che vi è un spazio evidente tra le parti. Quindi ho rimosso delicatamente la fotoincisione e, grazie ad uno spessore di 0,5 mm incollato sul retro, ho ottenuto il corretto montaggio.

Finalmente, ultimata l’intera sagoma del velivolo, ho predisposto il modello per la tanto attesa fase della verniciatura. Armato di pazienza e carta abrasiva, ho trattato le superfici in progressione con carte abrasive bagnate grane 1200, 1500, 2000, 3000 ed infine lucidato con una spugnetta per unghie al fine di eliminare anche le più piccole imperfezioni.

Verniciatura:

Apro questo capitolo con un preambolo, perché ritengo necessario fare alcune considerazioni:

Vernici e schemi mimetici:

Agli albori della Regia Aeronautica il concetto di mimetizzazione era in fase teorica e sperimentale. Macchie e bande di colori diversi apparvero pian piano sulle superfici dei velivoli e, con il passare degli anni, l’importanza della mimetizzazione si consolidò nell’ottica strategica dell’uso del mezzo aereo in guerra. Quindi, ben presto si fece incalzante la necessità di standardizzare le vernici usate e gli schemi mimetici. Un primo tentativo ufficiale fu denominato serie mimetica (1938-1941), ovvero l’insieme di tonalità e di schemi mimetici da adottare su tutte le tipologie di velivoli del fascio. Fecero la loro comparsa tonalità caratteristiche come il giallo, il verde e il marrone mimetici.

Invece gli schemi erano a bande trasversali, usati soprattutto su bombardieri e siluranti, oppure a reticolo a macchie rade, su base gialla o verde, per lo più per i velivoli da caccia. In realtà, solo gli schemi mimetici furono in linea di massima standardizzati per tutti i produttori. Per le vernici si crearono involontariamente varie tonalità della stessa tinta in quanto ogni azienda costruttrice aveva il proprio fornitore. Il risultato fu quello di avere diverse gradazioni simili ma non uguali.

Infatti, discutendo del solo giallo: La Aermacchi e le IMAM avevano come fornitore la Max Mayer e il giallo usato sui loro velivoli è oggi identificato come Giallo mimetico 4. Invece la Breda, la SIAI e la Caproni avevano come fornitore Arson-Sisi e il giallo è identificato come Giallo mimetico 3. Ovviamente, al tempo, i colorifici indicavano le vernici semplicemente come giallo mimetico (vedi verde o marrone) senza numerazione, la quale è un modo utile e moderno per distinguerli. In generale erano quattro le tonalità di giallo mimetico usate:

  • Giallo mimetico 1 FS 33531.
  • Giallo mimetico 2 FS 33481.
  • Giallo mimetico 3 FS 33434.
  • Giallo mimetico 4 FS 30266.

Successivamente, l’incalzare della guerra rese necessario anche la completa standardizzazione delle vernici.

Questo portò alla cosiddetta Tavola 10 (1941-1943), che determinava, per i velivoli da caccia, l’uso di due sole vernici per le superfici superiori, e una sola per quelle inferiori.

Date le informazioni di cui sopra, tradurre nella maniera corretta la mimetica sul mio modello è stata la mia preoccupazione sin dall’inizio. Ovviamente la fonte più importante è la documentazione fotografica, e fortunatamente ne ho trovata parecchia sui Folgore delle prime produzioni.

Purtroppo, la bassa risoluzione e il bianco e nero delle foto d’epoca mettono in difficoltà alcuni dettagli ma, in ogni caso, lo schema utilizzato sui primi velivoli della serie I, ereditata tra l’altro dal predecessore C.200, è il classico continentale a macchie rade (schema C8 e più comunemente conosciuto come “uovo in camicia”).

Dalle immagini si può notare che le macchie sono di dimensioni diverse, di forma pressappoco simile, e che il bruno all’interno della chiazza in giallo spesso la ricopre quasi completamente. Il contrasto tra il giallo e il bruno è abbastanza evidente quindi, anche se minimo, il bordo si nota. Anche questa volta ho iniziato a verniciare le superfici inferiori, completamente in grigio mimetico.

Ho utilizzato il Gunze H-317, diluito al 70% con il Leveling Thinner Gunze. Successivamente ho mascherato il grigio utilizzando il Patafix per demarcare la linea di stacco.

Il verde mimetico 2 (Gunze H-312) ha una bella resa, molto coprente, ed è stato diluito con le stesse percentuali indicate sopra.

Per le macchie consiglio di alzare la diluizione all’80%, abbassare la pressione a 0,5 bar circa e lavorare con l’aerografo molto vicino alla superficie.

Sul muso, e a ridosso della gobba dell’anti cappottata, le ho interrotte poiché, in quei punti, andranno dipinte le bande rispettivamente giallo cromo e bianco. Riassumendo questi sono le vernici utilizzate:

Per il giallo mimetico 4 ho preferito spegnere la tonalità e scurirla leggermente. Il Gunze H-34 utilizzato è, a mio avviso, più corretto per un giallo mimetico 3 della Breda e della SIAI (ditte subappaltatrici della Macchi per la produzione del Folgore).

In realtà, secondo codifica FS, il giallo mimetico 4 sarebbe da scurire ulteriormente ma non mi convinceva il contrasto che si veniva a creare con il bruno mimetico. A conti fatti ho lasciato la tinta leggermente più accesa.

Per completare la verniciatura bisogna aggiungere le due bande trasversali di riconoscimento, una sul muso e una in fusoliera. Come al solito mi diverto, e trovo utile, integrare con alcune precisazioni storiche:

Distintivi ottici

Le due bande dipinte sopra la mimetica sono particolari distintivi ottici adottati dalla R.A. per esigenze pratiche. Con il sempre maggiore impegno della R.A. nei più disparati teatri operativi, soprattutto a diretto contatto con la Luftwaffe, si rese necessario rendere i propri velivoli immediatamente distinguibili, ed evitare pericolosi fraintendimenti da parte dei tedeschi. In realtà già nel breve conflitto aereo contro i francesi, il 15 giugno 1940, i piloti della R.A. ebbero problemi ad identificare i compagni durante un raid notturno condotto dal nemico.

Si crearono parecchi incidenti e furono fatte delle modifiche non ufficiali sul campo, aggiungendo una fascia bianca a tre quarti di fusoliera posteriore ai primi C.R.42 del 23° Gruppo. Verso la fine del 1940 si iniziò ad applicare su tutti gli aerei la fascia bianca di riconoscimento, di larghezza circa 600 mm per i caccia (1200 mm per plurimotori), e fu ufficializzata a partire dall’anno seguente divenendo standard per tutti gli aerei della Regia Aeronautica, fino all’armistizio del 1943.

In Nord Africa, alle insegne standard, furono aggiunte le estremità delle ali dipinte di bianco e i tedeschi le applicarono anche sui loro velivoli. La banda giallo cromo sul muso, apparve durante gli scontri aerei della battaglia di Inghilterra. Per uniformare i velivoli del CAI (Corpo Aeronautico Italiano) alle direttive della Luftwaffe, si dipinsero così le cappottature motore. Nel teatro operativo russo invece, oltre al muso, anche la fascia in fusoliera fu dipinta di giallo. La banda sul muso fu usata fino al novembre 1941, poi fu eliminata.

Secondo le direttiva, lo standard di larghezza per la fascia bianca era di 600 mm. In scala 1/48 corrispondono a 12,5 mm. Per il bianco ho usato direttamente il Surfacer 1500 White, che ha un tono già soddisfacente e ha svolto anche funzione di base per il successivo giallo.

Per la banda del muso non ho trovato nessuna misura di riferimento, spesso coincideva con la cappottatura dei motori radiali. Sui musi lunghi era una porzione contigua all’ogiva, quindi bisogna trovare il riferimento attraverso le foto a disposizione. Per il giallo cromo ho usato il Gunze H-4 tagliato al 50% col Gunze H-34. Puro, a mio parere, è troppo acceso. Stesso fondo e stessa vernice usata, ovviamente, anche per l’ogiva del gruppo elica. Per la porzione anteriore delle pale ho mixato il Tamiya XF-23 e l’XF-19 (proporzione 1:1), mentre il retro in nero perché aveva funzione di anti riflesso per il pilota.

Al fine di dare un po’ di movimento alle parti telate delle superfici di comando, ho utilizzato una tecnica già utilizzata con successo da un altro nostro amico modellista, Andrea “Nannolo” – CLICK QUI!

In pratica ho ricreato le ombre tra le centine, dovute alla tela che si rilassa, spruzzando all’interno i colori di base leggermente scuriti del 30% (7 base – 3 nero), diluiti all’80%.

Ultimo dettaglio da verniciare, per chiudere definitivamente il capitolo, riguarda la cofanatura del radiatore ventrale. Ho notato grazie alle foto che, sui primissimi esemplari, la parte centrale era lasciata in alluminio (in realtà la porzione centrale è il radiatore vero e proprio fissato direttamente sul ventre. La carena era un convogliatore d’aria anteriore e posteriore). Ho trovato ulteriore riscontro in alcune immagini in cui sono ritratti proprio i velivoli della 97^ Squadriglia sull’aeroporto di Ciampino, durante il trasferimento verso Comiso.

Quindi, ancora una volta, mi sono affidato agli Alclad scegliendo il White Aluminium.

Wheatering:

In tutte le immagini che ho potuto visionare, l’esemplare che ho scelto non presentava particolari segni di usura dovuta all’attività operativa avendo poche ore di volo all’attivo. Per cui ho deciso di non esagerare con l’invecchiamento e di attenermi, ovviamente, alla documentazione. Per iniziare ho steso tre mani abbondanti di trasparente lucido Tamiya X-22 diluito all’80% col Mr. Leveling Thinner della Gunze.

Lasciato asciugare il clear un giorno intero, ho preparato due tinte principali per i lavaggi ad olio: un grigio medio per le superfici inferiori (utilizzato anche per la fascia bianca in fusoliera) e il bruno Van Dyck scurito con del nero per le superfici superiori.

Sulla banda in giallo e sull’ogiva, invece, ho usato il Van Dyck puro.  

Sugli scarichi ho riprodotto una semplice cottura della parte più interna dei collettori, senza la presenza di ruggine tipica dei metalli soggetti al calore dei gas.

La verniciatura di base l’ho realizzata con l’Alclad Dark Alluminium sui cui ho spruzzato a bassa pressione un mix 50/50 di nero e marrone acrilico, diluito al 90 %. Sulle estremità dei collettori, in corrispondenza dei fori d’uscita, ho aggiunto una miscela ancora più scura per simulare i residui carboniosi. Con un nero vinilico a pennello ho dipinto l’interno, mentre con un vinilico grigio ho lumeggiato gli spigoli vivi.

Decalcomanie:

Come già indicato ad inizio articolo, ho utilizzato il bellissimo foglio della Stormo! Decals, stampato dalla Cartograf. Colori molto belli e in registro, disegni molto accurati. il supporto è resistente ma morbido, anche se a conti fatti risulta abbastanza spesso e opaco per cui le insegne necessitano di un fondo perfettamente lucido per scongiurare il silvering.

Le istruzioni sono abbastanza precise sulla posizione, ma come sempre, un riscontro fotografico è molto meglio per decidere dove collocarle. A parte i fasci littori sull’ala che sono decisamente grandi, non ho avuto problemi con le altre. Anche la croce sabauda sulla deriva e sul timone si posiziona agevolmente con l’ausilio dei liquidi ammorbidenti.

Per completezza di cronaca, il colore della scritta “AerMacchi C.202” su questo soggetto non è corretta perché il colore blu chiaro utilizzato era standard per i velivoli A.S. (Africa Settentrionale) che avevano un fondo nocciola. Sui velivoli Macchi con livrea continentale come il mio soggetto, la scritta della ditta costruttrice era in blu più scuro.

Sempre per completezza di trattazione, riporto qualche informazione che può tornare utile a noi modellisti:

Introduzione del fascio littorio sugli aeromobiliFOGLIO D’ORDINI N.6 25 Febbraio 1927 – Anno V.

Viene introdotto a partire dal 1° Marzo 1927 su tutti gli aeromobili in uso o in carico agli Enti dipendenti. Il fascio di verghe sarà dipinto in giallo oro e la scure in grigio argento con sfumature; il tutto racchiuso in un circolo a fondo grigio piombo scuro avente il diametro di cm. 50 per le specialità: bombardamento notturno, bombardamento diurno, bombardamento idro e dirigibili; cm. 35 per le altre specialità. Sarà dipinto per la specialità bombardamento notturno, sulla parte anteriore e da ambo i lati della carlinga; per le specialità: bombardamento diurno, ricognizione terrestre e caccia terrestre da ambo i lati della fusoliera a circa un metro dal bordo d’uscita dell’ala.

Possiamo dedurre facilmente che nella scala 1/48, per un caccia terrestre, il Fascio littorio avrà un diametro di circa 7 mm. Inoltre, se volete essere pignoli, posizionatelo a circa 20 mm dal bordo di uscita dell’ala (Nel caso la foto non aiutasse) e ricordate che la lama dell’ascia va rivolta sempre verso il muso. Per le insegne alari, invece, le lame sono rivolte sempre verso l’estremità. Invece per i fasci alari, furono tre le tipologie adottate durante gli anni:

  • Fasci neri, cerchio nero su fondo bianco.
  • Fasci bianchi, cerchio bianco su fondo nero.
  • Fasci e cerchio nero e fondo trasparente.

Alcune erano decalcomanie, altri delle maschere da verniciare. Dalla metà del 1941 si cominciarono ad utilizzare le decalcomanie a fondo trasparente. Prima invece i vari stili erano utilizzati in modo diverso in base alle ditte costruttrici. Le dimensioni previste erano: per i bombardieri erano di 180 cm; per i ricognitori erano di 120 cm; Per i caccia erano di 96 cm.

Quindi facendo un rapido calcolo, in scala 1/48 sono rispettivamente: 3,75 cm; 2,5 cm; 2 cm.

Data la grande dimensione e il fondo omogeneo e liscio, il posizionamento dei fasci sulle ali mi ha dato un po’ di filo da torcere. Il film aggrappa immediatamente e riposizionarlo diventa alquanto problematico; se dovesse capitare anche a voi lo stesso inconveniente, bagnate la zona con abbondante acqua e cercate di spostarli con un bastoncino cotonato. L’insegna va posizionata al di sopra dell’alettone, con la circonferenza del cerchio che lambisce la linea che delimita la superficie di governo.

Alla fine della posa ho protetto le decalcomanie con un ulteriore mano abbondante di trasparente nel tentativo di il loro spessore che non è trascurabile in scala, purtroppo. A seguire ho applicato dei lavaggi mirati per mettere di nuovo in risalto le pannellature che passano al di sotto dei fregi.

Ultimi dettagli

Ormai sono rimasti pochi pezzi per completare il modello, ma quelli più piccoli vanno rifiniti tutti comunque. È necessario assottigliare tutti i portelli del vano carrello per raggiungere un buon effetto scala; si possono, inoltre, aggiungere altri particolari come l’effetto peso degli pneumatici o le staffe di fissaggio del portello alla gamba carrello principale.

Su quest’ultima ho anche aggiunto i tubi che alimentano aria compressa all’impianto frenante (purtroppo ben poco visibili in quanto collocati posteriormente). Per le zone in alluminio ho utilizzato l’Alclad white Aluminium, per gli interni il verde anticorrosione Macchi, e per l’esterno in grigio mimetico H-317 come per le superfici inferiori. Ho completato tutto con dei lavaggi mirati in Bruno Van Dyck scurito ad olio.

Per rendere più omogeneo l’invecchiamento ho preferito desaturare le decal stendendovi sopra delle velature leggerissime di verde mimetico diluito al 95%. La stessa procedura l’ho ripetuta per spegnere (di poco) l’azzurro delle scritte e del fascio littorio in fusoliera. Soddisfatto del risultato, ho caricato l’aerografo con l’opaco Gunze H-20 (diluito all’80% con la nitro) dando circa tre mani.

Il lavoro si è concluso fissando le pale dell’elica e l’ogiva, tutto il sistema del carrello, il canopy e il sottilissimo il cavo dell’antenna realizzato con il filo elastico della Uschi Van Der Rosten.

A presto e buon modellismo a tutti.

Luca “Madd22” Miceli

Kit Review – F-14D Tomcat AMK 1/48, Prima Parte.

Alla fine, è arrivato. Dopo ben 3 anni dal pre order e ben 5 dall’annuncio, il famigerato F-14D Tomcat AMK in 1/48 è qui. In questo lasso di tempo, Tamiya ha fatto uscire il suo kit, GWH ha annunciato un altro new tool (un A, per ora) mentre Hasegawa ha in catalogo un D già da molti anni. Quindi perché c’era tutta questa attesa spasmodica per un kit di cui esiste già almeno una controparte di qualità eccellente?

AMK è una ditta relativamente giovane nel panorama modellistico ma che si è guadagnata una buona reputazione tra gli appassionati soprattutto per il MIG-31, unanimemente riconosciuto come modello fedele, dettagliato, ben ricercato e dal montaggio estremamente preciso. AMK non è stata immune da scivoloni clamorosi (come ad esempio la prima release del Kfir, inficiata da un problema di forme della fusoliera) ma la qualità percepita dei loro modelli si è fatta rapidamente apprezzare tra i modellisti. Quando annunciarono il loro Tomcat, le caratteristiche del modello fecero venire l’acquolina in bocca a tutti. Esse comprendevano:

  • Ugelli super dettagliati e in due versioni (aperti o chiusi).
  • Barra per catapulta riprodotta e carello anteriore posizionabile esteso o compresso (in posizione di lancio dalla catapulta).
  • Riproduzione degli armamenti AA (aria/aria) in un solo pezzo, realizzati tramite sliding molds.
  • Aerofreni aperti o chiusi.
  • Ala posizionabile a scelta: completamente avanti, completamente indietro e oversweep in parcheggio (NOTA: AMK dichiarò che questa feature sarebbe stata presente per la prima volta in assoluto in un kit di F-14. Tamiya ha però incluso questa caratteristica anche nel suo kit, prendendosi il primato. Sempre se il vecchio Monogram non avesse già questa possibilità, cosa di cui sono abbastanza sicuro ma che non ho potuto ancora verificare).
  • Superfici mobili dell’ala posizionabili (completamente aperte o chiuse, diruttori compresi).
  • 5 livree diverse, tra cui VF-2 e VX-9.
  • Livello di dettaglio elevato.
  • Fusoliera anteriore in un solo pezzo.
  • Canopy in due versioni; a scelta in un pezzo unico o con telaio separato e trasparenti divisi (per la bolla posteriore).
  • Prezzo ultra competitivo (si parlò di circa 55$ in caso di pre ordine).

Con queste premesse è abbastanza ovvio che l’attesa fosse spasmodica. La politica commerciale AMK, per quanto discutibile dal mio punto di vista, si è rivelata in effetti vincente con i kit venduti praticamente sulla fiducia senza che se ne fosse visto ancora nemmeno un pezzo. Passò diverso tempo (parliamo di almeno due anni) e finalmente vennero mostrati i primi test shot del modello con un lancio mediatico molto aggressivo, sfruttando al massimo le piattaforme social ma evitando, tranne un paio di eccezioni, i forum specializzati. A questo punto, diversi modellisti e esperti di aviazione avanzarono forti perplessità su alcune forme e dettagli del kit, concentrandosi in modo particolare sulla parte posteriore della fusoliera che sembrava presentare i problemi più evidenti. Seguirono mesi di botta e risposta tra AMK e gli appassionati, con accuse reciproche e bordate da entrambe le parti senza però arrivare a un confronto costruttivo e imparziale. Il bailamme mediatico fece sì che diverse persone ritirarono i preordini non essendo convinti dalle risposte che AMK forniva alle varie obiezioni. Contemporaneamente, alcuni modellisti particolarmente coinvolti nel progetto iniziarono una guerra di religione contro i cosiddetti “conta rivetti”, a loro dire colpevoli di togliere voce a chi fa modellismo principalmente per divertimento e rei di accusare AMK di peccati veniali rispetto all’importanza e al livello generale del prodotto. Mentre AMK forniva i primi kit di serie a un piccolo e selezionatissimo gruppo di modellisti incaricati di realizzarne alcuni nel modo più spettacolare possibile, a dicembre 2019 il Tomcat è stato finalmente reso disponibile al pubblico pur se con un aumento di prezzo rispetto ai preordini di circa 5€. Convinto a giudicare la bontà del modello secondo i miei parametri e non leggendo le storie Facebook di qualche modellista che tutto è fuorché che imparziale, ho ritirato la mia scatola potendo così fare una recensione esaustiva e equilibrata sul modello, circostanziandola il più possibile con riscontri oggettivi.

NOTA: il kit è stato acquistato in un negozio a Roma, non ho legami di nessun tipo con nessun produttore e se uno stampo ha dei difetti li riporto senza dovermi preoccupare di urtare la sensibilità di qualcuno. Ho visto dal vivo gli F-14D in più occasioni e ho documentazione in abbondanza. D’altro canto, se siete prevenuti nei confronti di AMK o di altre ditte, siete liberissimi di chiudere qui e farvi la vostra idea.

Dividerò questa recensione in due macro sezioni e in tre puntate. La prima sezione sarà squisitamente tecnica (qualità delle parti, montaggio, stampaggio) mentre la seconda tratterà la fedeltà del modello al vero. Nella seconda puntata faremo invece un confronto con tra AMK e il suo principale competitor (cioè il kit Tamiya) e nella terza vi presenterò il kit montato (rigorosamente da scatola). Ma ora, iniziamo dalla volgare plastica.

Parte 1 – Il kit: tanto dettaglio e qualche problemino realizzativo.

Iniziamo dalla box art: bene ma non benissimo. Il disegno rappresenta un F-14D del VF-2 in decollo dalla portaerei. Abbastanza accattivante, se non fosse per il fatto che il disegno appare sproporzionato, con tutta la parte posteriore del velivolo tozza e corta. OK, l’abito non fa il monaco ma senz’altro aiuta. La scatola è abbastanza grande e comprende 24 stampate compresi i trasparenti, un piccolissimo set di fotoincisioni e decals divise su 3 fogli. Le fotoincisioni includono HUD, cinture, griglie dei flares, specchietti e maniglie del canopy.

La qualità delle stampate è buona, senza bave e in linea di massima ben definita. Ci sono diversi segni degli estrattori, alcuni dei quali in posizione molto difficile da eliminare (ad esempio sulle piastre interne delle prese d’aria).

La superficie della plastica di colore grigio scuro è leggermente rugosa ma comunque di qualità. I trasparenti sono ben fatti, senza distorsioni apparenti ma le luci di posizione alari e i frames (soprattutto del parabrezza) sembrano poco definiti. Sono inclusi due canopy: uno tradizionale in un pezzo solo e un altro diviso in 3, cioè i due cupolini e il telaio completo. Qualcuno ricorderà il Tornado ESCI che usava lo stesso sistema.

La forma a omega delle bolle sembra ben interpretata anche nel canopy in un pezzo solo. Mi domando allora il perché della complicazione: AMK ci dice che il tettuccio scomposto salva moltissimo tempo nella mascheratura dei frames e del loro interno, anche se mascherare il canopy del 14 non mi pare sia un’operazione troppo lunga e tediosa… Credo che il vantaggio di avere un solo pezzo robusto e il non dover incollare due trasparenti valgano il prezzo di una mascheratura leggermente più difficile. Nel mio esemplare, il frame centrale del canopy è spezzato a metà e viziato malgrado la stampata sia contenuta in una scatolina di cartone a parte e non sfusa nella confezione principale.

La fusoliera anteriore è stampata in un solo pezzo ed è ricca di dettagli, con la piastra di rinforzo intorno al predellino di salita posteriore di dimensioni e posizione corrette.

Sul lato destro ci sono due piccole piastre rettangolari sotto la slime light anteriore che non trovano riscontro nella realtà. Sono inoltre presenti dei fastidiosi disallineamenti nelle pannellature nel lato inferiore del pezzo.

Vanno rimosse le cornici delle slime light, nella realtà esse sono addirittura leggermente rientrate e bordi.

A livello di stampaggio delle parti, in alcuni punti si nota una certa disomogeneità delle incisioni, in particolare in quelle nella zona inferiore della fusoliera posteriore che sono molto evidenti. È presente un segno di stampo che corre lungo tutta la presa d’aria e che sarà difficile da eliminare senza rovinare il dettaglio adiacente. Nel mio esemplare è abbastanza profondo e evidente.

Le decals, il cui artwork è stato curato da Furball e che includono 5 esemplari, a prima vista sono ben stampate e in registro, con le scritte leggibili. Guardando meglio, però, si nota che la saturazione (soprattutto dei colori più scuri) è scarsa e fa apparire i neri slavati e i toni falsati. Questo difetto è stato riscontrato in diverse confezioni ma non posso dire se è un problema comune o limitato ad alcuni batch produttivi. Sarebbe un peccato se le decal dovessero risultare inutilizzabili, perché i soggetti sono molto interessanti e il progetto ben realizzato… La strumentazione per gli interni e i cruscotti è ben stampata e copia bene la parte in plastica. Gli interni e l’abitacolo sono molto dettagliati e fedeli, così come i seggiolini e i vani carrelli.

Le soluzioni adottate da AMK per la scomposizione della cellula sono un misto di tradizione e innovazione. Detto del troncone anteriore in un solo pezzo, troviamo il radome in un pezzo unico e la fusoliera posteriore divisa orizzontalmente in due. La beaver tail e le carenature dei motori sono separate, così come i cuscini gonfiabili dell’ala e la carenatura posteriore del carapace. Ovviamente, derive semiali e tailerons sono anch’essi parti scomposte.

AMK ha deciso di fornire due cassoni alari completi di martinetti e della riproduzione del perno di rotazione. È necessario scegliere all’inizio del montaggio in quale posizione verrà costruita l’ala perché essa non è mobile e verrà bloccata in posizione di freccia massima o di freccia minima dal cassone stesso. Stesso discorso per i taileron: prima della chiusura della fusoliera bisogna scegliere quale delle tre posizioni consentite dovranno assumere: tutto a picchiare, neutro o tutto a cabrare. In base alla scelta, si è obbligati a montare il perno corrispondente senza possibilità di interventi successivi. Di contro, l’assemblaggio è estremamente robusto e a prova di errore.

Gli aerofreni sono anch’essi posizionabili così come anche la sonda RIV; un tocco di classe è dato anche dalle paratie interne delle prese d’aria raffigurabili in regime di volo subsonico, transonico e supersonico a seconda della scelta desiderata. Veniamo ora a quello che secondo me è il pezzo forte di questo kit: l’ala.

AMK ha scelto la via più costosa a livello di stampo ma probabilmente la migliore, fornendo due ali complete in configurazione clean (tutto chiuso) o con tutta la “biancheria” estesa, compresi gli spoiler divisi in 3 sezioni come al vero. La parte sotto gli slat è liscia e senza soluzione di continuità con l’estradosso alare: ottimo. Nel vero Tomcat, infatti, la superficie mobile si poggia sopra la pelle della semiala senza alcun tipo di incasso: brava AMK, bel lavoro.

Sono forniti due scarichi completi per i GE F110-400, aperti e chiusi. Mentre la riproduzione degli scarichi aperti è molto buona, quelli chiusi sono davvero scarsi di dettagli e praticamente inutilizzabili.

I motori sono completi ma solo abbozzati; è comunque una base per eventuali lavori di super dettaglio o eventuali portelli aperti. Le palette del compressore e la griglia dell’AB sono ben fatti e dettagliati. Il condotto di scarico, invece, presenta delle nervature troppo spesse e il solito problema della scomposizione che lascia una vistosa fessura, difficile da stuccare, una volta assemblato.

Il carrello d’atterraggio principale è molto buono, dettagliato e scomposto in modo efficace. Il carrello anteriore (o meglio, le sue ruote) ha qualche problema ma ci torneremo sopra tra poco.

Sono inclusi tutti i principali armamenti (sia aria/aria che aria/terra) usati dal D e i lanciatori corrispondenti. I missili e le bombe sono stampati in un pezzo unico ma anche qui c’è qualche problema di dimensioni.

In particolare, tutti i missili AA sono leggermente sottodimensionati. Un paio di rapidi calcoli portano a questi risultati:

Weapon Lunghezza al vero riportata in 1/48 Lunghezza effettiva AMK in 1/48 Scarto
AIM-54 82,50mm 82,35mm -0,15mm
AIM-7 75,84mm 75,4mm -0,44mm
AIM-9 59,375mm 59,2mm -0,17mm

Poca roba, senza dubbio. Però anche qui bastava davvero poco per essere precisi al millesimo…

Passiamo al montaggio delle parti principali. Il modello si assembla agevolmente, con incastri ben fatti e una scomposizione che consentirà la realizzazione delle altre versioni del Tomcat. Sono previsti inserti e parti alternative in fusoliera, la precisione delle parti più grandi è molto buona ma nel montaggio a secco si evidenziano delle fessure e dei punti critici come l’unione tra la parte anteriore e la fusoliera centrale. Anche la beaver tail lascia vedere un accoppiamento difficile; consiglio di unire la metà superiore della beaver tail alla fusoliera (e lo stesso per la metà inferiore) prima di unire le due semi fusoliere. Sarà più facile lavorare sulla giunzione orizzontale piuttosto che stuccare la fessura che si creerebbe montando la beaver tail completa. La soluzione adottata da AMK per le rampe mobili delle prese d’aria, molto buona a livello teorico, all’atto pratico si è dimostrata complicata e poco funzionale. Vi consiglio di montare a secco tutto diverse volte e di restringere leggermente con una lima le piastre posteriori. Montate prima queste e solo dopo aver installato tutto il complesso nella fusoliera, aggiungete quelle anteriori. Così facendo sarà più facile assemblare il complesso delle rampe allineando correttamente il tutto alla presa d’aria.

Il vano carrello principale è pure abbastanza antipatico da allineare e va forzato un po’ per restare a posto. Nessun problema invece per le prese d’aria esterne che sono molto precise malgrado la lunghezza e chiudono bene sulla fusoliera inferiore. Il condotto interno, invece, presenta una brutta rugosità dovuta allo stampaggio e richiederà parecchio lavoro. Anche qui mi sorprendo di come questo problema sia passato indenne al controllo qualità, visto che è davvero molto evidente e molto fastidioso.

Parte 2 – La fedeltà al vero: gioie e dolori (anche se forse sono più dolori che gioie)…

Il kit è stato rivisto pesantemente durante la fase di sviluppo ma alcuni aspetti (già emersi durante le prime presentazioni sul web) non sono stati corretti. Malgrado la buona impressione generale guardando i pezzi nella scatola, andando ad analizzare le forme del modello mi sento di dire che qualcosa decisamente non va.

  • Le ruote anteriori sono troppo piccole (10,2mm in scala, dovrebbero essere 11,5mm)
  • Anche le ruote posteriori sono piccole (19,08mm in scala, dovrebbero essere 19,38mm)
  • Il carrello anteriore è leggermente corto (circa 0,8mm. in meno misurato sul perno di retrazione); questo fatto, sommato all’errore nelle ruote, fa sì che tutto l’aereo sembri pendere verso il muso
  • Il parabrezza ha forme e proporzioni sbagliate. Il pezzo poggia troppo in basso sulla linea della fusoliera e se visto di ¾, il problema si nota abbastanza. La lunghezza del blindovetro è scarsa di 1 mm. e la curvatura della parte superiore vicino al frame è spigolosa e poco raccordata. Soprattutto, la base del canopy è più larga di quasi un millimetro rispetto all’originale, alterando di fatto le proporzioni tra i frames e i trasparenti.
  • Gli scarichi General Electric sono lunghi. Credo che contribuiscano alla sensazione di “strano” che si ha guardando la zona posteriore del modello (sono lunghi 15,9 mm. invece di 14 mm.).
  • Come detto sopra, gli scarichi chiusi sono davvero bruttini. Sembra quasi di guardare il GE F404 dell’Hornet! La curva dei petali è troppo dritta, dovrebbe essere più pronunciata. Il diametro sembra comunque corretto.
  • Il radome ha il profilo inferiore che sale verso l’alto troppo repentinamente, cosa che lo fa apparire goffo. Il vero F-14 ha un muso grande ma decisamente filante mentre il muso AMK sembra tozzo e leggermente troppo largo all’altezza dell’ordinata del radar, segno che forse tutta la semi fusoliera anteriore potrebbe essere un pelino larga. Questo difetto comporta anche un’inclinazione delle pareti del cockpit poco accentuata. Se visto di fronte, le paratie laterali dell’abitacolo del vero Tomcat sono abbastanza inclinate mentre nel kit AMK sono più verticali.
  • Il chin pod doppio è sbagliato sia come dimensioni, sia come forme.
  • Le slime light sono a rilievo mentre nel vero sono a filo.
  • La sezione anteriore dei pallet dei Phoenix è riprodotta in modo errato sia in sezione che in profilo.
  • Il bordo d’attacco della parte fissa dell’ala è troppo spesso, facendo sembrare l’aereo impacciato e anche qui, sproporzionato.
  • Nella parte inferiore delle gondole motori mancano 4 fastener del portello di ispezione motore (al vero controllo olio) sulla gondola destra. In quella di sinistra sono invece presenti delle pannellature non presenti sul velivolo reale.

“Curvy” o no?

Ci sono state infinite polemiche e discussioni circa la zona posteriore del kit. Molti modellisti hanno giustificato le forme AMK in tutti i modi, ad esempio sovrapponendo il pezzo C1 del kit su svariati disegni in scala (diversi dei quali di dubbia provenienza), parti di altri kit, fotografie, forme di cartone, prosciutti, sportelli di auto abbandonate e chissà cos’altro…

La questione è complessa ma cercherò di essere il più chiaro possibile: per me, tutta la parte posteriore della fusoliera è abbastanza approssimativa e non riproduce in pieno le forme del vero Tomcat. La curvatura della fusoliera verso i motori è troppo accentuata e la fusoliera in quel punto è larga; il problema diventa evidente se si monta TUTTA la zona posteriore del modello, comprese le carenature dei motori e i motori stessi. Gli errori, piccoli o piccolissimi se presi singolarmente, si sommano portando tutta la zona fuori sagoma e rendendo, di fatto, il nostro povero Tomcat più fuori forma di una pin-up degli anni ’50.

Ma perché nel 2020 ancora si fanno errori simili e le ditte degli anni ’70 tiravano fuori modelli che erano praticamente perfetti nelle forme e nelle proporzioni? Il discorso è lungo ma fondamentalmente dipende dal modo in cui si realizzano i kit oggi rispetto a trent’anni fa.

Negli anni prima del CAD, le ditte si procuravano i progetti (o blue prints, dal colore della carta su cui erano stampati) del velivolo e mandavano una squadra a misurare l’aereo vero. Fatto questo, un masterista realizzava un modello in scala 1/10. Questo prototipo veniva confrontato con i disegni, le foto e le rilevazioni fatte sul campo e corretto in base alle necessità. Quando tutto era a posto, il prototipo in scala grande veniva pantografato nella scala definitiva e da questo venivano tratti gli stampi in acciaio del modello di serie. Questo processo, per quanto lungo e costoso, faceva sì che il prodotto fosse realizzato da persone che avevano visto sia i progetti che il velivolo vero garantendo in qualche modo la fedeltà delle forme che venivano percepite e poi confrontate sui disegni. Il rovescio della medaglia era che il dettaglio ottenibile rimaneva condizionato dalla bravura del masterista e dall’accuratezza dei rilevamenti fatti al vero. Ciò non toglie che alcuni kit progettati negli anni ’70 riescano ancora a tener testa ad alcuni realizzati quarant’anni dopo. Mi vengono in mente l’F-106 Monogram e lo Spitfire Mk.5 Airfix, giusto per citarne un paio. Sto parlando di forme e fedeltà e non di dettaglio, sia chiaro; anche se i vani carrelli e i cockpit Monogram credo siano ancora favolosi, molto più di certe cose che ho visto in alcuni blasonati kit moderni provenienti dall’estremo oriente…

Oggi, grazie al CAD, le cose sono decisamente cambiate (e non sempre per il meglio).

La ditta si procura un set di disegni che non è detto siano quelli originali anzi, a volte provengono da fonti non proprio affidabili. Partendo da questi, un disegnatore CAD inizia a sviluppare le forme del modello per poi scomporre il tutto nei pezzi che troveremo negli sprue. Nel contempo vengono aggiunti tutti i particolari e si verifica che il progetto sia “chiuso”, cioè che non ci siano elementi non gestibili dal software o, peggio, elementi in conflitto tra loro. Alcune ditte arrivano a impiegare la scansione 3D per misurare i velivoli veri ma questa pratica non è ancora diffusa anche se probabilmente prenderà sempre più piede nel futuro prossimo. Una volta che è tutto pronto, i disegni vengono passati a una macchina CNC che realizza direttamente gli stampi, di solito per fresatura o elettroerosione. Gli stampi prototipali sono di metallo più morbido rispetto a quelli definitivi per una ragione di costi e il test shot del modello può anche essere stampato in 3D per verificare rapidamente forme e volumi del pezzo finale, facilitando le correzioni del caso in tempi molto brevi. Parte quindi un processo di QA (quality assurance) che segnala errori e correzioni fino a quando il prototipo è considerato definitivo e pronto per l’industrializzazione. Se è il caso, il QA rimanda indietro il prototipo alla progettazione fino a quando tutto non sia stato sistemato. Quindi, con tutta questa tecnologia a disposizione, perché ci ritroviamo ancora con profili sbagliati e errori più o meno seri nei nostri kit di ultima generazione?

Anche qui, come spesso accade, è una questione di tempi e di costi. Per realizzare una forma curvilinea, è necessario trasformare un disegno 2D in un qualcosa che si sviluppa in 3 dimensioni. Fare questo significa “sezionare” detta forma in migliaia (spesso decine di migliaia) di punti che possano essere interpretati dal software come una curva e non come un poligono. In poche parole più punti vengono rilevati, migliore è la fedeltà alla forma iniziale. In caso di sagome estremamente complesse bisogna, poi, interpolare tutti questi punti (o coordinate) tra loro per disegnare le curve che compongono la sezione finale. I software aiutano il progettista suggerendo, ad esempio, come raccordare una sezione o come scomporre un volume. Il problema è che i software suggeriscono sempre il modo più semplice per risolvere l’equazione ma in aviazione quasi mai la forma più semplice è quella che ritroviamo effettivamente sull’aeroplano. Diciamo che spesso, entro certi limiti, le ditte ritengono queste approssimazioni accettabili consapevoli del fatto che i “conta rivetti” in grado di accorgersene sono in netta minoranza rispetto a chi monterà ugualmente il kit perché “Oh, somiglia a un Tomcat quindi va bene. E poi ha gli aerofreni e le ali aperte, ma vuoi mettere?”.

Quindi, possiamo dire che i fattori che impattano pesantemente sul risultato finale sono essenzialmente due:

  • L’abilità del disegnatore nel “capire” l’andamento di una sezione per poi tradurla in coordinate da fornire al software CAD senza usare scorciatoie.
  • Il tempo che si è disposti a spendere sul progetto. Ovviamente più tempo si ha, migliori saranno le approssimazioni che poi diventeranno il disegno da dare in pasto alle macchine CNC. Nel tempo bisogna ovviamente includere anche il processo di correzione/QA del progetto: più tempo e risorse si dedicheranno a questa fase migliore sarà il prodotto finale.

Questo spiega anche il motivo per cui se sovrapponiamo un pezzo a un disegno, questo magari coincida senza differenze apprezzabili. Stiamo guardano un pezzo tridimensionale poggiato sopra un disegno bidimensionale, che per sua stessa natura non può fornire riscontri volumetrici o nelle sezioni trasversali del pezzo.

Tornando ai nostri modelli, è ovvio che aerei con forme molto complesse (mi viene in mente l’YF-23, un vero incubo di forme complesse e raccordi complicati che infatti è stato clamorosamente sbagliato nella sua reincarnazione in 1/48) siano difficili da riprodurre partendo dal foglio bianco. Nel caso del nostro Tomcat AMK, ho la sensazione che sia successo qualcosa di simile. Non sapremo mai quali siano state le circostanze esatte, ma credo che qualcosa a livello di progettazione e QA non sia andata esattamente come ci si aspettava.

Analizzando le forme del modello più in dettaglio, ho riscontrato queste che per me sono le “anomalie” più evidenti del kit:

  • Il profilo sopra il perno dei taileron scende facendo una specie di “S” che nella realtà non esiste (la fusoliera in quel punto è molto meno sinuosa). In quella zona specifica, nel kit è presente una specie di depressione come se qualcuno avesse premuto sulla fusoliera facendola rientrare verso il basso.
  • Lo spessore della parte compresa tra il gonfiabile e la cerniera del portello motore è molto più raccordata e dall’andamento più dolce. L’angolo della paratia sotto al taileron è maggiore e quindi la parete più inclinata.
  • Il vano della sonda è spostato verso l’alto, presupponendo che lo sviluppo del cono del muso sia anch’esso spostato di qualche grado verso l’alto o comunque poco fedele.
  • Nella parte superiore della fusoliera, bisogna separare le due sezioni seguendo il pannello già presente. Nel vero F-14 c’è una fessura evidente tra le due parti.
  • La sezione della coda è più larga di quasi 3 mm. rispetto al prototipo. Quindi sì: è CURVY, anche se per qualcuno di poco o niente (per me di molto, ma si sa io sono un conta rivetti senza speranza).

Come faccio a dirlo? Semplice, “so contare!” (cit. Jack Swigert, Apollo 13 CSM pilot).

In realtà, ho semplicemente misurato e ribattuto la fusoliera usando dei disegni di provenienza certa. In particolare, ho usato una copia digitale del foglio A51F0911 della Grumman Corporation, code 26512. La misurazione è stata fatta alla station 7025 corrispondente (per darvi un riferimento) al centro delle griglie presenti sotto la deriva. La station è stata scelta perché è il punto più largo della fusoliera e anche perché è facilmente individuabile sul modello e sul disegno.

(Una piccola nota polemica a margine. Questi disegni sono disponibili pubblicamente in quanto declassificati e si possono acquistare facilmente sul web per una quindicina di dollari. Sono in scala 1/10, data la mia passione per il Tomcat non ci ho pensato un attimo e li ho comprati subito. Sono bellissimi, sto pensando di stamparli in grandezza naturale e appenderli nel mio studio. A volte o ci si accontenta o si prova venire a capo delle questioni in modo meno approssimativo e più documentato. In una parola, facendo ricerca e documentandosi).

Andiamo a vedere i risultati:

F-14 larghezza alla stazione di fusoliera 7025 riportata in 1/48: 94,31 mm.

F-14 AMK larghezza alla stazione di fusoliera 7025 misurata in 1/48: 97,79 mm.

(Attenzione, spoiler! F-14 Tamiya larghezza alla stazione di fusoliera 7025 misurata in 1/48: 94,69 mm.)

Quindi tra il disegno Grumman e il kit AMK ballano 3,48 mm. Non molto in realtà, stiamo parlando di un errore del 2% sul totale della larghezza di fusoliera che in quel punto, al vero, è larga circa 4500 mm. o di una differenza di circa 17 cm. totali.

Questa è la fredda analisi. In realtà, c’è qualcos’altro che va considerato. In generale, guardando il modello, ho la percezione nettissima che ci sia qualcosa che non va, che qualcosa sia sbagliato. Che siano le proporzioni generali o alcune parti specifiche del modello, la sensazione che l’aereo sia “strano” non riesco proprio a farmela passare. Le curve e i raccordi sono approssimativi, le lunghezze e le proporzioni sono sballate e non rendono giustizia alle forme dell’aereo vero. Sembrerà a un Tomcat una volta costruito? Si, senza dubbio. Ma a un esame più attento non cattura tutte le forme e le sfumature dell’F-14D. È un bel modello, ma sistemarlo per renderlo più “accurato” è probabilmente troppo complesso senza un rifacimento totale della fusoliera. Il fatto che anche le misure siano discrepanti con il reale non fa altro che confermare questa mia sensazione che mi lascia l’amaro in bocca.

Sì OK, ma il Tamiya invece com’è? Questa risposta, miei cari amici gattari, ve la darà la seconda puntata!

“Negative AMK, the pattern is full!”

Vi aspetto per la seconda puntata! Fulvio “Spillone” Felicioli.

Fast Eagle 107 – The Sukhoi Killer! F-14 A Tomcat dal kit Tamiya in scala 1/48.

Il 19 ottobre 1973 la Libia intraprese un’azione unilaterale volta ad estendere il limite delle proprie acque territoriali rivendicando l’intero Golfo della Sirte come territorio nazionale. Il leader Mu’ammar Gheddafi fissò il confine tracciando una linea di base della lunghezza di 302 miglia nautiche coincidente con il parallelo 32° 30′ N detta “linea della morte”, il cui attraversamento avrebbe comportato un’immediata reazione militare.

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La decisione del paese nordafricano violava le norme del vigente diritto internazionale in materia di delimitazione delle acque territoriali e fu di conseguenza disconosciuta da quasi tutti i governi del mondo. In particolare la reazione degli Stati Uniti fu immediata e la U.S. Navy iniziò a condurre delle missioni “FON” (Freedom Of Navigation) all’interno dell’area reclamata dalla Libia per dimostrare l’infondatezza delle pretese avanzate. In due occasioni, tra il 1973 e il 1980, caccia libici aprirono il fuoco contro ricognitori americani: la prima volta contro un C-130, la seconda contro un EC-135, mancando i bersagli in entrambi i casi.

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Nell’agosto del 1981 il neo eletto presidente Ronald Reagan decise di intensificare le operazioni dispiegando nell’area le portaerei USS Forrestal e USS Nimitz; come risposta la Libia rischierò un gran numero di velivoli nella zona, tra cui Mirage V, Mig-25, Mig-23, Mig-21 e SU-22. Il 18 agosto ci fu il primo confronto tra i due schieramenti quando un gruppo di 32 aeroplani libici, composto da vari Foxbat, Fishbed e Mirage, tentò di forzare il blocco di alcuni Tomcat e Phantom posti a difesa della flotta. Dopo svariate manovre per tentare di ottenere una posizione di supremazia, lo scontro si risolse in un nulla di fatto e i velivoli rientrarono alle rispettive basi. Ma il giorno successivo gli avvenimenti presero una piega differente…

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Il 19 agosto l’F-14A AJ107, codice di chiamata radio Fast Eagle 107, del VF-41 “Black Aces” fu lanciato dal ponte della USS Nimitz per una missione CAP (Combat Air Patrol) a largo della Libia; ai comandi il Tenente Larry “Music” Muczynski e il Naval Flight Officer Tenente James Anderson. Dopo il primo rifornimento in volo i piloti si diressero verso la zona denominata CAP Station 4, dove si ricongiunsero con un altro Tomcat del VF-41, l’AJ102 – Fast Eagle 102 – pilotato dal comandante di gruppo Cdr Henry “Hank” Kleemann e il Tenente David “DJ” Venlet. Dopo 45 minuti nella zona a loro assegnata i due Tomcat virarono a sud per l’ultima orbita della CAP prima di fare rotta verso il tanker per il secondo rifornimento, quando Venlet nel Fast Eagle 102 rilevò una traccia radar in avvicinamento da uno degli aeroporti libici che stava controllando. Pochi secondi dopo anche Anderson acquisì il segnale confermando che due aerei nemici stavano puntando la coppia di F-14. Kleeman assunse il comando della formazione mentre Muczynski si separò portandosi a due miglia ad ore sei dal leader, circa 800 metri sopra di esso. Man mano che la distanza diminuiva gli F-14 cercarono di guadagnare una posizione favorevole di attacco ma ad ogni manovra i velivoli libici rispondevano annullando il vantaggio degli americani; entrati in un raggio di circa 8 miglia Kleemann avvistò i due ostili identificandone almeno uno come Sukhoi 22 Fitter, l’altro come probabile Mig-23 Flogger (la storia ci insegna che entrambi fossero in realtà SU-22). Contemporaneamente Muczynski iniziò una lunga virata per posizionarsi ad ore 4 rispetto i due Su-22. Quando l’AJ-102 arrivò a circa 1000 piedi di distanza uno dei due Fitter libici fece fuoco con un missile che passando sotto il Tomcat si perse mancando nettamente il bersaglio. A questo punto fu chiaro che l’atteggiamento degli avversari era ostile e secondo le regole d’ingaggio previste gli americani erano autorizzati a rispondere immediatamente senza ulteriori autorizzazioni. Subito dopo l’attacco i Fitter aprirono la formazione salendo con il leader che virava verso sinistra e il gregario a destra: sfruttando la sua posizione Muczynski picchiò bruscamente virando a sinistra verso il capo formazione, seguito da Kleemann che copriva il lato cieco. Dopo alcuni istanti lui stesso, notando che la posizione dell’AJ-107 era ottimale, tornò indietro verso il gregario che in quel momento era contro sole e non poteva essere inquadrato con precisione; attese, quindi, qualche istante e a circa tre quarti di miglio lanciò un AIM-9L dal pilone sinistro che esplose a pochi metri dal Su-22 danneggiando parte della coda. L’impatto delle schegge distrusse il vano del parafreno che si aprì in volo facendo precipitare il velivolo con una lenta spirale; il pilota riuscì ad eiettarsi con successo.

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Nel frattempo l’AJ-107 si avvicinò ulteriormente al Fitter del leader che aveva completato la manovra ascendente e si stava preparando a virare per scendere nuovamente verso i due Tomcat ma, poco prima che potesse iniziarla, “Music” riuscì a posizionarsi perfettamente ad ore sei sparando il Sidewinder dalla Station 1A (medesimo pilone da cui era partito l’ordigno di Kleemann) che centrò in pieno l’ultimo SU-22. Il missile si infilò direttamente nello scarico facendo esplodere il Sukhoi in tanti piccoli pezzi; Music temette di risucchiarli nelle prese d’aria del suo F-14 danneggiando i motori per cui eseguì una violenta cabrata di 6g per allontanarsi immediatamente. All’apice un mezzo tonneau si portò di nuovo in vista del Su-22 che stava precipitando in mare; Il pilota tentò di eiettarsi ma il paracadute non si dispiegò uccidendolo all’impatto con la superficie dell’acqua.

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La durata totale del combattimento fu di soli 45 secondi, in questo breve lasso di tempo l’AJ-102 e 107 divennero i primi Tomcat al mondo ad abbattere due aeroplani nemici entrando di fatto nella leggenda!

Un interessante estratto delle comunicazioni radio di quel fatidico giorno le potete ascoltare QUI!

Il modello:

I conflitti del medio oriente sono, da sempre, un argomento che mi affascina e stimola la mia curiosità. Per tale motivo l’idea di realizzare in scala uno dei due F-14 protagonisti del così detto “incidente del Golfo della Sirte” mi ronzava in testa già da parecchio tempo. L’uscita del kit Tamiya ha dato ulteriori input a tale progetto, tanto che alla fine mi sono convinto di metterlo sul banco e testare io stesso l’eccelsa qualità del prodotto di cui tutti, e non solo sul web, tessono le lodi. Ho deciso di riprodurre il Fast Eagle 107, il velivolo di Muczynski e Anderson, perché tra i due è quello che modellisticamente trovo più interessante per tutta una serie di motivi che spiegherò nel corso di questo articolo… se avrete pazienza di proseguirne la lettura!

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L’F-14A Bu. No 160390- AJ107 (appartenente al Block 95) fu commissionato nell’anno fiscale 1976. Assegnato al VF-84 a gennaio del 1978 fu poi trasferito al VF-41 “Black Aces” dove divenne, come riportato nell’introduzione, un Sukhoi Killer. Per riprodurlo nella scala del quarto di pollice la scatola Tamiya 61114 è praticamente già pronta e dispone di (quasi n.d.r.) tutto il necessario per un Tomcat delle prime serie costruttive.

Tomcat 2 Tomcat 3

Lo stampo è, senza dubbio, bellissimo con pannellature delicatamente incise e particolari finissimi. Alcune soluzioni di montaggio proposte dalla casa di Shizuoka lasciano piacevolmente stupiti e, in generale, la scomposizione dei pezzi è veramente ben studiata (anche se un paio di scelte, a mio avviso, sono poco logiche… parlerò anche di questo).

Ovviamente anche un modello “perfetto” a mio avviso è “perfettibile”, per cui ho deciso di dotarmi di alcuni aftermarket come mia abitudine. Ecco la lista:

  • Aires 4713 Exhaust Nozzle Varied: gli scarichi da scatola sono senza dubbio già belli… ma comunque non paragonabili a quelli in resina della Aires. Ho scelto il set che prevede uno scarico aperto ed uno chiuso, posizioni che normalmente assumevano a terra e che derivavano dalla caduta di pressione del circuito idraulico. Anche questa è una delle caratteristiche peculiari del famoso caccia della Grumman.
  • Aires 4715 Cockpit Set: posso affermare con assoluta certezza che questo è, contemporaneamente, l’abitacolo più bello e più complicato da adattare su cui io abbia mai lavorato. Ha un dettaglio e una nitidezza che non avevo mai visto nei precedenti accessori della ditta ceca ma richiede un impegno molto gravoso per poter essere inserito all’interno delle fusoliere.  
  • CrossDelta CD48002 Anti-Skid/Formation Lights: questo set contiene le zone anti sdrucciolo che erano applicate sopra le prese d’aria. Sono in alluminio adesivo e riproducono benissimo il rivestimento “anti skid” dei tamponi. Sono fornite anche le piastre di rinforzo dei predellini di salita all’abitacolo e le luci di formazione, entrambi non utilizzati sul mio modello.
  • Hobby Decal 48003M1 Alpha Probe: la sonda è tornita in metallo e molto resistente agli urti (testata personalmente!) ma è ideata per il vecchio kit Hasegawa. Può essere utilizzata anche sul Tamiya ma questo comporta un non facile lavoro di adattamento, al suo posto consiglio l’utilizzo del prodotto Master 48007.
  • Brassin 648304 F-14A Wheels EARLY: poca spesa, molta resa. Consigliate per dare un tocco di dettaglio in più al modello finito!
  • Brassin SIN64828 Weapons Set + Brassin 648029 AIM-9L Sidewinder: i due set in accoppiata includono tutti gli armamenti per l’AJ-107. Nel BigSin 64828 sono presenti gli AIM-9G/H non utilizzabili dato che gli abbattimenti avvennero grazie a due AIM-9L. A conti fatti sconsiglio l’acquisto di questi prodotti, spiegherò il motivo in un capitolo a parte.
  • Quickboost 48831 Tail Reinforcement Plates: le piastre di rinforzo sulle derive dei Tomcat furono installate a partire dal 1978 ed entro il 1981 quasi tutti gli esemplari ne erano provvisti. Il Fast Eagle 107 rientrava tra questi e devono, quindi, essere aggiunte al kit che rappresenta le derive “early.
  • Eduard EX540 Express Mask: nella confezione la Tamiya già fornisce un set di mascherine adesive per i trasparenti che però, a differenza delle Eduard, devono essere ritagliate dal modellista.
  •  Eduard 49096 F-14A Fabric Seatbelts: le cinture di sicurezza in tessuto danno veramente una marcia in più ai seggiolini rispetto a quelle fotoincise incluse nel set Aires. Davvero consigliate!
  • Furball F/D&S 4808: il foglio decal è di ottima qualità ma presenta degli errori che tratterò nel corso dell’articolo.

Cockpit:

Come scritto qualche riga sopra, l’abitacolo presenta una difficoltà tale nell’inserimento che merita un discorso a parte. Attualmente sul mercato esistono due accessori dedicati: quello oggetto di questo capitolo e il Brassin. Il secondo è basato sulle vasche da scatola e si innesta senza ulteriori adattamenti nelle fusoliere, ma è meno dettagliato e soprattutto non fornisce la struttura interna del canopy che la Aires ha rappresentato in maniera davvero eccellente! Posso tranquillamente affermare che la mia scelta è stata quasi del tutto influenzata dalla presenza di questo elemento.

Le operazioni di adattamento hanno avuto inizio con l’asportazione dei riscontri originali e l’assottigliamento della plastica dove indicato dalle frecce azzurre. Munitevi di una buona mascherina e di tantissima pazienza perché sarà necessario eliminare molto materiale in eccesso.

Tomcat 6 Tomcat 4

In particolare devono essere ridotti gli spessori degli scassi per i predellini di salita altrimenti la fusoliera viene sottoposta ad una pressione laterale eccessiva da parte dell’abitacolo.

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La vasca originale poggia sul complesso del pozzetto carrello anteriore che, in pratica, funge anche da perno di riscontro per l’intero abitacolo. Nel tentativo di recuperare quanti più decimi di millimetro possibili in altezza ho dovuto limare le zone indicate in foto. Ho anche asportato i due perni centrali poichè interferivano con il blocco Aires; in ogni caso, ai fini dell’allineamento questi non risultano fondamentali (al contrario degli altri).

Tomcat 7 Tomcat 8

Dopo aver trattato la plastica sono passato alla resina iniziando a ridurre l’altezza della vasca che, come scritto sopra, è un blocco unico. Dalla sua base alla piastra del cannone del seggiolino eiettabile del pilota deve misurare al massimo 1,65 cm per poter entrare correttamente nel proprio alloggiamento. Qualora si rimanesse al di sopra il cockpit risulterà troppo alto non permettendo alle paratie laterali e ai frame di battuta del canopy di incastrarsi a dovere. Ricordatevi che in questa fase è fondamentale eseguire decine e decine di prove a secco per controllare le dimensioni delle varie parti in gioco!

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Purtroppo per raggiungere tale valore è inevitabile “bucare” il pavimento dell’abitacolo anteriore che è impreziosito da un bel dettaglio interno. Per non perderlo del tutto ho asportato la “sfoglia” di resina utilizzando un bisturi affilato prima che si frantumasse del tutto, poi l’ho incollata nuovamente su un supporto in Plasticard dopo aver terminato tutte le necessarie modifiche.

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Le frecce in rosso indicano i punti in cui alla vasca è stata data una forma tondeggiante per conformarsi meglio alla fusoliera, quelle in giallo indicano degli scassi al cui interno possono incastrarsi i perni del pozzetto carrello.

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A questo punto ho verniciato tutto con il Dark Compass Ghost F.S. 36320, Gunze H-307; è d’obbligo precisare che l’abitacolo dell’F-14 era in grigio F.S. 36231 ma tra lavaggi e invecchiamento il tono utilizzato è comunque convincente. Le consolle laterali sono in nero Vallejo a pennello, i vari pulsanti il Silver Grey Vallejo più qualche elemento in rosso e giallo (pochi e sempre in accordo con la documentazione).

Tomcat 17 Tomcat 16

Sulla vernice non protetta ho eseguito il classico “washing” con un grigio abbastanza scuro ad olio (mix di Bianco di Marte e Nero Avorio Maimeri); sulla paratia laterale sinistra, anteriormente, era presente una sacca porta documenti che ho verniciato in Olive Drab Vallejo. Alla fine ho protetto con una mano abbondante di Flat Clear H-20 Gunze diluito con la nitro al 70%.

Tomcat 15

I tanti dettagli dell’abitacolo sono stati messi in evidenza con la tecnica del dry brush che personalmente eseguo sempre con colori ad olio puri prelevati direttamente dal tubetto (il pennello deve essere molto scarico durante l’esecuzione). Sulla strumentazione ho usato un grigio medio mentre sul resto della vasca ho preferito direttamente il sopracitato bianco.

Tomcat 14

Inoltre ho eseguito una profilatura con nero Vallejo molto diluito lungo le incisioni che simulano lo stacco dei vari pannelli sulle consolle laterali. Per l’operazione ho sfruttato la punta sottile di un pennello doppio zero, la tecnica ha contribuito a dare maggiore profondità e definizione a tutta la vasca.

Tomcat 19 Tomcat 18

La palpebra del cruscotto del pilota è leggermente più corta del previsto e lascia intravedere un antiestetico vuoto dopo aver montato il parabrezza, per tale motivo l’ho allungata di quel tanto che basta utilizzando la pasta bi-componente Magic Sculpt. Una volta asciutta l’ho modellata e carteggiata per farla sembrare il naturale prolungamento del pezzo.

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Rimanendo sulle palpebre, quelle dei primi Tomcat erano ricoperte, in gran parte, da teli scuri fatti di un materiale simile alla pelle che nascondevano i cablaggi della strumentazione; le “coperte” erano molto soggette all’azione del sole e, soprattutto, della salsedine che le scoloriva facendole tendere al verde violaceo già dopo pochi mesi. A seguito di svariate prove con i vinilici Vallejo ho trovato la mescola indicata qui sotto:  

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Il colore è stato successivamente trattato con dei washing abbastanza pesanti in Bruno Van Dyck e, per concludere, ho eseguito il dry brush ad olio con ocra gialla, bianco e grigio, aggiungendo altri lavaggi selettivi in nero solo nelle pieghe per aumentarne la profondità.

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I seggiolini Aires mantengono la bellezza del resto dell’abitacolo e sono già buoni come forniti dal produttore; giusto il posteriore assume una posizione poco corretta una volta infilato nella vasca poiché rimane troppo staccato dalla struttura e dal tubo del cannone che contiene la carica esplosiva. Per ovviare al piccolo inconveniente ho scavato la resina nel punto indicato dalla foto per farlo aderire meglio alla paratia del cockpit.

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Come anticipato le cinture fotoincise sono state scartate e sostituite con quelle in tessuto. Le cinghie dei GRU-7A avevano un andamento molto particolare e complicato da riprodurre con le PE (photoetch) che sono rigide e difficili da plasmare.

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Le Eduard sono pre colorate e hanno una tonalità davvero poco realistica, per cui ho deciso di sovra verniciarle con l’H-307 Gunze e sigillarle con una leggera mano di trasparente lucido; esso è propedeutico per eseguire il lavaggio e mettere di nuovo in risalto la trama e le cuciture già stampate sopra. Il materiale con cui sono fatte è un elastomero tagliato al laser che reagisce facilmente a contatto con colle e solventi (tende ad arricciarsi), per questo è necessario proteggerle per evitare che si rovinino.

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L’installazione di queste cinture è un procedimento che può mettere in serio pericolo la stabilità mentale di qualsiasi modellista! Personalmente ho fissato i seggiolini su dei supporti utilizzando una pallina di Patafix, poi ho incollato un’estremità della cinta in posizione utilizzando solo un velo di cianoacrilica; a questo punto utilizzando due pinzette, una per ogni mano, ho lavorato e piegato le varie sezioni per fargli assumere la forma voluta… un lavoro che fa sudare le proverbiali sette camicie. Non ho seguito pedissequamente le istruzioni perché alcuni passaggi sono complicati ed inutili da riprodurre, in definitiva è meglio far riferimento alle immagini dei sedili reali per farsi un’idea più chiara.

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Tutte le tinte indicate sono Vallejo e alcune le ho ottenute mixando varie boccette. Perdonatemi se non vi fornisco le percentuali precise ma, in questo caso, ho sperimentato in corso d’opera aggiungendo volta per volta i pigmenti per ottenere il risultato più veritiero. In ogni caso ho segnalato i colori di base.

Tomcat 51 Tomcat 50

Ovviamente ho variato i toni eseguendo dei lavaggi mirati (ad olio, con toni terrosi) che hanno portato al risultato finale. Anche il dry brush, eseguito con colori ad olio grigio (sul nero), verde vescica e ocra gialla (sui cuscini), ha fatto in modo che i seggiolini acquistassero volume e dettaglio.

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L’ultimo upgrade eseguito sul cockpit ha riguardato il proiettore dell’Head Up Display (sugli F-14A i parametri erano riflessi direttamente sul blindovetro del parabrezza). La lente l’ho simulata fustellando un tondino da quello che gli anglosassoni chiamano “confetto”; il termine è molto lontano da quello che utilizziamo correntemente noi… Non si mangiano, bensì sono dei coriandoli di plastica rivestiti di una pellicola iridescente che cambia colore a seconda di come viene colpita dalla luce.

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Simulano perfettamente l’effetto prismatico dell’HUD e fa davvero un bell’effetto (grazie all’amico Fulvio del forum di Modeling Time per il suggerimento).

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Montaggio:

Inutile sottolineare come lo stampo Tamiya sia un capolavoro di ingegneria tale che i vari pezzi si montano senza necessitare del minimo uso di stucco, ma al mondo nulla è perfetto e alcune fasi della costruzione necessitano di qualche cura in più.

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Per chiudere il troncone di coda bisogna necessariamente prima completare le grandi prese d’aria la cui scomposizione è molto logica. Il condotto interno è diviso in due parti che combaciano quasi alla perfezione; personalmente le ho incollate con abbondanti spennellate di Tappo Verde che ha creato un piccolo cordolo di plastica lungo la giunzione interna. Una volta asciutta l’ho carteggiata con tamponi abrasivi da 600 fino alla 4000 per eliminare tutte le fessure.

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I colori utilizzati sono il Mr. Paint MRP-98 (36440) per la parte iniziale, per la parte finale ho utilizzato un Off White aggiungendo qualche goccia di Nato Black al Flat White Tamiya. Ho anche approfittato per mascherare il labbro anti ghiaccio e stendere una prima mano di White Aluminium Alclad. Lo stesso metallizzato l’ho usato anche sulle ventole di bassa pressione. Sulle palette, anche se saranno poco visibili a modello ultimato, ho eseguito un lavaggio in grigio scuro ad olio.

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K15 e K14 sono una sezione delle gondole motore e vanno aggiunte per completarla in lunghezza; sono due rari casi in cui i pezzi faticano a rimanere in sagoma e per evitare carteggiature invasive (nella zona sono presenti tantissime pannellature che possono deteriorarsi) ho preferito assottigliarne il bordo interno e risolvere agevolmente il problema. Le piccole fessure le ho riempite col Magic Sculpt che, tra l’altro, ha quasi lo stesso colore dello stirene Tamiya.

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Rimanendo in questa zona quella contrassegnata è una fastidiosa linea di stampo, presente su entrambe i lati, che è quasi invisibile ad occhio nudo… ma ben riconoscibile sotto il primo strato di vernice. Non dimenticate di eliminarle con una leggera carteggiata prima di passare oltre.

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Alcuni pezzi dello stampo sono in comune con l’ultima scatola uscita, quella dedicata alla variante D, quindi ricordatevi di eliminare questa porzione di plastica dalla semi fusoliera superiore e inferiore. Il labbro evidenziato dalla foto era presente solo sui D a seguito della sostituzione dei vecchi Pratt & Whitney TF-30 con i più moderni General Electric F-110.

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A proposito di motori, l’adattamento di quelli in resina ha richiesto circa un’ora di lavoro:

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Il jet pipe si deve infilare all’interno dei pezzi K8 e K9 del kit e per fare ciò bisogna ridurre la circonferenza del tubo in resina di qualche decimo di millimetro. Allo stesso modo è utile eliminare i riscontri dall’anello in plastica ed assottigliarne lo spessore interno:

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Dalla fusoliera vanno fresati i riscontri contrassegnati dalle frecce in blu:

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Per ciò che riguarda la verniciatura, l’interno ceramico è in bianco opaco Tamiya; a seguire ho riprodotto le striature dei gas combusti che si possono riscontrare in tantissime foto stendendo prima il Deck Tan XF-55 Tamiya e dopo, sopra di esso, del nero opaco. Un lavaggio ad olio in Bruno Van Dyck molto scurito e delle passate di pigmento Tamiya “Snow” hanno amalgamato le scie.

Tomcat 74

Studiando i tanti walkaround e libri disponibili sul Tomcat ho notato che la Tamiya ha rappresentato i pallet dei missili Phoenix in maniera non del tutto realistica chiudendone completamente il retro. Nella realtà sono così:

Immagine inserita a scopo di discussione – fonte www.cybermodeler.com

Non volendo lasciare i pezzi incompleti mi sono armato di righello e calibro ed ho messo in funzione il mio plotter da taglio:

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Dopo aver disegnato da zero il fondo dei rail ho tagliato la nuova paratia su del Plasticard da 0,1 mm di spessore. Ho aggiunto anche i connettori mediante un pezzo di tubicino d’ottone da 0,4 mm.

Tomcat 73

A mio avviso la zona meno curata del modello è quella del carapace. Dopo le prime prove a secco mi sono reso conto che esso era troppo distanziato dall’ala:

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Sul velivolo vero era così:

Immagine inserita a scopo di discussione – fonte www.cybermodeler.com

Come primo passo ho segato ed asportato, lavorando dall’esterno, il grande supporto evidenziato dalla freccia:

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Poi è arrivata la fase più critica dove ho scaldato la plastica con un asciuga capelli e, mediante una pinza a becchi piatti, ho forzato il lembo verso il basso così da fargli chiudere maggiormente la fessura e arrivare quasi a battuta sull’ala. La freccia indica i segni bianchi dello stirene che si è dilatato… fa una certa impressione vederli ma se ponete la giusta attenzione utilizzando poco calore per volta il dettaglio di superficie non viene intaccato.

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Passo ora alle derive: dalle prime prove a secco ho riscontrato un eccessivo spessore dei pezzi D23 e D24 che creano un anti estetico scalino rispetto ai corrispondenti D21 e D22; per questo ho raschiato via un po’ di stirene dalla faccia interna ottenendo, infine, un allineamento pressoché perfetto. 

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Come detto l’F-14A Bureau Number 160390 era già dotato di piastre di rinforzo sulla sommità degli impennaggi (al contrario del 160403, coprotagonista dell’abbattimento, che non era ancora stato oggetto di retrofit). Per installare il set Quickboost è necessario eliminare, con estrema attenzione e con un bisturi affilato, tutti i rinforzi già stampati dalla Tamiya:

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A seguire ho reinciso le pannellature perse e applicato le nuove “stiffner plate” in resina e fotoincisione; le ho assottigliate per quanto possibile in modo da farle sembrare più in scala e, per fortuna, a verniciatura ultimata la loro altezza non è poi così evidente.

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I pozzetti carrello del kit hanno un buon dettaglio delle centine e dei componenti basici, ma ovviamente sono carenti di tutte le tubazioni idrauliche, i collegamenti elettrici ed alcuni accumulatori di pressione. Per riprodurli ho utilizzato sprue stirato a caldo, rame, stagno dai vari set della PlusModel (in particolare quello misura 0,2 mm) e alcuni componenti di microelettronica che sono utilissimi in queste situazioni.

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Gli stessi materiali li ho impiegati anche per dettagliare le gambe di forza dei carrelli. Su quello anteriore, in particolare, ho aggiunto i bulloni che fissano il compasso anti torsione che ho ricostruito con due tubicini di ottone infilati l’uno dentro l’altro.

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Sempre sul compasso, guardando le foto dei velivoli reali, ho notato uno smorzatore dinamico che probabilmente ne regolava l’escursione quando lo stelo idraulico dell’ammortizzatore veniva scaricato per il lancio dalla catapulta. L’ho auto costruito sfruttando una sezione di corda di chitarra, più precisamente il RE con scalatura 8/38.

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La struttura interna del canopy è l’elemento più bello e significativo del set Aires, ma è comunque migliorabile! guardando le foto dell’originale, infatti, si notano i tubi del sistema “demister” (anti appannamento) correre lungo i frame laterali:

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I posteriori li ho realizzati con dello sprue filato a caldo, gli anteriori (con delle forme più elaborate) con del filo di rame. Tutti sono stati incollati con ciano-acrilica.

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Uno dei passaggi più delicati di questa fase è senza dubbio il montaggio delle fotoincisioni che dettagliano i frame verticali interni del canopy (forniti in fotoincisione e molto belli da vedere). Per renderle più malleabili e conformarle con più facilità le ho scaldate sulla fiamma di un accendino poi, con pazienza e cautela, le ho applicate in posizione utilizzando delle micro gocce, anche in questo caso, di ciano-acrilica.

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Non dimenticate, inoltre, di eliminare la linea di stampo presente al centro del tettuccio. Il metodo utilizzato lo potete vedere in questo VIDEO TUTORIAL.

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Gli elementi che permettevano la salita dell’equipaggio nel cockpit sono stati elaborati. La scaletta originale, in particolare, è stata del tutto sostituita con quella della Kokopelli Scale Design che è un piccolo gioiello stampato con la tecnica della modellazione 3D. Ha molti dettagli e degli spessori perfettamente in scala, di contro ha un costo decisamente elevato per un accessorio di così ridotte dimensioni. All’interno dell’alloggiamento ho aggiunto un tubolare di rinforzo con una sezione di Plastirod tondo da 0,5 mm e alcuni cavi elettrici ricavati dal filo di stagno da 0,2 della Plus Model.

Tomcat 108

Nei vani dei predellini, in cui la Tamiya non ha aggiunto nessun particolare, erano installate delle piastre di rinforzo rivettate alla struttura; se si lasciano aperti, questi elementi risultano molto visibili e per tale motivo non potevo non aggiungerli.

Tomcat 107

Le piastre le ho disegnate mediante il programma grafico del plotter da taglio e, a seguire, sono state tagliate su di un foglio di nastro Kabuki che ha il giusto spessore e già adesivo.

Tomcat 110

Dopo averle trasferite sulla plastica nuda ho steso una mano di Mr. Finishing Surface 1500 White della Gunze, che è già bianco come il colore finale delle baie, ho applicato i Surface Details #14 della Archer (codice prodotto 88014). Questi sono dei rivetti in positivo di plastica fissati su di un film trasparente che si utilizzano come una decalcomania e si fissano mediante il Mr. Mark Softer della Gunze. Li ho aggiunti anche all’interno del portellone della scaletta in accordo con le immagini contenute nel volume “Uncovering the F-14 Tomcat” della DACO.

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Ovviamente ho modificato anche i predellini stessi che da scatola sono davvero poco realistici. Nella foto sopra a sinistra il Tamiya, a destra lo stesso dopo la modifica.

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In pratica ho riprodotto le cerniere di blocco forando la plastica (non sono perfettamente fedeli ma il ridotto spazio a disposizione non permetteva di più) e ho aggiunto la “skin” esterna del velivolo, che si vede chiaramente nelle foto degli esemplari veri, incollando i pezzi originali su d’un foglietto in fotoincisione ricavato dalle cornici di un vecchio set Eduard.

Tomcat 136

Il rivestimento anti skid è realizzato con uno strato di Mr.Surfacer 1000 “picchiettato” con un pennello a setole piatte e dure mentre asciugava.

II parabrezza di questo modello è studiato in maniera molto intelligente e sul modello da scatola si incastrerebbe alla perfezione senza necessità di stucco. Nel mio caso, però, il cockpit Aires ha spostato un po’ le geometrie di questa zona ed è stato necessario riempire qualche piccola fessura con la cianoacrilica e carteggiare il tutto. L’operazione è stata abbastanza delicata a causa della gran quantità di rivetti e pannellature riprodotti sulla superficie.

Tomcat 120

In ogni caso prima di montare il windshield ho verniciato il blindovetro centrale con l’Armored Glass della Alclad steso puro e direttamente sulla superficie interna constatando che la tonalità di verde è perfetta per i Tomcat; inoltre ho aggiunto due supporti in Plasticard su cui, nel finale, ho incollato una maniglia fotoincisa (fornita alla Aires) che il pilota poteva utilizzare per uscire dall’abitacolo.

Tomcat 118 Tomcat 117

Con il montaggio quasi concluso mi sono dedicato alle rifiniture aggiungendo, dapprima, i tamponi anti sdrucciolo della CrossDelta di cui ho parlato all’inizio del testo. La loro applicazione può sembrare complicata ma con un piccolo accorgimento si bypassa la difficoltà: il mio consiglio è quello di far aderire bene le parti al rivestimento trasparente che le ricopre e, solo dopo, staccarle dal supporto inferiore. Così facendo rimarranno correttamente distanziate e potranno essere trasferite sul modello facendo comunque attenzione al corretto allineamento (personalmente mi sono regolato con le pannellature già presenti).

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Un elemento poco visibile, ma su cui ho deciso di mettere comunque mano, è il gancio d’arresto… quello reale segue:

Immagine inserita a scopo di discussione – fonte www.anft.net/

Questo, invece, il Tamiya da scatola molto semplificato:

Tomcat 112

In verde: Ho riprodotto il martinetto idraulico che permette al gancio di estendersi; è fatto di due tubicini della Albion Alloy (quello più grande da 0,5 mm, il più piccolo da 0,4) infilati l’uno dentro l’altro.

In rosso: Con un’altra piccola sezione del tubicino da 0,5mm ho realizzato il perno di fissaggio del gancio.

In giallo: Dopo aver eliminato parte della plastica del kit per “liberare” il perno di supporto del gancio ho aggiunto, utilizzando una strisciolina recuperata dal telaio di una fotoincisione, la staffa che lo collega al martinetto per l’estensione.

Tomcat 115

Già che ero all’opera ho anche aperto lo sfiato evidenziato dalla freccia in blu scavando la plastica con una fresa montata sul mio fidato trapanino elettrico, poi ho rifinito i bordi con un bisturi affilato.

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Col senno di poi l’utilizzo dell’Alpha Probe Hobby Decal non è stata la scelta migliore poiché il set è ideato su base Hasegawa e il suo montaggio non è stato dei più facili (il diametro della base è decisamente più largo rispetto alla sede del kit Tamiya). In ogni caso l’adattamento è fattibile ancorché abbastanza difficoltoso.

Tomcat 140

La freccia blu indica un invito che ho ricreato con una sezione di ago da insulina e che è servito ad alloggiare, a modello ultimato, la così detta “YAW STRING”:

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Di fatto questo cordino non era altro che una rappresentazione immediata di quanto l’assetto del velivolo fosse sbandato; un virosbandometro molto empirico che, essendo montato proprio davanti il parabrezza, permetteva al pilota di capire immediatamente se l’aeroplano fosse correttamente allineato senza abbassare lo sguardo sul cruscotto per controllare lo strumento. La lunghezza del cordino variava molto e dipendeva anche dal grado di usura perchè, col flusso dell’aria, si sfilacciava e rovinava accorciandosi progressivamente. Personalmente l’ho riprodotto prelevando alcune fibre da un filo di cotone per cucito che ho poi “ricomposto” fissandole assieme con una spennellata di Flat Clear.

Tomcat 103

Gli armamenti:

Gli armamenti hanno richiesto davvero molte ore di lavorazione e meritano un capitolo a parte nell’articolo.

Prima di addentrarmi nell’argomento è utile parlare della configurazione utilizzata dal Fast Eagle 107 il 19 agosto del 1981, che era composta da due AIM-54A Phoenix agganciati sotto i pallet anteriori, due AIM-7E sotto i piloni alari e un solo AIM-9L sulla rotaia sinistra (Station 1A). La particolarità del Sidewinder l’ho trovata molto interessante da riprodurre in scala: durante il periodo in cui l’AJ-107 si rese protagonista del famoso episodio, infatti, la Station 8A (quella di destra) era fuori uso perché guasta e inutilizzabile. Essendo i carichi esterni un elemento importante di questa “storia” avevo deciso di scartare quelli contenuti nel kit e rivolgermi alla Brassin con il suo set “Big Sin” in resina. Appena li ho tirati fuori dalla confezione ho subito avuto dei dubbi sulla corretta lunghezza dei Phoenix:

Tomcat 124

Quindi, calibro alla mano, ho iniziato a misurare i missili aftermarket scoprendo che TUTTI presentavano grossi problemi di dimensioni: le copie in resina sono più corte di quasi 4 mm rispetto ai reali che misurano 13 piedi/3.9 metri (8,125mm in scala 1/48). I Brassin si attestano su 7,8mm e confrontati con quelli originali Tamiya, che sono perfetti nelle misure (nel vero senso della parola), risultano davvero corti.

Tomcat 125

Ho contattato il customer care Eduard spiegando il problema e, gentilmente, mi è stato inviato un nuovo set (codice 648097); misurato nuovamente col calibro anche questo aveva errori dimensionali anche se più contenuti (i missili sono più corti di 3mm anziché 4mm).

Phoenix 2 Phoenix 3 Phoenix 4

Per scrupolo di coscienza sotto la lente sono finiti gli Sparrow e i Sidewinder scoprendo che anche loro non sono esenti da difetti, purtroppo.

Tomcat 181 Tomcat 180 Tomcat 182 Tomcat 183 Tomcat 184 Tomcat 185

In definitiva ho deciso di scartare gli AIM-7 e 9 preferendo quelli da scatola che, con pochissime migliorie, fanno davvero una bella figura. Per i Phoenix, invece, ho optato per la via più complicata ma che mi ha permesso di ottenere il miglior rapporto tra dettaglio e fedeltà delle forme (indubbiamente gli AIM-54A della Brassin hanno più particolari già stampati). Tutto il procedimento è spiegato in questo video:

Le rotaie originali Tamiya non sono all’altezza della qualità dello stampo, lisce e senza alcun dettaglio. Dato che una station rimarrà vuota diventa ancora più importante aggiungere particolari, per questo le ho sostituite entrambe con quelle del set Brassin dedicato agli AIM-9 L/M. Per montarle ho dovuto eliminare le originali in plastica che sono solidali al travetto e per garantire un corretto allineamento ho aggiunto due pin in ottone sul pezzo in resina.

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Verniciatura e Weathering:

La fase più divertente di tutta la costruzione si è aperta con la zona degli scarichi, verniciata in Alclad Steel steso direttamente sulla plastica e qualche velatura di Transparent Smoke della stessa marca per creare dei riflessi e scurire ulteriormente la tonalità.

Tomcat 151

Successivamente è stata la volta della tecnica del pre shading, eseguita lungo le pannellature utilizzando il nero opaco della Tamiya molto diluito (almeno al 90% con la Nitro) e pressione bassa (0,6 bar circa). Al centro di tutti i pannelli ho steso il bianco opaco della stessa marca per schiarire la successiva tinta di base.

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Inoltre, per iniziare un abbozzo di invecchiamento, su alcuni punti concentrati soprattutto sul dorso e sotto le gondole motore, ho aggiunto alcuni spot di Olive Drab e di Dark Tan Gunze che simulano benissimo colature di liquidi idraulici, lubrificanti e sporcizia in genere.

Tomcat 156

Il Fast Eagle 107 era completamente verniciato il Light Gull Grey F.S. 36440 per cui, inizialmente, avevo programmato di utilizzare il Mr. Paint 098. Queste lacche danno delle ottime finiture e sono molto semplici da usare ma era la prima volta che le testavo su livree con effetti molto spinti dove si gioca con trasparenze e velature sottilissime di colore. Ebbene dopo alcune prove ho riscontrato che il pigmento è molto sensibile al fondo e coprendo il pre shading lascia degli anti estetici aloni. Le superfici non sono lisce e setose a meno che lo strato che si stende non è corposo e uniforme, in più diluendo ulteriormente il colore (con Nitro o Mr. Leveling Thinner) questo inizia a perdere le proprietà diventando quasi trasparente (come quando si aggiunge del “blender” nella miscela). La prova l’ho fatta sui piani di coda sapendo che, mal che andasse, avrei avuto la possibilità di sverniciare e ricominciare da capo.

Tomcat 157

Alla fine ho tirato fuori i soliti e fidatissimi Gunze e ho passato l’H-325 sull’altra superficie di governo; come al solito non mi ha deluso, diluito al 90% con la nitro e steso con velature leggerissime in poco tempo ho coperto il pre shading lasciando trasparire l’effetto che volevo! Questi colori sono sempre una garanzia.

Tomcat 159 Tomcat 158 Tomcat 187 Tomcat 164

Avevo solo qualche dubbio circa l’esatta tonalità della vernice perché, notoriamente, tende ad essere un pò troppo nocciola. Invece sul fondo chiaro e con la mazzetta del Federal Standard alla mano ho potuto costatare che la tinta è pressoché corretta e che è praticamente identica a quella Mr. Paint.

Tomcat 168 Tomcat 167

Ad essere del tutto sinceri il Gunze è leggermente più chiaro, e forse lo si riesce a percepire anche dalla foto sopra, ma l’ho comunque preferito come base di partenza per giocare ancora di più con il weathering.

Tomcat 165 Tomcat 186

A proposito di weathering la prima fase, molto leggera, è iniziata schiarendo il Gunze H-325 di base con del bianco (circa 50% e 50%). Il post shading è stato realizzato in maniera molto randomica creando dei “ricci” di vernice che ho collegato cercando di non avere uno schema preciso. In prossimità dei predellini di salita del cockpit, sulle derive e nella zona del dorso ivi compresa ho aggiunto qualche nuovo spot di Olive Drab (diluito sempre con la nitro al 90%) per far riaffiorare nuovamente qualche traccia di sporco più scura.

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Stesso trattamento riservato anche alle superfici inferiori, ma sulle gondole motore ho calcato un pò più la mano in modo che l’effetto rimanesse più visibile.

Tomcat 197

Per ciò che riguarda i lanciatori Chaff & Flare sotto la così detta “beaver tail”, il telaio è in Magnesium Alclad, l’interno è in nero opaco Tamiya ad eccezione di una porzione in Flat Red (essa è ben documentata in varie foto e probabilmente conteneva cartucce con diverso esplosivo).

Tomcat 206

Dopo aver lucidato il modello con almeno quattro mani di trasparente lucido X-22 Tamiya diluito col Leveling Thinner Gunze (aiuta a stendere il clear soprattutto quando le temperature ambientali sono elevate) ho proseguito con i lavaggi; a tale scopo ho utilizzato i classici colori ad olio creando un grigio neutro (più o meno la stessa tinta del Neutral Grey Tamiya) partendo dal Bianco di Zinco e dal Nero Avorio. Sulla zona dei motori ho, invece, preferito il Bruno Van Dyck scurito con del nero.

Tomcat 194 Tomcat 196

Tutti i pigmenti sono stati diluiti con il thinner Humbrol ottenendo una consistenza simile alla crema per le mani.

Tomcat 193 Tomcat 207 Tomcat 195

Ho completato la verniciatura dei Phoenix, che esternamente sono completamente bianchi, aggiungendo lo Steel Aclad sull’anello dello scarico. Il tappo in vetro resina era in rosso scuro (sono partito dall’XF-7 Tamiya a cui ho aggiunto varie gocce di blu scuro Gunze H-326). Tra la testata e il corpo c’era un anello di raccordo lasciato in metallo naturale, l’ho rifatto con il Magnesium Alclad.

Tomcat 176 Tomcat 177

Questi invece gli Sparrow che hanno il corpo in bianco opaco (ho utilizzato il Mr. Base Primer 1500 White della Gunze diluito con la nitro) e la testata in Gunze H-308.

Tomcat 178

Qui l’unico Sidewinder.

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Piccola nota, il Tomcat oggetto di questo articolo aveva i rail LAU-7 ancora verniciati in bianco anziché grigio.

Tomcat 198

Decalcomanie:

Anche le decalcomanie meritano un capitolo dedicato a causa di alcune incongruenze riscontrate sul foglio Furball 4808, quello che ho utilizzato per riprodurre il mio Tomcat in scala.

È doveroso constatare che il prodotto della ditta americana ha una qualità del film eccellente; essendo stampate dalla Cartograf aderiscono bene, si conformano senza problemi e reagiscono correttamente ai liquidi ammorbidenti. I problemi saltano fuori quando si approfondisce la ricerca storica su questo famoso esemplare….

Stante la documentazione in mio possesso (in particolare le informazioni contenute nel Detail & Scale numero 9 e il Detail & Scale Colors & Markings of U. S. Navy F-14 Tomcat Part 1, Atlantic Coast Squadrons – 2018 Edition) l’aspetto e i kill marking dei due velivoli coinvolti nell’incidente del Golfo della Sirte sono cambiati più volte nel corso della loro vita operativa. Ufficialmente durante la crociera operativa del 1981 al Tenente Larry Muczynski e al Tenente James Anderson era assegnato il Tomcat con numero individuale (detto anche “modex”) 112 ma difficilmente gli equipaggi volavano con i loro aerei, bensì questi variavano spesso in base alle disponibilità manutentive. Per questo motivo i Tomcat del VF-41 non avevano i nomi dei naviganti verniciati sui frame dei canopy e anche il Tomcat 107 ne era sprovvisto il giorno dell’abbattimento. Il 19 agosto, subito dopo lo scontro aereo, la notizia si era già diffusa tra il personale della Nimitz e gli specialisti prepararono gli stencil con i nomi dei piloti e una sagoma raffigurante un SU-22 da aggiungere ai velivoli; quest’ultima fu verniciata solamente sul lato sinistro della fusoliera, sotto l’abitacolo anteriore, non appena rientrarono sulla portaerei.

Kill Marking sulla deriva dell’AJ-102 – fonte http://www.usmilitariaforum.com

Qualche tempo dopo Kleeman decise che le sagome del Fitter fosse più giusto spostarle sulle derive, sotto gli assi di picche, pertanto furono cancellate dalla posizione iniziale e riportate su entrambe gli impennaggi sotto i simboli del VF-41. Ad ogni modo i kill marking cambiarono posizione almeno per altre tre volte negli anni successivi passando nuovamente sotto l’abitacolo (ma sia sul lato sinistro, sia sul destro). Nel 1980 i Black Aces furono insigniti del Clifton Award (un riconoscimento in memoria dell’Ammiraglio Joseph C. Clifton consegnato annualmente allo Squadron della US Navy che più si è distinto per merito), della “Combat E” (un riconoscimento delle unità di marina che producono la massima efficienza in base ai rispettivi compiti e assegnata a seguito di una valutazione lunga un anno) e alla “Safety S” (un premio assegnato ad uno Squadron per ogni gruppo navale – East Coast e West Coast – per il rateo più basso di incidenti di volo/terra occorsi durante l’anno) e per questo motivo i Fitter furono di nuovo verniciati sulle derive. Nel 1984 il Bu. No 160390 era ancora assegnato al VF-41 e sfoggiava il Fitter nuovamente collocato sotto il canopy, ultima sua posizione conosciuta.

Tomcat 211

Successivamente il velivolo fu trasferito e assegnato al VF-213 Black Lions, precipitò il 25/10/1994 circa 50 miglia a largo di San Diego durante il tentativo di appontaggio sulla USS Abraham Lincoln con un motore in avaria. Il navigatore riuscì ad eiettarsi mentre il pilota, Kara Hultgreen – primo pilota donna combat ready sull’F-14, perì nel disastro. Il video dell’incidente è disponibile QUI.

Tomcat 210

Senza allargare troppo il discorso rischiando di diventare noioso, sin da subito il mio intento è stato quello di rappresentare il mio Tomcat in scala come fosse ripreso il giorno successivo alla battaglia. Studiando le utilissime foto presenti nei libri sopracitati mi sono reso conto che il foglio Furball ha delle mancanze. Partiamo da quelle facilmente risolvibili:

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Le due frecce rosse mettono in evidenza il Buzz Number e lo stencil di attenzione circa i gas di scarico: confrontando la posizione sulle istruzioni rispetto a quella del velivolo reale salta subito all’occhio come la Furball suggerisca di applicarle nei punti non corretti, quindi fate attenzione quando aggiungerete le vostre!

La freccia gialla indica lo stencil del pannello anti incendio – altro piccolo particolare, in apparenza poco significativo, che al contrario ben visibile sia in scala sia sul vero F-14. All’epoca del passaggio dalla prima livrea grigio/bianca a quella “overall 36440” molti stencil di manutenzione cambiarono aspetto e colore; il pannello anti incendio del mio esemplare presentava il solo quadrato rosso esterno e la scritta “Fire Panel” al suo interno mentre la Furball lo propone con il quadrato e un cerchio che borda il pannello circolare, come si vede in foto qui sotto:

Con estrema pazienza e attenzione ho rifilato ed eliminato il cerchio rosso con un bisturi dalla lama affilata… ricomposto il quadrato sul modello e aggiunta la scritta al centro riportando lo stencil alle fattezze di quello originale. Un lavoro estremamente tedioso e ad alto rischio di possibili danni.

Tomcat 213

Correttamente sono forniti i Modex 107 con la foggia del numero “7” diversa tra il lato destro e sinistro, era una caratteristica del Fast Eagle 107 che viene anche portata all’attenzione in vari libri. Gli stencil “RESCUE”, che avevano il testo scritto in verticale (al contrario di quelli normalmente utilizzati), sono sostanzialmente a posto se non fosse che le frecce risultano un pò sottodimensionate (essendo il foglio dimensionato sul kit Hasegawa è possibile qualche piccola e accettabile differenza rispetto il Tamiya).

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Un’altra seria mancanza sono alcuni piccoli, ma estremamente visibili, stencil applicati sopra la total temperature probe sotto il canopy a destra e sopra le pitot static probe su entrambi i lati; tali scritte non erano molto comuni sui Tomcat della Navy ma il 107 ne era provvisto tanto che nel Detail & Scale 9 c’è una foto che li immortala con chiarezza. Nel foglio Furball non c’è traccia di queste scritte e in altri prodotti, anche più vecchi e di altre marche, non esiste qualcosa di adattabile. Dopo svariate ricerche non ho potuto far altro che ordinare l’articolo Data & Stencil 48059 della stessa ditta dove essi sono correttamente forniti.

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L’omissione più complicata da risolvere riguarda i portelloni del vano carrello anteriore che riportavano il nome del Plane Captain An Sugg verniciato su entrambi i lati; la Furball non li ha stampati costringendomi, grazie anche all’aiuto dell’amico Fulvio “Spillone” che ringrazio, a ricreare in casa delle decal mediante una stampante laser. Ovviamente lo spessore del supporto trasparente non è il massimo ma con varie passate di lucido sono riuscito a livellarlo e ad integrarlo quasi completamente al resto della verniciatura.

Tomcat 221

In definitiva, contrariamente a quanto indicato sul frontespizio delle istruzioni, l’accessorio della Furball permette di rappresentare i velivoli con l’araldica che avevano al momento del loro rientro sulla Naval Air Station di Oceana nel 1982, dopo la fine della crociera operativa. In quel dato frangente temporale al Fast Eagle 107 era stato, infatti, obliterato il nome sui portelloni. Volendo “fermare” il tempo al 19 agosto 1981 (modellisticamente parlando) sarà necessario eseguire tutte le integrazioni riportate qui sopra.

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Ultimi dettagli:

Con la costruzione oramai agli sgoccioli mi sono dedicato agli ultimi dettagli.

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I pozzetti, precedentemente verniciati in bianco utilizzando il Mr.finishing Surfacer 1500 White della Gunze, hanno ricevuto il solito lavaggio ad olio (in grigio) per aumentarne la profondità e i dettagli. Tubazioni e cavi sono stati verniciati con colori vinilici Vallejo.

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I bordi rossi di pericolo che corrono intorno ai portelli delle wheel bay, sulla scaletta e sui predellini di salita agli abitacoli li ho riprodotti utilizzando il Gundam Marker rosso della Gunze ed il metodo è molto comodo perché fa risparmiare un bel pò di mascherature. Di fatto il pennarello è una specie di Uniposca quindi non sopporta granché bene i solventi (sia nitro, sia alcool), per questo quando stendete il trasparente lucido non esagerate con mani troppo corpose altrimenti rischiate di sciogliere lo strato di pigmento che inevitabilmente colerà dove non deve. È l’unico inconveniente di un prodotto altrimenti molto comodo da usare!

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Per ultimo ho incollato le varie antenne, i pezzi restanti già preparati e pronti, e gli scarichi in resina della Aires rappresentati uno chiuso (il sinistro) e uno aperto (il destro). Li ho verniciati con una base di Steel Alclad e successive velature di Pale Burnt Metal Alclad solo sul primo anello; un dry brush in grigio chiaro ha poi fatto il resto.

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Le gambe di forza dei carrelli si sono incastrate senza il minimo uso di colla e, nonostante questo, sono solide e inamovibili… segno che l’ingegnerizzazione di questo stampo è davvero ben fatta. Discorso simile anche per i portelli e i piloni che rimarrebbero in posizione già da soli ma ho preferito applicare piccole gocce di Vinavil perché le parti sono più esposte e soggette a possibili urti.

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Conclusioni:

Volete divertirvi montando un F-14? Comprate questo kit. Volete avere un’ottima base di partenza per dettagliare ancor di più un modello già bellissimo da scatola? Comprate questo kit.

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In definitiva…. comprate questo kit!

Uno stampo davvero ben fatto, preciso e con soluzioni comode ed innovative. Ci sono dei punti migliorabili che ho cercato di elencare e spiegarvi in questo articolo, con poco impegno si riesce ad ottenere un risultato finale davvero bello.

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La parte storica, senza dubbio, ha occupato un posto di rilievo in questo progetto. Mi piace partire da un avvenimento e riportarlo poi in scala, la mia idea di modellismo si rifà soprattutto a questo principio: mettere un pezzo di storia in vetrina. E questo Tomcat, è proprio il caso di dirlo, la storia l’ha fatta sul serio!

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Al prossimo articolo, buon modellismo a tutti!

Valerio – Starfighter84 – D’Amadio.

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Zlin Z-326 “Trenèr Master” dal kit Eduard in scala 1/48.

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Ci sono volte, in questo hobby, in cui non è la passione per quel determinato soggetto a guidare la scelta del kit, ma è la curiosità per il kit stesso a convincerti dell’acquisto. Nel mio caso è andata proprio così… perché, diciamolo, lo Zlin Z-326 Trenèr Master non è di certo uno dei velivoli più famosi nella storia dell’aviazione e neanche uno dei più battuti dalle case modellistiche! Però, devo dire, il nuovo stampo Eduard ha da subito stuzzicato le mie corde e, complice un periodo in cui non avevo voglia di cimentarmi con progetti troppo complicati, ho deciso di metterlo subito sul banco di lavoro.



La scatola in oggetto è la seguente e si compone di poche parti, ma comunque ben curate e ricche di dettagli:

L’esemplare che ho scelto per la riproduzione lo vedete di seguito. Fortunatamente esistono varie foto che lo ritraggono e su cui ho potuto basare la mia documentazione:

Ho iniziato col dipingere il cockpit in grigio FS36375 (Gunze H308), ho lucidato l’intera struttura con trasparente lucido Mr. Color GX100 Super clear III Gloss e con un lavaggio ad olio (in grigio medio) ho messo in risalto i particolari dando tridimensionalità al tutto.

I seggiolini possono essere inseriti alla fine e sono provvisti di cinture fotoincise sia nere, sia beige, a seconda del velivolo che si vuole realizzare; stessa scelta costruttiva è stata utilizzata anche per il quadro strumenti che si ottiene assemblando un sandwich composto da tre fotoincisioni:

Terminato l’abitacolo ho provveduto a pulire le parti principali che compongono il mio Trenèr – sono davvero poche e vanno insieme senza problema; le fessure sono ridotte al minimo e possono essere riempite usando il Mr. Surfacer 500 della Gunze.  Le tip alari sono in plastica trasparente per agevolare il montaggio e la verniciatura delle luci di posizione.


L’unica zona che ho dovuto ripristinare è la giunzione inferiore delle semi fusoliere sopra cui, sui Trenèr veri, è cucita una lunga striscia di rinforzo in tela che assicura ulteriormente la tenuta dei rivestimenti. Per ripristinarla ho ricreato il perimetro del pezzo con del nastro kabuki e ho spruzzato del Mr. Surfacer 1000 diluito al 50% (quindi abbastanza denso) che ha fatto spessore simulando di nuovo il dettaglio perso nella carteggiatura.

A seguire ho steso sull’intero modello un paio di mani di Mr. Surfacer 1000 diluito al 70% con Leveling Thinner.  Grazie al primer ho trovato dei ritiri dello stirene in prossimità della parte inferiore dei flap che ho riempito e riportato a livello:

 
Dopo un’ulteriore verifica delle superfici, questo è il risultato. Dove il fondo ha rivelato altre imprecisioni o delle piccole crepe, sono intervenuto con una punta di cianoacrilato per chiudere il gap; a seguire ho pareggiato con carte abrasive grana 1000/1200/1500, rigorosamente bagnate.

Terminata velocemente la fase di costruzione sono arrivato alla verniciatura del colore principale, il Mr. Color C45 “Sail” diluito al 70% con il Leveling Thinner. Vi consiglio di dare una doppia, se non tripla, passata di questo colore poiché, per quanto possa sembrare abbastanza coprente, una volta asciutto tenderà a virare verso il tono del fondo che avete utilizzato.

Nello step successivo ho realizzato le bande color verde, bianco e nero che caratterizzano questa livrea. Dato il contrasto delle tinte ho deciso di non sovrapporle per evitare problemi di copertura o di sbavature, per questo ho spruzzato i toni separatamente realizzando, di fatto, sei mascherature diverse.

Partiamo con ordine: una volta delimitata la zona da verniciare ho sigillato il perimetro del nastro con del trasparente lucido Mr. Color GX100 Super Gloss III per ottenere dei bordi quanto più precisi ed evitare infiltrazioni:

A seguire ho steso al centro il fedele bianco opaco XF-2 della Tamiya:

Poi il verde per il quale ho deciso di non utilizzare la corrispondenza consigliata da Eduard, il Dark Green H320, preferendo ottenere un mix ad hoc con la seguente proporzione: 4 gocce di Tamiya XF-5 Flat green + 1 goccia di Tamiya XF-8 Flat Blue.


Per concludere ho verniciato le bande in nero e il pannello anti riflesso davanti al parabrezza con il Tamiya XF-1 Flat Black.


Come scritto precedentemente, il lavoro è stato lungo a causa delle numerose mascherature da applicare e da rimuovere in sequenza ma il risultato finale ripaga le fatiche:

A questo punto ho lucidato il modello con più mani di Mr. Color GX100 Super Clear III preparandolo per l’applicazione delle poche decal previste che, come da consuetudine dei nuovi prodotti Eduard, sono del tipo con pellicola eliminabile. Questa tipologia di decalcomanie ha varie problematiche (leggete QUI per approfondire) e presentano dei colori poco saturi. Per mia fortuna, le marche identificative civili a fondo nero non hanno perso saturazione a seguito della rimozione del film trasparente.


La cofanatura motore si incastra senza intoppi e, in accordo con la documentazione, ha la griglia di estrazione del calore proveniente dal motore verniciata di un verde differente rispetto a quello delle ali e dei piani di coda; in questo caso ho scelto il Gunze H320 Dark Green che avevo scartato precedentemente.

Dopo aver sigillato le decal con un ulteriore passata di trasparente lucido sono passato ai lavaggi ad olio. Nella foto che segue potete vedere come cambia la situazione dopo aver eseguito la tecnica sulla semiala inferiore destra col Bruno Van Dick: tutti i dettagli vengono messi in risalto e rimuovendo a dovere l’eccesso di pigmento si ottiene una finitura pulita.

Ho deciso di effettuare i lavaggi soltanto sul “Sail” e non sulle bande colorate dato che nelle foto del velivolo reale appaiono sempre immacolate. Ad essere sincero non li avrei applicati neanche sul resto del modello proprio per rispettare il realismo, ma in questo caso ha prevalso il lato modellistico che mi ha permesso di dare maggiore profondità ai particolari e tridimensionalità alla livrea.

L’assemblaggio finale richiede davvero pochi passaggi e mi son potuto dedicare alla finitura di alcuni pezzi lasciati momentaneamente in sospeso. L’elica, ad esempio, è stata completata con il Giallo Gunze H329.

Nella foto che segue potete notare anche un’antenna a frusta bianca realizzata in sprue filato, peculiare per questo Trenèr Master.

Le walkway ho preferito riprodurle con due strisce di carta abrasiva grana 1000 che ho opportunamente assottigliato nella parte inferiore per dargli il giusto spessore. Le ho poi incollate sul modello con della Vinavil non diluita che mi ha dato il tempo di posizionarle a dovere. A lavoro finito, danno un tocco di realismo in più al piccolo Trenèr!

Sul lato inferiore ho aggiunto un piccolo tubicino di spurgo posto davanti la gamba del carrello di sinistra:

Inoltre, alla fine, ho preferito eliminare del tutto i due anelli per le funi di ancoraggio a terra (stampati in plastica piena e davvero brutti) e rifarli curvando un piccolo segmento di fil di ferro.

È stato un progetto rapido, divertente e defatigante. Il kit della Eduard si monta senza pensieri ed è un piccolo gioiellino, ideale se si vuole affrontare un soggetto in totale rilassatezza.

Lo stampo ceco dedicato a questo piccolo addestratore mi ha anche permesso di scoprire che i Trenèr sono velivoli ancora diffusissimi e che per decenni hanno contribuito a formare generazioni di piloti nei paesi dell’Est Europa (e non solo) … una carriera, che dura ancora oggi, del tutto paragonabile ai più blasonati e conosciuti velivoli della Cessna o della Piper Aviation.

Buon modellismo a tutti!

Mattia “Pankit” Pancotti.

AH-1G Cobra – “Centaur in Vietnam” dal kit Special Hobby in scala 1/48.

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Il primo incontro con l’AH-1G Cobra “new tool” della Special Hobby l’ho avuto al Model Expo 2022, la fiera di settore che si svolge annualmente a Verona. Il kit veniva presentato per la prima volta e, purtroppo, non era ancora disponibile per la vendita… ma per me è stato comunque un colpo di fulmine tanto che ho subito deciso di metterne uno in vetrina da affiancare al “fratello minore” che ho realizzato qualche tempo fa: l’AH-1Z che trovate QUI. La scatola si è fatta attendere fino a settembre dello stesso anno e, ovviamente, l’ho acquistata prontamente!

La scelta è ricaduta su quella con codice SH48230 e denominata “Hi-Tech” perché al suo interno contiene già diverse parti in resina (ben quarantacinque per la precisione), di cui la maggior parte stampate in 3D. Completano la dotazione dodici sprue (di cui una per i grandi trasparenti) in stirene grigio, non pochi per un elicottero di cosi piccole dimensioni, due fogli in fotoincisione di cui uno pre-colorato per i pannelli strumenti e le cinture, mascherine adesive pre-tagliate e decalcomanie per completare quattro esemplari tutti operativi in Vietnam.

A proposito di quest’ultime, sono realizzate col nuovo film “pelabile” (come fa la Eduard da diverso tempo, ad esempio) e mi hanno lasciato più di qualche dubbio sulla saturazione dei colori. Per questo, alla fine, ho deciso di scartarle e sostituirle con il foglio aftermarket della Art Scale Kit con codice 200-D48031. Della qualità del prodotto, purtroppo deludente, parlerò più avanti nell’articolo.



Il montaggio ha preso il via, come consuetudine, dal cockpit composto da molte delle parti in resina sopracitate (seggiolini, cloche e piastre blindate), e dalle parti in 3D (collimatore e il sistema di puntamento del cannoniere). Si inseriscono molto bene sugli elementi in plastica e, praticamente, non necessitano di adattamento. Sopra di esse ho steso una mano di Mr. Surfacer 1000 per eliminare i segni dei layer di stampa che, seppur minimi, sono visibili.

L’interno dell’abitacolo è in grigio H-306 Gunze, passato con velature leggere su una base in H-331 per dare maggior profondità ai dettagli. Le consolle laterali sono in nero H-77, con i vari switch verniciati seguendo la documentazione.

Stesso procedimento per i seggiolini, con la seduta in Olive Drab XF-62 Tamiya, ai quali ho aggiunto le cinture foto incise sagomandole alle blindature laterali per dargli un movimento più naturale possibile.

I cruscotti sono in nero H-77 lumeggiati con del grigio H-331 Gunze molto diluito; la strumentazione è stata prelevata dalle fotoincisioni pre-colorate e uniformata al resto del cockpit con lavaggi e la tecnica del dry brush. Sul fianco sinistro del seggiolino anteriore trovava posto un estintore, già fornito dalla Special Hobby e molto ben realizzato, dipinto in rosso LP-50 Tamiya.

A colorazione ultimata ho lucidato tutto con il Tamiya X-22 per poi effettuare dei lavaggi selettivi in grigio scuro e chiaro ad olio, creando dello sporco sul fondo della vasca e nelle zone di maggiore calpestio. A procedimento ultimato ho applicato una mano di opaco Alclad ALC-314 e aggiunto qualche altra luce sugli spigoli e sui dettagli in rilievo con le polveri dei Weathering Set Tamiya in grigio e bianco, mentre sulle parti in tessuto ho usato l’ocra.

Sulla piastra blindata destra del pilota era alloggiato il porta-mappe che ho voluto impreziosire inserendo un manuale ricavato da sezioni di fotoincisioni avanzate, tagliate e sagomate ad hoc…unico dettaglio aggiuntivo del cockpit non da scatola.

Subito dietro all’abitacolo si trova il vano dell’albero motore che ho verniciato in Interior Green H-57 Gunze, steso su un fondo nero per ricreare delle ombre e dare maggiore tridimensionalità ad una zona che, altrimenti, sarebbe rimasta molto buia e piatta.

Sul lato sinistro sotto l’alloggiamento della turbina, si trova la presa d’aria per il raffreddamento della batteria che è protetta da una griglia. Per riprodurla sono andato a “frugare” nel mio magazzino spare part trovando, provvidenzialmente, una retina proveniente da un vecchio kit Tamiya di un’auto. La resa finale è notevolmente migliore rispetto alla soluzione proposta dalla Special Hobby che ha chiuso l’apertura con della plastica piena.

A questo punto ho potuto unire le semi-fusoliere, che si incastrano senza troppi problemi, aggiungendo anche il musetto e il terminale del troncone di coda con la deriva che, nel mio caso, ha il rotore anti-coppia posizionato a sinistra. Inferiormente un ulteriore inserto chiude la carlinga ed è l’unico elemento a cui bisogna prestare un po’ di attenzione per allinearlo correttamente. Il Cobra della ditta ceca, infatti, ha tantissimi dettagli stampati sulle superfici (in particolari i rivetti in positivo) ed è molto importante limitare al massimo l’uso delle carte abrasive.

Le gambe dei pattini si innestano con dei solidi perni nelle loro sedi (il mio Cobra prevedeva quelle provviste di coperture aerodinamiche). Alle estremità sono già stampati gli anelli a cui venivano ancorate le funi di sicurezza delle pale, ed è sufficiente assottigliarne lo spessore e forarli. Dopo alcune prove di assetto ho scoperto che l’elicottero tende a sedersi sulla coda e, per ovviare, all’interno della torretta delle armi ho preferito aggiungere un piccolo piombino da pesca.

Una delle poche note dolenti del kit è lo scarico, sicuramente non all’altezza rispetto a tutto il resto. È stampato assieme alle semi-fusoliere ed ha uno spessore decisamente fuori scala. Stessa cosa si può affermare anche per i due piccoli deflettori montati sotto di esso.  Ho iniziato a lavorare proprio da questi, usando le due parti originali in plastica come dima per riportarli su una piccola sezione di fotoincisione avanzata; dopo aver ritagliato e rifinito i bordi con una lima, le copie sono state incollate al loro posto e stuccate con un filo di Mr.Surfacer 1000 più per scrupolo che per reale necessità.

Ben più complessa, invece, è stata la realizzazione dell’exhaust vero e proprio. Alla fine, ho utilizzato un tubicino sottilissimo in ottone da un centimetro di diametro, tagliato e sagomato fino al raggiungimento della giusta forma. L’ho completato con il suo anello di rinforzo riprodotto con del nastro Tamiya da cui ho ricavato una strisciolina di 0.5mm; per agevolarmi il compito e permettermi di inserirlo a verniciatura ultimata, ho lavorato la plastica del kit in modo da ricreare uno scasso in cui inserirlo a pressione. La resa finale nell’insieme è migliorata di netto, con un aspetto molto più convincente.

I trasparenti sono limpidi e lucidi tanto da non necessitare di alcun trattamento per migliorarli, basta aggiungere lungo il parabrezza dei dettagli in fotoincisione come maniglie, ganci e specchietto. Inoltre, vanno in sede con estrema facilità. Nel kit sono presenti, come detto, le utilissime maschere pretagliate. Una volta applicate ho spruzzato una mano di nero H-77 come base, per poi passare il grigio H-306 sui frame interni e incollarli.

Col montaggio del modello completato, ho iniziato la fase della verniciatura. Primo step, pre-shading in grigio medio H-305, proseguendo poi in XF-4 Tamiya e XF-10, preparando la base al colore verde del Cobra.

Lo schema ufficiale dell’US Army prevedeva l’Olive Drab per tutte le superfici; personalmente ho optato per l’XF-62 Tamiya che ho steso con mani leggere e ben diluite, lasciando intravedere il fondo precedentemente preparato come descritto sopra. Successivamente ho lavorato la mimetica con l’Olive Drab H-304 Gunze, la cui tonalità vira più sul marrone rispetto al Tamiya, e con i verdi H-309 e H-330 per creare un effetto weathering realistico ma senza esagerazioni. Per aggiungere ulteriori variazioni e spot di colore mi sono anche aiutato con gli airbrush stencil della Ammo.

Osservando la foto dell’esemplare da riprodurre ho notato la presenza di diverse pannellature ritoccate in nero, probabilmente sul campo, con le vernici che avevano a disposizione. Queste sono state riprodotte con del Tyre Black H-77 Gunze, lumeggiato poi con dell’H-416 e H-331 per uniformarlo al resto dell’invecchiamento. Sempre in H-77 anche il pannello anti riflesso sul musetto.

L’esemplare che ho scelto di riprodurre è l’AH-1G 68-15126 nominato “Rosemarys Baby”, operativo col battaglione di cavalleria ¾ “Centaurs”, 25th divisione, truppa D, caratterizzato da una vistosa bocca di squalo sul muso.

L’elicottero è tra le scelte proposte nel foglio decal della Art Scale Kit citato all’inizio di questo articolo, la cui qualità mi ha lasciato veramente deluso. Ho preferito non rischiare l’utilizzo della sharkmouth (che, oltretutto, dovrebbe essere applicata su una zona con forme sinuose come quella dietro la torretta) in decalcomania e di andare sul sicuro verniciandola completamente. Per fare ciò ho iniziato a prendere le misure dell’artwork originale per controllare le proporzioni che avrebbe avuto sul modello e, dopo qualche prova, ho avuto una brutta sorpresa: la bocca della Artscale è troppo piccola ed errata nelle forme.

Modificando e sistemando le misure sono riuscito ad ottenere la sagoma corretta che ho, poi, trasferito nel programma del plotter da taglio; dopo aver tracciato nuovamente tutte le linee, ho avviato il processo ottenendo delle mascherine perfettamente tagliate e sagomate.

Prima di riportarle sul modello, però, ho steso diverse velature di X-22 Tamiya (diluito con il Mr.Leveling Thinner Gunze) con cui ho lucidato il mio Cobra e sigillato tutto il lavoro fatto sul camouflage.

Per prima ho posizionato la maschera che delimita l’esterno della bocca; a seguire ho spruzzato il Mr. Surfacer 1500 White della Gunze che, oltre ad assicurare un’ottima base su cui far aggrappare e saturare il rosso, ha anche la tonalità giusta per i denti. Una volta asciutto ho applicato le maschere e spruzzato il rosso Gunze H-3. A proposito dei denti, osservando le foto del vero Cobra ho notato che sono rifiniti da una linea nera (ho usato il Gunze H-77 anche in questo caso) che segue pedissequamente il profilo di ognuno di essi e non è lineare sul bordo esterno come, al contrario, è stato rappresentato nelle decalcomanie. Il risultato una volta tolto il nastro è molto accattivante, e ripaga il tanto tempo speso al computer e sul modello.

Un nuovo strato di X-22 ben diluito ha protetto la sharkmouth e preparato il modello per i lavaggi e le poche decal. Dal foglio ASK ho recuperato quelle strettamente indispensabili (controllando bene dimensioni e fattezze per non ritrovarmi nella stessa situazione vissuta in precedenza), quali il centauro (emblema del battaglione) e il numero di matricola. Altre sono state prelevate dal foglio originale Special Hobby come, ad esempio, la scritta UNITED STATES ARMY.

Come detto, la tecnologia utilizzata per la loro stampa è quella con film pelabile; quindi, per assicurare una corretta adesione le ho trattate con i classici Micro Set e Sol. Dopo ventiquattro ore, ho eliminato con estrema attenzione e delicatezza il film trasparente ottenendo un buon effetto “painted on”.

Con lo Smoke Tamiya X-19 ho creato i fumi dello scarico sul troncone di coda, e con un lavaggio ad olio in Bruno Van Dick ho rifinito le pannellature oltre ad aggiungere un leggero filtro che ha amalgamato e sfumato meglio tutti gli effetti di invecchiamento.

 A questo punto ho ultimato gli ultimi elementi: per gli armamenti ho scelto, tra quelli messi a disposizione dal kit, due lanciatori XM-200 per i piloni interni e due XM-158 per quelli esterni. Quest’ultimi sono in resina con il carter di protezione in fotoincisione, molto belli. Per le parti verniciate ho proceduto come per il resto del Cobra, mentre quelle in metallo le ho trattate coi colori Alclad di diversi toni, lumeggiati poi con le polveri del Weathering Set D Tamiya.

I portelloni d’accesso all’abitacolo li ho completati con un sottile profilo in giallo H-34 Gunze lungo tutto il perimetro interno.

Il rotore principale è molto ben riprodotto e non necessita di altre aggiunte. Il mozzo con gli attacchi e i meccanismi flottanti li ho dipinti in Off White H-21 Gunze e alluminio Alclad ALC-101. Le pale erano in metallo e in quasi tutte le foto si notano vistosi segni di usura lungo il bordo d’attacco, con la vernice che saltava e il lucido del metallo che traspariva. Quindi ho iniziato proprio da questo, applicando una mano di White Aluminium Alclad, del trasparente lucido a protezione e il giallo H-4 Gunze sulle tip per le bandine.

Una volta mascherate, ho steso del Mr.Surfacer 1500 Black poi schiarito con l’H-77 e H-416 Gunze spruzzando velature leggere e sottili perpendicolarmente alla superficie superiore, nel senso di rotazione. Con un tampone abrasivo fine bagnato ho levigato attentamente il colore fino a lasciare intravedere il bordo alluminio come da foto (lo stesso procedimento l’ho ripetuto anche su quello anti-coppia), e sui vari leveraggi ho applicato un lavaggio in Bruno Van Dick molto diluito col diluente Humbrol (in alternativa potete usare anche la ragia minerale).

Dopo un controllo generale ho opacizzato tutto il modello con il Klear Kote Flat Alclad ALC-314, che diluito al 50% con la nitro lascia una finitura perfettamente opaca senza il minimo riflesso.

Con le polveri dei Weathering Set Tamiya A B ed E ho aggiunto dei riflessi in dry-brush su tutti gli spigoli e rilievi, enfatizzando ogni particolare e i rivetti. Sui pattini, gambe e predellini di salita ho voluto simulare tracce di sporco e terra che gli specialisti e piloti lasciavano quando salivano.

Una volta tolte le mascherature ho aggiunto le luci anticollisione, colorate in rosso e verde ai lati dei travetti e dietro al rotore principale.

Con questo Cobra new tool posso dire che la Special Hobby ha fatto centro. Semplice da montare, veloce, preciso e ben dettagliato. Bastano pochissimi interventi per risultare perfetto, un vero kit hi-tech da costruire serenamente senza complicazioni a favore del puro divertimento. Assolutamente consigliato!

Buon modellismo a tutti.

Fabio “Jollyblue” Barazza

Tools Review: nuova gamma vernici TA Models “tested on the workbench”.

Da qualche tempo la TA Models, un’azienda italiana impegnata soprattutto nel campo del ferromodellismo, ha deciso di ampliare la propria offerta aggiungendo anche a una linea di colori dedicata a questo settore (denominata TA COLORS), ma con una percentuale interessante di toni indirizzati anche al segmento aeronautico (in particolare per i soggetti dell’Aeronautica Militare e Regia Aeronautica, di altre Forze Armate italiane e Polizia di Stato). Ho deciso di provare questi nuovi pigmenti e quello che vi presenterò nella recensione che segue è il risultato dei test eseguiti.

Generalità:

La linea dei colori si compone di tinte alla cellulosa monocomponente (lacquer based) dedicate, come già detto sopra, principalmente al campo ferromodellistico e automotive, ma tra queste troviamo una buona percentuale di toni generici, trasparenti e tonalità prettamente aeronautiche. Al di là dell’ambito specifico a cui sono rivolte certe tonalità, per come la vedo io alcuni colori possono essere tranquillamente sfruttati come complementari nella creazione di miscele particolari. Ma questo è un discorso generale che vale un po’ per tutto il modellismo. Le tinte sono proposte in differenti finiture: lucida, satinata oppure opaca. Completa la gamma un primer grigio, tre clear finishing (lucido, satinato, opaco) e il diluente specifico. Le confezioni hanno tutte un formato da 30 ml sigillate da un comodo tappo dosatore a goccia, e sfera in acciaio al loro interno per agevolare la miscelazione dei componenti; il thinner è da 125ml. Le boccette sono realizzate in materiale plastico.

Diluizione e utilizzo:

Studiando le indicazioni fornite dal produttore, sia sul suo sito, sia nelle brochure che accompagna i prodotti, per applicazioni ad aerografo è indicata una diluzione del 50% per normali campiture che sale al 70% per eseguire lavori di weathering. Per i trasparenti è suggerita una diluizione del 60%, per l’applicazione a pennello del 10%. Nella scheda non è fatta, però, menzione della pressione da utilizzare nel caso in cui le vernici vengano stese a spruzzo.

Queste indicazioni dipendono dalla densità del prodotto e, inizialmente, ho voluto testare quanto suggerito dal produttore partendo dall’utilizzo a pennello. La diluizione del 10% è una buona indicazione e non mi spingerei oltre il 20% dal momento che alte percentuali di thinner potrebbero intaccare eventuali strati sottostanti a causa dell’azione meccanica delle setole. L’asciugatura completa dei colori lucidi avviene dopo circa 30 minuti (il valore dipende comunque dallo spessore del layer steso) se esposti ad una temperatura compresa tra 22°-28°, ma già dopo 2-3 minuti lo strato a contatto con l’aria ha già retinato (fuori polvere) ed è maneggiabile. I colori opachi seguono lo stesso trend con una maneggiabilità già dopo 15 minuti se esposti ad una temperatura compresa tra 22°-28°. In questo prima prova a pennello i colori si sono dimostrati coprenti e lavorabili entro 1 minuto, ma non li utilizzerei con questo strumento dal momento che, per il loro thinner altamente volatile, non hanno capacità autolivellanti. Su aree già superiori ad una moneta da 50 cent si fa difficoltà ad ottenere una buona finitura omogenea e il rischio di lasciare segni di pennellate è molto alto. I toni dalla finitura lucida si comportano meglio lasciando un po’ più di tempo per essere lavorati. Per piccoli ritocchi, però, si prestano bene e si ottengono buoni risultati.

Per il test con l’aeropenna ho utilizzato un Iwata Eclipse HP-CS, un Iwata HP-BP e un Badger S.O.T.A.R.; i colori sono stati SEMPRE diluiti in un contenitore dedicato (nessuna vernice andrebbe preparata direttamente all’interno della coppetta dell’aerografo). Partendo dalla diluizione consigliata del 50%, con il thinner TA Models, ho testato sia i toni lucidi, sia quelli opachi. Con queste premesse ho raggiunto un accettabile equilibrio tra diluizione e pressione impostando il compressore a circa 1,1 bar, un valore decisamente troppo alto.

Con queste pressioni il pigmento secca molto velocemente e non ha il tempo di livellarsi correttamente; ci sono alte probabilità di ottenere superfici scabre/ruvide, o buccia d’arancia. Dopo una serie di aggiustamenti, i migliori risultati li ho ottenuti aumentando le percentuali di diluente (sia con quello della casa, sia con altri thinner a base nitro), come riportato qui sotto (tutti i valori sono da intendersi in gocce):

Toni opachi: rapporto minimo diluizione colore opaco/thinner 2:7 – pressione 0,7 bar

Toni Lucidi: rapporto minimo diluizione colore lucido/thinner 2:10 – pressione 0,7 bar

Primer denso grigio: rapporto minimo di diluizione primer/thinner 2:11 – pressione 0,7 bar

Con questi rating i colori si stendono ottimamente regalando iniziali velature ben aderenti alla superfice che saturano già dal terzo strato, mantenendo i contorni dello spruzzo ben sfumati. Questo è sinonimo della finezza del pigmento, della sua qualità e del corretto rapporto di diluizione. Questa caratteristica fa sì che il prodotto si presta ad essere diluito anche a percentuali più alte, sino al 95% aggiustando al ribasso la pressione d’esercizio.

Ho avuto modo di provare un bel po’ di tonalità con differenti finiture e devo dire che le vernici sono molto performanti sotto ogni punto di vista tecnico per l’uso ad aeropenna. Vista la natura alla cellulosa di questi colori è d’obbligo tutelare le vie respiratorie raccomandando, quindi, l’uso della mascherina protettiva con filtri appositi.

Alcune note tecniche: le diluizioni sopra esposte con il diluente TA Models mi hanno permesso di avere il prodotto fuori polvere dopo 30 secondi per i toni opachi, e 60 secondi per quelli lucidi e il primer. Maneggiabilità del pezzo in sicurezza dopo 15 minuti per toni opachi, 1,5 ore per toni lucidi e 45-60 minuti per il primer.  Carteggiabilità del primer dopo almeno 2 ore dalla stesura. Queste tempistiche, ovviamente, dipendono anche dalle condizioni ambientali (umidità e temperatura) e spessore degli strati, ma con le diluizioni suggerite basta poco prodotto e poco tempo per ottenere una copertura completa ed uniforme. Con tre gocce di colore opaco, infatti, ho ricoperto fino a saturazione all’incirca 9 cm^2. La resa è simile ad ogni altro prodotto da modellismo che richiede una diluizione almeno del 75%, come ad esempio le lacche acriliche Tamiya (serie X e XF) o Gunze Mr. Hobby.

Thinner:

Il thinner è alla cellulosa come la nitro, molto simile al lacquer thinner Tamiya o al Mr. Color Thinner. Quello della TA Models non contiene al suo interno del ritardante d’evaporazione. I colori sono perfettamente compatibili anche con altri diluenti lacquer (come quelli citati sopra) o con la nitro da ferramenta. Il flacone cilindrico da 125 ml ha sulla sommità un dosatore contagocce ma, purtroppo, non esegue il compito al meglio dal momento che una volta inclinato il contenuto esce sin da subito senza controllo. Per tenere traccia del volume ho rimosso lo stoppino e prelevato il liquido direttamente con un contagocce. Questo è uno dei pochi aspetti da migliorare.

Gamma tonalità e finiture:

Settanta le tonalità disponibili in totale con codifiche basate sui principali standard (Federal standard, RAL, prontuario Fiat, colori ferroviari Lechler). Quelle lucide hanno una bella lucentezza e finitura gloss. Si distinguono per il prefisso “G” accanto al codice colore.

Le satinate hanno una finitura liscia, con bei riflessi, e si distinguono per il prefisso “S” che segue il codice del prodotto.

I colori contrassegnati con una “M”, invece, sono opachi ma non “gessosi” come, ad esempio, i Tamiya serie XF; i Flat della TA Models restituiscono una superficie liscia e opaca con leggeri riflessi spenti se guardati controluce.

Sulla correttezza lascio a voi la parola ma devo dire che molte tinte AM e della Regia Aeronautica mi hanno convinto. Ho voluto testare anche il Blu Carabinieri, giudicandolo molto realistico.

Primer:

Attualmente il primer fornito è in un flacone da 30 ml di colore grigio chiaro (più chiaro del Mr. Surfacer Gunze per intenderci). La consistenza è simile al Surfacer 500. Come già detto la diluizione ottimale di base è di 2:11 (circa 80%) a salire, con pressione di 0,7 bar e duse da 0,3. Il primer accetta anche duse da 0,2 aumentando però leggermente il thinner. Vi consiglio comunque la misura da 0,3.

Aggrappa saldamente sulla superficie e rispetta i dettagli presenti, a patto di non esagerare con i layer e sgrassare con cura il fondo. Va fuori polvere dopo 60 secondi ed è maneggiabile in sicurezza dopo 45-60 minuti (in base alle condizioni ambientali). La finitura è opaca, setosa e compatta; l’atomizzazione è fine e non genera spolvero se ci si attiene alle indicazioni che vi ho fornito sopra circa diluizione e pressione.

Può essere usato, senza inconvenienti, in accoppiata con altri thinner alla cellulosa delle marche modellistiche più rinomate oltre, ovviamente, a quello fornito dal produttore. Utilizzabile anche la nitro da ferramenta ma, personalmente, ne sconsiglio l’uso perché accelera troppo l’essicazione. E’, invece, ottimo in abbinamento al Mr. Color Leveling Thinner che gli permette di livellarsi e ottenere una superfice ancora più liscia. Con diluizioni alte, vista la sua finezza, non ha grandi capacità riempitive come giusto che sia per chi lo vorrà utilizzare su modelli aeronautici o ricchi di dettagli. Resiste molto bene ai maneggiamenti, mascherature e azioni abrasive sin dai layer più esigui. Si presta ad essere lucidato. Ovviamente, se deve essere carteggiato/lucidato è preferibile stendere almeno 3/5 layer a seconda delle esigenze e utilizzare carte abrasive rigorosamente bagnate.

Pulizia strumenti:

La pulizia degli strumenti può avvenire con la classica nitro o qualunque altro diluente alla cellulosa.

Metallizzati:

Nel ventaglio di colori ho deciso di testare due metallizzati: l’Alluminio lucido TA-C606G e il Grigio Argento Metallizzato TA-C212S dalla finitura satinata. La diluizione applicata è stata di 1:5 su base nero lucido; pressione 0,7 bar.

La sensazione che ho avuto, prima di essere spruzzato, è che il pigmento non fosse così fine come i metallizzati delle altre ditte concorrenti (Alclad in primis). La prova l’ho eseguita su tre basi differenti per valutarne la resa.

Ho anche confrontato vari metallizzati e vari toni alluminio di altre marche con quello della TA Models:

Purtroppo per il Grigio Argento metallizzato, come si può vedere dalle immagini, i flake metallici in sospensione hanno una dimensione che restituisce un effetto glitter abbastanza visibile e un aspetto un po’ grossolano. L’altro prodotto, l’Alluminio TA-C606G, è lucente, con una tonalità corretta e bei riflessi. I flake hanno una dimensione minore rispetto al Grigio Argento come si vede dal confronto.

Quest’ultimo è stato steso su un modello in scala 1:72 per valutare complessivamente la resa del metallizzato. Questa volta la resa in scala è migliore anche se, a mio avviso, le particelle dovrebbero essere di almeno un ordine di grandezza inferiore per avere un effetto ancora più credibile.

A livello tecnico non ho avuto alcuna complicazione nella stesura dell’alluminio, ottenendo una copertura omogenea. Anche il grigio metallizzato è stato atomizzato da una duse da 0,3 senza problemi; la sua finitura da etichetta è satinata, nel mio caso è rimasto leggermente rugoso e opaco su base flat, per questo è meglio stenderlo su fondo lucido o sul primer della ditta opportunamente lisciato e trattato. I test sui metallici sono stati eseguiti diluendo i due prodotti con il thinner TA Models.

L’alluminio, avendo una finitura lucida, è già pronto a ricevere decal e lavaggi ad olio, con prodotti enamel based (come i lavaggi pronti all’uso) o con prodotti all’acqua. Ottima resistenza di entrambi a liquidi ammorbidenti per le decalcomanie, lavaggi ad olio e mascherature.

Trasparenti finali:

Anche questi sono stati testati diluendoli inizialmente con le indicazioni del produttore. La percentuale suggerita è del 60%, non del tutto sbagliata, ma ho trovato un equilibrio migliore salendo al 70% (1:3) per satinato e opaco, mentre per il gloss clear ho adottato una diluizione dell’80% (circa 1:4).

Si presentano con un colore chiaro nel solito flacone da 30 ml. Anche questi sono da allungare con il thinner TA Models o qualunque altro diluente sopra citato. Di seguito la comparazione delle finiture satinato e opaco partendo da una base lucida:

Come si può vedere, entrambi i trasparenti non lasciano aloni biancastri sulla superfice e l’opaco non dà un effetto “terracotta” come, ad esempio, quello del Gunze H-20.

Ho paragonato di seguito vari flat di altre marche con il TA-C110M:

Alla stessa maniera segue il paragone tra il TA-C109S con i semi-gloss della concorrenza:

Il lucido è promosso a pieni voti. Quest’ultimo è resistente e può essere ulteriormente “tirato” con paste abrasive e panni micromesh. I tempi di asciugatura rispettano quelli già visti per i colori. Il layer creato dal lucido, se steso in maniera regolare, una volta asciutto risulta sottile e lucente. Se la superfice è liscia, la lucidatura avviene con poche mani.

Stress test:

Per capire quanto questi colori siano resistenti ai vari processi a cui sottoponiamo i nostri modelli durante le varie fasi di verniciatura, ho eseguito vari test su alcuni pezzi. Ma prima di questo ho lavorato ininterrottamente per 1 ora con almeno 24 cambi di colore (no metallizzati) e risciacqui veloci della coppetta (no disassemblaggio) senza che sulla punta dell’ago si venissero a creare depositi.

Tutti si sono rivelati resistenti a mascherature con nastri per mascheratura, partendo da classico Tamiya e finendo con il nastro da carrozzieri che si trova in ferramenta. Che fosse un colore lucido, opaco, metallizzato, satinato o anche il primer non hanno subito alcun distaccamento dalla superfice sia essa stata trattata con primer o plastica non trattata.

Anche sotto l’applicazione dei classici lavaggi enamel based (a base smalto) o water based, il prodotto non ha subito reazioni chimiche. Idem con l’applicazione dei vari liquidi ammorbidenti per decal.

Anche la fase di carteggiatura eseguita per ogni tipologia di carta mi ha permesso di constatare la solidità e buona fattura del prodotto; si liscia con facilità assottigliandosi senza pelarsi o strapparsi.

Il primer, una volta asciutto, è ben compatto e si presta anche essere lucidato con paste abrasive e panni micromesh.

Le tonalità più chiare hanno buona capacità di copertura, con qualche aggiunta di layer in più richiesto per il bianco lucido.

Anche le vernici, soprattutto quelle lucide, sono trattabili con le paste abrasive (io ho utilizzato le Tamiya) e panni micromesh aumentando il grado di brillantezza. Temono le colle per lo stirene, solventi a base alcolica e applicazioni abbondanti di vernici lacquer al di sopra di esse (non occorre esagerare, come già suggerito sopra).

Note finali:

Dopo intense sessioni di test e comparazioni, questi colori sono prodotti che ritengo davvero validi al pari di Mr.Color/Mr.Hobby, Mr. Paint, Tamiya Lacquer, Ak Real color. Ottima la copertura, la flessibilità con alte diluizione e basse pressioni senza perdita eccessiva di saturazione grazie alla finezza del pigmento che permette di fluire senza intasamenti attraverso le aeropenne con duse da 0,2 e 0,15 anche dopo lunghe sessioni. Migliorabili i metallizzati e da rivedere le indicazioni sulle diluizioni. Affiancherei al classico thinner un additivo ritardante o, direttamente un thinner slow dry (magari da aggiungere direttamente alla linea TA Models) soprattutto per tirare fuori il meglio dalle finiture lucide (e non solo). Sicuramente consigliati per un uso prettamente ad aeropenna e non a pennello, se non per piccoli ritocchi.

Per ulteriori prove di questa nuova gamma di colori seguiteci sul FORUM DI MODELING TIME!

Buon modellismo a tutti!

Aurelio “Freestyle” Laudiero.

Captain America – MDD F-15E Strike Eagle “Operation Iraqi Freedom” dal kit Revell in scala 1/48.

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Il kit Revell dell’F-15E Strike Eagle nella scala 1/48, malgrado i suoi vent’anni di età, rappresenta ancora oggi un’ottima base di partenza e, con le giuste aggiunte aftermarket, può dire ancora la sua al confronto del nuovissimo Great Wall Hobby. La scatola in mio possesso è la versione messa in commercio nel 2000 ed è totalmente priva di carichi di caduta (contiene al suo interno solo quattro missili Sidewinder).  

Nel mio caso, volendo rappresentare un esemplare impegnato durante l’operazione Iraqi Freedom, ho dovuto acquistare diversi set di dettaglio per aggiornare lo stampo e renderlo compatibile con quel periodo storico. In particolare, della linea Brassin ho reperito gli AIM-9M/L Sidewinder, gli AIM-120 AMRAAM e le GBU-12 che, purtroppo, non ho potuto utilizzare (più avanti nel testo spiegherò il motivo).  

La Revell tra le parti ha previsto il solo lanciatore per quattro Sidewinder, per tale ragione ho dovuto acquistare i rail LAU-128 della Metallic Details che, malgrado il nome, sono in resina e permettono l’aggancio dei due AIM-120 AMRAAM. Visto che oramai ero in ballo, ho pensato bene di sostituire i pod Litening e Lantirn originali con quelli, molto più dettagliati, della Brassin ed aggiungere abitacolo e scarichi della Aires. Non amo utilizzare le cinture fotoincise per cui ho scartare i seggiolini Aires e optare per quelli della Quickboost che hanno le cinghie già stampate.  

E veniamo adesso alla versione scelta! L’esemplare proviene dal foglio decals 48240 della Cutting Edge e rappresenta un F-15E del 4th FW, 336 TFS schierato sulla base di Al Udeid, in Qatar, tra il Marzo e l’Aprile del 2003. 

 

La caratteristica peculiare di questo esemplare è la nose art di Captain America sul lato sinistro del muso che da un tocco di colore alla monocromia dello Strike Eagle. Inoltre, se non avessi scelto questo velivolo mio figlio, appassionato degli eroi Marvel, mi avrebbe tolto il saluto per il resto dei miei giorni… 

Il montaggio del kit è iniziato, come sempre, dal cockpit. Il set Aires non offre una marcia in più rispetto alla plastica del kit e le differenze sono davvero minime. 

Assolutamente necessaria, invece, la sostituzione dei sedili perché quelli da scatola non reggono il confronto con le copie in resina. 

 

L’adattamento della vasca richiede il solito di lavoro di assottigliamento delle pareti, sia del kit che delle parti in resina ma, alla fine, si riesce ad incastrare per bene il tutto. 

Gli interni sono in FS 36231 che ho approssimato con l’XF-54 Tamiya schiarito con un buon 30% di bianco. Con gli acrilici Vallejo, accompagnati da una buona documentazione fotografica, ho riprodotto tutti i particolari dell’abitacolo quali switch e levette varie. Per far risaltare i dettagli ho eseguito un dry brushing con del grigio chiaro ad olio, insistendo particolarmente sugli spigoli. Nei recessi, viceversa, ho applicato un lavaggio, sempre ad olio, utilizzando un colore molto prossimo al nero.  

I seggiolini vanno dipinti e messi da parte in quanto saranno montati solo alla fine. Su una base in Nato Black, sono stati dipinti utilizzando, al solito, i vinilici della Vallejo che hanno il vantaggio di un’ottima copertura e brillantezza. Anche in questo caso, la colorazione va completata con gli indispensabili passaggi di lavaggio e dry brush. 

 

Prima di chiudere le due valve della sezione anteriore della fusoliera ho inserito della zavorra, per evitare che l’aereo si potesse sedere sulla coda. A conti fatti, probabilmente il peso dell’abitacolo in resina sarebbe stato sufficiente, ma ho preferito non correre rischi. 

Contemporaneamente al lavoro sulla sezione anteriore ho iniziato a completare le prese d’aria. La Revell ha riprodotto tutto il condotto fino al primo stadio della turbina ma, vista la lunghezza dei pezzi, si fa fatica ad eliminare la linea di giunzione all’interno. Pur avendo ottenuto un risultato discreto, alla fine ho preferito inserire le coperture anti-fod che, dipinte in rosso, danno un bel tocco di colore sulla verniciatura grigio scuro. 

Osservando le foto dell’aereo a terra si può notare che piani di coda e alettoni difficilmente si trovavano in posizione neutra. Ho, quindi, rimosso le parti del kit servendomi dell’incisore della Trumpeter. I taileron li ho sostituiti con quelli in resina della Quickboost, per gli alettoni ho riutilizzato quelli originali dopo aver ricostruito la zona di rotazione. Questi ultimi, a causa della perdita di pressione idraulica, tendono ad abbassarsi entrambi. 

 

Il pezzo che simula il cannone Vulcan da 20mm è stato sostituito con un corrispettivo autocostruito, utilizzando un disco di Plasticard e delle sezioni di ago ipodermico del giusto diametro per rappresentarne le canne. Anche se si tratta di un dettaglio poco visibile, fa parte di quel processo di aggiornamento del kit a degli standard più in linea coi tempi. 

Particolare attenzione va posta nell’incollaggio delle parti terminali superiori delle ali. Unendoli direttamente alla parte inferiore si forma un antiestetico scalino che bisogna poi appianare carteggiando la plastica in una zona molto ricca di dettagli finemente incisi. Con un minimo di pazienza, basta assottigliare la parte inferiore delle semi ali su un foglio di carta abrasiva di grana 600, quel tanto che basta per riportarle a filo. Anche il freno aerodinamico, se rappresentato chiuso, richiede qualche aggiustamento perché tende ad annegare leggermente all’interno del suo vano. Dopo aver praticato dei fori nell’alloggiamento è possibile spingere il pezzo dall’interno durante l’incollaggio, favorendone il perfetto allineamento con la fusoliera. Naturalmente questa operazione va effettuata prima di incollare tra loro le due sezioni centrali. 

Il resto del montaggio prosegue speditamente e l’uso dello stucco è veramente ridotto al minimo; la Revell ha fatto veramente un ottimo lavoro. Anche i serbatoi conformi, che potrebbero nascondere insidie, si montano senza problemi richiedendo soltanto un filo di Mr. Surfacer 500 lungo le giunzioni. 

Piuttosto complesso è stato l’adattamento degli scarichi Aires, decisamente sottodimensionati. Si forma un dislivello di circa un millimetro tra la fusoliera e l’anello di raccordo con gli ugelli. 

Ho risolto eliminando l’anello terminale dal pezzo in resina, sostituendolo con l’equivalente in plastica del kit sul quale ho incollato, solo a verniciatura ultimata, l’ugello in resina. 

 

Dopo aver concluso il montaggio anche della sezione posteriore si può passare all’assemblaggio dell’intera fusoliera. Al fine di allineare perfettamente i due tronconi è stato necessario inserire uno spezzone di sprue all’interno della parte anteriore, come vedete in foto. In questo modo si riduce notevolmente l’uso della carta abrasiva e si risparmia il bel dettaglio del kit. 

Lo stampo presenta delle nervature di rinforzo sulle superfici mobili delle ali che, nella maggior parte degli esemplari, non sono presenti. Anche se a verniciatura quasi ultimata, spinto dai ragazzi del forum di Modeling Time, ho provveduto ad eliminarle. 

Per quanto concerne la verniciatura, come mia prassi ho spruzzato sul modello un fondo di Mr. Finishing Surfacer 1500 grigio. 

Questo mi ha permesso di controllare che il montaggio fosse a regola d’arte; inoltre ha costituito un’ottima base di ancoraggio per le vernici. Gli F-15E in linea di massima sono molto puliti, ma gli esemplari impegnati in operazioni di guerra portavano qualche segno dell’impiego operativo; in particolare è possibile notare una patina di sporco sulle superfici e varie colature, a volte anche copiose, in alcune zone di ali e fusoliera. Partendo da questo presupposto, ho iniziato evidenziando le linee delle pannellature, e le zone più soggette allo sporco, con un pre shading in Nato Black. Successivamente ho iniziato la velatura con il colore base, nel mio caso l’H-308 Gunze diluito al 70% con il Mr. Levelling Thinner. 

Quindi, con il grigio della mimetica schiarito con qualche goccia di bianco e la diluizione portata a oltre l’80%, ho desaturato alcuni pannelli più soggetti ad usura e creato delle variazioni di tono. Anche se i contrasti sembreranno eccessivi, bisogna tenere conto che i trasparenti e le successive fasi di invecchiamento tenderanno a smorzarne gli effetti. 

Per le zone in metallo naturale ho utilizzato diverse tinte della gamma Alclad. Dopo aver isolato col nastro Tamiya le parti verniciate in grigio, ho steso un primo layer di Alluminium. Su questa base, prendendo come riferimento delle ottime foto trovate sul web, ho mascherato e dipinto alcuni pannelli in Dark Alluminium e, soprattutto nella parte inferiore, ricreato delle zone di ossidazione con il Pale Burnt Metal. La corona immediatamente davanti agli ugelli ha ricevuto una leggerissima velatura in Hot Metal Blue, mentre la zona attorno allo scarico dell’APU una velatura di Hot Metal Sepia e Hot Metal Blue a simulare il metallo ossidato e surriscaldato. In seguito, ho ripassato questa parte con la polvere “Soot” prelevata dal set B del Tamiya Weathering Master. 

Gli ugelli hanno prima ricevuto un fondo in Magnesium, poi un dry brush in alluminio. Alcuni petali, inoltre, sono stati evidenziati con il Transparent Blue e Transparent Orange Tamiya applicati con un pennellino. 

L’interno degli scarichi li ho verniciati con una base in Off White Gunze per simulare le parti ceramiche, e con una miscela di Nato Black smorzata con qualche goccia di Red Brown ho riprodotto le scie dei fumi. Per finire, anche in questo caso, polveri di pastello e ombretti Tamiya hanno armonizzato il tutto. 

Giunto a questo punto ho lucidato il mio Strike Eagle con diverse applicazioni di Tamiya X-22 diluito al 70% con il Mr. Leveling Thinner e, su questa base, ho proceduto subito con i lavaggi. Ho utilizzato un grigio scuro ad olio, ottenuto semplicemente mischiando nero con una punta di bianco e diluendo il mix con il white spirit della linea AK. Questa tecnica preferisco applicarla per capillarità, per questo motivo ho allungato molto la miscela in modo da farla scorrere lungo le pannellature senza lasciare residui o effetti filtro.   

Dopo aver sigillato il modello con un’ulteriore mano di trasparente lucido sono passato alla posa delle decal. Nonostante l’età le Cutting Edge si sono dimostrate ottime, sottilissime ma resistenti e con un film praticamente invisibile. Il foglio, purtroppo, non prevede gli stencil di manutenzione che ho dovuto prelevare dal set Caracal 48006. Quest’ultime, pur essendo stampate da Cartograf, sono piuttosto spesse e richiedono diverse mani di trasparente per essere inglobate nella verniciatura e ottenere un effetto “painted on”.  

Dopo avere ripristinato i lavaggi nelle zone coperte dalle insegne, ho opacizzato il modello con diverse passate di Flat Gunze H-103. 

 

Guardando le foto della parte inferiore degli Strike Eagle è possibile notare che tutta la zona che va dalla fine del vano carrello principale fino a quella lasciata in metallo naturale è interessata da trafilature di liquidi idraulici. Per riprodurle ho depositato piccole quantità di olio lungo le pannellature, in questo caso Engine Grease e Dark Mud della linea Abteilung;  dopo qualche minuto dall’applicazione, ho tirato i colori nella direzione del flusso dell’aria con un pennello piatto. Gli errori possono essere facilmente corretti con il white spirit. 

Una tecnica simile (on line viene anche definita “dot fading”) l’ho sfruttata per riprodurre dei filtri e simulare varie patine di sporco sulle superfici superiori e inferiori. Questa volta, però, ho depositato dei piccoli punti di olio con uno stuzzicadenti e ho picchiettato i pigmenti con un pennello appena imbevuto di white spirit.  Alle tinte già citate, ho aggiunto anche il Neutral Grey, il Dust, il Buff e il Bitume, sempre della gamma Abteilung.  

Una nuova mano di trasparente opaco ha concluso il lavoro e donato la finitura finale al mio Eagle. L’ultimo passaggio ha riguardato la desaturazione delle decalcomanie con una velatura leggerissima del colore base diluito al 90%. 

L’armamento è costituito da una coppia di AIM-120 e una coppia di AIM-9 per autodifesa, due GBU-10 e quattro GBU-12. A questi ho aggiunto i due serbatoi sub alari che, in diverse immagini, sono verniciati con la livrea per superiorità aerea degli F-15C. Per movimentare un po’ lo schema mimetico del mio Eagle ho deciso di verniciare una delle due taniche proprio in grigio FS 36251. 

Le GBU-12 Brassin si sono rivelate, almeno per me, inutilizzabili perché la separazione dalla materozza in resina mi è risultato impossibile senza danneggiare le alette stabilizzatrici. Mio malgrado ho dovuto ripiegare sulle bombe contenute nel Weapons Set Hasegawa. Dalla stessa scatola ho prelevato anche le GBU-10. I Sidewinder Brassin sono più piccoli di circa due millimetri in scala, ma essendo quasi totalmente invisibili ho preferito montarli ugualmente. Per gli AMRAAM, non avendo valide alternative ai pezzi in resina della ditta ceca, ho preferito non verificarne la correttezza delle dimensioni e di usarli a prescindere… come si dice, occhio non vede e cuore non duole! 

I carrelli del kit sono buoni, basta aggiungere i circuiti idraulici per ottenere una buona riproduzione di quelli reali. Inoltre, gli pneumatici hanno già l’effetto peso. Col senno di poi, forse, sarebbe stato più sicuro sostituirli con quelli in metallo della Scale Aircraft Conversion, ma solo per una questione di resistenza, visto il peso raggiunto dal modello. 

Gli ultimi tocchi hanno riguardato l’incollaggio degli ugelli di scarico del tipo senza “turkey feathers” (senza petali), dei seggiolini, del canopy e delle due sonde anemometriche, in basso ai lati dell’abitacolo. 

Questo Strike Eagle mi ha tenuto occupato per quasi otto mesi ma, alla fine, credo di aver ottenuto un risultato godibile. Mi auguro che questo articolo possa essere utile a tutti coloro vorranno cimentarsi nel montaggio di questo ottimo kit. Come sempre, un sentito ringraziamento va ai ragazzi del forum di Modeling Time per il loro supporto durante la realizzazione. 

Buon modellismo (e buon divertimento)! 

Fabio Cannova

Midnight Sinner – North American F-82G Twin Mustang dal kit Modelsvit in scala 1/48.

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Il North American P-82 Twin Mustang, meglio noto come F-82, fu la versione a doppia fusoliera del famigerato P-51 Mustang (diretto derivato della versione H). Fu l’ultimo velivolo americano a pistoni ad entrare in servizio con l’USAF e venne originariamente progettato come caccia di scorta a lungo raggio per affiancare i B-29 Superfortress nelle ultime fasi della Seconda Guerra Mondiale, anche se non poté mai ricoprire questo ruolo per la fine delle ostilità.

Nell’immediato dopoguerra, e precisamente nel novembre del 1945, una specifica dell’Air Force richiedeva una valutazione del P-82 come possibile sostituto del Northrop P-61 Black Widow nel ruolo di caccia notturno, pertanto la North American propose due prototipi basati sulle cellule del decimo e undicesimo dei venti esemplari costruiti (precisamente il P-82C matricola 44-65169 e il P-82D matricola 44-65170). I due velivoli furono dotati di una grossa gondola ventrale che ospitava, rispettivamente, due tipi di radar: il model C con un derivato dell’SCR-720 impiegato sui Black Widow, mentre il model D l’AN/APS-4. Nell’abitacolo del secondo pilota fu installata la postazione per l’operatore radar con la relativa strumentazione, eliminando i controlli delle superfici di governo. Vennero prodotti 100 esemplari del model D, poi denominati F-82F, e a seguire altri 45 esemplari del model C successivamente designati F-82G.

Allo scoppio della Guerra di Corea, nel 1950, gli F-82G furono i primi aerei a supportare le operazioni di evacuazione dei civili americani dal porto di Inchon, e dagli aeroporti di Kimpo e Suwon, a seguito dell’avanzata delle truppe nord coreane.  A differenza dei velivoli a reazione del tempo, l’F-82G era l’unico intercettore capace di volare per più di 300 miglia dalla base di Itazuke, in Giappone, fino all’area di Seoul e del fiume Han, ed avere ancora sufficiente autonomia per il ritorno.

Piccola curiosità: la prima vittoria aerea ai danni dei rivali nordcoreani fu ottenuta proprio da un F-82G ai danni di uno Yak-11, nei pressi del campo di Gimpo.

Nonostante l’impiego nel conflitto, il Twin Mustang ebbe una carriera operativa relativamente breve segnata anche dall’avvento sempre più importante degli aerei con propulsione a getto. Questo ha sicuramente contribuito a renderlo un soggetto anonimo e poco appetibile anche per le ditte modellistiche che, negli anni, gli hanno dedicato un solo kit (la Modelcraft, nel lontano 1997) e neanche troppo fedele nelle forme e dimensioni. Si è dovuto attendere fino al 2021 per avere uno stampo new-tool al passo con i tempi, grazie alla ucraina Modelsvit. Ed è proprio tale prodotto ad essere finito sul mio banco non appena le prime scatole sono finalmente giunte sugli scaffali dei negozi specializzati. In questo articolo ve ne presenterò pregi e, soprattutto, difetti.

Cockpit:

Il montaggio inizia con la pulizia dei pezzi che compongono i due cockpit che si differenziano per diversi elementi:

  • Quadri strumenti diversi dedicati al pilota (fusoliera di sinistra) e operatore radar (fusoliera di destra).
  • La presenza di una sola cloche a differenza dei doppi comandi presenti nelle prime serie ideate per le missioni di scorta a lunghissimo raggio.
  • Pedaliera per i timoni nel cockpit del pilota e pedane di appoggio nell’altro.
  • Presenza del blocco della radiobussola AS313/ARN6 visibile dietro alla testa del pilota.

La definizione dei dettagli è sufficiente; molti indicatori sono davvero sottili e devono essere sapientemente messi in risalto con la tecnica del dry brush. Sono stampati anche dei cablaggi di base che danno il giusto aspetto agli abitacoli. Alla fine mi sono limitato a completarli da scatola, senza alcuna aggiunta, reputando buona la quantità di particolari

La sequenza di verniciatura dei cockpit è stata la seguente:

  • Base su vasche e i seggiolini in Alclad ALC106 – White Aluminium
  • Applicazione dell’AK Heavy Chipping Fluid subito sopra il colore metallico
  • La vernice originale degli interni è tutt’oggi un argomento dibattuto e controverso. Alcuni indicano l’Interior Green, altri (con più probabilità) il nero opaco. Ho scelto quest’ultimo optando per il Gunze H-77 Tyre Black perché già desaturato e più in scala


Una volta asciutto il Tyre Black, ho bagnato le superfici con un pennello inumidito di acqua tiepida e con uno stuzzicadenti ho scrostato le zone più soggette a usura (come la seduta del seggiolino e le zone di calpestio).


Il quadro strumenti del pilota è un mix di fotoincisioni e decal per le veglie e per il pannello con gli interruttori. Tutti gli altri particolari sono stati completati a pennello.

Ho deciso di non effettuare lavaggi in un cockpit totalmente scuro, bensì ho sfruttato il fondo per applicare la tecnica del pennello asciutto con l’Abteilung 502 Light Gray ad olio. Con l’Aluminium della Vallejo Air, invece, ho aggiunto altri graffi e scrostature più selettive.


Come tocco finale ho integrato alcune delle “placard” mancanti utilizzando quelle prodotte dalla Archer in 1/35; sono dei “wet transfer” da trasferire su un piccolo film trasparente per poi utilizzale come decalcomanie tradizionali, bagnandole e applicandole sulla superficie – il risultato finale è molto bello.

I seggiolini sono da scatola, comprese le cinture in fotoincisione che ho dipinto a mano con colori vinilici Vallejo. Una caratteristica del cuscino (in giallo XF-3 Tamiya) è costituita da due tappi neri posizionati all’altezza delle scapole, tipici dei P-51 H. Sono molto visibili e li ho messi in risalto.

Ali e fusoliere:

Prima di chiudere le due fusoliere ho completato i vani carrelli posteriori aprendo i fori di alleggerimento e verniciando le superfici con l’Interior Green MRP-131. I portelloni, al contrario, sono in alluminio secondo quanto si riesce a capire dalla documentazione fotografica dell’epoca.

I radiatori del liquido refrigerante e relativi condotti sono in Alclad ALC-106 White Aluminium; le griglie hanno ricevuto un lavaggio ad olio in marrone scuro per metterne in risalto la trama.

Le valve si accoppiano senza particolari problemi necessitando solo di poco stucco. I punti critici su cui porre maggiore attenzione sono quelli in corrispondenza delle palpebre dei cruscotti, che hanno uno spessore troppo pronunciato all’interno e devono essere svuotate della plastica in eccesso. Fate in modo che i due lembi combacino al meglio altrimenti i due parabrezza potrebbero inserirsi a fatica nei rispettivi alloggiamenti.

La scomposizione dei condotti esterni delle prese d’aria è abbastanza cervellotica e costringe il modellista a stuccare e carteggiare in punti molto scomodi. Personalmente ho deciso di chiudere tutto con dei tappi anti FOD autocostruiti in Plasticard.

Un’altra zona delicata è quella della dorsal fin dove passa la giunzione della fusoliera. L’unione non è pulita e devono essere ripristinate molte pannellature. 

Il longherone centrale, che collega le due fusoliere, ospita il vano del carrello principale e quello delle armi. Per aumentare il livello di dettaglio e “spezzare” la monotonia della mimetica, ho deciso di autocostruirlo completamente. Ho iniziato ad eliminare la plastica forando il perimetro del portellone con una punta elicoidale in carburo:

A seguire ho creato il vano interno con un foglio di Plasticard da 0.3, le centine e ho riprodotte con dei profilati Evergreen a sezione rettangolare (misura 0,75 x 1 mm – codice 132). L’operazione più delicata è stata aprire i fori in cui passano le canne delle mitragliatrici a causa della loro particolare forma a goccia. Armato di trapanino elettrico, lime e mano ferma sono riuscito ad ottenere un profilo accettabile.

Per le armi ho deciso di utilizzare il set della Eduard Brassin numero 648517 destinato al kit Eduard. Il prodotto è ben fatto e mi ha fatto risparmiare un bel po’ di tempo.

Sono intervenuto anche sui fari di atterraggio a causa di una certa confusione creata dalla Modelsvit:

Osservando la foto sopra si nota chiaramente il bulbo che fuoriesce dall’ala sinistra; sul kit è stampata la sola pannellatura ma il bulbo non è presente all’interno degli sprue. A partire dai prototipi e sulle prime serie dell’F-82, il faro si trovava sulla gamba destra del carrello d’atterraggio; sulle serie F/G (mi riferisco alle due che ho verificato) essi furono raddoppiati e collocati nelle semiali a scomparsa. A terra erano spesso aperti ed è un particolare che non può essere tralasciato.  Ho iniziato con l’aprire i vani e creare un fondo in Plasticard per dare la giusta profondità:

Nella seconda foto potete vedere un foro circolare accanto ed è l’alloggiamento per un ulteriore faro che era fisso. Le istruzioni del kit segnalano la possibilità di realizzarlo estratto ma non ci sono riscontri fotografici a tal proposito, né a terra né tantomeno in volo (ad ulteriore riprova dell’errata ricerca storica eseguita dalla ditta ucraina).

Ad ogni modo, dopo aver incollato il trasparente ho verniciato il retro con del cromo liquido della Molotov. Poi, con una punta elicoidale, ho realizzato un foro dal retro a simulare la lampadina.

Terminate le correzioni sulle ali, le ho assemblate alle due fusoliere. In questa fase ho volutamente tralasciato il montaggio del pod radar perché molto ingombrante e di impaccio per il resto della costruzione.

Ho deciso di modificare anche l’equilibratore in coda e separarne il trim come si vede in alcune foto:

Ho preferito sostituire anche i collimatori da scatola acquistando i K14 del set 648570 della Brassin.

Il pezzo in resina calza alla perfezione ed è ben fatto. Alla sua destra ho costruito la Radar Warning Light (tralasciata dalla Modelsvit). Inoltre, lungo tutto il perimetro della palpebra ho realizzato l’imbottitura in pelle (simulata con del Tamiya Epoxy Putty).

Le luci di posizione del kit non sono all’altezza, per cui ho preferito realizzarle ex novo partendo da un pezzo di sprue trasparente.

Il bulbo della lampadina è stato realizzato con lo stesso procedimento del faro alare (punta elicoidale) ma, questa volta, all’interno del foro ho colato una microgoccia di Clear Red e Clear Green Tamiya. La parte che è andata a contatto con l’ala l’ho spennellata con una mano di Silver della Vallejo Air.

Successivamente ho protetto il corpo principale della luce con la maschera in vinile fornita dal kit, e con una composta da varie sezioni di nastro Tamiya. Tale accorgimento mi ha permesso di spruzzare varie mani leggere e sovrapposte di Mr. Surfacer per ottenere una piccola cornice intorno al trasparente (questa tecnica la potete vedere applicata anche QUI).

Per concludere gli interventi sulle ali, ho stuccato le pannellature principali e lasciato aperte quelle delle tipo e quelle a copertura degli attuatori e cerniere degli alettoni. È importante ricordare che anche i Twin Mustang, come i P-51 da cui derivavano, sfruttavano il flusso laminare; di conseguenza, anche l’ala degli F-82 era stuccata e raccordata con uno stucco all’alluminio.  Allo scopo ho utilizzato il Mr. Surfacer 1200 della Gunze applicato con uno stuzzicadenti lungo le pannellature e ho rimosso l’eccesso strofinando con dei cotton fioc imbevuti di acetone per unghie.

Come previsto anche sul velivolo reale, ho lasciato al loro posto i piccoli portelli d’ispezione e i tappi dei serbatoi.

Verniciatura:

Ho deciso di usare direttamente un nero lucido per evitare troppi strati tra primer, vernici e trasparenti vari al fine di salvaguardare i tanti piccolissimi rivetti stampati sulle superfici di questo Twin Mustang. Prima del colore principale ho spruzzato del White Aluminium Alclad ALC-106 lungo i raccordi karman e in prossimità del longherone centrale col vano armi, poi ho dato una mano di AK Heavy Chipping e, a seguire, ho verniciato queste zone in nero lucido Tamiya X-1. Tale scelta è dovuta al fatto che il colore acrilico è più morbido e facile da rimuovere, quindi l’effetto delle scrostature risulta più controllabile.

Per la verniciatura di base ho utilizzato principalmente il Mr. Color C2 Gloss Black che asciuga rapidamente e resiste bene alle mascherature. Lo considero un validissimo alleato ma deve essere comunque spruzzato molto diluito (al 70/80 %) con l’ausilio del Leveling Thinner.


Dopo aver steso il colore ho eliminato tutte le impurità ed eventuali peluzzi passando della carta abrasiva grana 2000, rigorosamente bagnata. Per completare l’opera, poi, ho impiegato le paste abrasive Tamiya nella gradazione Coarse, Fine e Finish.

Il vano armi è stato verniciato in due fasi: prima ho steso una base di Mr. Base White 1000 come fondo, a seguire ho utilizzato il Mr. Paint MRP-129 Zinc Chromate Primer WWII USA che ha una finitura semilucida e agevola l’applicazione del lavaggio.

Il vano carrello è stato un vero e proprio vaso di Pandora: la documentazione fotografica a colori, e in bianco e nero, non aiuta affatto a capire quale sia il colore effettivamente utilizzato nei caccia notturni del tempo (a causa della posizione in perenne ombra delle baie). Un riscontro, purtroppo, non può venire neanche dagli esemplari conservati nei musei, o dall’unico volante, perché tutti presentano gli interni e relativi portelloni Yellow Zinc Chromate per cui non vi è alcun riscontro certo. Grazie alla collaborazione di un caro amico (il nostro Fulvio aka Spillone) ho reperito delle interessanti diapositive tratte dalla sua biblioteca personale; queste mi sono state utilissime per confermare che i portelli fossero, in realtà, in metallo naturale o comunque color alluminio. Riguardo alle baie è rimasto il dubbio e, alla fine, ho ipotizzato che potessero essere in Interior green (usato anche sugli Skyknight rischierati in Korea).

Ho optato per il verde Gunze H-303 (F.S. 34102) che è una via di mezzo tra un Interior Green e un Bronze Green. I portelli, invece, sono in Alclad ALC-106 White Aluminium e hanno ricevuto un lavaggio in grigio medio ad olio. Il vano è sostanzialmente da scatola, ho solo verniciato qualche elemento per spezzare la monotonia della base completando il lavoro con il washing in grigio scuro e un po’ di dry brush in verde chiaro.

Ho deciso di verniciare le bande color ciano in fusoliera, operazione non semplice dato il fondo scuro e lucido. Per ottenere la tinta corretta ho mixato 10 gocce di Tamiya X-14 Sky Blue e 1 goccia di Tamiya XF-8 Blue. Allo scopo di favorire la copertura, la miscela è stata applicata su un fondo bianco (Mr. Surfacer White della Gunze) e con una diluizione bassa, intorno al 50%. Lo spessore delle bande è di 2,5 mm.

Decalcomanie:

Le decal da scatola sono ottime come spessore; trattandole con il Microsol e il Microset aderiscono perfettamente alle pannellature e rivettature.

Ho commesso, però, l’errore di non scontornare le lettere che compongono le scritte “USAF” sulle ali e ho danneggiato il film in eccesso nel tentativo di eliminare delle grinze durante l’applicazione. Anche in questo caso è venuto in mio soccorso l’amico Fulvio che ha gentilmente realizzato delle maschere tagliate al plotter. Per il rosso ho scelto il Mr. Color C-79 Shine Red, sempre su base bianca.

Invecchiamento:

Ho deciso di non esagerare con il weathering, tenendo anche conto che il “Midnight Sinner” è sopravvissuto alla Guerra di Korea e ha terminato il suo servizio in Alaska. Sono partito, quindi, da una verniciatura senza effetti per poi andare a sporcare e graffiare le principali aree soggette a manutenzione, calpestio, e rifornimento. I punti interessati sono stati:

  • Cofanature motori
  • Longherone centrale e vano armi
  • Raccordi Karman
  • Vani per apparecchiature radio e radar
  • Superficie alare limitrofa ai serbatoi

Ho iniziato opacizzando e schiarendo leggermente queste zone con il Gunze H-77 Tyre black che non contrasta eccessivamente ma stacca rispetto al nero lucido della livrea.

Nella foto che segue potete osservare l’effetto sulle cofanature, il nero perde lucentezza e l’aspetto appare “cotto” dal sole o dal calore:

Dopo la prima mano ho deciso di realizzare scrostature e graffi sulle zone più usurate dell’aereo, anche guardando le foto in volo e dell’epoca.

Per quanto concerne i raccordi Karman, ho agito prevalentemente inumidendo la superficie con acqua tiepida (precedentemente trattata con l’AK Heavy Chipping) e portando via la vernice con uno stuzzicadenti; nei punti più resistenti ho utilizzato anche con della carta abrasiva (per ottenere il risultato migliore è opportuno eseguire la tecnica subito dopo la verniciatura di base, questo perché più la vernice asciuga e meno è efficace il prodotto specifico della AK). A seguire ho incrementato l’invecchiamento con queste due tecniche:

1) realizzando dei graffi a pennello con un Silver della Vallejo Air. Le setole devono essere molto scariche per evitare tratti troppo grossolani.

2) applicando ancora una volta il Silver Vallejo, ma questa volta con una spugnetta sui bordi d’attacco delle ali.

Una curiosità: Nel libro di Alan C. Carey dedicato al Twin Mustang ho trovato una sola foto in cui si intravede il cockpit dall’alto, e ho notato che i frame laterali erano verniciati in rosso. Personalmente li ho riprodotti con delle strisce di decal tagliate a misura, un dettaglio tralasciato da altri modellisti che si sono cimentati con questo soggetto.

Per aumentare la sensazione di “cottura” della vernice nera ho ripassato le zone già trattate fusoliera con il classico XF-1 Tamiya, molto efficace e facile da diluire:

Dopo il nero opaco XF-1 ho deciso di applicare un ulteriore giro di opacizzazione direttamente con il Clear Flat Gunze H-20 steso con uno stencil per aerografia.

Al fine di dare maggiore tridimensionalità al mio Twin Mustang, sulle ali ho utilizzato la tecnica del post-it per profilare un minimo le pannellature (poche). Allo scopo ho usato nuovamente l’H-77. Praticamente ho appoggiato il foglio accanto alle linee che volevo enfatizzare, spruzzando a bassa pressione la vernice molto diluita.

Per evidenziare i fastener sulle cofanature motore ho utilizzato un lavaggio a secco con il Silver della Vallejo Air, applicato direttamente sul fondo lucido e lasciato asciugare:

A completa essicazione ho rimosso l’eccesso semplicemente con un cotton fioc umido di acqua.

Ulteriori graffi li ho aggiunti con due tonalità di grigio delle matite acquerellabili. L’unica accortezza è quella di usarle su fondo opaco, altrimenti il loro pigmento non riesce ad aggrapparsi.

Per i fumi gli scarichi sono partito da un fondo marrone utilizzando ilTamiya XF-52 Flat Earth.

A seguire ho scelto il Gunze H-21 Off white, un bianco non troppo acceso che mi ha permesso di dosare l’effetto a mio piacimento. Devo dire che realizzare i fumi interno delle fusoliere è stato un vero incubo a causa dello scarso spazio di manovra per l’aerografo.  

Ultimi dettagli e carichi alari:

La gondola del radar (se pulita e provata più volte a secco) è comoda da montare a fine modello, senza necessità di stucco, ed è verniciata in nero lucido Mr. Color C2. Il vano di accesso all’avionica ha ricevuto lo stesso invecchiamento di quello delle armi eseguito con vari tipi di nero opaco sovrapposti, graffi con il Silver Vallejo Air e matite acquerellabili grigie. La copertura frontale dell’antenna era in vetroresina (simulata con il Radome Tan Gunze), poteva sverniciarsi totalmente a causa dei detriti e della polvere proiettata dal movimento delle eliche.

Non era raro vedere degli F-82 equipaggiati con serbatoi in metallo naturale, pertanto ho deciso di riprodurre questa particolarità anche per il “Midnight Sinner”. Quello metallico è verniciato in Alclad White Aluminium ALC-106. Sull’altro, in nero lucido, ho riprodotto le scrostature circolari che si a formavano al contatto con il bocchettone di rifornimento (con una matita acquerellabile color argento).

Un’altra aggiunta è costituita dai braccetti anti-oscillamento, realizzati in sprue filato perché assenti nel kit:

Le eliche ruotavano in senso contrapposto, tenetelo a mente quando le monterete sul vostro modello. Le pale sono verniciate in Gunze H-77 Tyre Black e invecchiate con colori ad olio a secco e spugnetta sporca di Alluminio Vallejo Air. Anche le ogive hanno ricevuto il medesimo trattamento.

Il gruppo ruote-carrelli è una delle note dolenti del prodotto Modelsvit: sono fragili e le strutture che sostengono i due ruotini di coda fanno sudare le proverbiali sette camicie per l’assemblaggio. Inserirle a modello finito complica ulteriormente le operazioni ma, d’altro canto, incollarle prima è assolutamente sconsigliato… si spezzerebbero nel giro di poco.

Sulle gambe di forza del carrello principale ho aggiunto dei dettagli mancanti; ho anche approfittato per inserire dei perni di acciaio (presi in prestito dalla solita graffetta da cartoleria) per rinforzare l’accoppiamento con gli pneumatici. Quest’ultimi hanno un dettaglio di base molto bello, l’unica nota dolente è la trama scanalata dei battistrada che è molto leggera e dovrebbe essere più fitta.

Gli scarichi parafiamma sono in ottone e già inclusi nella lastrina PE (photoetched) del kit; il metallo è veramente duro da piegare con l’ausilio di una pinzetta a becco quadrato e si rischia di non allineare correttamente tutte le lamelle, a tal proposito consiglio l’utilizzo di una piega fotoincisioni.

Li ho dipinti con una base di Gunze H-77 Tyre black (amo questo “nero”) e ho realizzato un chipping disomogeneo in marroncino ruggine utilizzando il Vallejo Air “Rust e in bianco per simulare i residui incombusti.

Altri elementi molto visibile, ma omesso dalla Modelsvit, sono le antenne montate all’interno di entrambi i canopy: una molto grande sopra la testa del pilota e una più piccola sopra a quella dell’operatore radar.

Ho tentato di capire attraverso i libri e i manuali di volo di che cosa si potesse trattare e mi viene in mente che fossero collegate al radiobussola ANR-6 che si trova alle spalle del pilota stesso riconoscibile per il bulbo trasparente.

Le ho ricostruite usando del fil di ferro rigido che mantiene bene la forma durante la lavorazione. Col Plasticard, invece, ho ottenuto il grosso supporto trasversale. I cablaggi li ho realizzati con del filo di stagno della Plusmodel da 0.2 mm, ed anche il bulbo della radiobussola ANR-6 è stato dettagliato verniciando i colori all’interno (bianco, giallo, marrone) e termoformando la copertura per dargli un effetto di profondità e trasparenza.

Le antenne così ottenute le ho fissate all’interno dei tettucci con delle piccole gocce di Future, unico materiale che poteva garantire la trasparenza e un buon livello di adesività (i pezzi rimarranno lì dentro, protetti e al riparo da urti).

Ho voluto aggiungere anche l’antenna AS-62/APS-13 che si nota in diverse foto e svariati esemplari de Twin Mustang, e che compare già negli ultimi block di produzione dei P-51D e nei P-51H (montata specularmente su entrambi i lati delle derive). Non sono sicuro che la mia cellula fosse dotata di questo tipo d’apparecchiatura, ma è molto plausibile.

Armamenti:

Il vano armi del Twin Mustang, come detto all’inizio dell’articolo, è stato completato utilizzando il set Eduard Brassin 648517. Al suo interno ho trovato tutto il necessario per mitragliatrici e nastri delle munizioni: il set ne fornisce quattro in resina, ma io li ho divisi in segmenti più corti e ne ho ricavati sei per la parte superiore dei miei caricatori. Ho sfruttato anche i due portelli rettangolari in resina mentre il portello centrale è realizzato in Plasticard con maniglie foto incise.

Le armi sono verniciate in Gunze H-77 Tyre Black e poi “spolverate” generosamente con polvere di grafite ottenuta raschiando la punta di una matita HB.

Il Twin Mustang poteva portare un massimo di dieci razzi HVAR divisi in due razziere, nel caso di serie precedenti (ad esempio la B) esse salivano a tre con la terza posizionata sotto il longherone centrale. Sul mercato esistono molteplici set dedicati agli HVAR ma ho trovato ottimi come qualità/prezzo quelli prodotti dalla Eduard Brassin in resina (codice EDB648061) che fornisce otto pezzi (quindi ne sono necessarie due confezioni).

Conoscendo i problemi di errato dimensionamento di alcuni aftermarket della ditta ceca, ho preferito controllare l’esatta proporzione e lunghezza dei pezzi confrontando le parti in resina con quelle in plastica del kit. Un razzo HVAR di tipo aeronautico è lungo 173 cm che in scala corrispondono a 3,6041cm. Di seguito il raffronto tra il Modelsvit (prima foto) e il Brassin (seconda foto):

Il Brassin risulta essere più lungo di circa 1mm abbondante, un errore che si potrebbe risolvere tagliando una sezione del corpo principale riportandolo alla lunghezza corretta. Di contro la qualità del dettaglio pende inevitabilmente a favore della Eduard. A voi la scelta, personalmente ho optato per le parti in resina accettandone una minore fedeltà.

I razzi sono verniciati con Mr. Surfacer 1200 per il grigio, Olive Drab Gunze H78 e Alclad ALC-106 White Aluminium per la spoletta. 

È anche per questo modello è tutto, arrivederci sul forum di Modeling Time! Buona lettura e buona visione!

Mattia “Pankit” Pancotti

Kit Review – F-4 G Phantom II “Wild Weasel” Meng in scala 1/48.

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Molti appassionati pensano che l’F-4G sia una versione secondaria e poco importante del Phantom. Il fatto di non essere stata particolarmente pubblicizzata e di aver vestito livree poco “sgargianti” ha contribuito al poco appeal di questa variante presso gli appassionati. In realtà gli F-4G sono state macchine eccellenti e, per molti addetti ai lavori, aeroplani all’avanguardia, con una tecnologia in anticipo di anni sulla loro epoca e che consentirono alla coalizione, durante la Desert Storm, di ottenere e mantenere la supremazia aerea praticamente sin dal primo giorno di guerra.

A livello di cellula strettamente derivati dagli F-4E, ne differivano profondamente a livello di impiantistica e sistemi d’arma. Le modifiche principali consistevano nella rimozione del cannone e nella sua sostituzione con l’APR-38 (t) Radar Homing and Warning Receiver (successivamente aggiornato all’APR-47) e nell’upgrade del cockpit posteriore per gestire i sistemi avionici specifici della missione SEAD. Furono convertiti un totale di 134 F-4G con il primo volo della variante avvenuto nel 1975. I primi esemplari di serie entrarono in servizio nel 1978.

Il modello MENG:

Non amo particolarmente i Phantom a muso lungo con due sole eccezioni: gli RF e, per l’appunto, i G. Le notti insonni passate davanti alla televisione nel 1991 mi hanno decisamente segnato e la mia passione per i velivoli che combatterono quella guerra è rimasta intatta fino ad oggi. L’uscita contemporanea di ben due modelli di F-4G (lo Zoukei Mura e il MENG) mi ha reso un modellista felice e, alla fine, ho deciso di dare fiducia a MENG dopo aver visto il rendering dei CAD resi pubblici qualche mese fa. Vediamo come se l’è cavata la ditta cinese alle prese con un soggetto complesso e pieno d’insidie quale è il Phantom.

Il kit è stampato in plastica color grigio medio, con pannellature realizzate in un negativo fine e rivetti non invadenti. La scatola include un tubo di Pitot in metallo, parti in fotoincisione in acciaio inossidabile per le piastre di rotazione degli stabilizzatori, un set di mascherature pretagliate in kabuki e decal Cartograph per tre schemi di verniciatura. Sono presenti un pod ECM AN/ALQ-119, un pod ECM AN/ALQ-131 e praticamente tutti i missili utilizzati nelle missioni SEAD:

  • 2x AGM-88 HARM
  • 6x AGM-65 Maverick a guida laser
  • 2x AGM-78 STANDARD ARM
  • 4x AIM-7M Sparrow

Troviamo anche un serbatoio ventrale (stile F-15, corretto per questa versione) e due serbatoi sub-alari.

Mi sarebbe piaciuto fossero presenti anche un ALQ-184, come quello usato dal 561st TFS durante la Desert Storm, e un paio di Shrike… ma pazienza, ce ne faremo una ragione. (NOTA: il -184 si trova nei kit dell’F-16 Tamiya e nel nuovo Kinetic, mentre l’AGM-45 si trova nell’Hasegawa Weapons set E o nei set Eduard/Wolfpack specifici, quindi li si recupera abbastanza facilmente).

Il kit offre la possibilità di montare flap, slat e aerofreni in posizione chiusa o estesa. Gli stabilizzatori orizzontali sono mobili ed è presente una bella riproduzione della scaletta di accesso scomposta in tre parti. Com’è lecito attendersi da un prodotto d’ultima generazione, le prese d’aria sono complete del condotto e del primo stadio del compressore. Il timone è separato e può essere posizionato a piacimento.

Cockpit:

Il cockpit è sufficientemente dettagliato, con i cruscotti discretamente riprodotti. Confrontandoli con gli schemi presenti sul manuale di volo dell’F-4G, va detto che sul pannello dell’ EWO c’è qualche semplificazione e qualche mancanza (in particolare nei quadri secondari in basso) ma che la disposizione degli strumenti principali è corretta. I seggiolini sono buoni ma stranamente non hanno nessun accenno alle cinture di sicurezza e, in generale, peccano un po’ nella riproduzione dei cuscini.

Negli abitacoli non sono presenti dettagli nelle pareti laterali, mentre vasca e pedaliere sono ben fatti e fedeli al vero. Belle le barre e le manette, buona anche la riproduzione del pannello dei breaker nel cockpit posteriore.

Fusoliera:

La fusoliera è stampata in un solo pezzo ed è ben realizzata. La curvatura verso i motori è buona e le fattezze generali mi sembrano ben riprodotte. La forma del cockpit e della gobba alle sue spalle sono giuste e credo che MENG abbia fatto un buon lavoro. Ho, invece, qualche perplessità sulla zona metallica tra i motori dove la ditta cinese ha voluto rappresentare le caratteristiche “onde” che si vedono sui velivoli reali dovute alla cottura del metallo in rilievo. Se da un lato questa scelta semplifica molto la verniciatura, dall’altro non rispetta fedelmente la realtà. Probabilmente è possibile attenuare l’effetto carteggiando il pezzo ma non so quanto il gioco valga la candela.

L’accoppiamento tra ala e fusoliera, sempre in questa zona, crea una pannellatura inesistente sul vero. Stuccarla non sarà una passeggiata ma va resa invisibile. Sempre a proposito di pannellature, confrontandole con i disegni presenti sull’Aerofax #20 e sul Detail & Scale #7 ho notato qualche piccola differenza nell’andamento di alcune di esse vicino ai motori. Non è difficile sistemarle, ma è sicuramente una seccatura (anche a causa della curva della fusoliera in quel punto che non agevola l’operazione…).

MENG ci offre la possibilità di rappresentare il pannello dell’idraulica di sinistra aperto ma considerate che veniva ispezionato solo in caso di manutenzione specifica e difficilmente da solo, ma tant’è.

Le prese d’aria sono scomposte in maniera molto classica, con le rampe e un bel dettaglio dei fori di aspirazione dello strato limite. Mancano i piloncini tra la rampa stessa e la fusoliera, anche qui non un grosso lavoro ma comunque andrà fatto.

Il parabrezza ha fatto storcere il naso a diversi modellisti, ormai abituati alla raffinatezza del pezzo solidale ad un pannello di fusoliera (stile Tamiya, per capirsi). In realtà, il trasparente è stampato molto bene e copia perfettamente la fusoliera. Inoltre, l’attacco dello sprue si trova sull’arco del montante e si rifila molto bene. Ci vorrà un po’ di attenzione con la colla ma penso che il risultato sarà comunque buono. Non è presente il windshield senza blindo vetro che fu adottato su alcuni velivoli a metà anni ’80. Una curiosità: il parabrezza aggiornato garantiva sì maggiore visibilità complessiva, ma non era molto amato dai piloti poiché il frame più largo bloccava la visibilità verso l’alto in fase di rifornimento in volo. Non sempre i miglioramenti portano i benefici attesi, malgrado le migliori intenzioni c’è sempre qualcosa che non va come dovrebbe…

Il radome è buono sia come forma, sia come dimensioni, così come la carenatura dell’APR-38 sottostante che si incastra perfettamente nel muso al punto da far sembrare tutta la zona un unico pezzo. Il pitot è in alluminio tornito ma è presente anche il classico quello in plastica.

La deriva è scomposta classicamente in due metà e presenta il timone separato. La presa d’aria alla base è buona e la rivettatura è leggera e verosimile. Soddisfacente anche la forma della carenatura sulla tip, non facile da rendere al meglio ma che MENG ha centrato bene. La luce di posizione è una parte trasparente da incollare e che sembra copiare bene il bordo d’attacco.

I motori sono divisi in cinque pezzi e hanno il giusto numero di flabelli (16 per l’esattezza). Sono discretamente dettagliati ma, ovviamente, non all’altezza degli aftermarket più recenti.

Ala:

Tutti gli F-4G avevano l’ala con slat di manovra sul bordo d’attacco e il modello ci consente di montarli estesi o retratti. In questo caso, sono presenti i supporti separati per gli slat interni. L’ala è ben fatta, con un buon livello di dettaglio e pannellature abbastanza fedeli. Il bordo d’attacco è sufficientemente sottile ma la piastra anti scorrimento all’altezza del dente di cane è decisamente spessa e non perfetta come forma: anche questa andrà ricostruita con un pezzetto di Plasticard di spessore adeguato. La parte inferiore è forse la parte meno fedele del modello. Tutti gli F-4G avevano, infatti, la grossa piastra di rinforzo sul longherone principale che MENG ha completamente omesso. Purtroppo è una caratteristica molto visibile e andrà rifatta ex-novo; se avete un amico col plotter da taglio è ora di farlo lavorare! La posizione dei piloni e degli attuatori è corretta, con le misure che rispecchiano quelle attese.

Sempre nella parte inferiore troviamo una piccola inesattezza nei pannelli davanti alle prese ausiliarie del motore; MENG l’ha rappresentata in maniera molto simile a quella trovata sui velivoli della Navy, ma ovviamente non corretta per i velivoli USAF. Anche qui è possibile sistemarla e reinciderla se ritenete che il gioco valga la candela ma, probabilmente, almeno nel mio caso lascerò stare. Le prese d’aria ausiliare sono complete di martinetti e con un accenno di riproduzione del J79: il risultato è sufficiente anche se non eccezionale. Gli aerofreni, le varie griglie e le baie dei missili sono apprezzabili.

Stabilizzatori:

Bene, ma non benissimo. È evidente la mancanza della piastra triangolare presente sopra e sotto lo stabilator e che MENG ha riprodotto con una semplice incisione. Nella realtà è abbastanza prominente e andrà, quindi, rifatta seguendo il contorno del pannello già presente sul pezzo. La scanalatura del bordo d’attacco è discreta anche se non eccezionale, mentre rivetti e pannelli sono corretti. Belle e fini le piastre di rotazione, offerte in fotoincisione.

Carrello e ruote:

Le ruote sono buone, belli i cerchi di quelle posteriori. Meno bella la parte del posteriore che se pur coperta dal portello, non è all’altezza della parte corrispondente. Nelle ruote non è presente alcun effetto peso. Le gambe di forza e i martinetti sono essenzialmente corretti ma senza dettagli riportati (tubi e cavi sono assenti): possiamo dire che sono un’ottima base per un lavoro di dettaglio e rifinitura.

Piloni e armamenti:

Qui non c’è molto da dire, c’è tutto ed è fatto abbastanza bene. I lanciatori di flare e chaff sui piloni sono discreti ma potranno essere sostituiti da qualche aftermarket per chi volesse avere un po’ di dettaglio in più. Pregevoli tutti i missili, i Maverick hanno l’ogiva trasparente a imitazione del sensore laser e i lanciatori corretti per il tipo.

Volendo essere pignolo, il pilone del serbatoio ventrale è appena abbozzato. Considerando però che i G andavano sempre in missione col ventrale agganciato, è probabilmente un peccato veniale.

Decal:

Il foglio consente la realizzazione di tre esemplari, due con la cosiddetta camo “Egypt 1” e uno in “European 1”.

Le decalcomanie sono belle, lucide e fini come ci si aspetta da un prodotto Cartograph. Continuo a non capire perché i display dei cruscotti sono sempre verde fluorescente anche quando dovrebbero essere spenti, ma ormai mi sono rassegnato…

Considerazioni finali:

Ho montato a secco praticamente tutto il modello e sono rimasto colpito dalla qualità generale dell’assemblaggio, con solo un punto di attenzione evidente (la pannellatura verso i motori che sarà antipatica da sistemare). La fusoliera in un solo pezzo e l’ala con incastri precisi e robusti semplificheranno di molto la vita a tutti. Il livello di dettaglio è buono e al primo impatto questo Phantom della MENG si presenta molto bene. Ci sono degli errori che vanno senz’altro corretti (vedi la parte inferiore dell’ala, gli stabilizzatori e qualche pannellatura) ma per il resto mi sento di consigliarlo a chi vuole una bella riproduzione dei G senza sbattersi troppo. Volendo alzare l’asticella, servono sicuramente dei seggiolini in resina, dei motori più dettagliati e un set di fotoincisioni per l’abitacolo (rail del canopy e laterali del cockpit prima di tutto).

I tre velivoli presenti nel foglio decal sono ben rappresentativi della storia di questi aeroplani. Forse un esemplare “early” con mimetica Vietnam sarebbe stato ben accetto ma è pur vero che la camo SEA sui Phantom Wild Weasel si è vista poco ed è forse la meno importante (storicamente parlando). In definitiva un buon modello che con qualche correzione non sfigurerà affatto anche accanto a riproduzioni più blasonate. Manco a dirlo, il mio è già sul tavolo da lavoro e a breve (spero) lo presenterò su queste pagine. Stay Tuned!

Fulvio “Spillone” Felicioli.

 

The Last Eagle in Europe – F-15 C MSIP II dal kit GWH in Scala 1/48.

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L’Eagle è il caccia da superiorità aerea per eccellenza, dalle prestazioni uniche e dalle forme eleganti. Dal primo volo, risalente a luglio 1972, ha collezionato diversi primati divenendo uno dei velivoli più letali di tutti i tempi con l’invidiabile “kill ratio” di centoquattro abbattimenti a zero. Nell’aprile 1977 atterrò sulla base di Bitburg, in Germania, il primo Eagle basato in Europa. Ben 45 anni dopo, da Lakenheath in Inghilterra, il 27 aprile 2022 decollarono gli ultimi quattro F-15 C rimasti per il rientro negli Stati Uniti, sostituiti dagli F-35.



In 50 anni di vita operativa, festeggiati proprio a luglio di quest’anno, il purosangue della McDonnell Douglas si è rivelato una piattaforma fondamentale per l’USAF partecipando a tutti i maggiori conflitti dalla Seconda guerra mondiale. Attualmente è impegnato a difendere i confini della Polonia, date le tensioni scatenate dall’aggressione russa all’Ucraina ancora in corso.



L’anniversario e l’addio agli ultimi Eagle in Europa mi hanno spinto a volerne il modello in vetrina, e per riprodurre un così grande, ammirevole, aereo ho voluto solo il meglio che il mercato possa oggi offrire. Il kit che ho scelto è della Great Wall Hobby (art.L4817), nella scala 1/48: al primo esame il prodotto della ditta cinese lascia a bocca aperta grazie ai molti dettagli del cockpit, vani avionica e radar (che si possono riprodurre a vista), oltre alle pannellature precise e sottilissime. La dotazione di armi è invidiabile con i missili AIM-9 e AIM-120 stampati in un solo pezzo. Fantastico!



Osservando le parti con occhio più critico ho notato diversi segni di estrattori in punti piuttosto scomodi su cui intervenire (come all’interno dei pannelli dei vani avionica del muso, o nella struttura del canopy), un po’ di approssimazione nei piloni esterni con i rail dalla forma non proprio corretta, il seggiolino assolutamente non all’altezza e l’assenza totale di dettaglio nel vano carrello principale. Anche le decal non sono eccelse, quindi ho iniziato a cercare in rete degli aftermarket che mi aiutassero a colmare lacune e difetti iniziando, in primis, dalle insegne per realizzare un F-15C di Lakenheath.



La Furball ha recentemente messo nel mercato un foglio dedicato agli Eagle dell’USAFE ed è perfetto (art.48072), permette di scegliere tra ben quindici esemplari, quattro dei quali assegnati ai Grim Reapers. Gli scarichi in resina Aires (art.AI4710) sono molto belli e non ho voluto rinunciarci, mentre dalla Eduard ho acquistato il Big Set (art.BIG49216) dedicato all’F-15C MSPI II, che è la versione oggetto di questo articolo; esso comprende fotoincisioni per interni (art.49949), esterni (art.48832), cinture e maniglie del seggiolino (art.FE950), più le comode maschere per i trasparenti (EX635). Ho sostituito anche il sedile con quello in resina della Quickboost (art.QB48003) (al quale ho rimosso le cinte già stampate preferendo utilizzare quelle in PE), mentre le ruote sono Res-Kit (art.RS48-0022).



I piloni sono della KopeckyScaleModels (48007), giovane ditta Ceca che lavora davvero molto bene. I rail hanno un dettaglio e una pulizia incredibile, tanto che è un peccato nasconderlo sotto ai missili. Proprio per questo motivo ho deciso di adottare una configurazione molto scarica per il mio Eagle, optando per i soli serbatoi esterni. Della stessa marca ho preso anche le antenne poste sopra le derive (48003), più dettagliate e solide rispetto a quelle del kit. Fondamentale per la buona riuscita di questo progetto è stata la monografia della Reid Air Publications – The modern Eagle guide exposed.


Cockpit e vano carrello anteriore:

Il dettaglio delle consolle e del pannello strumenti è molto bello e basta poco per valorizzarlo al meglio. Per iniziare ho posizionato le fotoincisioni Eduard che forniscono anche la staffa di sostegno del dispositivo di rilascio del tettuccio in caso di eiezione, posto nella parete dietro al sedile. La vasca dell’avionica è stata dettagliata con l’aggiunta di vari cavi di connessione agli apparati elettrici.



Nel lato destro trovano posto molti componenti elettrici, interruttori e relè, e sotto ad esse passano fili e tubi che servono a portare l’aria per il loro raffreddamento. Nel lato sinistro, invece, trovano posto tutti gli elementi ICMS ai quali ho ricostruito le maniglie con del filo in rame sagomato usando quelli del kit come dima.



Nella parete posteriore si trova l’attuatore del tettuccio, mentre subito sopra ad esso c’è un foro ovale, ripreso anche nella struttura del canopy, tramite il quale viene regolata pressione e temperatura all’interno della cabina.



Nell’abitacolo ho aggiunto le pedaliere in fotoincisione, mentre nella consolle destra ho aggiunto il tubo dell’ossigeno sagomando una corda di chitarra; su quella sinistra, usando lo stesso materiale, ho ricreato il connettore della tuta anti-G.



Il pannello strumenti frontale è abbastanza completo, fatta eccezione per un solo dettaglio piuttosto importante (tralasciato anche dalla Eduard, a dire la verità). Si tratta dell’aletta parasole che protegge lo schermo del radar VSD. Per riprodurla ho usato delle piccole sezioni di fotoincisione tagliate e sagomate ad hoc.



Per dare un tocco di realismo in più ho voluto aggiungere ulteriori interruttori nei punti più spogli delle consolle laterali e, a tale scopo, ho utilizzato i toggle switches della Anyz (AN035). Sono elementi sottilissimi, basta praticare dei fori sulla plastica con una punta da 0.2 e infilarli…e il gioco è fatto. Tuttavia, una volta posizionati ci si rende conto di quanto le loro dimensioni siano più adatte alla scala 1/32…quindi li ho tagliati molto delicatamente per portarli in scala e rendere tutto più piacevole alla vista. Con una mano di White Surfacer 1500 Gunze ha preparato il fondo per il colore di base, dando anche la tinta definitiva per il vano avionica. La cabina di pilotaggio è in grigio H-306 Gunze mentre quadranti, consolle e il bordo di battuta del canopy in Nato Black Tamiya. Seguendo le foto in mio possesso ho colorato i vari interruttori e scatole cercando di rimanere il più fedele possibile. Una mano di lucido Tamiya X-22 ha preparato i pezzi per ricevere decal e lavaggi. Gli strumenti li ho riprodotti usando le decalcomanie della Airscale, molto belle e precise; una volta asciutte ho applicato dei lavaggi mirati con colori ad olio in nero e grigio. A seguire ho spruzzato l’opaco Alclad, ho aggiunto qualche sfumatura e lumeggiatura con le polveri del Weathering Master Set E Tamiya, e lo schermo del display (MPCD) incollando una sezione di negativo fotografico.

Il seggiolino ACES II del kit è, come accennato, piuttosto scarno ed ho preferito sostituirlo con quello in resina della Quickboost. Ho comunque deciso di migliorarlo ulteriormente sfruttando il Big set Eduard che comprende anche le targhette, le cinture e diversi altri particolari. Altro dettaglio ben visibile e importante è la struttura che comprende i due rostri, e che “incornicia” il poggiatesta, finemente riprodotta in fotoincisione.



Per la sua colorazione ho iniziato con una mano di primer Surfacer 1500 Black Gunze stendendo, poi, il colore di base (H-77 Gunze). Lo schienale è in nero H-12, la bombola dell’ossigeno in verde H-16 con ritocchi in verde H-59 per riprodurre dei segni di usura; il contenitore del paracadute in verde H-330. Dopo il clear X-22 ho potuto applicare le decal ed eseguire un lavaggio in grigio medio per far risaltare tutti i dettagli. Sigillato tutto ancora una volta con l’opaco Alclad, ho eseguito la tecnica del dry brush, sempre in grigio, su tutti i rilievi.

La struttura interna del canopy integra un pannello che, a tettuccio abbassato, chiude il vano avionico alle spalle del cockpit. La superficie superiore del pezzo del kit riprende tutti i rivetti con un buon dettaglio, mentre la parte inferiore è piuttosto basica e con evidenti segni degli estrattori da eliminare.



Altre aggiunte e auto-costruzioni hanno riguardato il cavo del sensore JHMCS sul lato sinistro (inerenti al sistema di puntamento integrato nel casco), il meccanismo di blocco e di espulsione del canopy, e l’apertura della bocchetta d’aerazione nella porzione posteriore.



Il trasparente è di notevoli dimensioni e presenta la classica linea di stampo su tutta la sua lunghezza; questa è stata prontamente eliminata col metodo esposto in questo VIDEO TUTORIAL.

Tutta la struttura interna è in Nato Black, l’esterno è in Dark Grey F.S. 36176 della Hataka A158.



Stesso iter per il vano carrello anteriore, che una volta finito lascia poco alla vista avendo il portello principale sempre chiuso a terra. L’ho voluto comunque dettagliare con le fotoincisioni Eduard, sperando che a modello finito qualcosa tra la gamba di forza si potesse intravedere.



Infatti, è proprio tra la gamba del carrello e il suo braccetto che traspare un elemento importante ma trascurato dalla GWH, la scatola dell’ASP. È un sistema che monitora tutti gli apparati avionici dell’aereo, posto nella parete sinistra, riportando eventuali anomalie leggibili subito dagli specialisti durante il controllo a terra.

Montaggio, vani carrello principale e scarichi:

Ora si può procedere alla costruzione della parte anteriore del modello che, onestamente, mi aspettavo sarebbe filata liscia vista la qualità degli incastri fin qui sperimentata. Così non è stato.



Le due valve della fusoliera anteriore si chiudono abbastanza bene richiedendo pochi aggiustamenti nei punti di giunzione, ma i portelli del vano avionica del radar combaciano male risultando non perfettamente in squadro. Ho dovuto eseguire molte prove a secco per trovare un allineamento decente, ma si è reso necessario stuccare il bordo inferiore a causa di una vistosa fessura. Anche il radome non va in battuta perché leggermente più stretto ai lati (anche se è bastato carteggiarne il bordo per sistemare il problema). Prima di incollarlo ho inserito dei piombini da pesca per evitare che il modello, alla fine, si poggiasse sulla coda (le istruzioni non lo indicano, n.d.r.).

Con la sezione anteriore completa ho potuto dedicarmi a quella posteriore, che si compone di diverse parti. Nella superficie superiore sono presenti diverse prese d’aria o sfiati, alcuni dei quali li ho sostituiti con quelli provenienti dalle fotoincisioni Eduard.



Le prime si trovano sopra agli intake principali, di forma quadrata; altre due poco più indietro, a ridosso delle bocchette mobili che servono a regolare il flusso d’aria in aspirazione, mentre la più grande è quella sopra la sede del cannone M61A1 che serve a farne uscire calore e gas durante il funzionamento. Ho provveduto, quindi, a liberare le sedi per le griglie foto incise prima di posizionarle, assottigliando anche la plastica internamente in modo da avere un migliore effetto profondità.



Tra le derive, a metà tra le gondole dei motori, c’è un piccolo foro ovale che rappresenta lo sfiato superiore del JFS (jet fuel starter). Ho preferito liberarlo dallo stirene per inserirci, internamente, una retina sottile dando una resa più soddisfacente. Nella vasca inferiore c’è un altro sfiato per lo scambiatore di calore posto in prossimità delle prese d’aria, anche questo sostituito con una fotoincisione. Lo scarico APU posto inferiormente appare appena accennato con un “cerchio” inciso, ed è assolutamente improponibile per un kit di questo livello!



Ho aperto la sua sede e vi ho inserito una sezione di sprue dallo spessore adeguato, sagomandolo e forandolo fino ad ottenere un tubicino con la giusta angolazione e dal profilo sottile. L’ho fissato internamente con l’aiuto del Milliput, dal momento che non ci sono punti di ancoraggio, creando un “anello” di supporto solido e sicuro.



Le prese d’aria dei motori sono incernierate nella parte inferiore, in questo modo possono regolare il flusso d’aria in ingresso durante i vari inviluppi, muovendosi verso il basso. Al loro interno è presente una rampa, anche questa mobile, che ho sostituito con quella finemente riprodotta dalla Eduard. Nota importante: a motori spenti le prese d’aria sono sempre in posizione completamente aperta, ossia alzate, per abbassarsi solo nel momento della messa in moto muovendosi indipendentemente l’una dall’altra. I condotti d’aspirazione sono composti da due parti l’uno, combaciano bene ma la plastica è piuttosto sottile e morbida; ho, quindi, optato per l’incollaggio con la cianoacrilica per rinforzare la struttura, stuccando già così la linea di giunzione ed eliminando, sempre con lo stesso collante, i vistosi segni degli estrattori.



Stendere la vernice in un condotto così lungo e stretto non è facile e ho dovuto riprenderla diverse volte. Ho utilizzato il Surface Primer 1500 White della Gunze che è già del colore corretto e, stendendolo per velature, mi ha permesso anche di sistemare piccoli difetti di montaggio. Il tutto è stato, poi, carteggiato e lisciato con della carta abrasiva finissima attaccata ad uno stecchino con cui ho raggiunto il “tubo” da un estremo all’altro.



Altra lavorazione complessa è la verniciatura della porzione anteriore col grigio delle superfici esterne, non è stato affatto semplice mascherare correttamente avendo poco margine di manovra per gli spazi molto esigui. Successivamente, con calma e attenzione, ho spruzzato il grigio chiaro della mimetica nel condotto, l’FS-36251 Mr. Paint (MRP-094). Ho completato l’intake col primo stadio del compressore, molto ben realizzato già da scatola, scomposto in due parti che ho verniciato in Dark e White Aluminium Alclad.



Prima di incollare i condotti alla valva inferiore, ho provveduto ad eseguire una prova a secco di tutta la fusoliera includendo anche la sezione inferiore delle ali e le stesse prese d’aria. Tutte le grandi aspettative che avevo sul kit sono scemate costatando che… non combacia quasi nulla. Con calma ho esaminato bene la situazione cercando di applicare degli aggiustamenti mirati al fine di non ricorrere a stuccature e carteggiature pesanti, salvaguardando le tante pannellature. Trovata la quadra ho proceduto in questo modo:

I primi elementi da inserire sono i condotti che, per allinearsi correttamente col labbro anteriore (necessitano comunque di un filo di stucco – personalmente ho usato il Mr. Surfacer 1000 per raccordare) in prossimità delle cerniere delle prese d’aria, devono essere tenuti circa due millimetri più alti dietro. Hanno due punti di appoggio già previsti dalla GWH che è bastato spessorare con dei listelli di Plasticard.



La conformazione caratteristica del cassone inferiore della fusoliera fa si che i fianchi tendano a “chiudersi” troppo verso l’interno collimando male col dorso. L’ho dovuto allargare inserendo degli spessori in legno tra i condotti e l’anello che funge da invito per il troncone anteriore che comprende cockpit e muso. Ho anche verniciato in nero opaco le aree sottostanti le griglie in modo che non si intraveda il colore della plastica del fondo a modello finito.



Con queste accortezze il tutto va insieme al meglio e la sezione anteriore calza bene in quella posteriore, ma anche qui è bene effettuare le canoniche prove a secco per verificare che l’accoppiamento si allinei soprattutto dove si trovano le cerniere per il tettuccio e l’aerofreno. Su questo pezzo si trova anche lo scambiatore di calore secondario, dal quale entra l’aria per raffreddare abitacolo ed avionica, e l’antenna TACAN rimossa a favore di quella in fotoincisione. Fissando tutto a regola d’arte anche l’aerofreno si incastra alla perfezione, avendo deciso di posizionarlo chiuso per non compromettere le linee filanti dell’aereo.



Ho proseguito col montaggio dei flap, non prima di averli ripresi tutti e riprofilati a causa dello spessore imbarazzante dei bordi d’uscita (altra pecca dell’Eagle GWH).

Le derive combaciano bene e mi sono limitato a dettagliarle con le antenne della KopeckyScaleModels, finemente riprodotte, con le piastre di rinforzo in fotoincisione della Eduard e con i rivetti in positivo della Archer (AR88146) posizionati dove tralasciati dalla ditta cinese.




Approfondendo lo studio del velivolo ho appreso che spesso vengono installate delle placche di rinforzo per contrastare la fatica strutturale delle cellule. Queste sono concentrate soprattutto nella zona centrale, in prossimità delle prese d’aria. Tali accorgimenti non sono standardizzati e differiscono da velivolo a velivolo; ho dovuto esaminare accuratamente tutte le foto del mio esemplare (in particolare quelle in controluce dove si notano meglio) per studiarne forme e posizioni. Fortunatamente nel mio caso non sono poi numerose e alcune sono già presenti nel set fotoincisioni Eduard, così ho iniziato a incollarle sulle superfici sagomandole, dove occorreva, con delle lime per portarle al profilo corretto. Quelle non disponibili le ho riprodotte con del nastro di alluminio adesivo.



I piloni della Kopecky, come anticipato, sono davvero molto belli e dal dettaglio precisi; stesso discorso per i rail LAU-128. Una volta rimossi dalla materozza li ho assemblati e vi ho steso una mano di Surfacer 1000 Gray della Gunze che ha messo ancora più in evidenza i tanti particolari.



I vani carrello principali del kit hanno un dettaglio basico ma, fortunatamente, i portelli anteriori a terra sono sempre chiusi e l’attuatore della gamba di forza è di notevoli dimensioni e va a coprire quasi del tutto il fondo dell’alloggiamento…peccato, però, che di questo elemento non ci sia neanche l’ombra nel kit! L’ho ricostruito posizionando a secco il carrello stesso (per capire il giusto ingombro) e tagliando delle sezioni di tubicini Evergreen di diverso diametro in modo da ottenere la giusta lunghezza. I braccetti di controventatura e i compassi anti-torsione sono stati rimpiazzati in fotoincisione, ben più sottili e in scala; ai portelli sono stati eliminati i ganci di chiusura già stampati per far posto a quelli in PE.



La gamba del carrello anteriore ha il braccetto liscio e pieno, mentre in realtà la metà che rimane a vista ha un profilo ad H con dei fori di alleggerimento. Ho tagliato la parte interessata per modificarla, prestando attenzione a non comprometterne la solidità. Dalla mia banca dei pezzi ho trovato una sezione del profilo corretto e, una volta tagliata e forata con una punta da 0.2mm, l’ho inserita nella sede originale migliorando notevolmente la resa del pezzo. A completamento ho aggiunto i fari d’atterraggio con i relativi cavi elettrici. Il portello del vano anteriore, come quelli posteriori, ha visto la sostituzione dei perni di rotazione con quelli foto incisi. La Eduard, oltretutto, nel proprio Big set fornisce le facce interne dei portelli su cui sono ben riprodotte tutte le file di rivetti. Non ho potuto far altro che mettere mano anche alle baie, ricostruendo la struttura interna con dei sottoli listelli di Plasticard, dei cavi con filo in alluminio e dei regolatori del flusso di carburante posti nel lato interno (ben visibili e di colore rosso). Le ruote in resina Reskit appaiono davvero ben fatte. Sono scomposte con i cerchioni separati dagli pneumatici per facilitarne la verniciatura. Le gomme sono in nero Gunze H-77, mentre il battistrada l’ho ripreso in grigio H-306 molto diluito, spruzzato per velature fino a quando il grado di lumeggiatura mi soddisfaceva. La gamba del carrello anteriore va fissata prima di proseguire con l’assemblaggio finale poiché il portellone anteriore è sempre chiuso, a terra, e risulta impossibile montarla in fase finale. Tale scelta della GWH mi ha costretto a prestare ancor più attenzione mentre maneggiavo il modello durante la verniciatura.

Gli scarichi Aires sono finemente riprodotti e resi ancor più dettagliati dalla mancanza dei petali esterni che ne coprono i meccanismi di apertura e chiusura. Il lavoro più delicato sta nel fissare tutti i braccetti degli attuatori foto incisi della Eduard, che ho preferito a quelli in resina perché molto più sottili. Un velo di Surfacer 1500 White ha preparato gli scarichi per la colorazione, iniziata dall’interno in Off White H-21 Gunze. L’ultimo stadio della turbina è in Dark Aluminum Alclad mentre la struttura in fotoincisione davanti ad essa in Interior Green Gunze H-59.



Una volta lucidati con l’X-22 Tamiya, ho ripreso tutti i dettagli con un lavaggio in Bruno Van Dick ad olio aggiungendo tutte le tracce scure di gas incombusti con le polveri del Weathering Master Set Tamiya B (applicate, però, sull’opaco altrimenti non riescono ad aggrapparsi correttamente). L’esterno invece è in Metallo Scuro Testor, della linea Metalizer, che una volta lucidato dà un effetto molto realistico. Gli anelli, invece, li ho ripresi con delle velature leggere in Dark Aluminium Alclad. Piccole sfumature con le polveri del Weathering Master Set D hanno completato gli exhaust, ulteriormente definiti con un dry brush leggero in grigio medio ad olio per enfatizzare tutti i dettagli dei meccanismi (bisogna rimanere leggeri con gli effetti per non far virare troppo i colori metallici di base).



Ho terminato tutti gli altri componenti, come i serbatoi che ho voluto realizzare prima di verniciare il resto del modello per testare le tinte scelte, il weathering e i lavaggi. Ammetto che su questi ho voluto forzare un po’ la mano scolorendoli e sporcandoli più del previsto per dare un po’ di movimento alla mimetica!

Verniciatura e decal:

Ho iniziato dal radome, in F.S. 36118 Gunze H-305, dato su una base nera (black basing) per “giocare” con sfumature e contrasti. Dopo averlo mascherato, ho steso sul mio Eagle una base leggera e molto diluita in grigio H-306 Gunze: questa ha funzionato anche da primer per controllare, un’ultima volta, le linee di giunzione e le pannellature. Ho proseguito con un leggero pre shading in H-331 Gunze su cui ho steso il grigio più chiaro della mimetica, il F.S. 36251 della Mr. Paint (MRP-094).



Il grigio più scuro (Dark Grey F.S. 36176), invece, sul velivolo reale si differenzia in base a dove viene ritoccato. Studiando le foto ho potuto constatare che la sporcizia e i fluidi idraulici tendono a scurirlo nel tempo. Nel mio caso, ad esempio, le derive presentano un tono più chiaro rispetto al resto dell’aereo segno che sono state riverniciate di fresco in occasione del cambio di insegne. Per tale motivo ho dovuto differenziare i toni facendo delle prove colore e, alla fine, ho optato per l’AK Real Color RC248 per gli impennaggi verticali e per l’Hataka A158 sul resto del modello. Le linee di demarcazione tra le vernici le ho riprodotte con il Patafix rifacendomi alle tante foto reperibili anche on line per riportarle fedelmente in scala. Una volta terminata la verniciatura della mimetica, ho rimosso le mascherature e aggiunto delle lumeggiature con del grigio di base schiarito e spruzzato a bassa pressione.



Sul fianco sinistro, tra la presa d’aria e l’abitacolo, c’è un pannello cannibalizzato da un altro velivolo. Lo si nota per le tonalità leggermente diverse e il differente andamento dei grigi del camouflage. Ovviamente, non ho perso l’occasione per riprodurre anche questo particolare. Sul muso, nella zona anteriore in prossimità del radome, ci sono le antenne EWWS (Electronic Warning War fare System) che ho verniciato in grigio H-331 e H-305.



A questo punto mi sono dedicato alle aree in metallo naturale delle gondole motori. Dopo aver isolato con attenzione il resto del modello per evitare fastidiose infiltrazioni (i colori metallici tendono ad infilarsi ovunque), ho dato una base in White Aluminium AK 478. A seguire ho mascherato tutte le linee dei rivetti con del nastro Tamiya da 1mm e ho aggiunto vari riflessi con le lacche della Alclad, quali il Pale Burnt Metal e Dark Aluminium, fino ad ottenere l’effetto desiderato.



In prossimità del JFS ho realizzato i fumi di scarico, con lo Smoke Tamiya X-19, e le sfumature della cottura del metallo in Clear Blue X23 e Clear Orange X-26. Ho ultimato la lavorazione aggiungendo ulteriori piccole sfumature in prossimità degli scarichi con le polveri del Weathering Master Set D della Tamiya. Le walkway sulle prese d’aria e gli stabilizzatori, pur avendole in decalcomania, ho preferito aerografarle col nero H-77 Gunze.



A seguire ho verniciato le luci di navigazione in verde e rosso, e steso diverse mani di lucido Tamiya X-22 fino ad ottenere una superficie liscia ed omogenea utile alla posa delle decal. Come anticipato, queste sono della Furball e hanno una buona qualità. Reagiscono bene ai prodotti ammorbidenti della Microscale e si applicano senza problemi ricalcando bene le forme e le pannellature del modello. Ho protetto tutto con un’altra velatura di lucido in previsione, poi, della fase dei lavaggi.



Gli F-15 sono tenuti sempre in ottime condizioni dagli specialisti ed è raro vederli sporchi. Quindi, non mi sono discostato dalla realtà optando per un weathering bilanciato e non esagerato. Ho iniziato dal grigio più chiaro della mimetica usando il Bruno Van Dick mixato con un po’ di nero. Sul grigio più scuro il mix l’ho scurito ulteriormente per raggiungere il giusto contrasto. Le pannellature GWH sono molto sottili e in alcuni punti la presa del colore risulta un po’ ostica, richiedendo di ripetere più volte i passaggi. La resa finale è comunque molto gradevole.



Nelle zone metalliche ho usato il Bruno Van Dick puro, creando anche qualche leggera striatura oleosa subito dietro i vani carrello principali.



La finitura definitiva l’ho ottenuta mediante l’Alclad Klear Kote Flat ALC-314 che ha un poter opacizzante davvero molto buono. Una volta asciutto (impiega pochi minuti) ho aggiunto dello sporco di calpestio degli specialisti in prossimità del cockpit, dell’aerofreno (non sulla superficie mobile che è una zona “no step”), sulle ali e dentro le walkway degli stabilizzatori, picchiettando della polvere nera dei Weathering set Tamiya con dei micro-brush di diverso spessore. Ho ripreso le luci col trasparente lucido, aggiunto i pitot ai lati del muso, i ganci dei missili in fusoliera inserendoli in maniera casuale in quanto non sono fissi, il gancio d’arresto e gli scarichi, per poi finire con, serbatoi, tettuccio, e carrelli.



A proposito di quest’ultimi, sono in bianco (XF-2 Tamiya) e per mettere bene in evidenza i tanti dettagli stampati su di essi, o aggiunti come descritto sopra, ho usato il Panel line black della Tamiya. Lo preferisco agli oli perché con un pennellino inumidito di acquaragia riesco a eliminare subito ogni residuo, lasciando una linea sottilissima ma ben visibile sul fondo bianco.



Le gambe del carrello sono sempre tenute pulite allo scopo di controllare tempestivamente eventuali perdite d’olio; quindi, non ho insistito con sporcature o trafilamenti. Anche su questi pezzi ho utilizzato l’opaco Alclad completando, poi, gli ultimi dettagli dipingendo a pennello gli steli delle sospensioni in Silver AK True Metal e aggiungendo le fascette Remove Before Flight della Eduard (49103) che hanno dato un ulteriore tocco di colore.



Il modello è così finito e si possono tirare le conclusioni. L’F-15C della Great Wall Hobby è un buon kit nonostante richieda un po’ di manualità ed esperienza per un montaggio ottimale. Nonostante il costo, lo stampo necessita di qualche aftermarket per colmare i piccoli difetti e mancanze che ho evidenziato nel corso di questo articolo. In ogni caso, giunto alla fine, ne risulta un bel modello dalle forme corrette e ben rifinito in ogni suo particolare.



Ho realizzato il mio Eagle esattamente come me lo aspettavo, dando un degno tributo ad un aereo che ha solcato i cieli europei per 45 anni. Ora, ogni volta che lo guarderò in vetrina ricorderò quei momenti in cui passava sopra la mia testa in avvicinamento alla base di Aviano, potendo ancora sentire nella mia testa il sibilo dei suoi motori in arrivo e il loro fragore in accelerazione…un vero Grim Reapers!

Buon modellismo a tutti.

Fabio “Jolly Blue” Barazza

Kit Review – F-35B Lightning II Italeri in scala 1/48.

Annunciato con largo anticipo alla fine del 2021, dopo mesi di attesa l’Italeri ha iniziato la vendita dello stampo dedicato all’F-35B. A livello modellistico la versione STOVL del velivolo multiruolo di casa Lockheed era quella più sguarnita, con la sola scatola della Kittyhawk (oramai introvabile per la cessata attività del produttore cinese) disponibile nella scala 1/48; a dirla tutta in circolazione vi è ancora il Panda Models, che non prenderemo neanche in considerazione perché uscito troppo in anticipo rispetto agli esemplari di serie e attinente al prototipo X-35.

Ecco, quindi, che l’uscita del new tool della ditta di Calderara di Reno ha rappresentato, sin dall’inizio, un’opportunità per i tanti modellisti di portarsi a casa un modello, presumibilmente allo stato dell’arte, che prometteva bei dettagli e un corredo di opzioni davvero interessanti. Le aspettative sono state soddisfatte? Se avrete la pazienza di leggere questa recensione lo scoprirete.

Partiamo subito da un fermo presupposto: il kit viene commercializzato ad una cifra di poco superiore ai 70€ (salvo pre-order o scontistiche dei vari negozi), somme che non eravamo abituati a vedere applicati ai prodotti Italeri. Tale ammontare ha sorpreso molti appassionati (anche all’estero, leggendo i vari forum dei paesi anglosassoni) che da subito hanno iniziato a sperare in un kit “Tamiya quality”, come più di qualcuno ha scritto. Ma passiamo all’esame dei pezzi…


Molti di questi, purtroppo, presentano dei fastidiosi segni di ritiro dello stirene o degli estrattori in punti che rimarranno comunque in vista.

Oltre a quanto detto, si notano anche delle zone dove il dettaglio e le pannellature perdono di definizione e/o spessore; è il caso, ad esempio, di una delle bombe JDAM o del condotto del motore dove i bulloni in prossimità della linea di giunzione tendono ad appiattirsi. A proposito del condotto, l’accoppiamento delle due valve, nonostante l’allineamento dato dai pin di riscontro, è comunque molto impreciso (addirittura la centina dello snodo, indicata dalla freccia in rosso, non è continua tra le due parti) e questo costringe il modellista ad un tedioso lavoro di stuccatura e carteggiatura che, inevitabilmente, porterà ad una perdita dei particolari.

I petali dell’exhaust sono, tutto sommato, buoni ma lo spessore della plastica è tale da vanificare quasi del tutto la bontà del pezzo. I portelloni che chiudono il motore nella parte inferiore, invece, hanno un dettaglio interno e spessori abbastanza di fantasia, oltre ai bordi con profili non proprio come il vero:

Fonte theaviationist.com – Credit to Roberto Resnigo

Gli pneumatici sono rappresentati con un effetto peso davvero esagerato, a tal punto che sembri mancare un pezzo del battistrada. Per sanare la situazione sarà indispensabile ricorrere ad un set aftermarket in resina, purtroppo.

Parlando dell’abitacolo, il cruscotto ha qualche approssimazione (in particolare manca il pannellino con gli switch evidenziato in foto), mentre il seggiolino è accettabile pur avendo qualche vizio sulla forma dei rostri frangi-plexiglass e sul retro del poggiatesta.

In fotoincisione sono fornite anche le cinture di sicurezza per completarlo, ma la loro fattura non è eccelsa.

Sulla vasca nulla da segnalare ma è stata omessa la sede di uno dei ganci di chiusura del canopy che sul reale sono in totale quattro (Italeri ne ha rappresentate solo tre per lato)

Sulla palpebra è stampata una pannellatura non completa che si “perde” nello stirene (evidenziata nell’immagine). Il difetto è presente su entrambi i lati.

L’alloggiamento della ventola alle spalle del cockpit ha un buon dettaglio ma le sedi dei chiavistelli, che assicurano il portellone una volta chiuso, mancano totalmente del meccanismo e relative guarnizioni (evidenziate in foto dalla freccia arancione). Sempre a proposito del portellone, i rinforzi stampati sul lato interno appaiono troppo pronunciati rispetto al reale e carenti delle tante viti che fissano il pannello, mentre i braccetti di rotazione con gli attuatori idraulici risultano approssimativi e sproporzionati.


Buono il vano e la scaletta di accesso anche se con qualche semplificazione che vedete nella foto sotto.

Le stive armamenti lasciano qualche perplessità a causa della quasi totale assenza dei condotti idraulici e dei fili elettrici. C’è da dire che quelle reali sono molto affollate e stampare tutti i cavi e accumulatori di pressione sarebbe stato praticamente impossibile da parte della Italeri, ma quei pochi riprodotti sullo stirene hanno degli andamenti alquanto dubbi e fanno apparire le baie parecchio spoglie.

Belli, al contrario, i braccetti dei portelloni; meno belli quelli dei rail dei missili che, oltretutto, hanno una forma non proprio realistica (freccia arancione nelle foto nel batch qui sopra).

I carrelli sono tra le noti più dolenti del kit. Sono carenti di alcuni cinematismi, dei ganci “tie down” per l’ancoraggio a terra o sui ponti delle unità navali ma, soprattutto, le linee idrauliche (direttamente stampate) sono veramente approssimative; alcune si interrompono senza connettersi ai raccordi, altre hanno uno schema di pura fantasia. In generale l’aspetto che restituiscono è molto approssimativo e converrà eliminare tutti i dettagli per auto costruirli con materiali più idonei (come i classici fili di piombo o rame) e più in scala. Da segnalare anche che le gambe di forza principali si presentano molto “magre” come diametro risultando esili.

Gli armamenti forniti nel kit offrono vasta scelta per varie configurazioni e sono di buona fattura (apprezzabile anche la possibilità di optare per il gun pod). Purtroppo, le stesse considerazioni non valgono per i piloni subalari che sono carenti delle tante viti a testa piatta e dell’hinge point dove si infila il perno per la corretta separazione dei carichi esterni.

Una delle caratteristiche più evidenti degli F-35 (tutte le versioni) sono i pannelli RAM (Radar Absorbent Material) applicati sulle superfici dei velivoli. Guardando il kit il loro spessore appare decisamente esagerato per la scala del quarto di pollice ma, in ogni caso, il problema è facilmente risolvibile carteggiando le “costolature” per riportarle alle giuste dimensioni. Quello che non è ovviabile con facilità è l’errata conformazione di alcuni (troppi) di questi pannelli:

Come si nota nell’immagine numero 2 (evidenziate in verde), le difformità sono molte e per sanarle occorre eseguire un lavoro molto oneroso a carico del modellista.

In giallo, invece, è lo scarico dell’Auxiliary Power Unit. Anch’esso è molto abbozzato ed errato nella sagoma.

In rosso è marcata la posizione del Radar Reflector (il dispositivo è utilizzato per rendere visibile il velivolo quando non opera in bassa osservabilità radar) e di una piccola bugna, entrambi gli elementi sono stati riprodotti in posizione troppo avanzata rispetto alle baie armamenti.

Sul dorso la situazione è quasi peggiore, con i pannelli contraddistinti dalla lettera A e B (nella foto numero 1) che sono incisi quando dovrebbe essere in positivo, seppur meno pronunciato.  I due Radar Reflector superiori, sul vero quasi allineati alle derive, sono invece troppo spostati all’esterno. Modificare la loro posizione non è comunque possibile perché tutto il disegno dei pannelli radar assorbenti è troppo largo e andare a toccarlo significherebbe dover rifare tutti i dettagli sul dorso. Per dovere di cronaca, e per nostra curiosità, abbiamo controllato anche il “fratello minore” in 1/72 della stessa Italeri riscontrando molti degli errori riportati su questo 1/48 (eppure, all’epoca della sua prima uscita, la quasi totalità delle recensioni avevano usato toni molto entusiastici e non segnalavano le inesattezze).

Concludiamo accennando alle decal che sono stampate dalla Cartograf: sature e ben in registro, più di qualche dubbio permane sul grigio più chiaro delle coccarde italiane che contrasta molto poco con la tonalità del disco più esterno.

In conclusione, questo kit lascia l’amaro in bocca per molti motivi: il prezzo a cui viene proposto sarebbe giustificato solo da un’accuratezza e una precisione dei dettagli che, lo ripetiamo, non abbiamo purtroppo riscontrato. Con dei costi di acquisto minori siamo (quasi) sicuri che più di qualche appassionato avrebbe chiuso un occhio ma, data la situazione, non si può non storcere il naso e sorvolare sulle tante carenze.

Non vi è dubbio che questo prodotto otterrà comunque un buon successo commerciale (del resto l’F-35 è il velivolo del momento ed è stato adottato da paesi con un importante bacino di modellisti pronti a mettere mano al portafogli), ma viene spontaneo chiedersi… perché non fare le cose per bene e, finalmente, realizzare quel salto di qualità che porterebbe l’unica ditta italiana a competere (realmente) con i competitor esteri?

In chiusura, vi lasciamo anche un link per un ulteriore spunto di riflessione. CLICK QUI.

Buon modellismo.

Foto: Jacopo Ferrari.
Testo: Jacopo Ferrari e Valerio D’Amadio.

www.modelingtime.com/forum

Bf.109 G-14 “1 Giallo” Magg. Bellagambi – dal kit Eduard in scala 1/48.

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Sul caccia di Willy Messerschmitt sono stati spesi fiumi di inchiostro ed è oggetto, da sempre, di lunghe ed approfondite disamine storiche e tecniche. Non starò qui, quindi, a tediarvi con l’ennesima premessa che, per la natura di questo blog, non potrebbe essere né esaustiva, né completamente utile.

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Meno nota, sia a causa del breve e concitato periodo in cui operarono, sia per la “damnatio memoriae” cui fu sottoposto l’argomento per troppi anni, nel dopoguerra, è la storia dell’impiego del Bf.109 (e degli uomini che lo pilotarono e mantennero in efficienza) in seno all’Aeronautica Nazionale Repubblicana. A partire dalla metà del 1944, l’aviazione repubblichina ricevette circa 200 esemplari suddivisi nelle versioni G-6, G-12, G-14 e G-14 AS, G-10 e K-4 impiegati nella difesa delle città settentrionali sottoposte a incessanti bombardamenti da parte delle forze alleate.

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I velivoli, gran parte già con parecchie di volo all’attivo, ebbero caratteristiche disomogenee e furono equipaggiati con diversi Umrüst-Bausatz e Rüstsätze (i famosi kit di modifica e accessori previsti dalla Messerschmitt) che, spesso, furono smontati ed eliminati sul campo; un esempio pratico di quanto appena affermato lo si può trovare nei G-6/R-6 del 2° Gruppo Caccia di stanza a Cascina Vaga (Pavia), consegnati dai tedeschi con i cannoni da 20 mm. nelle gondole alari ma ben presto sbarcati perché ritenuti imprecisi e soggetti a inceppamenti.

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Tutto ciò, unito ad una generalmente scarsa documentazione e ad una lista, spesso incompleta, di Werk Nummer (numeri di matricola) delle cellule utilizzare, ha fatto sì che si creassero delle false convinzioni supportate da teorie e interpretazioni non sempre logiche e/o corrette. Col tempo e con la ricerca (fondamentale è stato il lavoro di Ferdinando D’Amico e Gabriele Valentini), parte di queste ipotesi sono state consolidate o smentite, altre sono ad oggi ancora oggetto di discussioni.

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Il soggetto:

Con queste doverose premesse, dopo lungo tempo in attesa di trovare la giusta ispirazione e voglia di districarmi in un percorso non privo di ostacoli, ho deciso di mettere sul banco proprio un Bf.109 dell’ANR. Tra i papabili, senza dubbio l’1 Giallo del Maggiore Mario Bellagambi è quello di cui si hanno (poche) notizie più “certe” e di cui sono state ritrovate foto di entrambi i lati (anche se della fiancata destra esiste solo uno scatto, di bassissima qualità, eseguito a terra per testare una fotomitragliatrice di tipo “Robot”). Oltre a questo, dopo alcuni dibattimenti si è potuti giungere alla conferma definitiva della matricola (464380) che è un elemento molto importante per capire le peculiarità (e la costruzione) del velivolo.

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La scatola scelta per questo progetto è stata la numero 82111 commercializzata nel 2016 dalla Eduard (un altro nostro WIP lo trovate QUI) . Benché dedicata al G-6, conteneva già da subito tutti gli elementi per ricavare un G-14 senza ricorrere ad altri set esterni e lo stampo era già stato aggiornato e corretto rispetto alla prima edizione che, ricordo, presentava parecchi errori tra cui quello di essere in scala 1/45 circa (per riconoscere le vecchie stampate dalle nuove cliccate QUI). A vedere i pezzi, si ha subito la sensazione di un prodotto curato, con molti dettagli e soluzioni costruttive all’avanguardia… ma è davvero tutto oro quello che luccica? ve ne parlerò nel corso di questo articolo.

Fondamentali si sono rivelati i volumi che vi elenco:

  • Camouflage & Markings of Aeronautica Nazionale Repubblicana, D’Amico & Valentini – Classic Publications.
  • Ali straniere in Italia n°1 – Messerschmitt Bf.109, G.Alegy – Giorgio Apostolo Editore.
  • Messerschmitt Bf.109: the complete monography, J.C. Mermet e C. J. Ehrengardt – Caraktere publishing.

Lo stesso Jean Claude Mermet, uno degli studiosi più affermati del caccia tedesco, anni addietro distribuì una serie di appunti e osservazioni sottoforma di piccole dispense di una cinquantina di pagine. Quella denominata “Bf.109 G-1 through K-4 – Engine & Fittings” è reperibile on line gratuitamente ed è una vera miniera di informazioni, indispensabili per comprendere appieno le varie versioni e sotto versioni.

Cockpit:

Come mia prassi, la costruzione ha avuto inizio dal cockpit. Quello originale è di buona fattura ma ho preferito comunque sostituirlo con l’accessorio in resina della Eduard Brassin (codice 648240, indicato per il G-6 ma perfettamente compatibile con i G-14) che ha una qualità superiore. Completati con le relative fotoincisioni, i pezzi si incastrano senza fatica e si inseriscono bene all’interno della fusoliera.

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Da prescrizioni del Reichsluftfahrtministerium (ministero dell’aviazione tedesco), l’abitacolo dei Gustav era in RLM66 schwartzgrau per cui ho scelto il Gunze H-416. Appena steso risulta leggermente troppo chiaro ma, dopo i lavaggi ad olio (nero d’avorio Maimeri passato sulla vernice non protetta da trasparenti), il tono si è scurito a dovere. Per mettere in risalto i dettagli ho applicato la solita tecnica del Dry Brush, eseguita con un grigio medio ad olio non diluito (mix di bianco di Marte e nero d’Avorio Maimeri) e un pennello a setole piatte e dure; è importante scaricare molto il colore in modo da avere delle luci morbide e perfettamente integrate.

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Altri particolari sono stati verniciati con acrilici Vallejo prendendo come riferimento l’abitacolo dell’unico Bf.109 G ancora originale esistente al mondo, e conservato in Australia (il web è pieno di foto ma si riferiscono quasi sempre ad esemplari restaurati). CLICK QUI PER LE FOTO.

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Per il cruscotto la Brassin fornisce due opzioni, una completamente in resina con dettagli già stampati e strumentazione in decal, l’altra con supporto di base in resina liscio e fotoincisioni per i restanti elementi. Inizialmente avevo scelto la prima, ma dopo aver posato gli strumenti in decal il risultato non mi soddisfaceva del tutto. Alla fine ho deciso di optare per il pannello misto resina e fotoincisioni ma, dato che quest’ultime sono le classiche pre-colorate con colore di fondo completamente sbagliato e molto lontano dall’RLM66, ho deciso di riverniciarle col Gunze e uniformare il tutto.

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I particolari persi li ho ripristinati con un pennello triplo zero e parecchia pazienza. Alcuni elementi, soprattutto quelli in rilievo, dopo l’opaco finale li ho profilati con del nero ad acquerello per definirli meglio e dargli ulteriore profondità; ci vuole mano ferma ma il procedimento dà molte soddisfazioni: questo tipo di pigmenti sono molto versatili e si possono sfumare con facilità, oltre ad essere reversibili (basta un cotton fioc umido di acqua per eliminarli). Le cinture sono in fotoincisione, anch’esse già colorate, e provengono dalla lastrina inclusa nel set; ho cercato di dargli maggiore movimento piegandole con cura e attenzione, inoltre sono state sottoposte ad un lavaggio in Bruno Van Dyck al fine di simulare una patina di sporco.

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L’esemplare pilotato da Bellagambi era equipaggiato col collimatore di tiro REVI 16b (nella confezione è fornito anche il REVI 12c, quindi attenzione a scegliere quello corretto). Il sistema di puntamento rappresentava l’evoluzione del precedente 12c ed era montato su di un’asta che scorreva all’interno di un tubo fissato sul cruscotto; in questo modo poteva essere spostato in lunghezza in base alle esigenze del pilota e, soprattutto, ruotato e abbattuto per occupare meno posto e lasciare libera la visuale. Questa caratteristica fu introdotta per evitare che i piloti potessero urtarci la testa durante gli atterraggi pesanti o in situazioni di emergenza (cosa frequente con il REVI 12c che, invece, era fisso e non abbattibile).

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Il collimatore della Eduard è stampato in un unico pezzo che include anche l’asta telescopica ma, controllando le misure dell’abitacolo col parabrezza appoggiato sulla fusoliera, essa risulta un po’ troppo lunga (e anche abbastanza fragile). Per aggirare qualsiasi problema, e ottenere una struttura più resistente, ho deciso di replicare in scala il sistema reale, ovvero ho utilizzato un tubicino di ottone della Albion Alloy da 0,5mm passante nel pannello strumenti e un tondino da 0,4 fissato sulla scatola del collimatore con una goccia di Attak. In questo modo, al momento di fissare definitivamente il windshield, ho potuto aggiustare la posizione del REVI con facilità e senza troppi patemi d’animo.

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Fusoliera:

Gli scarichi del kit sono, senza dubbio, tra gli elementi meno belli e accurati, per questo ho deciso di scartarli prontamente. Al loro posto ho acquistato l’accessorio dedicato della Eduard Brassin (codice 648247) che ha una fattura decisamente migliore e dettagli ben definiti. Perciò, prima di chiudere le due semi fusoliere, ho incollato all’interno gli alloggiamenti previsti che permettono, oltretutto, di poter montare i pezzi a verniciatura ultimata (possibilità negata dai pezzi originali che devono essere necessariamente incollati subito complicando la vita al modellista).

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Lo stesso discorso fatto sopra vale anche per il ruotino di coda (del tipo lungo, come evidenziano le foto del velivolo di Bellagambi) e, per evitare di renderlo vulnerabile a urti e rotture accidentali, ho deciso di sezionare tutta la parte che comprende la forcella e la ruota per separarla dal resto; la gamba di forza l’ho incollata nel proprio alloggiamento rinforzandola ulteriormente con alcuni tasselli di Plasticard a sezione quadrata.

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Inoltre, al suo interno, ho ricavato un alloggiamento in cui ho innestato un tubicino in ottone che ha funzionato da invito per lo stelo dell’ammortizzatore, rifatto con un altro tondino d’ottone da 1,2mm. Così facendo ho potuto inserire la ruota, a pressione e senza uso di colla, solo alla conclusione modello risparmiandomi un bel po’ di preoccupazioni.

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Le semi fusoliere si accoppiano senza grossi intoppi, ma lo stesso non si può affermare per l’inserto che chiude la cofanatura motore e che ingloba le volate delle armi. Esso, infatti, fa fatica ad incastrarsi e forma degli scalini ben visibili, soprattutto nella parte anteriore verso l’ogiva. Se si vuole ottenere una giunzione pulita e una stuccatura a regola d’arte, non si può far altro che ridurre gli spessori in eccesso utilizzando limette e carte abrasive, ed accettare la perdita inevitabile di gran parte dei rivetti di cui sono costellate tutte le superfici. Questi sono stati, poi, ripristinati utilizzando la punta sottile di uno scriber cercando di ottenere una foggia e profondità simile agli originali. Da tenere a mente che tutte le linee di giunzione vanno eliminate, eccezion fatta per le volate delle armi che rappresentavano un pannello a parte per i velivoli di produzione della Erla (l’esemplare oggetto di questo articolo fu costruito proprio nella fabbrica di Liepzig). Allo scopo ho utilizzato il Gunze Mr. Surfacer 500 che ho lisciato, con delicatezza, utilizzando un cotton fioc appena umido di Lacquer Thinner Tamiya.

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Rimanendo sul muso, le bugne (Die beule in tedesco) che coprono le culatte delle due mitragliatrici MG 131  si innestano bene e basta una spennellata di Tamiya Extra Thin Cement per tenerle in posizione. Ricordatevi, però, di aprire la presa d’aria per il raffreddamento del gruppo magneti della Bosch (freccia in blu). Sul lato sinistro occorre spostare più in alto il pannello d’accesso al serbatoio dell’olio poiché il G-14 di Bellagambi integrava già quello maggiorato dei G-10, con cui condivideva le linee di montaggio.

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Continuando con gli errori grossolani del kit, lo spessore dei piani di coda è minore rispetto all’alloggiamento sulla fusoliera e questo crea dei brutti disallineamenti delle superfici. Personalmente ho deciso di eliminare i pin di riscontro già stampati e rifarli con un tondino in ottone al fine di allineare al meglio le parti. Per raccordare il tutto ho utilizzato la lama affilata di un bisturi come una pialla, per eliminare l’eccesso di materiale e riportare le forme in squadro. Anche qui una mano di Mr. Surfacer ha fatto il resto.

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Durante le necessarie prove a secco per testare il fitting del timone di direzione (il velivolo era dotato di quello denominato T4 con doppia aletta compensatrice fissa, pezzo n°156 nelle stampate), mi sono accorto che anch’esso soffre dei medesimi problemi di spessore che affliggono gli stabilizzatori. Per cercare di pareggiare la differenza di profondità ho incollato, con la colla ciano acrilica, una strisciolina di Plasticard che ho poi riportato alle giuste dimensioni.

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Alla presa d’aria del compressore volumetrico ho ridotto l’altezza della base (che è troppo alta per essere in scala 1/48) e aggiunto le cinque viti che (simulate con dei fori praticati con una punta elicoidale da 0,2 mm) che fissavano il bordo d’attacco.

Ali:

Tra gli accessori acquistati per questo modello figura anche il set di fotoincisione della Eduard (codice 48885) che fornisce molte parti per dettagliare ulteriormente il kit come, ad esempio, le coperture interne delle gambe di forza. Non è mai semplice sagomare le PE (photoetch) ma, con un po’ di pazienza, il manico di un pennello e una pinzetta a becco piatto sono riuscito a sistemarle. Per l’incollaggio mi sono avvalso dell’aiuto dei rod quadrati della Evergreen che hanno fornito una buona base di contatto per la ciano acrilica (frecce in rosso).

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La freccia in blu, invece, evidenzia il pistone di retrazione del carrello (uno per ogni gamba) che si intravede tra i fori di alleggerimento della struttura; li ho aggiunti utilizzando i tubicini di ottone della Albion Alloy, per questo genere di autocostruzioni sono ottimi. Altro intervento ha riguardato la base di fissaggio dell’antenna Morane, sostituita con la controparte in PE.

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Ho anche aggiunto i due leveraggi per il controllo dell’apertura dei flabelli dei radiatori ricorrendo, ancora una volta, ai profilati della Albion Alloy.

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Le luci di posizione sono in plastica e stonano decisamente rispetto alla cura e alla quantità di pezzi che la ditta ceca ha previsto per questo prodotto. Ad ogni modo, non volendo tralasciare questo importante dettaglio, ho deciso di intervenire ricreando la carenatura in plexiglass. Ho, quindi, eliminato la plastica in eccesso e rifinito l’alloggiamento con una limetta piatta; successivamente ho incollato, con la ciano acrilica, una scheggia di sprue trasparente a cui avevo preventivamente praticato un foro per simulare il bulbo della lampadina (il blu e il rosso – della linea clear Tamiya – li ho colati all’interno per capillarità). La stessa colla l’ho sfruttata anche per stuccare e raccordare i pezzi e, ovviamente, si è resa necessaria una carteggiatura abbastanza pesante che ha portato via la flangia di fissaggio delle coperture, già stampata dalla Eduard in rilievo.

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Per ricrearla, ho utilizzato un metodo veloce e indolore: tramite il plotter da taglio ho creato delle mascherine con la forma della flangia stessa, e le ho applicate nel punto dove il particolare è andato perso. Grazie al Mr. Surfacer 500, diluito con la nitro al 60%, ho iniziato ad applicare strati leggeri di stucco e, dopo sei o sette leggere mani, ecco il risultato.

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A seguire si è reso necessario lisciare e uniformare il tutto “seppiando” la zona con una spugnetta grana 4000. Al termine ho aggiunto le sei viti di fissaggio (tre sopra, tre sotto) utilizzando la punta di uno scriber. I flap presentano dei vistosi ritiri della plastica sulla faccia superiore, difetto inaccettabile, a mio avviso, per un new tool commercializzato appena pochissimi anni fa. Ho stuccato, ancora una volta, col Mr. Surfacer 500 vedendomi costretto a ripristinare tutta la rivettatura andata persa. Facendo delle prove a secco ho anche notato che i pezzi sono leggermente corti in lunghezza, per questo ho aggiunto una strisciolina di Plasticard alle estremità interne.

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Montaggio:

Se fino a questo momento avevo avuto delle avvisaglie sulla non proprio entusiasmante qualità degli incastri, le prove preventive per l’unione delle ali alla fusoliera mi hanno dato la definitiva conferma. Unendo i due sottoinsiemi si formano delle fessure importanti lungo il raccordo Karman e, inoltre, il diedro alare è troppo positivo con le estremità che puntano esageratamente verso l’alto.

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Non potendo utilizzare stucco o materiali che necessitano di carteggiature, allo scopo di salvaguardare i tanti (troppi per certi versi) rivetti stampati sulle zone interessate, ho scelto una soluzione già sperimentata in passato (click QUI) e che ha sempre dato ottimi risultati:

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Inserendo degli spessori per allargare la fusoliera e per alzare leggermente il punto di battuta del complesso alare (evidenziati dalle frecce in rosso), i pezzi sono tornati in squadro. È bastato, infine, forzarli un po’ e mantenerli in posizione con del nastro mentre la colla Extra Thin Cement della Tamiya colava per capillarità saldando definitivamente lo stirene. Una passata veloce di Surfacer sul raccordo ala/fusoliera ha fatto il resto.

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Sulle superfici inferiori la situazione non è critica ma è opportuno stuccare ed eliminare le giunzioni indicate dalle frecce in rosso, non presenti sui veri 109, e di reincidere (allungandola) la pannellatura evidenziata.

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Con l’assemblaggio quasi completo ho completato anche gli ultimi dettagli, in particolare nell’abitacolo. Nel set Brassin è inclusa anche la piastra blindata a protezione della testa del pilota che è in fotoincisione col blindo vetro in resina trasparente; devo dire che si monta con inaspettata facilità ed è molto bella.

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Il ‘109 di Bellagambi mera dotato del sistema de-fog di tipo pneumatico caratteristico della ERLA di Liepzig (la MTT Regensburg, ad esempio, ne montava elettrico); per evitare la formazione di condensa sui vetri veniva spillata l’aria calda provenienti dai radiatori del liquido refrigerante, e questa era poi “sparata” all’interno del cockpit tramite quel tubo rigido contrassegnato dalla freccia in rosso. Il pezzo è già incluso nel kit, ricordatevi di montarlo.

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Ho completato anche il pianale posteriore aggiungendo:

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Freccia in blu: il raccordo da cui fuoriusciva l’aria calda citata sopra.

Freccia in rosso: la struttura di tenuta del canopy una volta chiuso. Anche in questo caso il pezzo è già presente nella scatole, ma leggermente fuori scala e non del tutto corretto. Mancano, infatti, i due supporti laterali fissati alla paratia posteriore che ho rifatto con del Plasticard. Il tubo è in ottone della Albion Alloy, la “cravatta” di fissaggio centrale è in alluminio adesivo. Fate anche attenzione ad utilizzare il pezzo da scatola (n° I57) che rappresenta la copertura del vano portabagagli in cui, nei G-14, aveva preso posto la batteria (l set Brassin non fornisce questo particolare e bisogna fare affidamento sul kit).

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Ho ricreato anche i due anelli su cui si fissavano le cinture di sicurezza (con filo di acciaio armonico).

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Il parabrezza è di poco più stretto del suo alloggiamento ma, in tutta sincerità, non me la sento di ascrivere la colpa alla Eduard, bensì il set in resina potrebbe aver falsato le geometrie allargando la fusoliera. Ad ogni modo ho dovuto carteggiare con cura la base del trasparente per ridurre lo spessore ed eliminare lo scalino.

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In corso d’opera ho potuto constatare che l’ogiva, purtroppo, ha una forma incorretta degli scassi delle pale; quelli stampati dalla Eduard sono dritti, mentre quelli reali “abbracciavano” i mozzi con un andamento più stondato. Oltre a questo, il piatto dell’elica fornito nelle mie stampate soffre, tanto per cambiare, di un fastidioso ritiro dello stirene che lo ovalizzava leggermente.

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Per ovviare a entrambi gli inconvenienti avevo fatto, inizialmente, la scelta più naturale… ovvero procedere con l’acquisto del set in resina della Brassin. Essendo prodotto direttamente dalla Eduard per un suo modello, ero praticamente certo di andare a colpo sicuro. All’atto pratico, e dopo svariate prove a secco, l’aftermarket n°648255 si è rivelato un totale fallimento non solo perché l’errata foggia degli scassi non è stata corretta, ma soprattutto perché il pezzo che rappresenta l’ogiva ha un diametro inferiore rispetto al piatto dell’elica stesso. Purtroppo questo inconveniente l’ho riscontrato anche in altri set della stessa marca (click QUI per un altro esempio) e, evidentemente, gli articoli interessati dal problema sono molteplici.

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Per dovere di cronaca vi informo di aver contattato direttamente il servizio clienti Eduard, sempre precisi e puntuali, che mi ha inviato una nuova confezione con un set “apparentemente” accurato (contrassegnato dal numero 2 nelle foto). Dopo un ulteriore check ho potuto confermare che le dimensioni erano comunque inesatte e che, ironia della sorte, mixando l’ogiva in plastica con la base in resina tutto va al suo posto con buona precisione. Morale della favola? Il set Brassin è stato scartato in favore del più fedele (ed economico) Quickboost n°QUB48944.

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I portelloni dei carrelli e i flabelli dei radiatori dell’acqua sono stati sostituiti con le controparti in fotoincisione, con spessori molto più in scala e realistici, provenienti dal già citato set. I primi sono molto facili da modellare e montare, i secondi mi hanno fatto passare momenti di puro brivido rischiando di compromettere tutto il lavoro. I pezzi, infatti, sono talmente sottili che hanno pochissimi punti di contatto con la plastica da risultare delicatissimi ed estremamente complessi da allineare. Personalmente ho aggiunto dei piccoli spessori in Plasticard che, nelle intenzioni iniziali, dovevano fungere da battuta ma si sono rivelati quasi del tutto inutili. 

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Le gambe di forza sono state completate con i tubicini idraulici ricavati da un filo di acciaio armonico. Le ruote sono in resina, della Brassin (codice n°648261), e rendono molto bene.

Prima di dichiarare definitivamente conclusa la fase del montaggio, ho stuccato ed eliminato le due pannellature indicate. Il portellino circolare permetteva l’accesso al vano dov’erano alloggiate le bombole dei percussori delle MG-131 e del cannone Mk.108 (non installato sull’esemplare di Bellagambi). Da quanto riportato da Claude Mermet sulla sua fondamentale dispensa “Engines and Fittings”, le armi da 13 mm (fino ad un certo punto della produzione) utilizzavano l’aria compressa, stivata nelle bombole sopracitate, per attuare il meccanismo di sparo; sugli esemplari più tardi, invece, tale sistema fu sostituto con un altro elettrico (evidentemente più affidabile) eliminando, di fatto, la necessità degli accumulatori pneumatici. L’autore specifica anche che in qualche caso il pannello in oggetto poteva essere “cieco”, ovvero presente ma saldato chiuso (e comunque era sempre presente nel caso degli esemplari che montavano il Rüstsatz U4, ovvero il cannone da 20mm, non implementato sul velivolo da me scelto). Da tenere a mente che, contestualmente all’eliminazione del pannello, fu chiuso anche l’alloggiamento per la maniglia di salita sul lato destro (evidenziata dall’altra freccia in blu).

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È importante spendere qualche riga, invece, sull’impianto MW50. Bellagambi, comandante della 5a Squadriglia del 2° Gruppo Caccia, stilò una lista di tutte le cellule in linea con il suo reparto complete di matricole; accanto ad esse si può leggere la dicitura “met” per tutte quelle dotate del sistema di sovralimentazione, ed il 464380 non rientra in tale elenco. Non era chiaro se l’asso italiano avesse voluto intendere che l’impianto non fosse proprio presente o non funzionante, ma un telex dell’ottobre 1944 inviato dalla ERLA alla MTT di Regensburg riporta testuali parole: “… in diesem monat haben wir die G-14 als schulmaschine ohne mw 50-anlage zu liefern …” – In questi mesi abbiamo consegnato dei G-14 da addestramento sprovvisti dell’MW50.

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Alla luce di quanto scritto sopra, un’altra diatriba ha tenuto impegnati per anni i modellisti: il portellino ovale che permetteva di rifornire il serbatoio con una mix di Metanolo e acqua al 50% circa (più precisamente formato per il 50% da metanolo, per il 49,5% da acqua e per il restante 0,5% da un olio protettivo – Schutzöl 39), era presente (si trovava sul lato destro della fusoliera, in alto e subito dietro al canopy)?

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C’è da dire che le fusoliere, prodotte in serie, erano standardizzate e presentavano tutte le stesse macro caratteristiche; ci potevano essere piccole differenze costruttive peculiari dei vari stabilimenti, ma la presenza o meno dei portellini è fuori dubbio in base alla versione. Per questo motivo un margine di dubbio è rimasto, ma seguendo un ragionamento logico ho deciso di non eliminare la pannellatura (n.d.r. la Eduard nel suo kit 82118 indica di stuccare il dettaglio) e di NON aggiungere, alla fine, lo stencil che identificava il tipo di miscela da utilizzare.   

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Per ultima, utilizzando un tornio da banco e un tondino di ottone, ho ricavato la base dell’antenna IFF FuG 25A che aveva una forma a bulbo.

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Verniciatura:

Per primo ho steso l’RLM02 (Gunze H-70) all’interno dei pozzetti carrello. Sulle coperture in tela (il dettaglio è ben stampato dalla Eduard) ho usato il Khaki della AK in versione vinilica.

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Volendo ridurre al minimo l’utilizzo delle decal, ho preferito tagliare al plotter le Balkenkreuz per la superficie superiori delle ali e per la fusoliera. Degno di nota il fatto che il G-14 di Bellagambi è l’unico documentato ad avere le croci sui fianchi di colore nero, anziché nel solito bianco. In più di qualche disegno sono stati applicati i fasci sul dorso delle ali accanto alle insegne tedesche obliterate (opzione suggerita anche dal foglio decal che ho utilizzato e di cui parlerò più avanti) , ma questa scelta appare quanto meno azzardata poiché nessun’altro esemplare in carico al 2° Gruppo Caccia presentava tale particolarità (un esempio si può avere da quello fotografato a pagina 162 del libro Camouflage and Markings of ANR). Per tale motivo, ho preferito optare per una scelta più pragmatica e riprodurre direttamente le croci tedesche.

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Anche il numero individuale (1 Giallo) è stato ottenuto tramite mascheratura.

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Sui colori realmente utilizzati su questo esemplari si è generata un po’ di confusione negli anni. Ferdinando D’Amico e Gabriele Valentini affermano che lo schema fosse formato dai colori RLM 75/83/76 ma questa tesi appare oramai poco corretta. Studi recenti, infatti, hanno portato alla quasi certezza che la ERLA continuò ad utilizzare fino alla fine del conflitto il classico schema in RLM 74/75/76 e alcune foto di velivoli con matricola vicina a quella del ‘109 oggetto di questo articolo, mostrano proprio tali vernici applicate. Appare comunque evidente, dall’unica immagina chiara a nostra disposizione, che la mimetica fu rimaneggiata dal personale italiano soprattutto per quanto concerne la forma e l’andamento (non standard per la fabbrica di Leipzig) delle macchie sui fianchi della fusoliera.

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Ad ogni modo, i prodotti utilizzati (tutti Gunze) li ho riportati direttamente nelle foto seguenti. L’RLM 76 ho preferito schiarirlo con qualche goccia di bianco poiché, se prelevato direttamente dalla boccetta, ha un tono troppo tendente al turchese.

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Per l’RLM70 (anche se la pubblicazione della MPM “Late Bf.109 Camouflage” segnala che le ogive e le pale dei G-14 potevano essere anche in nero, sono andato sul sicuro utilizzando il classico Schwarzgrun) ho scelto il Gunze H-65 che ho preferito scurire con qualche goccia di Flat Black.

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Sempre in RLM70, questa volta non scurito, ho ricreato le obliterazioni delle insegne di reparto precedenti che si possono notare sulla cofanatura del muso. La scelta è stata fatta ipotizzando l’utilizzo di vernici italiane, in questo caso il Verde Oliva Scuro 2, che era già impiegato dalla ANR.

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Il timone, a giudicare dalla documentazione, era (ragionevolmente) in RLM 81 con macchie in RLM 83. Per il verde (RLM83) ho usato il Gunze direttamente da boccetta, mentre per il Braunviolet il tono della vernice giapponese non mi ha affatto convinto. È pur vero, però, che dell’RLM81 ce ne sono state diverse versioni ed è un colore ancora molto discusso.

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Se preso da boccetta il Gunze è molto poco rossiccio e abbastanza chiaro; personalmente, invece, volevo rappresentare la versione più tarda di questa tinta che corrispondeva ad un marrone “cioccolato”. Per intenderci, mi sono affidato a QUESTA interessante discussione aggiungendo un po’ di NATO Brown Tamiya al pigmento di base.

Lavaggi e decalcomanie:

Prima di proseguire con gli step successivi ho realizzato i fumi degli scarichi, che su questo G-14 erano molto evidenti. Il colore scuro e fuligginoso era causato dal tipo di carburanti sintetici utilizzati dalla Luftwaffe nell’ultimo periodo di guerra, quando le benzine avio derivate da combustibili fossili scarseggiavano sempre di più. Il colore è un mix di nero opaco e NATO Brown aggiunto in diverse percentuali per ottenere diverse sfumature dei toni. Sul bordo esterno della striscia di fumo ho aggiunto, a bassa pressione ed estremamente diluito, del NATO Brown puro.

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Dopo tre mani ben diluite, (80% la prima, 90% la seconda e quasi 100% l’ultima) con diluente nitro, di X-22 Tamiya il modello ha ricevuto i lavaggi ad olio. Devo dire che mi sono trovato in difficoltà con la scelta dei colori, complici anche le pannellature Eduard che sono davvero molto profonde (forse troppo) e li fanno apparire più scuri.

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Alla fine ho optato per un grigio medio ad olio (mix di nero e bianco in vari percentuali) per le superfici inferiori, un grigio scuro sulle zone in RLM 75 e Bruno Van Dyck scurito col nero per quelle in RLM 74.

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Le decalcomanie utilizzate provengono dal foglio della Stormo! Decals (n°48005), una ditta canadese che da anni propone degli interessanti prodotti per i soggetti ANR e della Regia Aeronautica. Sebbene siano stampate dalla Cartograf, con colori saturi e buona adesività, il film è spesso e reagisce pigramente ai liquidi ammorbidenti (anche a quelli più forti come il Mr.Mark Softer della Gunze). Per far copiare le pannellature alle balkenkreuz posizionate sulle superfici inferiori delle ali, infatti, ho dovuto applicare più volte il softer e utilizzare un bisturi affilato in accoppiata con uno stuzzicadenti (a cui ho smussato la punta). Alcuni stencil, inoltre, non sono in registro. Correttamente riprodotto, invece, il tricolore da posizionare sotto all’abitacolo che sull’esemplare di Bellagambi mostrava le frange (il “francobollo”) verticali rivolte verso il verde anziché, come prassi, verniciate sul lato del rosso (come quelle visibili sulla deriva). Tale difformità è ben documentata anche a pagina 163 del libro “Camouflage & Markings of ANR”.

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Ricordate di utilizzare i triangoli gialli con la scritta “C3” sotto al bocchettone del rifornimento (a sinistra) e del rabbocco del primer (a destra): questo tipo di benzina sintetica a 96 ottani, infatti, era quella raccomandata per l’utilizzo col propulsore DB.605 AM e, leggendo anche on line, quella più comunemente distribuita ai reparti del teatro europeo (quella a 84 ottani, ad esempio, era stata più usata in Russia).

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Per livellare lo spessore delle insegne sono state necessaria altre mani di trasparente lucido a cui ha fatto seguito l’opaco (FLAT Alclad diluito con la nitro) che ha dato la finitura definitiva al mio modello.

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Nella zona inferiore, sul cassone centrale, senza cadere nella tentazione di esagerare, ho aggiunto dello sporco e lubrificante proveniente dal DB605 AM. Ho usato un po’ di tutto: olio per la tecnica dello Streaking, polveri Tamiya del Weathering Set D e sfumature ad aerografo (in nero, Olive Drab e Nato Black) per amalgamare gli effetti.

Ultimi dettagli:

Per completare il canopy ho incollato all’interno la piastra blindata fornita nel set Brassin del cockpit, già completata nelle fasi precedenti. Non crea particolari problemi e si adatta con relativa facilità, bisogna solo essere accorti a non graffiare il trasparente con i bordi del pezzo in ottone.

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All’interno ho aggiunto dei dettagli che, anche vedendo i lavori di altri modellisti, quasi tutti sembrano omettere; eppure, nelle foto d’epoca che ritraggono i piloti seduti negli abitacoli, essi sono ben visibili:

Immagine proveniente da manuale tecnico.
Immagine proveniente da manuale tecnico.

Gli Erla Haube, a differenza dei tettucci early, potevano avere l’asta dell’antenna a filo montata direttamente sul plexiglass come nel caso dell’esemplare da me scelto. Il sistema meccanico che tendeva il cavo era davvero ingegnoso e funzionale, ed è raffigurato nell’immagine proveniente dal manuale di manutenzione.

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In pratica il filo passava all’interno dell’asta e sbucava dentro il plexiglass, all’interno di una guaina semi rigida agganciata al frame laterale. Da lì veniva collegato alla maniglia di bloccaggio che, una volta azionata dal pilota, lo teneva teso. Se il filo fosse rimasto sempre in tensione, l’apertura del trasparente non sarebbe stata possibile; con questo accorgimento tecnico, al contrario, rimaneva abbastanza lasco da permettere la rotazione laterale. Per tale motivo ricordate sempre che: se volete rappresentare un ‘109 col canopy chiuso a terra (che non si poteva bloccare dall’esterno), il filo dell’antenna deve rimanere morbido. Qui si nota bene:

Fonte ww2aircraft.net

La maniglia è in fotoincisione ed è già inclusa nel set Brassin. Il filo di diametro maggiore è di rame, il cavo sottile è della Uschi Van Der Rosten ed è lo stesso usato anche per rappresentare l’antenna.

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Infine, ho aggiunto le due MG-131 in caccia prelevate dall’ottimo aftermarket in ottone tornito della Master (codice 48011) da cui proviene anche il tubo di pitot, e installato le gambe di forza del carrello. A tal proposito prestate molta attenzione al loro allineamento (che è, ovviamente, uno dei segni distintivi del caccia di Willy Messerschmitt): se accettate quello proposto dagli inviti stampati sul kit, queste assumeranno una posizione innaturale e troppo avanzata. Per rappresentarle correttamente dovete spingerle tutte indietro facendo toccare il rostro di blocco posteriore (indicato dalla freccia) alla parete del pozzetto.

Concludendo, ritorno al proverbio citato in apertura: è tutto oro quello che luccica? Sicuramente no.  Il detto è perfettamente applicabile anche a questo kit new tool della Eduard che, bellissimo da vedere ancora sugli sprue imbustati dentro la confezione, all’atto pratico si è rivelato più complesso e meno preciso negli incastri di quanto lasciava immaginare.

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Indubbiamente la saga dei Bf.109 Eduard rappresenta un passo in avanti in termini di dettagli e completezza delle versioni proposte rispetto ai vecchi stampi (pensiamo, ad esempio, alla lacuna dei G-10 ERLA che la ditta ceca ha finalmente colmato), ma rimane sempre quella sensazione di un prodotto meno rifinito di quanto dovrebbe essere; purtroppo (o per fortuna), sotto questo aspetto la Tamiya ha alzato di parecchie tacche l’asticella e difficilmente gli altri marchi riusciranno ad eguagliarla.

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Buon modellismo a tutti!

Valerio Starfighter84 D’Amadio  

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Mig-29 M (Fulcrum-E) “156 Blue” dal kit Trumpeter in scala 1/32.

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Lo sviluppo del Mig-29M Fulcrum ebbe inizio nella seconda metà degli anni ’80 per creare una versione avanzata del famoso caccia della Mikoyan-Gurevich, dotata di capacità multiruolo e di utilizzo di armamenti aria-aria e aria-terra di precisione; ne furono realizzati sei prototipi dal 1986 al 1991.

Meglio conosciuto come Fulcrum-E, aveva una cellula nettamente modificata rispetto ai suoi predecessori. Il 29% circa della struttura utilizzava una nuova lega in alluminio-litio più leggera a favore del miglioramento del rapporto peso/potenza, prese d’aria più grandi e prive di quelle ausiliarie sulla fusoliera, e nei LERX vennero alloggiati dei serbatoi di carburante aggiuntivi insieme ad altri maggiorati in fusoliera. Negli intake furono montate delle paratie anti-fod a griglia (simili a quelle del Sukhoi Su-27 Flanker). L’aerofreno, riprogettato, era composto da un singolo elemento posizionato sul dorso, i piani di coda adottavano un nuovo profilo a dente di sega sul bordo d’attacco e i piloni per i carichi esterni passarono da sei ad un totale di otto. Il Mig-29M adottava due grandi schermi MFD e un nuovo radar Zhuk-ME in grado di rilevare bersagli aerei a distanze fino a 120 km, con riconoscimento simultaneo di dieci target e attacco di quattro alla volta. Venne dotato di un nuovo sensore ad infrarossi (IRST) potenziato, un sistema di designazione montato sul casco (allo stadio embrionale) e contromisure elettroniche.

Pur se prodotto in un numero esiguo di esemplari, a livello modellistico il Fulcrum-E mi ha sempre affascinato e, alla fine, ho deciso di affrontarlo nella scala 1/32. Il kit da me scelto è il Trumpeter (codice 02238) che permette di realizzare il Mig-29M (9-15-6) chiamato “156 Blue”, n.c. 2960905556 costruito nel 1991 e fondamentalmente utilizzato come prototipo dimostrativo.

Per migliorare il kit ho acquistato anche i seguenti aftermarket:

  • Aires air2180 MiG-29A/K/M/UB/UM Fulcrum exhaust nozzles Trumpeter
  • A.M.U.R. Beaver PE3220 R-77 Grid fins
  • Eduard JX050 Masks per Mig-29 Fulcrum
  • Eduard 32557 Mig-29M Fulcrum interior
  • Eduard 33175 Mig-29A Seatbelts Steel
  • Master AM-32-048 Fulcrum pitot tube
  • Reskit RS32-0089 Mikoyan MiG-29 (9-13) wheels set

Dato che sul mercato si trova praticamente nulla per la serie M, sono dovuto ricorrere a qualche set non specifico per il mio (9-15) come, ad esempio, le cinture per il seggiolino K-36 dedicate agli A e le ruote (dedicate alla serie precedente 9-13).

Cockpit:

Il montaggio è iniziato dalla vasca del cockpit: la struttura dietro al seggiolino è troppo semplificata e ho deciso di migliorarla aggiungendo cablaggi con filo di stagno (da 0.2 a 0.4mm di spessore), vari profilati in Plasticard e i connettori in resina 3D della Anyz che tornano sempre utili e fanno la loro figura.

La vasca originale si presentava come nella foto sotto.

Qui, invece, dopo gli interventi di miglioria sopra descritti.

Ho cercato di rappresentare le guaine protettive che avvolgono i grossi fasci di cavi collegati al box dei circuit breaker, spennellandoli con della Vinavil diluita con acqua. Una volta asciutti, ho verniciato i rivestimenti in marrone e le fascette in bianco avorio un po’ più spento. A seguire ho steso del Mr. Surfacer 1000 come primer:

Ho dipinto la vasca in grigio F.S.36375 utilizzando il Gunze H-308 schiarito del 20% con del bianco, le console laterali e i fusibili sono in fotoincisione (abbastanza piatti e poco dettagliati purtroppo.

Il quadro strumenti principale è un sandwich di quattro fotoincisioni, a cui ho modificato gli MFD per rappresentarli spenti (una passata veloce di nero ha funzionato a dovere); all’Head Up Display ho aggiunto i due vetri realizzati in acetato perché Trumpeter ne prevede solo uno, il più grande, ma l’HUD del 156 ne aveva due.

Il cockpit si incastra alla perfezione nella parte superiore della fusoliera ma la ditta cinese ha rappresentato un “gradino” (nel punto cerchiato) che sul velivolo reale è del tutto assente. Per tale motivo ho dovuto riempire e livellare con una strisciolina di Plasticard e, una volta stuccato il tutto, ho aggiunto anche la guarnizione di tenuta rappresentata da un tondino da 0,2 mm di Plastirod.   

Vani carrello e gambe di forza:

Concluso l’abitacolo, mi sono dedicato ai vani carrello notando subito che la profondità e la forma di quelli principali non erano corrette (sono più simili alle serie precedenti del Mig-29). Purtroppo, non esistendo accessori in resina o altro materiale, per sistemare il difetto mi sono dovuto armare di pazienza cercando di correggere il possibile. La prima mancanza riguarda le prese d’aria ausiliarie che sul Fulcrum-E sono state riposizionate all’interno dei pozzetti stessi.

Ho deciso di optare per una soluzione di tipo “estetico” ricavando una sorta di doppiofondo. Vi mostro come ho proceduto:

Su una base in Plasticard ho adagiato un rettangolo di tulle (di quelli che si trovano nei confetti) e ho bagnato la superficie con colla Tamiya Extra Thin Cement. Con altro Plasticard da 0.3, tagliato in numerosi listelli, ho ricreato il disegno delle griglie che si intravede dalle foto a disposizione. Dopo aver rimosso il tulle ed il Plasticard in eccesso, ho cercato di chiudere tutte le fessure con la colla ciano acrilica. Una volta asciutto, il pezzo è stato carteggiato su un foglio di carta abrasiva per ridurne lo spessore.

Prima di montarlo nel proprio alloggiamento, ho realizzato dei rivetti con Vinavil molto densa, delle pannellature e delle parti in rilievo in prossimità del martinetto d’apertura del portello (si vedranno dopo la verniciatura). Nella baia sinistra passa anche il manicotto per il rifornimento dei serbatoi in fusoliera, elemento del tutto tralasciato dalla Trumpeter. Ovviamente l’ho riprodotto perché sul velivolo reale è verniciato in giallo e, a modello finito, sarà comunque ben visibile.  

Per concludere il lavoro,incrementato il dettaglio all’interno aggiungendo cablaggi e scatole utilizzando l’immancabile Plasticard, cavi in stagno della Plusmodel (diametri da 0.2, 0.3 e 0.4mm) e qualche connettore idraulico della Anyz.

Anche il vano carrello anteriore (generalmente molto scarno sul Fulcrum) ha ricevuto qualche particolare in più, sempre utilizzando i materiali sopra citati.

Il carrello anteriore si presenta con un’anima di metallo bianco e due semi valve in plastica per il corpo principale. La scala 1/32 non perdona la mancanza di particolari, per cui è stato arricchito ricostruendo quelli mancanti e aggiungendo i soliti cavi idraulici (della Plus Model) con i connettori della Anyz.

Anche i carrelli posteriori sono stati prima particolareggiati e cablati, a seguire verniciati ad aerografo con dettagli a pennello.

Gondole motore:

Il kit è sprovvisto del primo stadio del compressore dei due motori RD-33 e questa è la situazione alla fine dei condotti delle prese d’aria:

Per celare la parte mancante ho deciso di rappresentare la griglia che evita l’ingestione di corpi estranei in posizione abbassata. Sfortunatamente la fattura del pezzo, stampato in plastica piena, non è il massimo, quindi ho deciso di ricostruirlo da zero con un profilato Evergreen dalla sezione rettangolare (cod.100 da 0.25 x 0.50 mm):

Le gondole motore creano non pochi problemi in termini di fitting e dettaglio. Quasi tutte le incisioni sono appena percettibili o stampate male, di conseguenza andranno reincise e ripristinate. Inoltre sono mancanti delle aperture, e altre pannellature sono poste nella posizione errata.

Nelle aperture circolari ho ricreato i tubicini di spurgo con dei profilati metallici in rame della Amati opportunamente sagomati (sono molto comodi da tagliare anche con un seghetto foto inciso). Per non occupare lo spazio da riservare ai motori in resina della Aires, i pezzi non devono essere più lunghi di 2 mm. Nella stessa zona sono presenti due prese d’aria tonde con alette, in caso di bisogno, si chiudono completamente. Io le ho riprodotte in posizione aperta incollando del Plasticard sottile tagliato a misura.

Arrivato a questo punto della costruzione, ho avvitato le ali alla valva inferiore della fusoliera e, nonostante le viti garantiscano una salda unione, si forma un discreto gap che va stuccato con l’onnipresente Plasticard e colla ciano.

Fusoliera anteriore:

La parte superiore della fusoliera è stato oggetto di molte migliorie: i due sfoghi per l’eliminazione dello strato limite hanno la rete di protezione stampata dal pieno, che è stata sostituita con una griglia foto incisa prodotta da Eduard (codice prodotto edu00101).

Allo stesso modo anche alla volata del cannone, che ha un dettaglio orribile, ho forato la volata, allargato la sua apertura e ricostruito la griglia spegni fiamma in Plasticard.

Successivamente mi sono imbattuto in un walkaround completo del Mig-29 OVT, il dimostratore con motori vettoriali, che di fatto è stato concepito sulla cellula del mio “156 BLU” (non a caso riporta con orgoglio il numero 156 sulle derive); osservando le immagini mi sono reso conto che la zona dei LERX, a partire dal cockpit al bordo d’attacco delle ali, ha delle forme che non corrispondono affatto al soggetto reale. Tutto il troncone anteriore va, letteralmente, “svuotato” eliminando una grossa porzione di stirene sul dorso (che è troppo inclinato e spiovente verso l’esterno). La prima operazione ha riguardato l’aggiunto di spessori di Plasticard interni (ho tagliato dei rettangoli con spessore 1.5 mm curvati a caldo e annegati nella ciano acrilica).

A seguire, con gli attrezzi che vedete in foto, ho iniziato a raschiare la plastica in eccesso cercando di rendere la superficie più piatta; il materiale bianco che traspare è il Plasticard che ha funzionato da riempitivo creando una base solida su cui riportare la fusoliera alle giuste dimensioni.

Anche la forma dei LERX stessi è da modificare per farlo arrivare a filo dei flap sul bordo di attacco dell’ala. Come potete notare, infatti, ho dovuto incollare una strisciolina di Plasticard da 0.25 mm per riportare il disegno in pianta della fusoliera ai giusti ingombri (evidenziati anche dalla freccia). Tenete a mente che il Fulcrum E aveva un profilo dei Leading Edge Root Extension molto tagliente e non arrotondato come nei Mig-29 “early”, e per tale ragione è fondamentale riprodurre questa caratteristica anche sul modello.

Per evitare brutte sorprese alla fine del lavoro, soprattutto perché le dimensioni e il peso del soggetto non sono trascurabili, ho deciso di zavorrare il radome inserendo dei dadi esagonali di acciaio incollati con la Vinavil. Da notare che la Trumpeter non segnala la necessità nel foglio istruzioni.

Dati gli interventi invasivi che ho attuato, una prima mano veloce di Mr. Surfacer 1000 (diluito al 60%) mi ha permesso di capire eventuali zone da riprendere o altre imperfezioni da sanare.

A questo punto ho ricostruito i dettagli persi nella lavorazione del muso, reinciso le pannellature e ripristinati rivetti/viti, e ridato le giuste proporzioni ai due pannelli rettangolari sui fianchi (di cui uno è un dielettrico):

Sul lato sinistro della fusoliera è presente un oblò d’ispezione trasparente che, ovviamente, è stato completamente dimenticato dalla ditta cinese; l’ho rifatto forando la plastica e colmando il foro con un profilato di plexiglass dalla sezione conica per farlo aderire al meglio. Una volta incollato con colla ciano acrilica, l’ho tagliato a filo della superficie e ho levigato il tutto con carte abrasive di vario spessore e compound Tamiya.

Derive:

L’ultimo vistoso errore che ho riscontrato nello stampo del Mig-29M, notato a causa di un incollaggio non proprio efficace (non tutti i mali vengono per nuocere), riguarda la base delle derive e la parte terminale della fusoliera in prossimità dei taileron. Il kit Trumpeter si presenta così:

Sulla variante M (come su altre serie del Fulcrum) il poppino si rastrema fino a congiungersi con la base dell’impennaggio verticale; al contrario, il pezzo del kit invece ha uno spessore esagerato e una sezione del tutto incorretta. Per sanare l’imprecisione mi sono armato di pazienza e varie limette con cui ho sagomato nuovamente la plastica dandogli un aspetto decisamente più realistico. Lo stirene da eliminare è molto e, dato che i pezzi Tumpeter all’interno sono cavi, si è creato un buco da colmare, livellare e reincidere. Personalmente ho riempito con Plasticard di risulta e tanto cianacrilico.

La resa finale ripaga dello sforzo:

Anche le stesse derive sono state assottigliate il più possibile in prossimità dei bordi d’uscita, ma lavorare intorno alle antenne è stata una vera agonia per lo spazio ristretto. Tutte le antenne sono state ricostruite in metallo e plexiglass tornito a mano per garantire rigidità e robustezza di questi elementi sempre a rischio di urti.

Tra le tante “dimenticanze”, la Trumpeter ha omesso entrambi gli alloggiamenti dell’attuatore dei taileron. È un dettaglio parzialmente visibile perché per buona parte rimane coperto, ma è fondamentale soprattutto qualora si decidesse di posizionare le superfici mobili a picchiare (come nel mio caso).

Per prima cosa ho bucato la plastica (operazione non facile dato lo spazio di manovra esiguo), optando per un trapanino a mano al fine di avere maggiore controllo. Successivamente, ho utilizzato dei listelli di Plasticard da 0.20mm per creare la cornice interna e definire al meglio la forma, le imperfezioni sono state colmate e livellate con colla ciano carteggiata, poi, con attenzione. Il pivot di rotazione è una sezione di tubo della Evergreen adattato allo scopo.

Cockpit 2.0:

Concluse le modifiche principali del kit, ho completato anche l’abitacolo preparando la palpebra anteriore che ho modificato raffinando e aggiungendo dei dettagli mancanti (cablaggi e la piccola paratia verticale accanto all’HUD), tutti realizzati in Plasticard e cavi di piombo:


Il parabrezza, fortunatamente, calza a pennello e ne ho solo stuccato la base col solito Surfacer. Ho, inoltre, aggiunto la guarnizione di tenuta che corre lungo il montante insieme alla bussola di backup (entrambi i pezzi sono in foto incisione) cui ho aggiunto un cilindro di Plasticard per rappresentare il corpo dello strumento:

La palpebra è stata verniciata in nero opaco Tamiya XF-1 su cui ho eseguito un dry brush ad olio con il Neutral Gray della Abteilung 502, poi con una matita ho creato un po’ di chipping sulla superficie.

Per concludere, il seggiolino Zvezda K-36 è stato completato delle cinture e altri pezzi provenienti dalle foto incisioni Eduard.  Dipinto completamente in nero opaco, per dargli il giusto volume ho, poi, applicato un dry brush col Light Gray della Abteilung 502. Fate attenzione a non abusarne perché ha una componente fredda tendente all’azzurro e può far virare di molto il tono di base.

Pitot:

La scatola fornisce un pitot in plastica e uno in metallo, ma è terribilmente spesso. Negli aftermarket elencati all’inizio di questo progetto ho parlato dell’accessorio in ottone della Master, codice AM-32048, che sicuramente rappresenta la soluzione migliore al problema.

Mi sono, però, trovato malissimo nell’incollare i generatori di vortice in foto incisione e, dopo l’ennesimo fallimento, sono ricorso ad un escamotage più laborioso, ma molto più efficace. Alla fine ho deciso di dividere il pitot in due parti.
L’attacco al radome è in plastica ed è preso in prestito dal pezzo originale. Ho riprodotto i generatori di vortice con del Plasticard sottile (che si può facilmente incollare con una spennellata di Tamiya Extra Thin Cement) e ho forato la parte anteriore inserendo un perno in acciaio (un pezzo di graffetta da cartoleria):

La parte intermedia è un profilato cilindrico cavo di rame, mentre il terminale anteriore è il pezzo della Master:

Questo accorgimento, oltretutto, mi ha permesso di comporre la sonda anemometrica solo nelle ultime battute del montaggio, scongiurando eventuali danni o rotture mentre maneggiavo il modello.

Verniciatura e Decal:

Prima di procedere con la verniciatura, ho nuovamente steso tre mani di Surfacer per uniformare le superfici. Una volta carteggiato con carta abrasiva grana 2000 bagnata, ho effettuato il pre shading in nero dare profondità a tutte le pannellature.

Ho incollato da subito i dispersori di statica della Master, quelli generici per Mig in 1/32, perché verniciati dello stesso colore della mimetica.

Vi riporto i mix utilizzati per riprodurre la mimetica (i toni li ho applicati a mano libera, senza alcuna mascheratura):

  • GRIGIO: 3 parti di grigio Gunze H-324 + 1 parte di bianco opaco Tamiya XF-2
  • VERDE: 5 parti di grigio Gunze H-307 + 1 parte di verde scuro Gunze H-302

Per il radome e per i dielettrici su tip alari e derive ho utilizzato il grigio FS 36118, Gunze H-305. Per quelli sui LERX, al contrario, XF-18 Tamiya. 

Per la volata del cannone ho scelto l’Aluminium della Alclad codice ALC-101. L’antiriflesso è verniciato in nero opaco Tamiya XF-1.

Infine ho utilizzato il White Aluminium Alclad ALC-106 per le coperture dei motori solidali con la fusoliera.

Ho utilizzato le decal da scatola (delle quali sono rimasto particolarmente soddisfatto) che hanno reagito magnificamente al Micro SET e Micro SOL, adattandosi a pannellature e rivetti senza troppi problemi. Al contrario, ho preferito verniciare le bandiere russe sui timoni in quanto le decalcomanie non avrebbero sicuramente seguito il profilo. Successivamente, dopo aver lucidato il modello con il trasparente Mr. Color GX100, ho effettuato un lavaggio con lo Starship Filth della Abteilung 502 schiarito con del bianco perché da tubetto è decisamente scuro.

A seguire il modello ha ricevuto diverse mani di trasparente opaco Gunze H-20 diluito con il diluente Gunze a base di alcool isopropilico.

Ruote:

Ho deciso di scartare le ruote originali, che prevedono gli pneumatici in gomma, e ho optato per quelle in resina della Reskit dedicate alla serie 9.13, il massimo a cui potessi ambire in termini di aftermarket.

Ho colorato il battistrada in nero opaco e i cerchioni in verde russo Mr. Color C136. Un leggero dry brush in verde chiaro ha dato luce ai dettagli in rilievo.

Serbatoio:

Il serbatoio ventrale PTB1500, come per il resto del kit, è abbastanza scarno e approssimativo. Vi mostro il confronto con un altro non modificato, la scatola fornisce la doppia stampata:

La mancanza principale è costituita dallo sfogo dell’APU nella parte inferiore, per ricrearlo ho utilizzato dei profilati misti cilindrici Evergreen n.231. Ho ricreato anche la parte superiore del condotto (di forma più squadrata) e aggiunto i cavi di piombo Plus Model. Le saldature sono realizzate in sprue filato e mi sono tenuto abbondante per non perderne lo spessore anche dopo il primer. Per dare un tocco in più ho anche riprodotto una piccola ammaccatura come vista in una foto di walkaround.

Ho deciso di concedermi una piccola licenza poetica in particolar modo sulle condizioni e l’invecchiamento: ho pensato ad un serbatoio preso in prestito da un aereo operativo e non di un dimostratore tirato a lucido, questo per spezzare un po’ la pulizia del mio esemplare.

Per realizzarlo mi sono inspirato ad un serbatoio visto sulla monografia di Yefim Gordon, Famous Russian Aircrafts, dove ne appare con numero di identificazione sull’ogiva e sul lato sinistro, ammaccato sul fianco e con molti ritocchi della verniciatura.

Con del Silver della Vallejo Air dato a spugnetta ho scrostato il ballast anteriore come si vede in diverse foto. Il condotto di scarico superiore l’ho verniciato con l’Aluminium della AK Extreme Metal e brunito con dell’Hot Metal Violet della Alclad. Tutte le sporcature e colature sono realizzate con colori ad olio tradizionali, diverse tonalità dal nero al marrone Bruno Van Dick al Terra di Siena.


Eccolo montato tra le gondole motore, si vedrà poco e niente… ma la soddisfazione rimane.

Motori:

Gli RD-33 prodotti dalla Aires, si possono definire FA-VO-LO-SI! Ricordate, però, di eliminare un po’ di plastica dall’interno dei condotti del kit, altrimenti i tubi fanno fatica ad infilarsi correttamente. Vi mostro le parti principali di cui sono composti:


La sezione interna, che principalmente ho verniciato con verde protettivo Mr. Color H135 Russian Green, rimarrà molto nascosta ma ciò nonostante ha il dettaglio completo fino al post bruciatore. Il condotto è stato sporcato con dello Smoke della Abteilung 502 ad olio, mentre gli iniettori dell’afterburner sono stati sottoposti a dry brush pesante in grigio chiaro e bianco sporco.

I petali esterni hanno come base l’Aluminium AK sporcato e differenziato con Hot Metal Violet Alclad e Hot Metal Blue più Burnt Iron (entrambi Alclad). Le macchie bluastre dovute al calore sono realizzate in blu acrilico Maimeri dato a pennello: è l’unico metodo valido per ottenere un effetto convincente. Alla fine, ho spento la brillantezza dei metallizzati e uniformato la finitura con vari passaggi di grigio chiaro e del dry brush.

L’ARMAMENTO

Il Mig-29M “156 blue” è stato un prototipo e un aereo dimostratore, pertanto ho deciso di realizzare degli armamenti inerti e di armarlo prevalentemente in configurazione aria-aria, ad eccezione dei due grossi missili antiradar sulle stazioni 4 e 6 secondo una delle possibili combinazioni con cui gli M possono operare. La scelta è stata in parte obbligata dai carichi esterni forniti dal kit.

Da sinistra verso destra ho utilizzato:

  • Una coppia di KH-25MP, conosciuti in codice NATO come AS-12 Kegler, missili aria-superficie anti radar.
  • Una coppia di R-73E, conosciuti in codice NATO come AA-11 Archer, paragonabili agli occidentali AIM-9 Sidewinder aria-aria a corto raggio e guida infrarossa.
  • Una coppia di Molniya R-60MK, conosciuti in codice NATO come AA-8 Aphid-A, missili aria-aria a corto raggio e guida infrarossa passiva.

Lavorare questi pezzi è stato un vero incubo: pannellature poco definite, dettagli grossolani e inesattezze varie. Su qualcuno ho messo mano, sfinando e ricostruendo le alette, ma il piccolo R-60MK ha l’ogiva molto approssimativa e ho dovuto, quantomeno, ri-modellarla un po’:

Anche i piloni hanno ricevuto il solito trattamento sulle pannellature, altrimenti sarebbero stati piatti e indefiniti. Ho utilizzato tante decal di risulta e stencil di servizio da scatola, ma su molti sono intervenuto a pennello per simulare delle scritte e non lasciare anti estetici vuoti.

I missili su cui sono intervenuto maggiormente sono gli R-77 a guida radar attiva, denominazione nato AA-12 Adder, dalle caratteristiche alette posteriori a griglia. Queste sono fornite in plastica piena dalla Trumpeter e risultano enormemente fuori scala. Alla fine, mi sono messo alla ricerca di un aftermarket per sostituirle in toto e ho trovato questo un set in fotoincisione della A.M.U.R. Reaver:

Il procedimento per assemblare i tanti pezzi non è affatto semplice ma, a lavoro ultimato, il risultato è di tutto rispetto.


Ecco una visione d’insieme dal basso degli armamenti.

Canopy:

Il canopy, in rapporto alla scala 1/32, è totalmente privo di dettaglio e della paratia che chiude il plexiglass alle spalle del pilota (ricostruita col solito Plasticard).


Per i frame orizzontali ho utilizzato parte delle fotoincisioni del set Eduard; i ganci sono un dettaglio importante ma mancano di tutti i restanti meccanismi di chiusura che ho integrato con Plasticard e profilati Evergreen. L’aftermarket della ditta ceca include anche tre specchietti retrovisori, ma il prototipo ne montava soltanto due.

Oltre a quanto descritto sopra, ho aggiunto la guarnizione rosa verniciata ad aerografo e qualche stencil proveniente dalla fondamentale scatola degli avanzi.


I perni previsti per il suo fissaggio sono nella posizione errata e lo fanno avanzare troppo. Li ho rimossi e rifatti nel punto giusto. 


È tutto, grazie per avermi seguito durante la realizzazione di questo lungo progetto e un arrivederci sul nostro FORUM! buona lettura e buona visione!


Mattia “Pankit” Pancotti